FAST FOOD
Osservatorio sui Disturbi Alimentari
di Giovanni Abbate Daga

LECCE, IL FESTIVAL PE(N)SA DIFFERENTE

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2 luglio, 2018 - 08:25
di Giovanni Abbate Daga

Uno scorcio dal festival a tema disturbi alimentari "Pe(n)sa differente" di Lecce, a cura di Giovanni Abbate Daga, che vi ha partecipato attivamente.
La nostra rubrica FAST FOOD a cura di Abbate Daga è una raccolta di testimonianze dirette relative alla cura e alla presa in carico dei soggetti colpiti da disturbo alimentare, e un affaccio sulla complessità che con sè portano.
Raffaele Avico, redazione Psychiatry On Line

Lecce, 14-16 giugno 2018. Come ogni anno da 11 anni la città è animata dal Festival Pe(n)sa Differente, festival dell’espressione creativa e della bellezza autentica. Il festival non si svolge solo in quei giorni, ma in quei giorni si condensa la maggioranza degli eventi, costruiti attorno ad un congresso scientifico sui disturbi alimentari. Anche il congresso ha la caratteristica di Pensare Differente, ripercorrendo modalità di confronto aperte e interdisciplinari ormai rare nella psichiatria light del XXI secolo.

Il claim “Pe(n)sa Differente” è polisemantico. Il calembour lega peso e pensiero, corpo e mente, identità personale e cultura sociale come terreno di incontro. La seconda parola rivendica il valore delle diversità rispetto al pensiero unico e all’imposizione di un’immagine corporea magra e stereotipata. Per questo nel festival è bandita quella perfezione tipica dei nostri tempi, quella perfezione fatta di competitività e produttività, tesa ad una superprestazione da applausi tanto uniforme quanto impersonale. L’intenzione è quella di contrastare il modello di un peso ideale - valido per tutti - recuperando il valore dell’essere umano come originale, unico ed irripetibile. Ribaltando concezioni diffuse, si suggerisce che la bellezza autentica si materializzi nelle pieghe delle nostre disarmonie e smagliature; sono i nostri pezzi mancanti e le nostre peripezie travagliate che fanno di noi quelle persone particolari che siamo. A parole siamo tutti d’accordo, ma poi nel caos della vita su questa terra le pressioni alle performance sono ovunque, specie se sei un ragazzino o una ragazzina adolescente e vorresti gridare al mondo che ci sei, ma ti è richiesto di essere un “vippino”.

L’aggettivo informale e scherzoso del festival è “scumbinato” ed è un passepartout che vale per le ricette pubblicate in un libro e per gli orari del congresso stesso, per gli imprevisti in sala e per i cambi di programma. Il risultato finale in realtà non è scumbinato per nulla, ma anzi aggiunge sapore e divertimento all’iniziativa, realizzando anche coi fatti la ricchezza della diversità.

Fa riflettere il richiamo al valore della diversità in questa terra, dove – sembra una vita fa – iniziarono i primi sbarchi di immigrati. Allora i profughi scappavano dall’Albania. Ad Otranto, che si adagia sul mare poco sotto Lecce, giace il relitto della nave Katër i Radës, diventato monumento memoriale di una tragedia. La motovedetta, guidata da criminali del traffico dei migranti, non rispettò l’ordine di arresto delle autorità italiana e in un tardo pomeriggio della primavera del 1997 venne speronata e affondata da una corvetta della Marina Militare. Morirono 83 persone. La storia ritorna, allora il Governo che “alzava la voce” era un governo di centrosinistra che aveva proposto, in accordo con l’Europa e con lo stesso governo albanese, il blocco navale. Si discusse a lungo sulla portata del potere che lo Stato può adoperare per arginare l’orda migratoria degli accessi non autorizzati. Passati vent’anni discutiamo ancora. D’altronde il dilemma dell’accoglienza dei supplici è nato con la cultura occidentale: già i greci, che 2500 anni fa abitarono queste terre, raccontavano storie di ospitalità e fatti di sangue, di diritti inviolabili di asilo e di stranieri traditori. Come dire, con la differenza e il diverso dobbiamo fare i conti, sono tematiche ineliminabili nell’esistenza dell’uomo ed è una delle tante finte semplificazioni della nostra epoca alternare l’idea di un uguaglianza totale all’idea dell’alienità del dolore altrui.

In questo senso è significativo lo statuto del Festival: “Pe(n)sa differente celebra la soggettività che si manifesta come diritto al pensiero critico, alla differenza e alla variazione, per valorizzare l'unicità e la novità che ogni persona essenzialmente è, con le sue possibilità espressive e la propria peculiare bellezza. Promuove la cura di sé e vuole essere un invito a un percorso di costruzione personale che passi attraverso la resistenza alle attuali forme di mercificazione e omologazione.” 

Si comprende bene come l’intento del festival vada oltre i lavori congressuali e abbia un respiro sociale ampio, provi a volare alto, sulle tracce di quella psichiatria che si immaginava come fermento per un cambiamento della visione del mondo, per modificare i fattori di rischio e fare prevenzione primaria. Un sogno d’altri tempi, di quando concepivamo le nostri sedi di lavoro come laboratori, luoghi sperimentali, avamposti di una colonizzazione che magari non ci sarebbe stata, ma che era entusiasmante sognare. Era una psichiatria con una vision e anche con dei visionari, anche nel senso di un poco folli a loro volta, “temerari sulle macchine volanti” come scrivevano futuristicamente i maestri di un tempo. Credo che non si possa fare veramente psichiatria se non ci si occupa con regolarità della comunità locale, della nostra comunità, dove siamo immersi noi e i nostri pazienti. Forse questa è una delle grandi perdite dei nostri giorni, vivere una vita troppo ritirata dalla comunità, troppo individualismo, troppe relazioni duali o a piccoli gruppi. Racconta Hillman: “Le tribù e i villaggi [in passato] erano autosufficienti, non la famiglia. E non solo tutti lavoravano insieme, ma giocavano, pregavano insieme, di modo che il peso della relazione, del significato, non era confinato alla famiglia, né tantomeno a una relazione romantica, ma era ripartito su tutta la comunità”. Ci siamo persi per strada – almeno in parte - quanto un lavoro, la partecipazione alla vita politica, il “fare gruppo” possano avere straordinarie potenzialità terapeutiche durante un percorso di cura. Cento anni fa era molto più chiaro che “il sentimento sociale è la compensazione evidente e inevitabile di tutte le debolezze naturali dell’essere umano”, e su questo postulato Adler fondò parte della sua teoria e dei suoi trattamenti.

Il Congresso è stato inaugurato dalla lettura magistrale di Mauro Carbone, filosofo, che con altre parole e altri punti di vista giunge anch’egli ad una considerazione di tipo sociale. Egli scrive: “Nell'epoca in cui viviamo, gli schermi elettronici e digitali che ci circondano esibiscono sulla loro piatta superficie le immagini di corpi umani a loro volta ridotti alla loro sola superficie, implicitamente indicandoceli a modelli da imitare. Ma assomigliare a questi corpi impone richieste estetiche ed etiche impossibili da realizzare. La seducente promessa di piacere nasconde così una calcolata condanna alla frustrazione che ci convince dell'impossibilità di ogni cambiamento individuale e collettivo.”

Il Festival si può pienamente apprezzare in questa ottica, nell’ottica di una Psichiatria Sociale che vorrebbe invece lavorare per il cambiamento. La Psichiatria Sociale è stata di recente rilanciata a Napoli quest’anno (in bocca al lupo, Andrea, c’è molto da fare) e ha trovato in precedenza un promotore significativo proprio nel direttore del dipartimento di salute mentale di Lecce.

Ma il vero nume tutelare del Festival è Caterina. Ha concepito l’iniziativa anni fa e da allora l’ha fatta crescere senza sosta, innovando e coinvolgendo l’intera città. Caterina è volitiva e dolce, ha sempre garbo, ma non molla mai: stimola, recluta, si appella, smuove. Cambiano i sindaci, ma tutti sono venuti a inaugurare le differenti edizioni e hanno fatto subito capire che conoscono bene il Festival. Il discorso ufficiale del sindaco attuale si scumbina presto e diventa amicale e spontaneo, come di chi la sa lunga sul ruolo di Caterina nell’organizzazione del Festival e nella cura dei disturbi alimentari a Lecce. Caterina - come Diotima nell’Azione Parallela, ma con meno ambizione e più fortuna – guida un folto gruppo di collaboratori con differenti ruoli e lavora insieme con associazioni culturali e sociali connesse al territorio e con il fine della prevenzione del disagio giovanile. Con energia fa convergere al congresso filosofi, artisti, psicoanalisti, ricercatori universitari. E ovviamente psichiatri e psicologi clinici. Nella stessa giornata gli esperti si alternano a parlare, ciascuno con le differenti competenze. Non li vedreste assieme in tanti altri congressi, attualmente chi discute di singoli “casi clinici” non incrocia spesso il cammino – μέϑοδος nel senso duplice del termine - di chi ragiona sui dati “basati sull’evidenza”. Di più, non sentireste ragionare di arte, un tempo musa invocata nella nostra disciplina per comprendere l’essenza della sofferenza e della speranza, ma ora marginalizzata quasi sempre a mera componente ricreativa. Ma qui al Festival è differente, l’espressività ha un ruolo portante, il Festival si avviluppa attorno alla bellezza ed alla creatività. Infatti non solo gli scrittori durante il congresso dipanano il loro pensiero sul dolore mentale e sui disturbi alimentari, ma l’intero centro storico ospita iniziative artistiche aperte a tutti, che sono allo stesso tempo campagna di sensibilizzazione e spettacoli a tutti gli effetti in teatri o per strada: letture, marce, musica, balli. Tutto ciò Caterina lo fa anche riverberare sul web, nell’aggiornamento moderno del modello di rete in psichiatria.

Caterina in definitiva gioca con il concetto di bellezza. Promuovendo quest’anno una riflessione attorno al tema che “la bellezza non è tutto” in realtà sottolinea che la bellezza può essere ovunque ed è un dovere cercarla.

Quanto questa scoperta può essere importante per chi sente che la propria bellezza si smarrisce nei meandri di anoressia e bulimia!

Leggo sul sito del Congresso: “ oltre all'apparire, c'è una dimensione dell'essere che aspetta di germogliare, di essere accudita e valorizzata, che aspetta di mostrarsi e di essere condivisa attraverso esperienze, riflessioni, scambi, crescita personale e collettiva. […] Un altro tipo di bellezza è possibile, una bellezza più intima e profonda. Una bellezza che ci abita e che non è né da costruire né da conquistare, ma solo da scoprire e da vivere.”

Anche Lecce è bellissima. Durante il giorno, un eccesso di luce si attenua sulle pietre secolari. La notte, passeggiando nelle vie deserte tra gli arcani barocchi, la sensazione è quella di aver vissuto un’esperienza. Un’esperienza tra gli intrecci chiaroscuri del personale e del collettivo. Come era stato promesso.

Sito del festival: http://www.pensa-differente.it

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