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LO IESA: LE SUE ORIGINI E UNA RIVISTA DI SETTORE

28 Giu 18

A cura di servizio.iesa.collegno

La pratica dello IESA ha radici millenarie. Una leggenda fiamminga del 700 D.C. narra di una giovane vessata dalle mire incestuose del padre, il re d’Irlanda, accecato dal dolore della perdita della moglie. Dymphna dopo una lunga fuga viene trovata e uccisa dall’uomo uscito di senno in seguito al suo rifiuto e il luogo della sua morte, Geel, diventa meta di pellegrinaggio per tutti coloro che soffrono di malattie mentali, che giungono a invocare la grazia di Santa Dymphna per ottenere la guarigione. Le famiglie del luogo aprono le porte delle loro case ai pellegrini, ed ecco che nasce la prima forma di IESA. Sul territorio belga la tradizione continua ancora oggi e da lì tante altre esperienze, via via più strutturate hanno preso piede in Europa.

Oggi lo IESA è diventato un apprezzato strumento di riabilitazione e di reintegrazione sociale che ha un modello ben preciso, supportato da evidenze scientifiche che ne rilevano l’efficacia, e da una vasta letteratura sul tema. Ciononostante, in Italia manca ancora una solida base culturale che consenta una diffusione capillare di questo strumento. A Collegno il Servizio IESA opera ormai da 20 anni, ma quando presentiamo la nostra attività molte persone ci definiscono ancora “progetto sperimentale” o “servizio innovativo” o “esperienza pilota”, poiché pochi (e parliamo sia di addetti ai lavori che di cittadini) conoscono questa possibilità di presa in carico. Molti ne sono spaventati, poiché la vedono come una sfida, un rischio, altri la osteggiano paralizzati dal pregiudizio e imprigionati in un’ottica ancora manicomiale, che vede l’utente psichiatrico come potenzialmente pericoloso, deviante, una scheggia impazzita della società che va controllata, più che accompagnata verso la recovery. Eh sì, noi amiamo parlare di recovery, che è un concetto complesso nel senso migliore del termine: cioè multisfaccettato, poiché considera la “guarigione” da più punti di vista, non solo da quello medico della remissione totale dei sintomi (la restitutio ad integrum), ma includendo un più ampio concetto di benessere e di qualità della vita, che sono l’obiettivo principe del nostro lavoro. Consentire alla persona di ritrovare il piacere di vivere godendo delle piccole cose quotidiane, sentendosi protagonista dei propri giorni, anche laddove la malattia impone dei limiti e costringe a una maggiore fatica, con la vicinanza affettiva di un nucleo familiare e il supporto di un’équipe di professionisti.

Con l’intento di divulgare questo tipo di approccio con un taglio rigorosamente scientifico, condiviso con la comunità di esperti internazionali, è nata la versione italiana della rivista sullo IESA, “Dymphna’s Family”. Nelle parole del suo direttore scientifico, Gianfranco Aluffi, che qui sotto pubblichiamo integralmente, possiamo cogliere l’essenza di questa ambiziosa iniziativa.

L’intera rivista è consultabile e scaricabile gratuitamente al seguente link:

https://issuu.com/dymphnasfamily/docs/dymphnas_family_web

In attesa dei prossimi passi, per crescere insieme.

(Catia Gribaudo)

 

Dymphna 2.0: il ritorno

di Gianfranco Aluffi

 

Scrivere questo primo editoriale per Dymphna’s Family mi costringe a prendere atto che, dopo lunghi mesi di preparazione, la versione italiana della rivista europea sullo IESA è finalmente quasi pronta al suo debutto. La stesura di questo contributo introduttivo, si fa ancor più piacevole in quanto si colora della collaborazione di tutti i colleghi di redazione e dell’international board che con il loro apporto teorico, scientifico, esperienziale, e soprattutto la passione e la fiducia per questo modello, hanno saputo far emergere le potenzialità dell’accoglienza eterofamiliare e delinearne le peculiarità. La messa in campo di risorse e competenze da parte di tutti gli attori coinvolti ha reso di fatto possibile il compimento di un progetto che ha preso forma negli ultimi due anni, ma è frutto di un pensiero ben più antico. In particolare il mio ricordo va al giugno del 1996 in quel di Ravensburg, presso la Clinica Die Weissenau, nella libreria dello studio del dott. Mike Konrad. Mi trovavo lì in quanto stavo svolgendo una ricerca sulla Psychiatrische Familienpflege (lo IESA tedesco, oggi acronimizzato in BWF – Betreutes Wohnen in Familien) e, mentre rovistavo tra articoli e libri, la mia attenzione si posò su di una rivista chiamata Dymphna. Quelle poche pagine formato A4 con copertina azzurra, rilegate quasi artigianalmente, contenevano contributi per me molto interessanti, soprattutto ai fini del mio oggetto di studio. Tra gli autori vi era anche un certo Jean Claude Cébula che, qualche anno dopo, conobbi a Parigi, ma questa è un’altra storia. In seguito scoprii che Dymphna era la rivista ufficiale del GREPFa (Groupe de Recherche Européen en Placement Familial), un’associazione scientifica internazionale di ricerca sull’inserimento eterofamiliare supportato, ma non riuscii a trovare copie successive a quella che ancora oggi accuratamente conservo.

Negli anni ho conosciuto il GREPFa sino a diventarne vicepresidente nel 2009 e ho continuato a portare avanti, anche attraverso il gruppo di ricerca, l’obiettivo comune tra i vari esponenti europei di diffondere la cultura dello IESA, nonché di ricercare e identificare i modelli maggiormente performanti nell’espressione di questa pratica terapeutica e riabilitativa, in un’ottica di incessante scambio e confronto tra le parti.

Nel corso del tempo lo IESA è cresciuto in Italia diffondendosi in alcune regioni (fra le quali oltre al Piemonte troviamo Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Veneto, Sardegna, Puglia, Umbria ecc.). Ad oggi, su mandato della Regione Piemonte, stiamo lavorando al fine di operare un intervento di estensione del modello, già attivo da quasi un ventennio nell’ASL TO3, presso tutte le ASL del territorio. A livello nazionale ci si sta muovendo nella direzione di promuovere una proposta di legge sullo IESA e di definire ufficialmente la detassazione dei rimborsi spese per le famiglie ospitanti.

Lo IESA è presente e fortemente radicato in molti altri paesi europei, seppur con caratteristiche eterogenee a seconda del contesto di appartenenza. In Belgio, ed in particolare a Geel, dove la pratica dell’inserimento eterofamiliare rivolto a pazienti psichiatrici fonda le sue radici, lo IESA è strettamente collegato alla clinica psichiatrica. Il sistema di trattamento in famiglia consiste infatti in una appendice della clinica la quale assume gli ospitanti e li retribuisce direttamente. In Francia esistono due tipologie di accoglienza eterofamiliare: quella terapeutica (AFT), utilizzata per soggetti sofferenti di disagio psichico con una variante applicativa rivolta a persone con problemi di dipendenze e quella sociale (AFS), impiegata nell’inserimento in famiglia di persone anziane e/o portatrici di disabilità. Nel modello francese di Accueil Familial gli ospitanti hanno diritto ad una remunerazione per l’attività svolta e possono godere di periodi di ferie e malattia. In Italia e Germania lo IESA è piuttosto sovrapponibile, sia per ciò che concerne la tipologia dei progetti gestiti sia per il carattere volontario dell’accoglienza; ospiti e famiglie condividono quotidianità ed esperienze di vita (vacanze, gite, momenti di convivialità ecc.) supervisionati da operatori formati per seguire le operazioni di reperimento, selezione e abilitazione delle famiglie, l’abbinamento utente-famiglia e il monitoraggio dell’andamento dell’inserimento con reperibilità telefonica 24h/24 7gg/7.

Una realtà giovane ma decisamente fruttuosa in termini di numero di inserimenti (circa 14.000 progetti attivi nel 2017 in tutto il Regno Unito) è lo Shared Lives. La tipologia di utenza gestita è piuttosto diversificata (disabilità fisica, psichica e disturbi del comportamento, offenders, dipendenza da sostanze, anziani non autosufficienti, persone in carico ai servizi psichiatrici ecc.). Qui lo IESA è strutturato in servizi locali, gestiti da un organo di monitoraggio nazionale (Shared Lives Plus). Tale progetto ha acquisito in breve tempo una rispettata popolarità che ha portato lo IESA ad essere individuato dal prestigioso giornale “The Guardian“ come una delle 10 pratiche suggerite per cambiare il mondo in positivo1.

Prescindendo dalle differenze tra i modelli applicativi nelle singole realtà nazionali, in questi anni è stato rinforzato un rapporto dinamico e dialogico tra tutti i referenti europei ed extraeuropei (UK post brexit!) con particolare attenzione al tema della professionalizzazione degli operatori. L’esperienza insegna che la competenza degli operatori IESA è da considerarsi un elemento cardine per la gestione e la buona riuscita di un inserimento. Un operatore formato con specifica professionalità è in grado non soltanto di mediare tra famiglia e ospite ma anche di riconoscere i segnali sottesi alla relazione di accoglienza, capaci di veicolare importanti messaggi. In un periodo storico in cui è indispensabile rivedere gli assetti del sistema di salute per garantire l’effettiva copertura della domanda attraverso modalità più efficienti di gestione della spesa pubblica e di risposta ai reali bisogni della popolazione, lo IESA si affianca a una nuova concezione di welfare, più intimamente connessa ai diritti fondamentali dell’individuo, dove l’attenzione è posta tanto alla promozione dello sviluppo personale e dell’inclusione sociale quanto alla buona gestione delle risorse, siano esse economiche o umane.

La spinta al dialogo, al confronto, alla ricerca dell’efficacia e dell’efficienza, la fiducia riposta in un modello operativo dai costi sostenibili, capace di produrre empowerment, e di opporsi allo stigma verso il disagio psichico e la disabilità, e i risultati raggiunti non soltanto in Italia ma anche all’estero mi hanno incoraggiato ad intraprendere il cammino volto alla realizzazione di questa rivista coinvolgendo i colleghi che si occupano di IESA all’estero. Ritengo che la creazione di una rivista come Dymphna’s Family possa consentire non soltanto il raggiungimento di un bacino più ampio di interlocutori tra i professional ma anche di avvicinare i non addetti ai lavori alla conoscenza di una pratica che può esistere soltanto attraverso l’integrazione tra la dimensione sanitaria e quella sociale e che non può prescindere da un costante lavoro di rete e di condivisione tra i servizi e la cittadinanza. Gli articoli presenti all’interno di questo numero zero contengono testimonianze di carattere storico, scientifico e reportistico relative allo IESA in Italia, Francia, Germania e nel Regno Unito attraverso le quali connettere e confrontare esperienze, dati, curiosità e criticità in merito all’evoluzione del modello e alle ricadute del suo utilizzo in diversi territori e culture.

Spero il lettore possa cogliere il carattere innovativo di un’esperienza terapeutica e riabilitativa diversa da quella classicamente offerta nelle realtà istituzionali e respirare l’impegno e la passione trasmessi da tutti gli operatori coinvolti in questo progetto che, abbracciando la dimensione relazionale e integrandola a quella sociale e terapeutica, possono contribuire ad avviare processi volti all’accoglienza, all’inclusione, al cambiamento e, come auspicabile, alla cura.

L’uscita del numero zero non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di persone, organizzazioni e professionisti capaci di mettere in campo energie e risorse nella condivisione di un obiettivo comune. Sento quindi di ringraziare vivamente i collaboratori della redazione per la costanza e l’impegno dimostrati in questi anni, i colleghi dell’international board per il prezioso contributo, il personale grafico e di stampa dei laboratori de “Il Cortile” che con professionalità e cura ha partecipato alla realizzazione della rivista. Un particolare ringraziamento è rivolto alla direzione dell’ASL TO3 e alle cooperative “Il Margine” e “Pro.ge.st” per il sostegno e l’attenzione mostrata durante le fasi di progettazione e produzione. Un grazie sentito va inoltre alla redazione della rivista “Solidea. Lavoro, Mutualità, Beni Comuni” per aver accolto con entusiasmo il progetto di collaborazione e per aver reso possibile l’operazione di divulgazione di questo lavoro.

Non mi resta che augurarvi una gradevole lettura nella speranza che a questo numero possano seguirne molti altri.

1 https://www.theguardian.com/voluntary-sector-network/2015/dec/01/giving-tuesday-10-ways-to-change-the-world

 

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