Il ponderoso saggio di Alessandra Campo (440 pagine), intitolato Tardività,[1] si annuncia come “studio filosofico di una nozione psicoanalitica” (p. 20): la Nachträglichkeit. Si tratta del termine che per la prima volta Freud menzionò nella lettera a Fliess del 14 novembre 1897. Ricalcando la precedente traduzione di Giulio Soavi, Maria Anna Massimello traduce “azione differita”. A rigore bisognerebbe dire “differibilità”. Il tema filosofico è la “natura di ciò che arriva tardi” (Dizionario Sabatini e Coletti). Segnalo che esiste, o esisteva, un uso medico del termine “tardività” per indicare, ad esempio, gli esiti paralitici della sifilide terminale. Di tale uso il Freud neurologo era di certo al corrente.
Alla prima riga si legge: “Non ci sono accidenti nella vita psichica”. L’eco freudiana risuona perentoria: “Il sogno non si occupa mai di quisquilie”.[2] Il transfert (Übertragung) dalla psicanalisi alla filosofia esordisce con tale affermazione categorica. Superficiale come tutti i transfert, anche questo sorvola sull’ambiguità accumulata nel tempo dal termine “accidente”, passando dalla contingenza alla necessità delle qualità inerenti alla sostanza. In ogni caso, contingenti o necessari, gli accidenti non rientrano nella vita psichica. L’affermazione non è da poco; costretti a prendere atto che la vita psichica è sostanza senza accidenti, inghiottiamo eventuali perplessità.
Il freudiano ortodosso, tuttavia, non dovrebbe essere perplesso; sa che è vero. Freud gli ha insegnato che il soggetto non può pronunciare un numero a caso che non sveli antecedenti edipici della vita psichica, che quel numero riproietta “in differita”, come si dice in gergo televisivo. Dopo Lacan sappiamo che l’essere parlante si forma nel linguaggio. Perciò è determinato dal collettivo. Non può emettere messaggi puramente casuali che non comunichino nulla; in lui qualcosa parla – ça parle,[3] diceva Lacan; se tamburella su un tamburo, prima o poi compone un ritmo musicale identificabile. L’ermeneutica ha questa base biologica; il grado zero dell’interpretazione è riconoscere la ripetizione, il ritmo discorsivo; da lì tutto è interpretabile, perché nella vita psichica non esistono inezie accidentali; tutto è significante del soggetto che lo enuncia, anche quando non ha significato oggettivo.
Dicevo: prima o poi i nodi vengono al pettine.
Da qualche secolo, per trattare i rapporti tra il prima e il poi, cioè i tempi della nostra ignoranza simbolica del reale, la scienza ha inventato il calcolo delle probabilità, una novità impensabile per l’episteme classica e per buona parte della filosofia vigente: un modo certo di trattare l’incertezza, opinando il falso, che Platone stabilì essere inopinabile.[4]Se un evento aleatorio, per esempio il punteggio medio di un gioco, oscilla in modo costante tra 81 e 82 è praticamente certo, cioè con probabilità molto alta, che il suo valore reale sia più vicino a 81,5 che a uno degli estremi. Tra lo psicanalista e il filosofo non so chi mastichi meno le formule del calcolo delle probabilità; per esempio, chi conosce il fondamentale teorema di Bayes, che determina le probabilità delle cause, date quelle degli effetti? Il filosofo parla di eterno ritorno dell’identico; lo psicanalista spiega tutto con la pulsione di morte; per loro la probabilità non è cosa seria; serve solo a giocare a dadi e non si confà al buon Dio, sosteneva Einstein. Il buon senso, anche filosofico, è da sempre ancorato al principio di ragion sufficiente: se c’è l’effetto, c’è stata sicuramente la causa che ha travasato nell’effetto l’essenza della cosa che lo produce.
In termini ippocratici, già adottati da Platone nel Fedone, se c’è un evento patologico, è perché c’è l’agente morboso. Il determinismo generato dal principio di ragion sufficiente è stringente; produce certezze; non conosce incertezze (che non saprebbe come affrontare); l’aleatorietà è esclusa da tutta la filosofia e da tutta la medicina, quindi anche dalla psicanalisi medica o filosofica che sia. Eppure da qualche secolo la scienza moderna ha imparato a fare a meno delle essenze e delle cause deterministiche; dal principio di indeterminazione di Heisenberg (1926) sa distinguere il determinismo degli eventi, vigente in fisica classica, dal determinismo delle probabilità degli eventi, vigente in meccanica quantistica o in biologia evoluzionistica. Ma al discorso scientifico il filosofo e lo psicanalista oppongono una forte resistenza. Non ne vogliono sapere di meccanicismo scientifico, a maggior ragione se è probabilistico, quindi incerto, perché – dicono – è riduzionista. “Il delirio scientifico più razionale e più freddo degli altri è anche il meno tollerabile che ci sia”.[5] Allora la nostra autrice, che non sto criticando, ma solo contestualizzando, prende un’altra strada: quella aperta (chiusa?) da Lacan con la cosa-causa del desiderio.
Lo riconosce la stessa autrice. La filosofia produce concetti nuovi, come già stabilito da Deleuze. Freud produsse concetti nuovi in metapsicologia, quindi fu filosofo. Lacan non fu da meno, essendo tornato a Freud. Peccato che i concetti nuovi di questi psicanalisti ruotino in modo satellitare intorno a concetti molto vecchi, anzi antichi, come quelli di essenza o ousia e di causa o aitìa. Per Spinoza l’essenza dell’uomo è il desiderio: Cupiditasest ipsa hominis essentia, quatenus ex data quacunque ejus affectione determinata concipitur ad aliquid agendum.[6] La causa è nell’oggetto del desiderio da dove determina l’azione, secondo Lacan. Tous se tient. Lo si ricordi perché ci tornerò.
Il discorso filo-psicanalitico della Campo si sviluppa attorno alla nozione di tempo inteso come durata alla Bergson, alle cui spalle sorride ancora Spinoza: “La durata è la continuazione indefinita dell’esistenza”.[7] Ma è proprio la nozione di tempo come durata che resiste a integrarsi alla nozione di atemporalità dell’inconscio freudiano, una delle più salde della dottrina freudiana. Dopo aver capovolto la freccia della causalità nell’assetto eziologico della metapsicologia, supponendo che l’effetto generi la propria causa, con modalità più vicine alla teologia di Spinoza che alla retroazione cibernetica di Wiener, stranamente Freud abbandonerà la nozione di Nachträglichkeit, forse – sostiene ragionevolmente la Campo – non essendo più in grado di trattare un concetto così poco kantiano come l’inconscio atemporale.[8]
Conclude così la nostra autrice, che corregge una mia convinzione erronea. La metapsicologia freudiana non ripropone – come credevo – l’aristotelico scire per causas, travestito da ippocratismo; è invece il tentativo non andato a buon fine di sviluppare una nuova scienza della temporalità, intesa in senso epistemico prima che ontologico, adatta all’inconscio atemporale (zeitlos). Patetica testimonianza del fallimento scientifico freudiano è l’inconcludente articolo del 1937 su Analisi finita e infinita (Die endliche und unendliche Analyse), che ci ostiniamo a tradurre Analisi terminabile e interminabile.
Devo aggiungere che a mio parere Lacan se la cavò meglio di Freud con l’epistemologia del soggetto supposto sapere; esplicitata verso la fine nel Seminario XI (20 maggio 1964), fu anticipata nel saggio su Il tempo logico e l’asserzione della certezza anticipata (1945). Invischiato nell’incertezza collettiva, il soggetto individuale arriva a posteriori alla certezza, elaborando l’incertezza propria e degli altri quasi sapesse prima quel che arriverà a sapere dopo.
La storia è diabolica. Qualcosa si è ripetuto in Freud: a posteriori la ripetizione del numero tre è fin troppo evidente. Secondo il Talmud, un evento deve ripetersi tre volte per avvenire. Questa fu la regola anche per Freud, declinata all’insegna dell’interruzione: tre terapie interrotte – l’analisi di Dora, dell’Uomo dei Lupi e di Sandor Ferenczi; tre tentativi scientifici inconclusi – il Progetto per una psicologia, la Nachträglichkeit (in connessione con l’analisi dell’Uomo dei lupi) e la Gegenübertragung, il contro-transfert; tre grandi amicizie sfociate in ostilità – Breuer, Fliess e Jung.
Che abbia funzionato il tre del triangolo edipico? Senza voler fare della patografia, inclino a credere che in Freud abbia giocato la mancata analisi dei suoi transfert fraterni, a iniziare da quello con il fratellastro. Il rifiuto di approfondire la nozione di controtransfert ha molti tratti dell’ostilità fraterna. In clinica Freud preferiva porsi come sostituto paterno per bypassare il complesso fraterno. I transfert fraterni, più ostili e meno amorosi di quelli paterni, rimossi ma ferocemente attivi nell’inconscio, hanno poi imperversato in lungo e in largo per tutto il movimento analitico su scala planetaria.
Per Lacan, che proclamava il ritorno a Freud, non valeva la regola del tre ma del quattro: quattro sono i vertici dello schemaL tra soggetto dell’Es e Grande Altro, con interposta la coppia autre/moi; quattro i vertici del grafo del desiderio, quattro i discorsi, ciascuno tetrapartito in significante principale (ontologico), significante epistemico, soggetto dell’inconscio e oggetto causa del desiderio; l’interpretazione che Lacan stesso ne diede fu di aver aggiunto al triangolo edipico un quarto vertice, la morte.[9]
La stramba numerologia di questi grandi autori, che a sua volta estende quella del numero due, il numero dell’inizio in due tempi della sessualità e dell’usteron proterondel trauma, dovrebbe mettere in guardia chi si precipita nella filosofia della psicanalisi, magari con tutte le buone intenzioni di salvarla dalle secche della psicoterapia. Secondo me, è meglio rischiare una scienza psicanalitica che pestare acqua nel mortaio filosofico. È il rischio che corro da anni, ben sapendo che la maggioranza dei colleghi non vuole sentire parlare di scienza, con la scusa che è quantitativa e non qualitativa, oggettiva e non soggettiva, meccanicistica e priva di libero arbitrio. Allora mi rassegno a solcare in solitaria il mare aperto e incerto della scientificità.
La mia ipotesi di lavoro riconvoca il numero di Freud: il tre. Secondo me tre sono gli assiomi da cui potrebbe ripartire una nuova sintassi scientifica della psicanalisi, nuova rispetto alla vecchia e in gran parte mitologica metapsicologia freudiana. Sono tre assiomi esistenziali: l’esistenza dell’inconscio, l’esistenza della rimozione originaria (che non è una rimozione) e la Nachträglichkeit, proprio lei, di cui tratta Alessandra Campo.
Sui primi due assiomi Freud tenne duro fino alla fine; riteneva che l’inconscio fosse una provincia psichica dove non vale né il principio di non contraddizione né la temporalità, consentendo ai due termini contraddittori, A e non A, di coesistere nella sincronia e produrre effetti opposti nella diacronia.
La mia versione dell’inconscio freudiano è meno ontologica e più epistemica di quella originariamente proposta da Freud. Esonerandomi dal riferimento filosofico alla coscienza, pongo l’inconscio come un sapere che non si sa di sapere. In Il tempo di sapere[10] dimostro che l’enunciato, lungi dall’essere contradditorio, è un teorema di logica intuizionista, dove non valgono né il principio del terzo escluso né la legge di doppia negazione. Modellizzare come A vel non A il sapere inconscio di A è in termini freudiani giustificato: i due elementi contrapposti, A e non A, copresenti nell’inconscio, costituiscono una contraddizione a livello ontologico, ma a livello epistemico si “sollevano” nel sapere del terzo escluso; in questa logica “sublimata” non sapere implica sapere. (La dimostrazione è banale; in poche battute si dimostra che la negazione del terzo escluso, che è falsa, implica il terzo escluso, che è vero). L’intuizionismo funziona come la logica cartesiana; supporre che tutto il verosimile sia falso genera qualcosa di vero: l’esistenza del soggetto del dubbio. Il soggetto freudiano è una variante del soggetto del dubbio: è il soggetto del desiderio, che è sempre in dubbio su cosa l’altro vuole da lui.
Nel saggio sull’Inconscio del 1915 Freud propose l’assioma di rimozione originaria (Urverdrängung) e lo mantenne fino ad Analisi finita e infinita del 1937, passando per Inibizione,sintomo e angoscia del 1926. È un assioma molto moderno, ma poco valorizzato da Freud che moderno non era. Oggi si parlerebbe di assioma di incompletezza. Spogliato della bardatura metapsicologica, la rimozione originaria traccia la linea di demarcazione tra scienza antica (scire per causas), che è certa e completa, cioè metafisica, e scienza moderna (scire per theoremata), che è incerta e incompleta, cioè congetturale. Nel 1931 Gödel stabilì che ogni sistema simbolico, se sufficientemente espressivo e coerente, ha enunciati indecidibili, che non riesce né a confermare né a confutare mediante procedimenti sintattici di calcolo (algoritmi).[11] Va tenuto presente che Freud non concepì la rimozione originaria come vera e propria rimozione. Nel saggio sull’Inconsciostabilì che nell’inconscio esistono rappresentazioni che non saranno mai rimosse, perché non verranno mai alla coscienza. Nell’inconscio esiste una “fissazione” (Fixierung) soggettiva, che sin dall’origine sfugge alla coscienza, come Freud ribadì 22 anni dopo in apertura di Analisi finita e infinita.
Sul terzo assioma purtroppo Freud cedette e non solo su quello, come vedremo. Formulato al tempo della burrascosa relazione con Wilhelm Fliess il sostantivo Nachträglichkeit “cessò di scriversi” sotto la penna di Freud all’epoca dell’interruzione dell’analisi dell’Uomo dei Lupi (1914). Da allora sopravvisse solo l’aggettivo nachträglich, nel senso consueto di “successivo”, perdendo molto della grinta filosofica, messa giustamente in evidenza dalla Campo.
Certo, Freud si scontrò con un’effettiva difficoltà filosofica ad affrontare la quale non era preparato. Tuttavia, il suo non fu solo un problema intellettuale. Non fu solo la difficoltà concettuale a concepire la retroazione cibernetica alla Wiener o la retro-propagazione dell’errore nelle reti neurali, temi che dovevano cuocere per altri quarant’anni, prima di essere affrontati. Qualcosa di reale, probabilmente di transferale, nel senso di un transfert collettivo, più fraterno che paterno, si verificò nel movimento psicanalitico a cavallo degli anni ’15, coinvolgendo persino il creatore della psicanalisi. Furono gli anni in cui dalla pubblica circolazione psicanalitica insieme alla Nachträglichkeit scomparve anche la nozione di contro-transfert (Gegenübertragung), proposta cinque anni prima dallo stesso Freud in un mercoledì sera della Società psicanalitica di Vienna, esattamente il 9 marzo 1910. Cosa stava succedendo?
Fu una coincidenza la contemporanea evanescenza dei termini di tardività e di contro-transfert, di Nachträglichkeit e di Gegenübertragung dalla scrittura freudiana? Due scritture che ruotano attorno al verbo tedesco tragen, “portare” in italiano, ferre in latino? Le coincidenze hanno scarsa rilevanza epistemica. Allora, per procedere, riapro il testo della Campo.
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La Campo non correla la scomparsa della Nachträglichkeita quella della Gegenübertragung; tuttavia inventa un termine interessante, inesistente in tedesco, ma che potrebbe ragionevolmente esistere e magari dirla lunga sulla questione del controtransfert: untertragen nel senso di “mettere sotto”, non proprio sottomettere ma passare o far passare sotto, nel senso del fenomeno carsico. I due termini scompaiono da Freud ma riappaiono tra i freudiani, il controtransfert con maggior frequenza della tardività. Si tratta di far loro posto nella filosofia freudiana.
Non ho le competenze per giudicare se l’operazione filosofica della Campo sia riuscita o no. Resto nel mio campo, cioè in quello scientifico: la Nachträglichkeit è per me un concetto necessario a rendere scientifica la psicanalisi, nella misura in cui istituisce à rebours la dimensione del tempo di sapere. Freud non era portato per le scienze naturali; preferiva le umane. Io forse sono più portato alle naturali, ma non è alle neuroscienze che voglio ricondurre la psicanalisi e neppure alle scienze umane. Probabilmente la psicanalisi è veramente una scienza nuova, inusitata prima di Freud: è la scienza dell’ignoranza che sta per diventare scienza.
Come a tutte le scienze, allora, alla psicanalisi si resiste. Il primo a resistere alla propria scienza fu Freud, non diversamente da Einstein che resistette alla meccanica quantistica che pure contribuì a sviluppare contestandola. Proprio l’esempio di Einstein indica una strada per affrontare la psicanalisi freudiana; per esempio, si può criticare Freud perché non uscì dall’ambito narratologico, sostituendo ai racconti biblici quelli edipici. La scienza non si fa con le narrazioni, assunte come inconfutabili, quindi deliranti, ma con congetture, meglio se decidibili.
Non è come dire. Per promuovere la scientificità della psicanalisi non basta il consenso intellettuale su certe premesse. Bisogna farla finita con la pratica catechistica che molti rabbini non solo ebrei hanno insediato nel campo freudiano, con il pretesto di insegnare il vero. Nella scienza dopo Galilei non c’è bisogno di catechismi (dal greco katechéo, “istruisco a viva voce”, con la radice comune di “eco”, éche). Lo scienziato moderno non catechizza nessuno; formula congetture, estraendole da una congerie di dati, e le confuta, se riesce. Di per sé le congetture non sono né vere né false ma reggono fino a prova contraria. Il procedimento scientifico è perciò l’esatto contrario del “dimenticare”. Freud ha dimenticato il controtransfert e la tardività. Noi cerchiamo di non imitare il maestro in questo. Ce lo ricorda a suo modo anche Alessandra Campo. Il suo libro sottotitola: Freud dopo Lacan. Una variante più attuale suonerebbe: Freud dopo di noi.
L’opzione non è solo teorica perché si apre immediatamente alla pratica. In psicanalisi non ci si può limitare a teorizzare sul desiderio. La psicanalisi nasce come clinica, cioè come pratica di cura; non nasce come idea ma come atto. La cupiditasspinoziana predispone all’azione – ricordate? Se la psicanalisi tratta il desiderio, non può non sfociare nell’atto analitico. Il desiderio predispone all’atto, anche se il soggetto ignora le “vere” ragioni per cui agisce. Senza giustificarlo troppo, lo affermò in modo aforistico Lacan nelSeminario XVI del 13 novembre 1968: “L’essenza della teoria psicanalitica è un discorso senza parole”, cioè è un atto. Oggi quell’atto si è ritualizzato fino a decadere.
In tema di atto analitico Freud mantenne una certa ritrosia; tecnicamente si direbbe inibizione. Ricordare, ripetere, rielaborare, ma non agire, era la sua prescrizione per dirigere la cura psicanalitica. Forse la stessa inibizione, idealisticamente connotata, portò Freud a far decadere i termini che qui mi interessano: tardività econtrotransfert. L’analisi attiva e reciproca, auspicata da Ferenczi, dovette aspettare Lacan per prendere corpo. Più che “elevare l’oggetto alla dignità della Cosa”, nella sublimazione etica, Lacan elevò l’analizzato (o l’analizzando) alla dignità dell’analizzante, cioè creò le premesse per resuscitare l’atto analitico. Nelle vesti dell’après-coup Lacan rimise in pista almeno uno dei due significanti che qui ci interessano: la Nachträglichkeit. Purtroppo il contro-transfert non suscitò echi neppure in Lacan, mentre diventò cavallo di battaglia della scuola kleiniana, che ne fece il terreno di cultura dell’interpretazione analitica.
Probabilmente, dopo questa ampia introduzione filosofica, la Campo sta preparando un secondo volume meno filosofico su transfert e controtransfert, che formano la base clinica della tardività psicanalitica. Oggetto d’amore e d’odio, l’analista si inserisce a posteriori e senza volerlo nella domanda d’analisi dell’analizzante. La domanda anticipa un oggetto che non c’è ancora ma ci sarà stato, provenendo dal futuro e diretto al passato, rimanendo al tempo presente originariamente perduto. L’anti-diacronia è la Zeitlosigkeit dell’inconscio; è la sincronia che l’inconscio mutua dal linguaggio ma che Freud non riuscì a pensare in modo completo, lasciando a noi il compito di completare il suo pensiero. Se interpretata in modo non logocentrico, la formula lacaniana dell’“inconscio strutturato come un linguaggio” vuol dire che l’inconscio è una struttura di sincronia intermedia tralangue(collettiva) e parole (individuale).
Da ciò che nel suo saggio la Campo ha sfiorato ma non approfondito emerge una possibile ipotesi di lavoro teorico e clinico. Intendo il rapporto epistemico tra diacronia, pur rovesciata nella Nachträglichkeit, e sincronia; tale rapporto andrebbe accoppiato – è la mia ipotesi lavoro, non un dogma – al rapporto tra transfert e controtransfert. Nel transfert paterno l’analizzante ripercorre la propria storia diacronicamente a rovescio; nel controtransfert fraterno l’analista tiene fermi sincronicamente i due momenti del trauma sessuale: l’inizio ritardato e la ripetizione. Con queste congetture siamo già dopo Freud e dopo Lacan; nell’après-coup di Freud e Lacan siamo in pieno territorio scientifico.
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