Riflessioni (in)attuali
Uno sguardo psicoanalitico sulla vita comune
di Sarantis Thanopulos

ELOGIO DELLA CULTURA POPOLARE

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25 agosto, 2018 - 09:57
di Sarantis Thanopulos
I fratelli Enzo e Lorenzo Mancuso, interpreti della tradizione musicale siciliana, ne hanno ampliato e trasformato lo spazio con una costante ricerca sperimentale che nulla concede all’orecchiabile o alla facile suggestione e al folclore. La loro musica, le cui architetture vocali si colgono meglio a occhi chiusi, è austera e tragica, tesa tra il lutto e il ritrovamento dell’oggetto perduto. Aspira a un’intensità sobria, a una passionalità elegante che irrompe nelle emozioni di chi ascolta senza sbavature e deragliamenti. In disparte rispetto alla massa indistinta del “grande pubblico”, pur capaci di toccare in profondità le corde popolari, essi sono estranei, per scelta convinta, all’establishment mediatico che detta i gusti alla moda.
Ai fratelli Mancuso è stato recentemente assegnato il premio Andromeda ai Talenti Umbratili. Il premio dà riconoscimento, secondo l’acuta definizione del giornalista di Rai Uno Giovanni Taglialavoro, a coloro che, pur essendo apprezzati e noti, preferiscono il margine alla subalternità e al compromesso e “spiccano per la profondità, originalità del loro sguardo sulla condizione umana del nostro tempo”, rinunciando, per pudore e per coscienza del limite, alla promozione di se stessi.
Il caso dei fratelli Mancuso è esemplare: essi rappresentano una moltitudine di espressioni culturali originali e di qualità elevata che vivono tra di noi, senza sgomitare e senza operare massicce espropriazioni del terreno comune di incontro e di dialogo, fidelizzando supporter acritici, utilizzatori passivi. Si realizzano come differenze che si rispettano perché si co-costituiscono: si configurano e si definiscono attraverso il loro incessante relazionarsi. Accettano e usano il conflitto e il contraddittorio, temono il vantaggio improprio, e invalidante per la propria verità, conquistato attraverso una posizione di potere.   
La cultura, intesa come complessità e profondità del vivere, è opera di un popolo di cittadini, il cui desiderare, sentire, pensare e agire si costituisce nell’ambito di una società civile, paritaria sul piano dei desideri, delle idee e dei diritti. Prende forma negli spazi creativi ricchi di fermenti in cui l’impegno nei confronti della vita condivisa si manifesta in modi irriducibili alla falsificazione dei sentimenti, ma ama la discrezione, non impone e non pretende.
Alla cultura, fatta di declinazioni plurali che le conferiscono il suo irrinunciabile carattere critico, si oppone l’uniformazione delle modalità espressive, dei gusti e delle azioni. L’uniformazione agisce in due modi. Da una parte perverte ogni cosa in bisogno compulsivo, crea un modo di consumatori che annientano ciò che consumano. Dall’altra scollega, con violenza invisibile e distruttiva, i luoghi in cui piacere e dolore diventano sapere e saggezza del vivere, condivisione di modalità particolari ma complementari dell’esistere, li converte in “nicchie di resistenza” isolate l’una dall’altra, facili da silenziare. Lo scollegamento lascia via libera alla connessione “globalizzante” di voci impersonali, alla clonazione perpetua del nulla.
La cultura della Città, attaccata dalla logica antidemocratica del consumo, è stata minata dal narcisismo delle sue espressioni più vulnerabili al fascino della “grande audience”. Facendo proprie le strategie del nemico, credendo di servirsene impunemente, esse hanno contribuito alla demolizione dei legami di scambio tra le realtà culturali più libere e originali. Ricostruiamo questi legami per liberarsi dei pensieri preconfezionati, andare oltre il culto della celebrità e ritrovare la libertà d’espressione.

 
 
 

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