Col tempo, in ritardo, ci si rende conto che la questione del nachträglich – dell’après-coup – è uno dei nodi centrali della psicoanalisi. E nodo – sia della teoria che della pratica psicoanalitica – difficile da sciogliere. L’après-coup è, direi, un sintomo della psicoanalisi, un punto in cui essa si rivela e allo stesso tempo si soffre. Soffre di quello che è, e si sopporta come tale. Ne parlerò qui commentando il seminario di Jean Laplanche Problématiques VI, dedicato all’après-coup, tenuto nel 1989-90[1].
- Après-coup è un concetto après coup
Laplanche riconosce che è stato Jacques Lacan a rimettere in gioco il concetto di après-coup (letteralmente: a colpo avvenuto), prima di lui nessuno lo aveva identificato come un concetto unitario. Anche se Freud ha coniato il termine Nachträglichkeit a partire da termini comuni come nachträglich, nachtragen, e simili, la traduzione inglese ufficiale di Freud (Standard Edition) non usa un termine unico per renderne le varie occorrenze: “understood later”, “understood subsequently”, “deferred action”, “after-effect”, “subsequent”, ecc. Mentre il traduttore avrebbe potuto restar fedele a un solo termine, afterwards, come propone Laplanche. La traduzione italiana di Freud[2] ha seguito la volatilità di quella inglese. Trovo però significativo il fatto che la traduzione inglese di questo seminario di Laplanche[3] non adotti il suggerimento dell’autore, non si intitoli Afterwardsness, ma conservi il titolo francese, Après-coup. Pure la traduzione italiana lascia il titolo in francese. Anche io conserverò après-coup[4]. E’ come se i traduttori inglese e italiano smentissero sottilmente, e certo inconsapevolmente, la tesi oggi prevalente: lasciando il termine francese, mettono in questione in qualche modo il fatto che si tratti di un concetto genuinamente freudiano.
Farò come Laplanche, che scrive “après coup” senza trattino quando lo usa come aggettivo o avverbio, e “après-coup” con trattino quando lo usa come sostantivo. “La scoperta francese e la traduzione [francese] sono un solo e stesso “colpo” [“coup”], in questo caso, dell’après-coup”, dice Laplanche (27)[5]. Il punto è che è difficile, in italiano come in altre lingue, rendere il senso dell’espressione francese après-coup.
Una frase come “Il a remanié son livre après coup” (28) è di difficile traduzione, perché appunto “Lui ha rimaneggiato il proprio libro in seguito” non rende il senso. Nella frase francese, si disegna una scia di significazione, qualcosa che si dice e non si dice: si insinua che il libro sembrava compiuto, ma che poi qualcosa di non precisato ha fatto capire all’autore che questa compiutezza non era veramente tale; insomma, il rimaneggiamento non è stato semplicemente una aggiunta migliorativa, ma qualcosa di non colto o non detto nella prima versione e che adesso, a libro fatto, può essere colto e detto. Nella prima versione del libro sembra esserci già quel che sarebbe stato aggiunto dopo, ma in una sorta di latenza. Il significato di après-coup nel discorso comune in francese assorbe già, insomma, il (probabile) senso del concetto freudiano, dato che per Freud è nachträglich qualcosa che si svolge in due tempi, nel primo qualcosa è latente o potenziale, nel secondo questo qualcosa esce dalla latenza. Ma potremmo dire persino che oggi, nel discorso francofono comune, almeno tra gli intellettuali, il senso freudiano di après coup ha arricchito l’uso corrente del termine, il quale si è freudianizzato.
Ora, quando si confessa l’intraducibilità di una parola-concetto, vuol dire che siamo di fronte a una opacità, a qualcosa che Lacan, per distinguerla dal segno, chiamò significante. C’è significante quando un termine non si risolve in trasparenza semantica, quando traducendolo perdiamo colpi. Così, l’uso di après-coup aggiunge alla Nachträglichkeit un surplus di senso che ha aperto alla problematica profonda della Nachträglichkeit. Insomma, la traduzione francese après coup del termine freudiano si pone come un rivelatore del senso del concetto freudiano stesso: la traduzione dell’après-coup è di per sé un après-coup.
L’esegesi di Laplanche si interroga prima di tutto sulla pertinenza di questo concetto: quando Freud usa nachtragen e i suoi derivati, sta definendo un concetto generale della psicoanalisi? O si tratta di semplici omonimie, di concetti diversi che danno l’impressione di essere un concetto unico solo perché Freud usa le stesse parole? O si tratta di polisemie, in cui uno stesso termine ha vari sensi? Evidentemente Lacan, e Laplanche e Pontalis sulla sua scia, ribadendo il termine après-coup hanno dato après coup un senso a ogni volta che Freud ha usato un derivato di nachtragen. Il senso del concetto di “après-coup” si esprime, si ripete e quindi si definisce, nella stessa storia del formarsi del concetto, ovvero, la specifica temporalità designata dal concetto di après-coup si riverbera nel tempo in cui il concetto si articola; senso e storia del concetto tendono a coincidere. Per cui questo testo di Laplanche si vuole esso stesso un après-coup non solo rispetto alla Nachträglichkeit di Freud, ma anche rispetto all’après-coup di Lacan. Ovvero, qui Laplanche enuncia – senza dirlo esplicitamente – che grazie alla sua analisi il senso vero sia del nachträglich freudiano che dell’après-coup lacaniano emergerebbe, anche se après coup, tardivamente, grazie a lui[6].
Farò come Laplanche, che scrive “après coup” senza trattino quando lo usa come aggettivo o avverbio, e “après-coup” con trattino quando lo usa come sostantivo. “La scoperta francese e la traduzione [francese] sono un solo e stesso “colpo” [“coup”], in questo caso, dell’après-coup”, dice Laplanche (27)[5]. Il punto è che è difficile, in italiano come in altre lingue, rendere il senso dell’espressione francese après-coup.
Una frase come “Il a remanié son livre après coup” (28) è di difficile traduzione, perché appunto “Lui ha rimaneggiato il proprio libro in seguito” non rende il senso. Nella frase francese, si disegna una scia di significazione, qualcosa che si dice e non si dice: si insinua che il libro sembrava compiuto, ma che poi qualcosa di non precisato ha fatto capire all’autore che questa compiutezza non era veramente tale; insomma, il rimaneggiamento non è stato semplicemente una aggiunta migliorativa, ma qualcosa di non colto o non detto nella prima versione e che adesso, a libro fatto, può essere colto e detto. Nella prima versione del libro sembra esserci già quel che sarebbe stato aggiunto dopo, ma in una sorta di latenza. Il significato di après-coup nel discorso comune in francese assorbe già, insomma, il (probabile) senso del concetto freudiano, dato che per Freud è nachträglich qualcosa che si svolge in due tempi, nel primo qualcosa è latente o potenziale, nel secondo questo qualcosa esce dalla latenza. Ma potremmo dire persino che oggi, nel discorso francofono comune, almeno tra gli intellettuali, il senso freudiano di après coup ha arricchito l’uso corrente del termine, il quale si è freudianizzato.
Ora, quando si confessa l’intraducibilità di una parola-concetto, vuol dire che siamo di fronte a una opacità, a qualcosa che Lacan, per distinguerla dal segno, chiamò significante. C’è significante quando un termine non si risolve in trasparenza semantica, quando traducendolo perdiamo colpi. Così, l’uso di après-coup aggiunge alla Nachträglichkeit un surplus di senso che ha aperto alla problematica profonda della Nachträglichkeit. Insomma, la traduzione francese après coup del termine freudiano si pone come un rivelatore del senso del concetto freudiano stesso: la traduzione dell’après-coup è di per sé un après-coup.
L’esegesi di Laplanche si interroga prima di tutto sulla pertinenza di questo concetto: quando Freud usa nachtragen e i suoi derivati, sta definendo un concetto generale della psicoanalisi? O si tratta di semplici omonimie, di concetti diversi che danno l’impressione di essere un concetto unico solo perché Freud usa le stesse parole? O si tratta di polisemie, in cui uno stesso termine ha vari sensi? Evidentemente Lacan, e Laplanche e Pontalis sulla sua scia, ribadendo il termine après-coup hanno dato après coup un senso a ogni volta che Freud ha usato un derivato di nachtragen. Il senso del concetto di “après-coup” si esprime, si ripete e quindi si definisce, nella stessa storia del formarsi del concetto, ovvero, la specifica temporalità designata dal concetto di après-coup si riverbera nel tempo in cui il concetto si articola; senso e storia del concetto tendono a coincidere. Per cui questo testo di Laplanche si vuole esso stesso un après-coup non solo rispetto alla Nachträglichkeit di Freud, ma anche rispetto all’après-coup di Lacan. Ovvero, qui Laplanche enuncia – senza dirlo esplicitamente – che grazie alla sua analisi il senso vero sia del nachträglich freudiano che dell’après-coup lacaniano emergerebbe, anche se après coup, tardivamente, grazie a lui[6].
- Il precedente è successivo
In questi seminari Laplanche cerca di sfuggire sia a Scilla che a Cariddi. Scilla sarebbe una sorta di positivismo determinista (che egli vede nelle scelte di traduzione in inglese) da una parte, e Cariddi sarebbe una interpretazione di tipo ermeneutico, che secondo lui è quella che prevarrebbe tra gli analisti (almeno tra quelli dell’International Psychoanalytic Association) all’epoca, dall’altra. Un lacaniano di buona scuola concorderebbe: evitare sia il positivismo che l’ermeneutica.
Si prenda uno dei primi esempi che Freud porta di Nachträglichkeit, nel 1895, le “due scene” di Emma. Riporto qui il brano di Freud che la riguarda[7].
Attualmente Emma soggiace alla coazione di non poter entrare in un negozio da sola. A fondamento di questo, essa pone un ricordo che risale all’età di dodici anni (poco dopo la pubertà). Entrata in un negozio per comprare qualcosa, vide i due commessi (dei quali ne ricorda uno) che ridevano insieme e, presa da un certo affetto di spavento [corsivi di Freud], uscì precipitosamente. In connessione a ciò, è possibile portare in luce il pensiero che i due uomini ridevano del suo vestito e che uno di loro l’attraeva sessualmente.
Sia il legame che unisce questo frammento che le conseguenze dell’esperienza sono incomprensibili. Se ha provato dispiacere perché si rideva del suo vestito, questa sensazione avrebbe dovuto correggersi molto tempo fa: sin da quando cominciò a vestirsi come una signora. Né modifica in alcun modo i suoi abiti l’andare in un negozio da sola o in compagnia. Che non si tratti semplicemente del bisogno di protezione è mostrato dal fatto che, come avviene nei casi di agorafobia, la compagnia di un bambino è sufficiente a darle sicurezza. Del tutto separato è il fatto che uno degli uomini la attraeva, ma anche qui l’essere accompagnata non muterebbe nulla. Quindi i ricordi suscitati non spiegano né la coazione né la determinazione del sintomo.
Un’ulteriore ricerca mette in luce un secondo ricordo che essa nega di aver avuto in mente al momento della scena I. Né lo si può provare in alcun modo. Quando era una bambina di otto anni, entrò due volte da sola in un negozio per comprare alcuni dolci e quel brav’uomo del negoziante toccò i suoi genitali attraverso i vestiti. Nonostante la prima esperienza essa vi era ritornata una seconda volta, poi aveva cessato di andarvi. Ora si rimprovera per essere ritornata la seconda volta dal negoziante, come se avesse voluto in tal modo provocare l’assalto. Difatti uno stato di “pesante cattiva coscienza” dev’essere ricondotto a questa esperienza.
E’ stato fatto notare come Freud chiami scena I non la scena più antica, ma quella più recente; mentre la scena II è quella più antica. Questa scelta corrisponde alla figura retorica dell’hysteron próteron ("il precedente è successivo"), ovvero abbiamo qui un'inversione dell'ordine temporale degli avvenimenti, per cui viene posto prima ciò che logicamente andrebbe posto dopo. Esempio famoso dall’Eneide, « Moriamur et in media arma ruamus », “moriamo e ci buttiamo nel mezzo delle armi”[8]. Questa inversione è un sintomo di qualcosa che Freud non dice, ma mostra. In effetti, che cosa mostra invertendo i numeri delle due scene? La risposta a questa domanda sarà cruciale.
Intanto, così Laplanche riassume i paragrafi di Freud su Emma:
Dunque, la scena II anteriore è una scena di attentato sessuale. Lascio a voi la lettura di che cosa si tratta, di un gesto più o meno osceno e sessuale nei confronti di quella bambina; e, al contrario, la seconda scena che si svolge anch’essa in un negozio è una scena detta “innocente”, ma in connessione associativa con la precedente (49)
Insomma, la scena II sarebbe una scena chiaramente sessuale, mentre la I non avrebbe alcuna connotazione sessuale. Ma un’osservazione più accurata smentisce questa ricostruzione. Anche nella scena I emerge del sessuale, se non altro perché Emma è attratta da uno dei due commessi; l’entrare in quel negozio aveva quindi per lei una implicazione erotica. Possiamo supporre che lei abbia interpretato le risate dei commessi come un modo di deridere il suo essere vestita ancora da bambina (dodici anni) piuttosto che da donna. Insomma, la scena I appare legata a problematiche specifiche della pubertà, quindi sessuali, anche se Freud non ce ne dice di più. Non è affatto una scena “innocente”. Potremmo dire piuttosto che la scena dell’infanzia mette in gioco la sessualità dell’altro (adulto), mentre la scena della pubertà mette in gioco la sessualità del soggetto. Ma nemmeno questo si può dire, dato che la bambina a otto anni ritorna in quel negozio, segno che, dopo tutto, aveva nel fondo gradito i toccamenti dell’uomo (molto spesso la pedofilia passa all’atto grazie alla complicità dei bambini stessi). Freud ha ipotizzato una fase di latenza sessuale nel bambino, dai sei anni alla pubertà, ma sappiamo che molti bambini non sono mai “latenti”, e che essi reagiscono quasi da adulti a sollecitazioni e provocazioni sessuali. Ferenczi ha parlato di “confusione delle lingue” tra bambini e adulti[9], ma ho forti dubbi che i bambini siano poi così digiuni della lingua adulta! La parlano certo a modo loro, ma la parlano. Possiamo quindi dire che in entrambe le occasioni Emma risponde sessualmente, anche se in modo diverso.
In che senso allora la scena I è un après coup della II? Dovremmo ipotizzare che la scena II sia a sua volta un après coup di una scena ancora più primitiva, che Emma non ha nella memoria? Comunque, la svolta geniale di Freud qui è nel modo in cui ricostruisce il significante “negozio” nel caso di questa fobia: lo mette in relazione con due esperienze che hanno a che fare con la sessualità. Ovvero, il vero exploit di Freud è nel modo in cui egli scova del sessuale in un sintomo fobico che non si presenta come specialmente connesso alla sessualità. Perché in effetti è questo l’après-coup: è lo svelarsi a cose fatte, potremmo dire, del senso sessuale di scene o sintomi.
Ora, secondo Laplanche è grazie alla seconda scena, non sessuale (ma abbiamo visto che non è così), che la prima assume un valore traumatico. Come dice Freud, “un ricordo diventa traumatico solo nachträglich”, in un secondo tempo. Ora, secondo Laplanche la Scilla da evitare è vedere il nachträglich come “una bomba che scoppia in ritardo”: ovvero, la prima scena, infantile, avrebbe prodotto un effetto traumatico ma solo anni dopo, quando la bambina diventa donna. La Cariddi da evitare sarebbe invece la visione secondo cui ciascuno di noi ri-significa – è questo il termine inviso a Laplanche – eventi ricordati del passato. Scilla interpreta il tutto nei termini di una classica causalità lineare: una causa infantile produce effetti nell’età adulta. Cariddi invece rovescia la freccia del tempo, non in termini di causalità bensì di significazione: un evento del passato cambia di significato sullo sfondo degli interessi e dei desideri dell’uomo e della donna attuali. Tra una visione “causa-effetto” e una visione “ri-sgnificare il passato”, tra il primato della causa e quello del senso, Laplanche propone la sua terza via, che vedremo presto.
Si prenda uno dei primi esempi che Freud porta di Nachträglichkeit, nel 1895, le “due scene” di Emma. Riporto qui il brano di Freud che la riguarda[7].
Attualmente Emma soggiace alla coazione di non poter entrare in un negozio da sola. A fondamento di questo, essa pone un ricordo che risale all’età di dodici anni (poco dopo la pubertà). Entrata in un negozio per comprare qualcosa, vide i due commessi (dei quali ne ricorda uno) che ridevano insieme e, presa da un certo affetto di spavento [corsivi di Freud], uscì precipitosamente. In connessione a ciò, è possibile portare in luce il pensiero che i due uomini ridevano del suo vestito e che uno di loro l’attraeva sessualmente.
Sia il legame che unisce questo frammento che le conseguenze dell’esperienza sono incomprensibili. Se ha provato dispiacere perché si rideva del suo vestito, questa sensazione avrebbe dovuto correggersi molto tempo fa: sin da quando cominciò a vestirsi come una signora. Né modifica in alcun modo i suoi abiti l’andare in un negozio da sola o in compagnia. Che non si tratti semplicemente del bisogno di protezione è mostrato dal fatto che, come avviene nei casi di agorafobia, la compagnia di un bambino è sufficiente a darle sicurezza. Del tutto separato è il fatto che uno degli uomini la attraeva, ma anche qui l’essere accompagnata non muterebbe nulla. Quindi i ricordi suscitati non spiegano né la coazione né la determinazione del sintomo.
Un’ulteriore ricerca mette in luce un secondo ricordo che essa nega di aver avuto in mente al momento della scena I. Né lo si può provare in alcun modo. Quando era una bambina di otto anni, entrò due volte da sola in un negozio per comprare alcuni dolci e quel brav’uomo del negoziante toccò i suoi genitali attraverso i vestiti. Nonostante la prima esperienza essa vi era ritornata una seconda volta, poi aveva cessato di andarvi. Ora si rimprovera per essere ritornata la seconda volta dal negoziante, come se avesse voluto in tal modo provocare l’assalto. Difatti uno stato di “pesante cattiva coscienza” dev’essere ricondotto a questa esperienza.
E’ stato fatto notare come Freud chiami scena I non la scena più antica, ma quella più recente; mentre la scena II è quella più antica. Questa scelta corrisponde alla figura retorica dell’hysteron próteron ("il precedente è successivo"), ovvero abbiamo qui un'inversione dell'ordine temporale degli avvenimenti, per cui viene posto prima ciò che logicamente andrebbe posto dopo. Esempio famoso dall’Eneide, « Moriamur et in media arma ruamus », “moriamo e ci buttiamo nel mezzo delle armi”[8]. Questa inversione è un sintomo di qualcosa che Freud non dice, ma mostra. In effetti, che cosa mostra invertendo i numeri delle due scene? La risposta a questa domanda sarà cruciale.
Intanto, così Laplanche riassume i paragrafi di Freud su Emma:
Dunque, la scena II anteriore è una scena di attentato sessuale. Lascio a voi la lettura di che cosa si tratta, di un gesto più o meno osceno e sessuale nei confronti di quella bambina; e, al contrario, la seconda scena che si svolge anch’essa in un negozio è una scena detta “innocente”, ma in connessione associativa con la precedente (49)
Insomma, la scena II sarebbe una scena chiaramente sessuale, mentre la I non avrebbe alcuna connotazione sessuale. Ma un’osservazione più accurata smentisce questa ricostruzione. Anche nella scena I emerge del sessuale, se non altro perché Emma è attratta da uno dei due commessi; l’entrare in quel negozio aveva quindi per lei una implicazione erotica. Possiamo supporre che lei abbia interpretato le risate dei commessi come un modo di deridere il suo essere vestita ancora da bambina (dodici anni) piuttosto che da donna. Insomma, la scena I appare legata a problematiche specifiche della pubertà, quindi sessuali, anche se Freud non ce ne dice di più. Non è affatto una scena “innocente”. Potremmo dire piuttosto che la scena dell’infanzia mette in gioco la sessualità dell’altro (adulto), mentre la scena della pubertà mette in gioco la sessualità del soggetto. Ma nemmeno questo si può dire, dato che la bambina a otto anni ritorna in quel negozio, segno che, dopo tutto, aveva nel fondo gradito i toccamenti dell’uomo (molto spesso la pedofilia passa all’atto grazie alla complicità dei bambini stessi). Freud ha ipotizzato una fase di latenza sessuale nel bambino, dai sei anni alla pubertà, ma sappiamo che molti bambini non sono mai “latenti”, e che essi reagiscono quasi da adulti a sollecitazioni e provocazioni sessuali. Ferenczi ha parlato di “confusione delle lingue” tra bambini e adulti[9], ma ho forti dubbi che i bambini siano poi così digiuni della lingua adulta! La parlano certo a modo loro, ma la parlano. Possiamo quindi dire che in entrambe le occasioni Emma risponde sessualmente, anche se in modo diverso.
In che senso allora la scena I è un après coup della II? Dovremmo ipotizzare che la scena II sia a sua volta un après coup di una scena ancora più primitiva, che Emma non ha nella memoria? Comunque, la svolta geniale di Freud qui è nel modo in cui ricostruisce il significante “negozio” nel caso di questa fobia: lo mette in relazione con due esperienze che hanno a che fare con la sessualità. Ovvero, il vero exploit di Freud è nel modo in cui egli scova del sessuale in un sintomo fobico che non si presenta come specialmente connesso alla sessualità. Perché in effetti è questo l’après-coup: è lo svelarsi a cose fatte, potremmo dire, del senso sessuale di scene o sintomi.
Ora, secondo Laplanche è grazie alla seconda scena, non sessuale (ma abbiamo visto che non è così), che la prima assume un valore traumatico. Come dice Freud, “un ricordo diventa traumatico solo nachträglich”, in un secondo tempo. Ora, secondo Laplanche la Scilla da evitare è vedere il nachträglich come “una bomba che scoppia in ritardo”: ovvero, la prima scena, infantile, avrebbe prodotto un effetto traumatico ma solo anni dopo, quando la bambina diventa donna. La Cariddi da evitare sarebbe invece la visione secondo cui ciascuno di noi ri-significa – è questo il termine inviso a Laplanche – eventi ricordati del passato. Scilla interpreta il tutto nei termini di una classica causalità lineare: una causa infantile produce effetti nell’età adulta. Cariddi invece rovescia la freccia del tempo, non in termini di causalità bensì di significazione: un evento del passato cambia di significato sullo sfondo degli interessi e dei desideri dell’uomo e della donna attuali. Tra una visione “causa-effetto” e una visione “ri-sgnificare il passato”, tra il primato della causa e quello del senso, Laplanche propone la sua terza via, che vedremo presto.
- Costruzione o ricostruzione
Laplanche accenna soltanto a una questione che mi sembra del tutto analoga, ai nostri occhi che sono già nell’après-coup di Freud. Nel saggio del 1937 Konstruktionen in der Analyse[10], Freud sembra far slittare la concezione psicoanalitica da un primato precedente della Deutung, interpretazione, a un primato della Konstruktion, costruzione. L’analisi sarebbe più una sorta di ricostruzione storica che interpretazioni di sogni, sintomi, lapsus, ecc. Mi è venuto spontaneo scrivere qui “ricostruzione” e non “costruzione”, perché la differenza tra i due termini può risultare essenziale. In tedesco Konstruktion è un termine ambiguo, perché può essere usato sia nel senso di “costruzione” che di “ricostruzione”, ma il tedesco ha anche il termine Rekonstruktion. La differenza in italiano è più netta: un evento storico “si ricostruisce”; un romanzo o film invece “si costruisce”. Ricostruzione è ricerca storiografica, costruzione è un lavoro puramente creativo. E’ vero che nell’articolo Freud sembra dare a Konstruktion il senso di una Rekonstruktion storica, ma allora, perché non ha scelto questo termine? La psicoanalisi ci insegna a dare peso alla scelta di un significante piuttosto che di un altro come spia di una problematica non esplicita. E’ come se, scegliendo “costruzione”, Freud assumesse obliquamente che le ricostruzioni analitiche (storiche) possano essere solo delle costruzioni (mitiche). Emerge qui il punto più controverso della psicoanalisi: il fatto che la sua ricostruzione della soggettività rimandi sempre a dei miti (Edipo, scena primaria, ecc.). Ora, la problematica di Freud a proposito dell’après-coup, così come Laplanche la ri-costruisce, mi sembra del tutto simile. L’interpretazione causalista corrisponde all’idea di ricostruzione storica, l’interpretazione ermeneutica corrisponde all’idea di costruzione ex novo.
Vediamo la terza via di Laplanche. Lui suppone una prima scena, un evento originario, che chiama “di seduzione”, non nel senso che l’adulto sedurrebbe letteralmente il bambino, ma nel senso che l’adulto esprimerebbe nei confronti del bambino qualcosa per questi di enigmatico, che lui deve “ricostruire”, o, come dice Laplanche, “tradurre”. Questo enigmatico sarà riconosciuto après coup dall’adulto come “sessuale”. Il bambino dovrà insomma tradurre nel proprio linguaggio qualcosa di “sessuale” nell’adulto. Dice Laplanche:
Secondo me, l’analisi si produce solo nel rapporto all’altro, perché il piccolo essere umano è sorto come sessuale – e come nevrotico – in un rapporto primordiale all’altro [corsivi di Laplanche]. Evento più ricapitolazione, questo evoca per me un tempo a forma di “spirale”, poiché un “tempo spirale” è anche un tempo dell’après-coup. Un “tempo spirale” è fatto di ricapitolazione e di evento, poiché a ogni giro è preso in conto il giro precedente. (p. 89)
Giustamente si è messa in relazione questa teoria – del primato dell’altro – con il cosiddetto filone “relazionista” oggi in auge tra molti psicoanalisti. Ovvero l’après-coup rimanderebbe comunque a una sorta di messaggio originario che mette a confronto l’altro (l’adulto) con il soggetto (il bambino), messaggio enigmatico che il soggetto dovrà elaborare in tempi successivi, sincopati.
Vediamo come Laplanche giunge a questa teoria conclusiva attraverso il testo di Freud.
Vediamo la terza via di Laplanche. Lui suppone una prima scena, un evento originario, che chiama “di seduzione”, non nel senso che l’adulto sedurrebbe letteralmente il bambino, ma nel senso che l’adulto esprimerebbe nei confronti del bambino qualcosa per questi di enigmatico, che lui deve “ricostruire”, o, come dice Laplanche, “tradurre”. Questo enigmatico sarà riconosciuto après coup dall’adulto come “sessuale”. Il bambino dovrà insomma tradurre nel proprio linguaggio qualcosa di “sessuale” nell’adulto. Dice Laplanche:
Secondo me, l’analisi si produce solo nel rapporto all’altro, perché il piccolo essere umano è sorto come sessuale – e come nevrotico – in un rapporto primordiale all’altro [corsivi di Laplanche]. Evento più ricapitolazione, questo evoca per me un tempo a forma di “spirale”, poiché un “tempo spirale” è anche un tempo dell’après-coup. Un “tempo spirale” è fatto di ricapitolazione e di evento, poiché a ogni giro è preso in conto il giro precedente. (p. 89)
Giustamente si è messa in relazione questa teoria – del primato dell’altro – con il cosiddetto filone “relazionista” oggi in auge tra molti psicoanalisti. Ovvero l’après-coup rimanderebbe comunque a una sorta di messaggio originario che mette a confronto l’altro (l’adulto) con il soggetto (il bambino), messaggio enigmatico che il soggetto dovrà elaborare in tempi successivi, sincopati.
Vediamo come Laplanche giunge a questa teoria conclusiva attraverso il testo di Freud.
- L’enigma dell’Uomo dei Lupi
Laplanche si sofferma su un aneddoto di Freud in L’interpretazione dei sogni[11]. Parla di un giovane uomo donnaiolo, a cui era stata decantata la bellezza della balia che lo aveva allattato; e lui “mi dispiace di non aver allora approfittato meglio della buona occasione”. E’ l’aneddoto che Freud cita per illustrare la Nachträglichkeit. Laplanche vede il racconto come ambiguo, e scrive:
[Freud] avrebbe potuto enunciare due proposizioni simmetriche: “Vedete come questo tempo precoce, il piacere sessuale dovuto all’allattamento, determina la sessualità del personaggio adulto.” Oppure: “Vedete come questo giovane adulto si risitui retroattivamente in una situazione infantile, in quanto tale assolutamente innocente, e nella quale re-inietta la sessualità”. Di fatto, l’idea della “Nachträglichkeit” lascia perfettamente aperte le due direzioni. (117)[12]
Il punto essenziale è: le due direzioni sembrano restare sempre aperte in psicoanalisi. Ma Laplanche ha urgenza di chiuderle. E la sua terza via le chiuderebbe. Questa soluzione passa attraverso un rimprovero a Freud: di non prendere in conto la nutrice, “anche se lei è presente fisicamente, è assente come interlocutore, come chi emette un messaggio in direzione del bambino” (117-8). Una nota francamente buffa, perché che cosa Freud poteva saperne di questa balia? Laplanche sembra dimenticare che si tratta solo di una battuta, e prende la cosa come fosse una ricostruzione clinica “seria”.
In effetti, la prima ipotesi (il piacere orale del bambino è causa della sessualità adulta successiva) e la seconda (l’adulto ri-significa sessualmente l’esperienza orale infantile) corrispondono all’alternativa tra ricostruzione e costruzione. La prima, la ricostruzione, vede le cose nella prospettiva delle cause, dove la causa precede sempre l’effetto (se la causa è simultanea all’effetto, è comunque in una precedenza logica). La seconda, la costruzione, vede le cose nella prospettiva dei segni, dove la significazione produce senso retroattivo. Pontalis[13] portò come esempio di après-coup la presa della Bastiglia nel 1789: chi allora vi partecipò non poteva capire il significato storico di quello scontro, anzi, il valore mitico che esso avrebbe assunto poi. Il senso di quell’evento emerge successivamente. L’après-coup sarebbe allora quindi una costruzione di senso dato al passato, sulla base degli effetti successivi.
Laplanche si sofferma a lungo sul caso dell’Uomo dei Lupi di Freud, là dove questi fa più largamente uso del nachträglich. Freud ipotizza che il paziente all’età di un anno e mezzo avrebbe assistito a una scena di coito a tergo da parte dei genitori. Freud cerca di datare esattamente quella scena, che sarebbe accaduta il giorno di Natale, e persino l’ora in cui il bambino la avrebbe vista (le 5 del pomeriggio). Di più: il coito si sarebbe ripetuto per tre volte! Secondo Freud, questa Urszene, scena originaria, sortirebbe un effetto traumatico solo après coup, quando il bambino ha ormai quattro anni, quando cioè egli farà il famoso sogno dei lupi appollaiati su un albero. Questo sogno farebbe entrare il paziente in una nevrosi infantile, che poi da adulto darà i suoi frutti come nevrosi che lo porterà da Freud. Abbiamo cioè qui un après coup dell’après coup, in quanto la nevrosi adulta riattualizza, per dir così, una nevrosi infantile che a sua volta era la traumatizzazione di un’esperienza precedente.
Anche qui, la questione che appare a Laplanche cruciale è se dobbiamo considerare quella scena del coito a tergo come una realtà storica, oppure come una fantasia. Jung in questo caso parlava di una “retrofantasia”, ovvero per lui la scena primaria sarebbe in realtà una fantasia dell’adulto (e direi: più dell’analista che dell’analizzante) proiettata all’indietro come scena o fantasia dell’infanzia. Freud tiene a confutare questa tesi junghiana, e Laplanche lo segue su questa linea. Anche se il lettore framcese compie una scelta terminologica sintomatica: “Questa scena di osservazione del coito genitoriale – scrive (131) – è interamente costruita [construite] nell’analisi”. Avrebbe potuto dire reconstruite, ha preferito il termine “creativo”. Comunque, questo non significa che Laplanche aderisca completamente all’idea che l’evento in sé – la vista del coito adulto – sia la causa prima delle sequele nevrotiche. Per Laplanche quel che conta non è l’aver visto l’atto sessuale, ma il fatto che il bambino si confronti con “messaggi” – in questo caso messaggi-atti – per lui difficili da interpretare; e anche il fatto – che Laplanche insinua – che non a caso gli adulti si siano lasciati sorprendere dal bambino, che insomma gli adulti forse volevano farsi vedere mentre facevano sesso… La loro volontà di sedurre o turbare il bambino poteva essere inconscia. In ogni caso, per Laplanche, è nella relazione tra almeno due soggetti (un adulto e un bambino) che la vicissitudine dell’inconscio prende avvio. Ovvero, detto brutalmente: abbiamo un inconscio grazie a una per lo più inconsapevole pedofilia adulta.
In sostanza, Laplanche rifiuta la visione che qualifica di solipsista di Freud, “l’après-coup è un fenomeno che non si svolge nell’intrapersonale bensì nell’interpersonale” (171). Originariamente c’è un adulto, con il suo inconscio e la sua sessualità, e un bambino che riceve messaggi da questo adulto. E “i messaggi adulti sono ‘enigmatici’ perché vi si insinuano, all’insaputa dell’emettitore stesso, dei ‘rampolli’ del proprio inconscio” (168). La nostra vita sarebbe tutta inscritta nell’après-coup nella misura in cui cerchiamo di capire – di “tradurre” dice Laplanche – questi messaggi originari. Ma evidentemente ogni re-interpretazione di essi lascia sempre qualcosa fuori, risulta incompleta, da qui la necessità, nel corso della vita (e dell’analisi), di ri-tradurre questo “coup d’avant” secondo i codici di volta in volta attuali. In sostanza, Laplanche accetta l’impostazione ermeneutica di fondo (che pure critica), secondo la quale il lavoro analitico di Freud, ad esempio sulle fantasie e le esperienze originarie dell’Uomo dei lupi, ripete in qualche modo il lavoro che ciascuno di noi è tenuto a fare nella propria vita. Gli scacchi interpretativi di Freud sono espressione degli scacchi interpretativi che costituiscono la storia, direi, del nostro inconscio. L’analisi quindi è interpretazione di interpretazioni – anche se Laplanche le chiama ‘traduzioni’ – e quelle originarie sono tentativi di capire che cosa l’altro (l’adulto) mi vuole.
Lascio qui da parte la questione di fino a che punto la tesi di Laplanche di “primato dell’altro” riecheggi quella di Lacan, secondo cui l’inconscio è il discorso dell’Altro. Il fatto che Laplanche rigetti la differenza lacaniana tra altro e Altro non deve farci perdere di vista il fatto che, in entrambi gli autori, si tratta comunque di una dipendenza primaria, inaugurale, a una alterità. E’ questa la linea che chiamerei francese: l’inconscio è una relazione con un altro o con l’Altro.
Laplanche nota giustamente che la questione o meno della realtà della scena originaria è un replay del dilemma che Freud si era posto anni prima, nel corso della sua corrispondenza con Fliess, quando la questione era se le fantasie delle isteriche si riferissero a scene di vera seduzione da parte di adulti quando le pazienti erano bambine, o se queste scene fossero delle costruzioni fantastiche. In entrambi i casi, il problema è: l’après-coup adulto è costruzione o ritorno? Riabilitando la teoria della seduzione, Laplanche sembra dire: in un certo senso seduzione c’è stata, ma nel senso che l’agire e il dire adulto al bambino appare enigmatico. E’ l’enigma a sedurre. C’è un’originaria incertezza sul senso sessuale dell’agire e del dire adulti.
Sembrerebbe che per Laplanche la seduzione sia di rado voluta dall’adulto, ma è come se questi l’avesse compiuta di fatto. Per Laplanche, il vero trauma è sempre, in qualche modo, una seduzione.
Questa terza via di Laplanche non mi convince. E cercherò di dire perché.
[Freud] avrebbe potuto enunciare due proposizioni simmetriche: “Vedete come questo tempo precoce, il piacere sessuale dovuto all’allattamento, determina la sessualità del personaggio adulto.” Oppure: “Vedete come questo giovane adulto si risitui retroattivamente in una situazione infantile, in quanto tale assolutamente innocente, e nella quale re-inietta la sessualità”. Di fatto, l’idea della “Nachträglichkeit” lascia perfettamente aperte le due direzioni. (117)[12]
Il punto essenziale è: le due direzioni sembrano restare sempre aperte in psicoanalisi. Ma Laplanche ha urgenza di chiuderle. E la sua terza via le chiuderebbe. Questa soluzione passa attraverso un rimprovero a Freud: di non prendere in conto la nutrice, “anche se lei è presente fisicamente, è assente come interlocutore, come chi emette un messaggio in direzione del bambino” (117-8). Una nota francamente buffa, perché che cosa Freud poteva saperne di questa balia? Laplanche sembra dimenticare che si tratta solo di una battuta, e prende la cosa come fosse una ricostruzione clinica “seria”.
In effetti, la prima ipotesi (il piacere orale del bambino è causa della sessualità adulta successiva) e la seconda (l’adulto ri-significa sessualmente l’esperienza orale infantile) corrispondono all’alternativa tra ricostruzione e costruzione. La prima, la ricostruzione, vede le cose nella prospettiva delle cause, dove la causa precede sempre l’effetto (se la causa è simultanea all’effetto, è comunque in una precedenza logica). La seconda, la costruzione, vede le cose nella prospettiva dei segni, dove la significazione produce senso retroattivo. Pontalis[13] portò come esempio di après-coup la presa della Bastiglia nel 1789: chi allora vi partecipò non poteva capire il significato storico di quello scontro, anzi, il valore mitico che esso avrebbe assunto poi. Il senso di quell’evento emerge successivamente. L’après-coup sarebbe allora quindi una costruzione di senso dato al passato, sulla base degli effetti successivi.
Laplanche si sofferma a lungo sul caso dell’Uomo dei Lupi di Freud, là dove questi fa più largamente uso del nachträglich. Freud ipotizza che il paziente all’età di un anno e mezzo avrebbe assistito a una scena di coito a tergo da parte dei genitori. Freud cerca di datare esattamente quella scena, che sarebbe accaduta il giorno di Natale, e persino l’ora in cui il bambino la avrebbe vista (le 5 del pomeriggio). Di più: il coito si sarebbe ripetuto per tre volte! Secondo Freud, questa Urszene, scena originaria, sortirebbe un effetto traumatico solo après coup, quando il bambino ha ormai quattro anni, quando cioè egli farà il famoso sogno dei lupi appollaiati su un albero. Questo sogno farebbe entrare il paziente in una nevrosi infantile, che poi da adulto darà i suoi frutti come nevrosi che lo porterà da Freud. Abbiamo cioè qui un après coup dell’après coup, in quanto la nevrosi adulta riattualizza, per dir così, una nevrosi infantile che a sua volta era la traumatizzazione di un’esperienza precedente.
Anche qui, la questione che appare a Laplanche cruciale è se dobbiamo considerare quella scena del coito a tergo come una realtà storica, oppure come una fantasia. Jung in questo caso parlava di una “retrofantasia”, ovvero per lui la scena primaria sarebbe in realtà una fantasia dell’adulto (e direi: più dell’analista che dell’analizzante) proiettata all’indietro come scena o fantasia dell’infanzia. Freud tiene a confutare questa tesi junghiana, e Laplanche lo segue su questa linea. Anche se il lettore framcese compie una scelta terminologica sintomatica: “Questa scena di osservazione del coito genitoriale – scrive (131) – è interamente costruita [construite] nell’analisi”. Avrebbe potuto dire reconstruite, ha preferito il termine “creativo”. Comunque, questo non significa che Laplanche aderisca completamente all’idea che l’evento in sé – la vista del coito adulto – sia la causa prima delle sequele nevrotiche. Per Laplanche quel che conta non è l’aver visto l’atto sessuale, ma il fatto che il bambino si confronti con “messaggi” – in questo caso messaggi-atti – per lui difficili da interpretare; e anche il fatto – che Laplanche insinua – che non a caso gli adulti si siano lasciati sorprendere dal bambino, che insomma gli adulti forse volevano farsi vedere mentre facevano sesso… La loro volontà di sedurre o turbare il bambino poteva essere inconscia. In ogni caso, per Laplanche, è nella relazione tra almeno due soggetti (un adulto e un bambino) che la vicissitudine dell’inconscio prende avvio. Ovvero, detto brutalmente: abbiamo un inconscio grazie a una per lo più inconsapevole pedofilia adulta.
In sostanza, Laplanche rifiuta la visione che qualifica di solipsista di Freud, “l’après-coup è un fenomeno che non si svolge nell’intrapersonale bensì nell’interpersonale” (171). Originariamente c’è un adulto, con il suo inconscio e la sua sessualità, e un bambino che riceve messaggi da questo adulto. E “i messaggi adulti sono ‘enigmatici’ perché vi si insinuano, all’insaputa dell’emettitore stesso, dei ‘rampolli’ del proprio inconscio” (168). La nostra vita sarebbe tutta inscritta nell’après-coup nella misura in cui cerchiamo di capire – di “tradurre” dice Laplanche – questi messaggi originari. Ma evidentemente ogni re-interpretazione di essi lascia sempre qualcosa fuori, risulta incompleta, da qui la necessità, nel corso della vita (e dell’analisi), di ri-tradurre questo “coup d’avant” secondo i codici di volta in volta attuali. In sostanza, Laplanche accetta l’impostazione ermeneutica di fondo (che pure critica), secondo la quale il lavoro analitico di Freud, ad esempio sulle fantasie e le esperienze originarie dell’Uomo dei lupi, ripete in qualche modo il lavoro che ciascuno di noi è tenuto a fare nella propria vita. Gli scacchi interpretativi di Freud sono espressione degli scacchi interpretativi che costituiscono la storia, direi, del nostro inconscio. L’analisi quindi è interpretazione di interpretazioni – anche se Laplanche le chiama ‘traduzioni’ – e quelle originarie sono tentativi di capire che cosa l’altro (l’adulto) mi vuole.
Lascio qui da parte la questione di fino a che punto la tesi di Laplanche di “primato dell’altro” riecheggi quella di Lacan, secondo cui l’inconscio è il discorso dell’Altro. Il fatto che Laplanche rigetti la differenza lacaniana tra altro e Altro non deve farci perdere di vista il fatto che, in entrambi gli autori, si tratta comunque di una dipendenza primaria, inaugurale, a una alterità. E’ questa la linea che chiamerei francese: l’inconscio è una relazione con un altro o con l’Altro.
Laplanche nota giustamente che la questione o meno della realtà della scena originaria è un replay del dilemma che Freud si era posto anni prima, nel corso della sua corrispondenza con Fliess, quando la questione era se le fantasie delle isteriche si riferissero a scene di vera seduzione da parte di adulti quando le pazienti erano bambine, o se queste scene fossero delle costruzioni fantastiche. In entrambi i casi, il problema è: l’après-coup adulto è costruzione o ritorno? Riabilitando la teoria della seduzione, Laplanche sembra dire: in un certo senso seduzione c’è stata, ma nel senso che l’agire e il dire adulto al bambino appare enigmatico. E’ l’enigma a sedurre. C’è un’originaria incertezza sul senso sessuale dell’agire e del dire adulti.
Sembrerebbe che per Laplanche la seduzione sia di rado voluta dall’adulto, ma è come se questi l’avesse compiuta di fatto. Per Laplanche, il vero trauma è sempre, in qualche modo, una seduzione.
Questa terza via di Laplanche non mi convince. E cercherò di dire perché.
- L’assioma freudiano
Pur essendo scritto in modo affascinante, il caso dell’Uomo dei Lupi è in assoluto il meno convincente di tutti i casi clinici di Freud perché, a differenza di altri casi, Freud qui cerca di utilizzare sogni e fantasie pretendendo di accedere a una realtà storica determinata e databile. Non ci vuole un grande spirito logico-analitico per rendersi conto che la supposta ricostruzione della scena originaria non si basa praticamente su nulla. Essa è puramente costruita, come si lascia sfuggire Laplanche. (In tutta franchezza, mi chiedo come lettori illustri possano dare il minimo credito a una elucubrazione che evidentemente fa acqua da tutte le parti. Evidentemente il culto di Freud acceca anche le menti migliori.) Possiamo dire oggi che essa sia tutto un delirio di Freud in cui ha coinvolto il suo paziente, il quale peraltro non ne ha mai accettato la realtà (ripeteva che nella sua casa patrizia i bambini non dormivano mai nella stanza dei genitori)[14]. Non ho spazio qui per dire perché sono convinto di quello che dico, che comunque ho sviluppato altrove[15]. In effetti, il testo sull’Uomo dei Lupi è pieno di finissime osservazioni, di intuizioni preziose, ma trovo fallimentare quel che secondo Freud doveva essere il nocciolo del suo scritto: dimostrare – contro Jung – che alla base di certe nevrosi ci sono scene o eventi reali, diciamo traumatici, di natura specialmente sessuale (anche se l’effetto traumatico è après coup). Il primum movens, in questo caso, è l’aver osservato questo coito. Freud concede poi che avrebbe potuto essere anche un coito non dei genitori, o addirittura di animali, ma sempre coito doveva essere. Freud annacqua après coup la scena originaria, ma resta il nocciolo: un coito osservato. L’atto sessuale è una sorta di assioma che egli deve assolutamente ribadire.
Ora, quel che delude della ricostruzione di Laplanche è il fatto che egli non metta mai in discussione la ricostruzione (che per me è pura costruzione) della scena. Anni prima Laplanche aveva detto, con Pontalis, “la dimostrazione di Freud [nel caso dell’Uomo dei lupi] è facilitata dalla realtà molto probabile della scena primitiva in quel caso” (corsivo di Laplanche-Pontalis)[16], mentre io avrei detto: proprio perché Freud trova difficile dimostrare quello che vuol dimostrare, egli fabbrica – direi ancor meglio che costruisce – una scena di coito che gli permetta di distinguersi da Jung. La realtà della scena, insomma, è al contrario molto improbabile. C’è in effetti un’ambiguità nel testo di Laplanche. Perché da una parte Laplanche sembra sollevare trasversalmente dei dubbi sulla tenuta generale della ricostruzione freudiana, d’altra parte insiste sul fatto che bisogna prendere sul serio Freud. Ovvero, prendere sul serio la scena originaria.
Laplanche descrive Freud come qualcuno che “corre in una gabbia”: la gabbia consiste nell’alternativa tra “la scena traumatica originaria è un evento reale” e “la scena traumatica originaria è una fantasia”. Secondo Laplanche si può uscire dalla cella solo ammettendo la sua terza possibilità. Ma anche la sua soluzione tiene ferma la validità della ricostruzione della scena, mentre è proprio questa che andrebbe messa finalmente in questione come dogma esplicativo. Così Laplanche respinge l’ipotesi junghiana della “retrofantasia”. Ora, credo che questo sia il punto di partenza necessario proprio per “prendere sul serio Freud”: gettar via la zavorra della scena originaria, proprio per far rilucere il puro oro del suo intuito clinico. Ovvero, non è escluso che ci siano scene infantili cruciali: ma il non riuscire a ri-costruirle mai veramente è un dato pressoché costante del lavoro analitico.
In un certo senso, la “terza via” di Laplanche non è veramente un superamento dell’opposizione tra interpretazione positivista e interpretazione ermeneutica dell’après-coup, ma una ingegnosa combinazione delle due. Perché Laplanche non nega che da qualche parte evento reale ci sia stato – anche se evento di relazione, messaggio più che visione o contatto fisico -, il che appare però un partito preso; ma allo stesso tempo dice che questo evento reale è essenzialmente un processo ermeneutico, uno sforzo di traduzione, che appartiene all’ordine dell’interpretazione da parte del soggetto bambino. La plasticità della scena originaria viene sfumata – è più importante quel che volevano far vedere gli adulti della loro sessualità a un bambino che la vista dell’atto sessuale stesso – ma resta scena originaria. Scena intersoggettiva, ambigua, da interpretare, ma sempre scena fondante.
Ora, quel che delude della ricostruzione di Laplanche è il fatto che egli non metta mai in discussione la ricostruzione (che per me è pura costruzione) della scena. Anni prima Laplanche aveva detto, con Pontalis, “la dimostrazione di Freud [nel caso dell’Uomo dei lupi] è facilitata dalla realtà molto probabile della scena primitiva in quel caso” (corsivo di Laplanche-Pontalis)[16], mentre io avrei detto: proprio perché Freud trova difficile dimostrare quello che vuol dimostrare, egli fabbrica – direi ancor meglio che costruisce – una scena di coito che gli permetta di distinguersi da Jung. La realtà della scena, insomma, è al contrario molto improbabile. C’è in effetti un’ambiguità nel testo di Laplanche. Perché da una parte Laplanche sembra sollevare trasversalmente dei dubbi sulla tenuta generale della ricostruzione freudiana, d’altra parte insiste sul fatto che bisogna prendere sul serio Freud. Ovvero, prendere sul serio la scena originaria.
Laplanche descrive Freud come qualcuno che “corre in una gabbia”: la gabbia consiste nell’alternativa tra “la scena traumatica originaria è un evento reale” e “la scena traumatica originaria è una fantasia”. Secondo Laplanche si può uscire dalla cella solo ammettendo la sua terza possibilità. Ma anche la sua soluzione tiene ferma la validità della ricostruzione della scena, mentre è proprio questa che andrebbe messa finalmente in questione come dogma esplicativo. Così Laplanche respinge l’ipotesi junghiana della “retrofantasia”. Ora, credo che questo sia il punto di partenza necessario proprio per “prendere sul serio Freud”: gettar via la zavorra della scena originaria, proprio per far rilucere il puro oro del suo intuito clinico. Ovvero, non è escluso che ci siano scene infantili cruciali: ma il non riuscire a ri-costruirle mai veramente è un dato pressoché costante del lavoro analitico.
In un certo senso, la “terza via” di Laplanche non è veramente un superamento dell’opposizione tra interpretazione positivista e interpretazione ermeneutica dell’après-coup, ma una ingegnosa combinazione delle due. Perché Laplanche non nega che da qualche parte evento reale ci sia stato – anche se evento di relazione, messaggio più che visione o contatto fisico -, il che appare però un partito preso; ma allo stesso tempo dice che questo evento reale è essenzialmente un processo ermeneutico, uno sforzo di traduzione, che appartiene all’ordine dell’interpretazione da parte del soggetto bambino. La plasticità della scena originaria viene sfumata – è più importante quel che volevano far vedere gli adulti della loro sessualità a un bambino che la vista dell’atto sessuale stesso – ma resta scena originaria. Scena intersoggettiva, ambigua, da interpretare, ma sempre scena fondante.
- La causa e il senso
La soluzione interpersonalista, o relazionista, di Laplanche non mi convince non solo perché Laplanche di fatto non porta alcun elemento clinico che potrebbe rendere più persuasiva la sua ipotesi. Egli si limita a un’esegesi del testo freudiano, il quale però manca proprio di quei dettagli interpersonalisti che secondo lui andrebbero visti come fondamentali. Afferma che, essendo la scena originaria dell’Uomo dei lupi un evento reale, dovremmo prendere in considerazione il “messaggio” mandato dagli adulti al bambino. Ma ovviamente possiamo solo congetturare questa “intenzione significante” degli adulti. Eppure per Laplanche questa primarietà, o antecedenza, del messaggio adulto è essenziale – è la sua costruzione.
E’ essenziale perché Laplanche nel fondo capisce la forza esplosiva che il concetto di après-coup comporta nel momento stesso in cui Lacan lo ha isolato come concetto specifico. Ovvero, aver segnalato l’après-coup freudiano ha dato après coup a questa nozione un senso inquietante, ne ha rivelato insomma i risvolti imbarazzanti. Ciò che è inquietante e imbarazzante è il fatto che l’après-coup dia corpo a un “coup” che non esisterebbe senza questo après-coup. Il gioco comincia a diventare pericoloso.
Il punto fondamentale è la cosiddetta freccia del tempo. Per la fisica di oggi il tempo è un’illusione, ma nella nostra vita concreta non lo è affatto: sappiamo che non possiamo tornare indietro nel tempo. Ora, si può uscire dall’alternativa tra causalità deterministica e ri-significazione ermeneutica descrivendo l’après-coup come magia o miracolo. E’ una strada che alcuni sono disposti a imboccare. Ovvero, il “prima” è causato dal “poi”; il dopo è causa del prima. Ora, possiamo cambiare il passato a partire dal presente – non nel senso blando di ri-significare il passato a partire dal presente, ma nel senso che miracolosamente si può correggere e cambiare il passato. Come si vede nel famoso film What’s a wonderful life di Frank Capra, ad esempio, o in certi film della serie Back to the Future di Robert Zemeckis. Un processo di correzione del passato che avviene grazie a un intervento, nel caso del film di Capra, divino. Ma allora siamo completamente nell’anti-scienza, o nella fanta-scienza, una strada che Laplanche non prenderebbe mai.
C’è comunque un altro modo di concepire l’inversione della freccia del tempo: vedere il nachträglich come un processo grazie a cui il senso di un evento successivo dà a un evento precedente una forza causale. Ma anche l’inverso è possibile: nelle due scene di Emma, la scena I (la successiva) agisce come causa di una fobia grazie al senso della scena II (la precedente). La forma hysteron proteron adottata da Freud esprimerebbe questo: c’è un primato causale della scena successiva, nel senso che il suo senso fa di una scena precedente l’eziologia di sintomi successivi. Ora, questa retroazione del presente sul passato è possibile solo in un mondo psichico, ovvero in un mondo umanizzato[17].
Immaginiamo una connessione di questo tipo. Un soggetto passa su un ponte e poi legge che quella zona è a elevato rischio sismico, che anni prima quel ponte era crollato; ma la cosa non lo turba più di tanto. Anni dopo assiste al crollo di una casa per un terremoto; dopo di che sviluppa una fobia per… i ponti. Non può attraversarli, perché teme che cadano. Si tratta di una clinica immaginaria, ma verosimile. Che cosa sarebbe accaduto in questo caso? Lasciamo stare un’interpretazione simbolica della fobia. Quel che conta è che la prima esperienza dell’attraversamento del ponte diventa causa della fobia solo attraverso il senso che il secondo evento dà al primo: crollare. Un precedente evento I diventa causa grazie a un senso dato après coup da un evento II.
Si tratta qui certamente di un’inversione della freccia del tempo, ma non di tipo magico o miracoloso perché l’evento precedente non è modificato nella sua realtà: ne è modificata la sua forza. Esso avrà la forza di produrre una fobia nella misura in cui riceverà un senso diverso dall’evento successivo. Ora, che un senso possa essere causa di atti e fatti, è dato banale di ogni storia anche collettiva. Sappiamo che discorsi possono mutare il corso della storia. Così, ad esempio, i discorsi cristiano, islamico, liberale, marxista… hanno prodotto effetti storici ben reali. I concetti producono entusiasmi, lacrime e sangue. Il senso, nel mondo umano, causa eventi, e non c’è nulla di magico in questo, perché gli esseri umani agiscono sempre sulla base di discorsi, ovvero delle trame di senso che trovano nel mondo. Ma l’après-coup è un caso speciale di senso che produce causa: non è il senso di un evento a essere direttamente causale, ma esso fa in modo che un evento precedente, dal senso diverso, assuma forza causale. Non è quindi il passato in quanto tale a essere modificato, ma la sua potenza. Così l’hysteron proteron di Freud, il suo rappresentare come precedente ciò che viene dopo, mostra che è il senso a produrre causa.
Perché Laplanche non propende allora per questa interpretazione – non magica né ermeneutica – dell’après-coup? Perché fare di un evento retroattivamente una causa è comunque un modo di invertire la freccia del tempo. Ora, si può sospettare che è quel che accade nell’analisi stessa – o meglio, è il paradosso che essa sembra implicare. Di solito si pensa che l’elaborazione analitica funzioni come una medicina: una causa patogena cessa di essere causa grazie alla cura. Ma si sospetta che l’analisi si basi su un presupposto più subdolo: che essa dia forza causale a eventi precedenti, che prima dell’analisi non ne avevano. Non è quindi semplicemente un processo di senso che cancella delle cause, ma è un processo di senso che fa di un passato la causa del presente. Qualcosa di difficile da accettare per una mentalità “positiva”.
In effetti, con l’après-coup vien meno l’evento come causa prima. Laplanche intende allora sminare tutti i pericoli concettuali insiti nell’idea che il senso sia causa al passato. Da qui l’aggrapparsi all’assioma di un evento primo, anche se ambiguo e tutto da interpretare o da “tradurre”, la seduzione adulta. Il modo in cui Lacan aveva promosso il concetto di après-coup aveva qualcosa di scandaloso: che la causa non viene prima ma viene dopo, per proiezione nel passato. In questo modo non c’è più alcun primato, nel senso che non c’è alcun prima assoluto. Scommettendo sul “primato dell’altro”, facendone anzi la sua bandiera, Laplanche indica un rassicurante primum movens, indicato nell’altro rispetto al soggetto, nell’adulto rispetto al bambino. Siamo così rassicurati su che cosa venga prima, su che cosa abbia il primato, su che cosa dia origine e coerenza alla psicoanalisi stessa. Salvata così, anche se un po’ in extremis, dalla sovversione lacaniana, dall’ambiguità vertiginosa in cui Lacan l’ha sospinta.
E’ essenziale perché Laplanche nel fondo capisce la forza esplosiva che il concetto di après-coup comporta nel momento stesso in cui Lacan lo ha isolato come concetto specifico. Ovvero, aver segnalato l’après-coup freudiano ha dato après coup a questa nozione un senso inquietante, ne ha rivelato insomma i risvolti imbarazzanti. Ciò che è inquietante e imbarazzante è il fatto che l’après-coup dia corpo a un “coup” che non esisterebbe senza questo après-coup. Il gioco comincia a diventare pericoloso.
Il punto fondamentale è la cosiddetta freccia del tempo. Per la fisica di oggi il tempo è un’illusione, ma nella nostra vita concreta non lo è affatto: sappiamo che non possiamo tornare indietro nel tempo. Ora, si può uscire dall’alternativa tra causalità deterministica e ri-significazione ermeneutica descrivendo l’après-coup come magia o miracolo. E’ una strada che alcuni sono disposti a imboccare. Ovvero, il “prima” è causato dal “poi”; il dopo è causa del prima. Ora, possiamo cambiare il passato a partire dal presente – non nel senso blando di ri-significare il passato a partire dal presente, ma nel senso che miracolosamente si può correggere e cambiare il passato. Come si vede nel famoso film What’s a wonderful life di Frank Capra, ad esempio, o in certi film della serie Back to the Future di Robert Zemeckis. Un processo di correzione del passato che avviene grazie a un intervento, nel caso del film di Capra, divino. Ma allora siamo completamente nell’anti-scienza, o nella fanta-scienza, una strada che Laplanche non prenderebbe mai.
C’è comunque un altro modo di concepire l’inversione della freccia del tempo: vedere il nachträglich come un processo grazie a cui il senso di un evento successivo dà a un evento precedente una forza causale. Ma anche l’inverso è possibile: nelle due scene di Emma, la scena I (la successiva) agisce come causa di una fobia grazie al senso della scena II (la precedente). La forma hysteron proteron adottata da Freud esprimerebbe questo: c’è un primato causale della scena successiva, nel senso che il suo senso fa di una scena precedente l’eziologia di sintomi successivi. Ora, questa retroazione del presente sul passato è possibile solo in un mondo psichico, ovvero in un mondo umanizzato[17].
Immaginiamo una connessione di questo tipo. Un soggetto passa su un ponte e poi legge che quella zona è a elevato rischio sismico, che anni prima quel ponte era crollato; ma la cosa non lo turba più di tanto. Anni dopo assiste al crollo di una casa per un terremoto; dopo di che sviluppa una fobia per… i ponti. Non può attraversarli, perché teme che cadano. Si tratta di una clinica immaginaria, ma verosimile. Che cosa sarebbe accaduto in questo caso? Lasciamo stare un’interpretazione simbolica della fobia. Quel che conta è che la prima esperienza dell’attraversamento del ponte diventa causa della fobia solo attraverso il senso che il secondo evento dà al primo: crollare. Un precedente evento I diventa causa grazie a un senso dato après coup da un evento II.
Si tratta qui certamente di un’inversione della freccia del tempo, ma non di tipo magico o miracoloso perché l’evento precedente non è modificato nella sua realtà: ne è modificata la sua forza. Esso avrà la forza di produrre una fobia nella misura in cui riceverà un senso diverso dall’evento successivo. Ora, che un senso possa essere causa di atti e fatti, è dato banale di ogni storia anche collettiva. Sappiamo che discorsi possono mutare il corso della storia. Così, ad esempio, i discorsi cristiano, islamico, liberale, marxista… hanno prodotto effetti storici ben reali. I concetti producono entusiasmi, lacrime e sangue. Il senso, nel mondo umano, causa eventi, e non c’è nulla di magico in questo, perché gli esseri umani agiscono sempre sulla base di discorsi, ovvero delle trame di senso che trovano nel mondo. Ma l’après-coup è un caso speciale di senso che produce causa: non è il senso di un evento a essere direttamente causale, ma esso fa in modo che un evento precedente, dal senso diverso, assuma forza causale. Non è quindi il passato in quanto tale a essere modificato, ma la sua potenza. Così l’hysteron proteron di Freud, il suo rappresentare come precedente ciò che viene dopo, mostra che è il senso a produrre causa.
Perché Laplanche non propende allora per questa interpretazione – non magica né ermeneutica – dell’après-coup? Perché fare di un evento retroattivamente una causa è comunque un modo di invertire la freccia del tempo. Ora, si può sospettare che è quel che accade nell’analisi stessa – o meglio, è il paradosso che essa sembra implicare. Di solito si pensa che l’elaborazione analitica funzioni come una medicina: una causa patogena cessa di essere causa grazie alla cura. Ma si sospetta che l’analisi si basi su un presupposto più subdolo: che essa dia forza causale a eventi precedenti, che prima dell’analisi non ne avevano. Non è quindi semplicemente un processo di senso che cancella delle cause, ma è un processo di senso che fa di un passato la causa del presente. Qualcosa di difficile da accettare per una mentalità “positiva”.
In effetti, con l’après-coup vien meno l’evento come causa prima. Laplanche intende allora sminare tutti i pericoli concettuali insiti nell’idea che il senso sia causa al passato. Da qui l’aggrapparsi all’assioma di un evento primo, anche se ambiguo e tutto da interpretare o da “tradurre”, la seduzione adulta. Il modo in cui Lacan aveva promosso il concetto di après-coup aveva qualcosa di scandaloso: che la causa non viene prima ma viene dopo, per proiezione nel passato. In questo modo non c’è più alcun primato, nel senso che non c’è alcun prima assoluto. Scommettendo sul “primato dell’altro”, facendone anzi la sua bandiera, Laplanche indica un rassicurante primum movens, indicato nell’altro rispetto al soggetto, nell’adulto rispetto al bambino. Siamo così rassicurati su che cosa venga prima, su che cosa abbia il primato, su che cosa dia origine e coerenza alla psicoanalisi stessa. Salvata così, anche se un po’ in extremis, dalla sovversione lacaniana, dall’ambiguità vertiginosa in cui Lacan l’ha sospinta.
- Secondarietà dell’originario
Laplanche ripete spesso che la psicoanalisi è una scienza, accetta anzi il metodo popperiano della falsificazione[18]. E’ convinto che le ipotesi psicoanalitiche siano falsificabili. Eppure Popper non si è limitato a mostrare che la psicoanalisi non è scientifica perché inconfutabile, ma l’ha portata come campione paradigmatico di falsa scienza. Insomma, è davvero un tour de force dirsi freudiani e popperiani! Al contrario di Lacan, che non considerava la psicoanalisi una scienza, Laplanche tiene a ribadire la scientificità della psicoanalisi, evidentemente per salvarne la rispettabilità. Viviamo in un’epoca in cui è intellettualmente rispettabile solo ciò che è scientifico. Insomma, Laplanche si rende conto – anche se forse solo inconsciamente – che l’operazione di Lacan sull’après-coup mina la scientificità, insomma la serietà, della psicoanalisi.
Laplanche sarebbe stato più convincente se avesse detto che la psicoanalisi non è una scienza in senso popperiano ma una sorta di storiografia, che si basa insomma su ricostruzioni storiche (per Popper la storiografia non è scienza, perché non costruisce necessariamente teorie). Il paragone che spesso fa Freud tra psicoanalisi e archeologia avrebbe dovuto spingerlo in quel senso.
In effetti, anche se Lacan non lo dice esplicitamente, l’après-coup rivela che ogni ricostruzione analitica è sospesa a un’incertezza fondamentale: con l’analizzante io analista ho ricostruito esperienze originarie del soggetto, oppure le ho costruite oggi, proiettandole in una storia passata che così ipso facto assume le forme di un mito? E’ quell’incertezza, o condizionalità, che è in ogni futuro anteriore. Posso dire “…avrò studiato bene” solo se ho premesso, in qualche modo, “se sarò promosso, allora…” Non so se in passato ho studiato bene, se ora sto studiando bene: solo il futuro mi dirà quello che ho veramente fatto o sto facendo. Il futuro anteriore futurizza il presente, lo problematizza, lo dis-entifica. Ma appunto, se il senso dell’oggi o dell’ieri sarà dato solo domani, la psicoanalisi non è fondata più su basi solide. Più che dire “Come tutti, ho avuto il mio Edipo”, dovrei dire “Se farò analisi, avrò avuto il mio Edipo”.
In effetti, se, come dice Freud, l’Uomo dei lupi cade in una nevrosi infantile dopo i quattro anni perché si riattiva après coup un’esperienza che così si rivela traumatica, tutta la ricostruzione di Freud è sospesa alla realtà di questa scena di cui il sogno e la nevrosi sarebbero l’après-coup. E non ce la si cava dicendo che non è stata una scena vista ma solo immaginata: perché anche l’immaginarsi una scena a una certa età è un evento, ha una sua realtà storica. Anche i pensieri sono databili, anche i pensieri sono enti. La scelta tra realtà e immaginazione, su cui tanto insiste Laplanche, è un falso dilemma: quel che conta non è il fatto che la scena sia stata realmente vista oppure fantasticata, conta che ci sia stata scena in un certo momento o meno. Insomma, il sogno dei lupi e la nevrosi infantile – e poi, più in là, la nevrosi adulta – sono un dopo il coup ma senza un prima, l’après- non ha un avant-coup. L’intero sistema interpretativo minaccia di essere come il Castello dei Pirenei dell’omonimo quadro di Magritte: il castello è saldamente impiantato sulla dura roccia, ma questa roccia non poggia su nulla.
L’après-coup – in quanto sospeso sempre tra ermeneutica, storia e magia – è una mina che Laplanche doveva disinnescare, non ignorando il problema – come finora la maggior parte degli analisti avevano fatto – ma cavalcando la tigre lacaniana. Assumendo l’après-coup come nozione fondamentale dell’analisi. Ma a condizione di trovarvi un suolo il più possibile sicuro. Magari anche una palude – la palude del “messaggio enigmatico da parte degli adulti” – ma pur sempre una base, non il vuoto. L’après-coup cessa allora di diventare l’enigma della psicoanalisi per ridursi a un enigma diciamo popolare, anzi universale, l’enigma che quel che gli adulti dicono e fanno rappresenta per noi infanti. Il suolo è trovato: l’inconscio adulto e il primato dell’altro. Questo primato va quindi preso non solo come un venir prima, ma anche come un essere a fondamento, l’arché avrebbero detto gli antichi greci. La mina dell’après-coup non minaccia più après coup.
In questo modo, Laplanche ricuce lo strappo tra costruzione e ricostruzione che assilla ogni enunciato analitico. Per Laplanche, interpretando, l’analista e l’analizzante certamente costruiscono, ma la loro costruzione ha come sfondo qualcosa di ricostruttivo: la ricostruzione del messaggio originario degli adulti. Ogni costruzione analitica ri-costruisce, costruisce di nuovo, qualcosa che era già stato costruito sulla base di una parola “altra”, quindi che trova il suo sostegno fuori del soggetto. L’onore della psicoanalisi è salvo.
Io credo che invece la psicoanalisi vada scombussolata. Essa funziona, nella nostra cultura, anche se non fondata. Come nel castello dei Pirenei, ci si può trovare bene, pur sapendo che pende nel vuoto.
In effetti il concetto di après-coup è fondamentale proprio perché ciò di cui l’après-coup è dopo rimanda a un prima che resta sospeso, una x, una incognita. Il paradosso dell’après-coup è che all’inizio c’è un dopo, mai un prima-to. E’ un dopo senza prima. Non ci porta al primato dell’altro, ma al primato del dopo. Vediamo di vederlo proprio nel caso dell’uomo dei lupi.
Quel che colpisce del sogno dei lupi è che esso consiste nell’apertura su una scena, ma la scena che il soggetto vede sono altri soggetti, i lupi, che guardano. E’ come se a teatro, apertosi il sipario, vedessimo non gli attori sul palcoscenico ma un altro pubblico che ci guarda. Un disvelamento unheimlich, perturbante. Ma quale è la scena che entrambi i pubblici dovrebbero vedere?
Lo sguardo guarda chi guarda. I guardanti sono lupi bianchi, ovvero non l’oggetto di orrore che potrebbero essere – lupi che si scagliano contro di me, ad esempio – ma occhi bianchi che mi guardano. Io guardante divento la scena forse di orrore per l’altrui sguardo, che è lo specchio del mio. Freud riduce questo orrore a una scena di sesso, che certo per un bambino piccolo sarebbe enigmatica. Ma l’enigma è più radicale: il sogno significa che c’è una scena importante e drammatica da guardare, ma non la mostra. E questo forse non per una rimozione, perché la scena sarebbe troppo conturbante, ma per il fatto che, in particolare nell’infanzia, siamo confrontati a scene che non si possono vedere, a qualcosa di impensabile, e che pure appare. Questa scena, piuttosto che un evento fuori del soggetto, può essere l’evento che è il soggetto stesso prima di vedersi. Un puro Erlebnis, un modo di sentirsi del soggetto che non ha nome e non può essere descritto, e che proprio per questo ci colpisce come unheimlich.
Il vero enigma, in ogni ricostruzione psicoanalitica, non è se si giunga a delle realtà o a delle fantasie originarie, ma è di quale esperienza un ricordo o una fantasia è l’elaborazione. Ovvero, siamo sempre nell’après-coup, sempre nella condizionalità del futuro anteriore. Laplanche vuol farci credere che ci sarebbe un primo tempo assoluto, originario: quello in cui l’adulto “seduce” il bambino dicendo o facendo cose che questo bambino trova equivoche. Ma questa scena di seduzione, ammesso che la si possa ricostruire, è anch’essa a sua volta qualcosa di costruito après coup.
Laplanche sarebbe stato più convincente se avesse detto che la psicoanalisi non è una scienza in senso popperiano ma una sorta di storiografia, che si basa insomma su ricostruzioni storiche (per Popper la storiografia non è scienza, perché non costruisce necessariamente teorie). Il paragone che spesso fa Freud tra psicoanalisi e archeologia avrebbe dovuto spingerlo in quel senso.
In effetti, anche se Lacan non lo dice esplicitamente, l’après-coup rivela che ogni ricostruzione analitica è sospesa a un’incertezza fondamentale: con l’analizzante io analista ho ricostruito esperienze originarie del soggetto, oppure le ho costruite oggi, proiettandole in una storia passata che così ipso facto assume le forme di un mito? E’ quell’incertezza, o condizionalità, che è in ogni futuro anteriore. Posso dire “…avrò studiato bene” solo se ho premesso, in qualche modo, “se sarò promosso, allora…” Non so se in passato ho studiato bene, se ora sto studiando bene: solo il futuro mi dirà quello che ho veramente fatto o sto facendo. Il futuro anteriore futurizza il presente, lo problematizza, lo dis-entifica. Ma appunto, se il senso dell’oggi o dell’ieri sarà dato solo domani, la psicoanalisi non è fondata più su basi solide. Più che dire “Come tutti, ho avuto il mio Edipo”, dovrei dire “Se farò analisi, avrò avuto il mio Edipo”.
In effetti, se, come dice Freud, l’Uomo dei lupi cade in una nevrosi infantile dopo i quattro anni perché si riattiva après coup un’esperienza che così si rivela traumatica, tutta la ricostruzione di Freud è sospesa alla realtà di questa scena di cui il sogno e la nevrosi sarebbero l’après-coup. E non ce la si cava dicendo che non è stata una scena vista ma solo immaginata: perché anche l’immaginarsi una scena a una certa età è un evento, ha una sua realtà storica. Anche i pensieri sono databili, anche i pensieri sono enti. La scelta tra realtà e immaginazione, su cui tanto insiste Laplanche, è un falso dilemma: quel che conta non è il fatto che la scena sia stata realmente vista oppure fantasticata, conta che ci sia stata scena in un certo momento o meno. Insomma, il sogno dei lupi e la nevrosi infantile – e poi, più in là, la nevrosi adulta – sono un dopo il coup ma senza un prima, l’après- non ha un avant-coup. L’intero sistema interpretativo minaccia di essere come il Castello dei Pirenei dell’omonimo quadro di Magritte: il castello è saldamente impiantato sulla dura roccia, ma questa roccia non poggia su nulla.
L’après-coup – in quanto sospeso sempre tra ermeneutica, storia e magia – è una mina che Laplanche doveva disinnescare, non ignorando il problema – come finora la maggior parte degli analisti avevano fatto – ma cavalcando la tigre lacaniana. Assumendo l’après-coup come nozione fondamentale dell’analisi. Ma a condizione di trovarvi un suolo il più possibile sicuro. Magari anche una palude – la palude del “messaggio enigmatico da parte degli adulti” – ma pur sempre una base, non il vuoto. L’après-coup cessa allora di diventare l’enigma della psicoanalisi per ridursi a un enigma diciamo popolare, anzi universale, l’enigma che quel che gli adulti dicono e fanno rappresenta per noi infanti. Il suolo è trovato: l’inconscio adulto e il primato dell’altro. Questo primato va quindi preso non solo come un venir prima, ma anche come un essere a fondamento, l’arché avrebbero detto gli antichi greci. La mina dell’après-coup non minaccia più après coup.
In questo modo, Laplanche ricuce lo strappo tra costruzione e ricostruzione che assilla ogni enunciato analitico. Per Laplanche, interpretando, l’analista e l’analizzante certamente costruiscono, ma la loro costruzione ha come sfondo qualcosa di ricostruttivo: la ricostruzione del messaggio originario degli adulti. Ogni costruzione analitica ri-costruisce, costruisce di nuovo, qualcosa che era già stato costruito sulla base di una parola “altra”, quindi che trova il suo sostegno fuori del soggetto. L’onore della psicoanalisi è salvo.
Io credo che invece la psicoanalisi vada scombussolata. Essa funziona, nella nostra cultura, anche se non fondata. Come nel castello dei Pirenei, ci si può trovare bene, pur sapendo che pende nel vuoto.
In effetti il concetto di après-coup è fondamentale proprio perché ciò di cui l’après-coup è dopo rimanda a un prima che resta sospeso, una x, una incognita. Il paradosso dell’après-coup è che all’inizio c’è un dopo, mai un prima-to. E’ un dopo senza prima. Non ci porta al primato dell’altro, ma al primato del dopo. Vediamo di vederlo proprio nel caso dell’uomo dei lupi.
Quel che colpisce del sogno dei lupi è che esso consiste nell’apertura su una scena, ma la scena che il soggetto vede sono altri soggetti, i lupi, che guardano. E’ come se a teatro, apertosi il sipario, vedessimo non gli attori sul palcoscenico ma un altro pubblico che ci guarda. Un disvelamento unheimlich, perturbante. Ma quale è la scena che entrambi i pubblici dovrebbero vedere?
Lo sguardo guarda chi guarda. I guardanti sono lupi bianchi, ovvero non l’oggetto di orrore che potrebbero essere – lupi che si scagliano contro di me, ad esempio – ma occhi bianchi che mi guardano. Io guardante divento la scena forse di orrore per l’altrui sguardo, che è lo specchio del mio. Freud riduce questo orrore a una scena di sesso, che certo per un bambino piccolo sarebbe enigmatica. Ma l’enigma è più radicale: il sogno significa che c’è una scena importante e drammatica da guardare, ma non la mostra. E questo forse non per una rimozione, perché la scena sarebbe troppo conturbante, ma per il fatto che, in particolare nell’infanzia, siamo confrontati a scene che non si possono vedere, a qualcosa di impensabile, e che pure appare. Questa scena, piuttosto che un evento fuori del soggetto, può essere l’evento che è il soggetto stesso prima di vedersi. Un puro Erlebnis, un modo di sentirsi del soggetto che non ha nome e non può essere descritto, e che proprio per questo ci colpisce come unheimlich.
Il vero enigma, in ogni ricostruzione psicoanalitica, non è se si giunga a delle realtà o a delle fantasie originarie, ma è di quale esperienza un ricordo o una fantasia è l’elaborazione. Ovvero, siamo sempre nell’après-coup, sempre nella condizionalità del futuro anteriore. Laplanche vuol farci credere che ci sarebbe un primo tempo assoluto, originario: quello in cui l’adulto “seduce” il bambino dicendo o facendo cose che questo bambino trova equivoche. Ma questa scena di seduzione, ammesso che la si possa ricostruire, è anch’essa a sua volta qualcosa di costruito après coup.
- L’edipeo di Laplanche
Questi seminari di Laplanche vanno letti non solo come un insieme di enunciati sull’après-coup, ma anche come enunciazioni. Nel senso in cui la filosofia distingue ‘enunciato’ da ‘enunciazione’, ovvero quello che le parole dicono, da quello che vien detto in relazione a chi, dove e quando enuncia quelle parole. Ovvero, questi seminari vanno letti non in riferimento all’uomo Laplanche – che non è qui in questione – ma in riferimento all’operazione Laplanche, a quel che in qualche modo egli voleva dire scrivendo sull’après-coup, ovvero, che cosa questo seminario-testo ci svela… après coup, oltre 25 anni dopo esser stato tenuto.
Ora, abbiamo già detto di una dimensione enunciativa degli enunciati di Laplanche: quella che può essere tradotta (uso la parola così cara a Laplanche) in questi termini: “Lacan ha provato a scombussolare la psicoanalisi, col rischio di farle perdere ogni credibilità scientifica. Io vi mostro invece che questa mina serve a rifondare, a dare fondamenta nuove, alla psicoanalisi: il fondamento è la parola o l’atto seduttivi dell’altro. Possiamo continuare a lavorare senza porci troppi problemi.”
C’è comunque un altro senso enunciativo negli enunciati di Laplanche.
La sua intera opera è priva di riferimenti alla propria pratica clinica. Tutti i suoi scritti sono sostanzialmente esegesi del testo freudiano, tenendo conto delle altrui esegesi. Bisognerebbe chiedersi che cosa può dirci questa assenza di riferimenti clinici.
Possiamo osare: in un certo senso, il testo freudiano – non certo l’uomo Freud – è il solo vero grande caso clinico di cui Laplanche si sia sempre occupato. Può essere un testo un “caso clinico”? Sì, se ci mettiamo in una prospettiva laplanchiana. In effetti la sua teoria dell’inconscio consiste in questo: che ogni essere umano si interroga su un primo testo enigmatico pronunciato da un adulto, e a suo modo ‘traduce’ la parola e gli atti di questo adulto. E certamente non è un caso che si sia risolto a pensare che l’attività inconscia sia attività di traduzione proprio Laplanche, che ha dedicato gran parte della propria vita a “tradurre” Freud e la psicoanalisi; egli ha curato la traduzione francese standard delle opere di Freud, e con Pontalis ha redatto un Vocabolario della psicoanalisi[19], ovvero una traduzione-definizione dei concetti psicoanalitici fondamentali. Laplanche appare come “sedotto” dal padre Freud attraverso un Opus che – come Laplanche non si stanca di mostrare – è nel fondo enigmatico. Laplanche ha passato la vita a interrogarsi sull’enigma Freud, da qui il titolo Problematiche dato al suo seminario.
Per Laplanche ogni essere umano sin dall’inizio si chiede “Cosa mi vuole l’altro? Cosa vuol dirmi?” Ed egli stesso sembra essersi chiesto: “Che cosa voleva dir(mi) Freud?” Attraverso Laplanche, il testo di Freud è restituito alla sua qualità enigmatica; la sua interminabile esegesi di Freud e della psicoanalisi scritta ripeterebbe, anche se portata su un altro livello, quell’interminabile interpretazione che ogni essere umano farebbe della parola genitoriale originaria. Ed è evidente che Laplanche è stato sempre sedotto da questo enigma freudiano: la sua teoria generalizzata della seduzione si ripete, si esprime, si espande, nella sua risposta di sedotto dal testo freudiano. La sua riabilitazione della originaria teoria della seduzione è un insieme di enunciati che rinvia a una enunciazione: Laplanche sembra averci sempre voluto dire come lui fosse sedotto dalla parola del “padre” Freud, proprio nella misura in cui questa parola per lui ha fatto sempre enigma.
Ma Laplanche non è fedele fino in fondo a questa restituzione dell’enigma del testo: egli punta tutte le carte sulla soluzione dell’enigma, così come Edipo risolse l’enigma della Sfinge. Laplanche pensa insomma di eliminare la Sfinge, anche se in modo ellittico, dicendo che il senso vero dell’enigma freudiano è: che ognuno deve elaborare un enigma originario. Ma così l’enigma originario stesso viene risolto: ogni bambino, ogni soggetto, deve capire il sessuale che c’è nel messaggio adulto. Deve capire che è stato sedotto. La Sfinge può morire. La psicoanalisi è liberata così dalla peste freudiana.
Ora, abbiamo già detto di una dimensione enunciativa degli enunciati di Laplanche: quella che può essere tradotta (uso la parola così cara a Laplanche) in questi termini: “Lacan ha provato a scombussolare la psicoanalisi, col rischio di farle perdere ogni credibilità scientifica. Io vi mostro invece che questa mina serve a rifondare, a dare fondamenta nuove, alla psicoanalisi: il fondamento è la parola o l’atto seduttivi dell’altro. Possiamo continuare a lavorare senza porci troppi problemi.”
C’è comunque un altro senso enunciativo negli enunciati di Laplanche.
La sua intera opera è priva di riferimenti alla propria pratica clinica. Tutti i suoi scritti sono sostanzialmente esegesi del testo freudiano, tenendo conto delle altrui esegesi. Bisognerebbe chiedersi che cosa può dirci questa assenza di riferimenti clinici.
Possiamo osare: in un certo senso, il testo freudiano – non certo l’uomo Freud – è il solo vero grande caso clinico di cui Laplanche si sia sempre occupato. Può essere un testo un “caso clinico”? Sì, se ci mettiamo in una prospettiva laplanchiana. In effetti la sua teoria dell’inconscio consiste in questo: che ogni essere umano si interroga su un primo testo enigmatico pronunciato da un adulto, e a suo modo ‘traduce’ la parola e gli atti di questo adulto. E certamente non è un caso che si sia risolto a pensare che l’attività inconscia sia attività di traduzione proprio Laplanche, che ha dedicato gran parte della propria vita a “tradurre” Freud e la psicoanalisi; egli ha curato la traduzione francese standard delle opere di Freud, e con Pontalis ha redatto un Vocabolario della psicoanalisi[19], ovvero una traduzione-definizione dei concetti psicoanalitici fondamentali. Laplanche appare come “sedotto” dal padre Freud attraverso un Opus che – come Laplanche non si stanca di mostrare – è nel fondo enigmatico. Laplanche ha passato la vita a interrogarsi sull’enigma Freud, da qui il titolo Problematiche dato al suo seminario.
Per Laplanche ogni essere umano sin dall’inizio si chiede “Cosa mi vuole l’altro? Cosa vuol dirmi?” Ed egli stesso sembra essersi chiesto: “Che cosa voleva dir(mi) Freud?” Attraverso Laplanche, il testo di Freud è restituito alla sua qualità enigmatica; la sua interminabile esegesi di Freud e della psicoanalisi scritta ripeterebbe, anche se portata su un altro livello, quell’interminabile interpretazione che ogni essere umano farebbe della parola genitoriale originaria. Ed è evidente che Laplanche è stato sempre sedotto da questo enigma freudiano: la sua teoria generalizzata della seduzione si ripete, si esprime, si espande, nella sua risposta di sedotto dal testo freudiano. La sua riabilitazione della originaria teoria della seduzione è un insieme di enunciati che rinvia a una enunciazione: Laplanche sembra averci sempre voluto dire come lui fosse sedotto dalla parola del “padre” Freud, proprio nella misura in cui questa parola per lui ha fatto sempre enigma.
Ma Laplanche non è fedele fino in fondo a questa restituzione dell’enigma del testo: egli punta tutte le carte sulla soluzione dell’enigma, così come Edipo risolse l’enigma della Sfinge. Laplanche pensa insomma di eliminare la Sfinge, anche se in modo ellittico, dicendo che il senso vero dell’enigma freudiano è: che ognuno deve elaborare un enigma originario. Ma così l’enigma originario stesso viene risolto: ogni bambino, ogni soggetto, deve capire il sessuale che c’è nel messaggio adulto. Deve capire che è stato sedotto. La Sfinge può morire. La psicoanalisi è liberata così dalla peste freudiana.
[1] Cfr. recensione di Owen Hewitson, in Psychoanalytic Discourse, 4, October 2017, http://psychoanalyticdiscourse.com/index.php/psad/article/view/59/107. Notiamo che Laplanche ha ripreso il tema dell’après-coup in J. Laplanche & J.-B. Pontalis, Fantasme originaire, Fantasme des origines, Origines du fantasme, Hachette, Paris 1985, in Laplanche & Pontalis, Vocabulaire de la psychanalyse, PUF, Paris 1967, voce “Après-coup”; in Laplanche, Vie et mort en psychanalyse, Flammarion, Paris 1970; e in Nouveaux fondements pour la psychanalyse, PUF, Paris 1987.
[2] Opere Complete di Sigmund Freud, Bollati Boringhieri, Torino.
[3] Après-coup, The Unconscious in Translation, New York 2017.
[4] Alessandra Campo (Tardività, Mimesis, Milano 2018) propone tardività. Ma io preferisco qui attenermi alla dizione francese che dà senso, anche se tardivo, al concetto.
[5] I numeri tra parentesi si riferiscono alle pagine dell’edizione francese del libro di Laplanche.
[6] Come sottolinea Laplanche stesso in “Notes sur l’après-coup”, Entre séduction et inspiration: l’homme, PUF, Paris 1999, pp. 57-66. Eng. Ed. in J. Fletcher & M. Stanton, eds., Jean Laplanche: Seduction, Translation and the Drives, ICA, London 1992.
[7] In Progetto di una psicologia, OSF, 2, pp. 253-256
[8] Eneide, II 353.
[9] Sandor Ferenczi, “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”, Fondamenti di psicoanalisi, vol. III, Ulteriori contributi (1908 –1933), Psicoanalisi delle abitudini sessuali e altri saggi, trad. di E. Ponsi Franchetti, Guaraldi, Rimini, 1974, pp. 415– 427. http://www.lacan-con-freud.it/1/upload/ferenczi_confusione_lingue.pdf
[10] GW, 16, pp. 41-56. OSF, 11, pp. 541-552.
[11] GW, 2-3, p. 211. OSF, 3, p. 193.
[12] Notiamo che in questo caso – una battuta di spirito – abbiamo uno scaglionamento inverso rispetto al caso di Emma così come Laplanche lo ricostruisce. Nel caso del giovane donnaiolo la prima scena, quella infantile, è del tutto innocente, mentre la seconda, il motto di spirito da adulto, sessualizza l’esperienza originaria.
[13] “Après-coup. La memoria retroattiva”, conversazione di J.-B. Pontalis con S. Benvenuto, http://www.journal-psychoanalysis.eu/apres-coup-la-memoria-retroattiva-conversazione-di-sergio-benvenuto-con-jean-baptiste-pontalis/
[14] Questo del resto aveva costretto Freud a elaborare un’ipotesi ad hoc: che in quel caso eccezionalmente il piccolo avesse dormito nella stanza dei genitori perché ammalato. Cfr. K. Obholzer, Entretiens avec l’Homme aux loups (Hamburg, 1980), Gallimard, Paris 1981. Vedi la voce “PANKEJEFF Serguei Costantinovitch (1887-1979), ‘cas de L’Homme aux loups’” in E. Roudinesco & M. Plon, Dictionnaire de la psychanalyse, Fayard, Paris 1997, pp. 753-8.
[15] “Commento a ‘L’Uomo dei Lupi’ di Sigmund Freud”, POL.it, 29 dicembre 2017, http://www.psychiatryonline.it/node/7144
[16] J. Laplanche & J.-B. Pontalis, Fantasme originaire, Fantasme des origines, Origines du fantasme, cit., p. 55.
[17] Questo non è esatto, perché la meccanica quantistica porta a descrivere situazioni in cui in un certo senso il futuro condiziona il passato, come si è cercato di dimostrare nel famoso paradosso del gatto di Schrödinger. Comunque la meccanica quantistica si occupa di processi che si svolgono in un microcosmo molto diverso dal nostro mondo biologico, dove la freccia del tempo non vede eccezioni. Noi viviamo sulla terra, non dentro un atomo.
[18] Cfr. per esempio “La psychanalyse dans la communauté scientifique”, Entre séduction et inspiration: l’homme, PUF, Paris 1999, pp.173-189.
[19] Vocabulaire de la psychanalyse, appunto, e non Enciclopedia della psicoanalisi come è stato tradotto in italiano. Un’enciclopedia raccoglie tutto il sapere, mentre il Vocabulaire non si occupa di ciò che la psicoanalisi sa o presume di sapere, ma delle parole-concetti grazie alle quali presume di sapere.
In proposito suggerisco la
In proposito suggerisco la lettura della mia discussione sul saggio di Alessandra Campo “Tardività. Freud dopo Lacan” al seguente link http://www.psychiatryonline.it/node/7539, intitolata “In differita”.
Antonello Sciacchitano