IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

C'è peste e peste

Share this
17 settembre, 2018 - 09:21
di Antonello Sciacchitano

 

Non ho mai notato che, mediante le dispute in uso nelle Scuole,
si sia mai scoperta una verità prima ignorata.
Cartesio, Discorso sul metodo. (Sesta parte)

 
Racconta Lacan: “C’est ainsi que le mot de Freud à Jung de la bouche de qui je le tiens, quand invités tous deux de la Clark University, ils arrivèrent en vue du port de New York et de la célèbre statue éclairant l'univers: ‘Ils ne savent pas que nous leur apportons la peste’, lui est renvoyé pour sanction d’une hybris dont l’antiphrase et sa noirceur n’éteignent pas le trouble éclat. La Némésis n'a eu, pour prendre au piège son auteur, qu’à le prendre au mot de son mot. Nous pourrions craindre qu’elle n'y ait joint un billet de retour de première classe”.[1]

A Lacan, che non fu esattamente un uomo di scienza, sfuggì il significato storico dell’aneddoto che dice d’aver raccolto dalla bocca di Jung: la presumibile ignoranza scientifica, in particolare biologica, di Freud. All’epoca del viaggio in America di Freud & Co, nel 1909, da quasi due secoli la peste aveva cessato di esistere come pandemia. “Non sanno che portiamo loro la peste”, pur giustificabile come iperbole retorica, fu in sostanza un’affermazione per lo meno anacronistica, se non una vera e propria sciocchezza. [2]

Posso tuttavia circostanziare storicamente la mia apparentemente azzardata interpretazione dell’analfabetismo scientifico di Freud, ben sapendo che una tesi empirica non si conferma mai al 100%. È chiaro che non ho intenti polemici ma solo di ricerca; la mia analisi è rivolta al soggetto di quell’ignoranza più che all’oggetto peste, su cui oggi restano pochi dubbi.

Inizio constatando che Freud non aveva in biblioteca L’origine delle specie. Di Darwin fece un uso meramente strumentale. Della sua opera non gli interessava l’aspetto di biologia delle popolazioni. Disse di aver preso da Darwin il mito dell’orda primordiale: un falso ideologico. Darwin non formulò mai miti; fu un “ragionatore” ossessivo, non mitopoieta. Nell’Origine dell’uomo e la selezione sessuale – unico libro di Darwin in possesso di Freud – Darwin parlava di small communities, non di orde. [3]

Di più. Mentre scriveva i Tre saggi sulla teoria sessuale, furono ritrovati i saggi di Mendel sulla genetica dei piselli (su 28.000 piante); inauguravano la nuova scienza genetica, ma rimasero lettera morta per 40 anni. Quando si dice resistenza alla scienza… Freud non citò mai Mendel. Poiché non si aggiornava scientificamente, la riscoperta di Mendel gli sfuggì. La scienza come fatto collettivo non lo acchiappava. Per lui la genetica rimase sempre la psicogenesi pulsionale delle fasi libidiche attraversate dall’individuo durante lo sviluppo: orale, anale, fallica. Concepiva solo l’evoluzione individuale. Ragionava in termini individualistici anche quando si cimentava con la psicologia delle masse, regolata secondo lui unicamente dalle identificazioni individuali al Führer; la portata delle interazioni collettive gli sfuggiva regolarmente. [4]

Nel 1926 Heisenberg formulò il principio di indeterminazione della meccanica quantistica. Freud l’ignorò; si ostinò nel proprio rigido determinismo pulsionale, elevato a sovradeterminismo. Nel suo ultimo romanzo, L’uomo Mosè e la religione monoteista, dichiarava candidamente il proprio “imperativo bisogno di causalità”; [5] una coazione, un autentico sintomo nevrotico, anche un po’ buffo.

All’insufficienza di aggiornamenti scientifici, sempre trascurando la dimensione collettiva del procedere scientifico, Freud suppliva con una versatile inventiva terminologica, prodotto collaterale della sua fantasia mitopoietica. Allora il protozoo diventava “animaletto protoplasmatico” (Protoplasmatierchen). Carino, no? [6]

E vengo al tema scottante di questo post: una particolare ignoranza microbiologica di Freud, o volendo di storia della medicina, riguardante proprio la pandemia della peste.

Il dato storico è perentorio: la morte nera iniziò a recedere nell’estate del 1727. Desumo le informazioni qui riferite dall’articolo di storia della medicina di Arnaldo d’Amico, intitolato “La morte della morte nera”, pubblicato nel n° 600 di Le scienze. [7] L’evento decisivo – è tecnicamente giusto dire “catastrofico” – fu l’invasione europea dei ratti grigi (Rattus norvegicus). Dopo un terremoto di dimensioni colossali in Asia, che produsse la fuoruscita dal sottosuolo di enormi masse di gas letali, miliardi di ratti grigi migrarono verso l’Europa (guidati da chi? un caso?); guadarono i grandi fiumi russi dal Volga al Dniepr; fino a tutto l’inverno attraversarono gli stessi fiumi ghiacciati. Il risultato fu la sostituzione delle popolazioni europee dei ratti neri (o ratti dei tetti) con i ratti grigi (o ratti delle chiaviche o pantegane).

Per gli umani fu un evento propizio, che ridimensionò notevolmente la diffusione della peste. L’ultima vera epidemia di peste si verificò in Europa nel 1720, portata a Marsiglia dal tre alberi Grand Saint Antoine, carico di stoffe pregiate, proveniente dall’Estremo Oriente. In due anni di epidemia Marsiglia perse metà degli abitanti (40.000) e il sud della Francia 120.000, oltre un terzo della popolazione. Da allora si ebbero solo focolai epidemici di peste che al massimo riguardavano una sola città, il più grave e ultimo in Europa nel 1743 a Messina e Reggio Calabria, dove morì il 70% della popolazione messinese e il 50% della calabra. La scena era classica: una nave carica di ratti appestati entrava in porto e, senza rispettare la quarantena, imposta dalla procedura avviata a Venezia sin dal 1374, sbarcava il carico. Anche la nave di Freud, la George Washington, non rispettò la quarantena a Long Island, benché portasse la peste, a detta di Freud.

Quale meccanismo portò a estinguere la peste su scala planetaria, pur rimanendo confinata in focolai endemici relativamente piccoli?

Freud, che pure un paio di anni prima del viaggio in America (1907-08) trattò il caso dell’Uomo dei ratti, non ne era – non volle o non poté esserne – a conoscenza. [8] Non avendo mentalità darwiniana, non sapeva – o non voleva sapere – che il ratto grigio è oggi dopo l’uomo il mammifero di maggior successo ecologico. La leggenda vuole che a Manhattan, dove Freud sbarcò la sera del 27 settembre 1909, vivano più ratti che umani, tanto da ribattezzarsi Manrattan. Paradossalmente l’estesa diffusione dei ratti grigi ci difende dalla peste. Il punto curioso è che entrambe le specie di ratti trasportano la peste. La differenza quanto al contagio non sta nei ratti ma nelle loro pulci. Il Ceratophyllus fasciatus, la pulce del ratto grigio, morde il ratto ma non l’uomo; [9] la pulce del ratto nero morde sia il ratto sia l’uomo, consentendo la trasmissione dell’agente della peste bubbonica (Yersinia pestis) dal ratto all’uomo. Senza i ratti neri e le loro pulci la peste praticamente si estinse. La storia non sarebbe dispiaciuta a Manzoni, che forse ci avrebbe costruito sopra un altro romanzo.

La mia tesi è che Freud non solo ignorava in modo del tutto giustificabile questi dati microbiologici oggettivi, ma soprattutto ignorava –­ voleva ignorare – il dato soggettivo di essere portatore sano di una peste ben peggiore della bubbonica.

Non è un paradosso. A posteriori, data la violenta reazione immunitaria scatenata già nello stesso Freud, posso dire che la peste che appestava la psicanalisi fu la scientificità, prodotta da un bacillo che a sua insaputa ospitava. (Quale pulce gliela trasmise?) In psicanalisi non si vuole sentire parlare di scienza neppure là dove si tratta del soggetto cartesiano della scienza, principalmente nell’inconscio freudiano. La psicanalisi è una scienza sui generis: è la scienza di quel che non si sa ancora di sapere, una paradossale scienza della volontà d’ignoranza. E di questo giustamente non si vuol sapere né individualmente né collettivamente. La rimozione originaria parte da qui.

A livello dell’individuo Freud non so dire il movente specifico della sua rimozione dell scienza. Posso solo congetturare che tra Freud e Cartesio, che fondò la scienza moderna sul non sapere, non corresse buon sangue. Nella sua biblioteca non c’erano le opere di Cartesio, peggio che con Darwin. Il riferimento di Freud ai famosi sogni “dall’alto” di Cartesio (Träume von oben [10]), formazioni simboliche che non attingono agli strati profondi della psiche, è del tutto superficiale e pretestuoso. Non affronta il sogno cartesiano con la buona scusa che gli mancano le associazioni libere al sogno. Insomma, Freud non voleva saperne di Cartesio e della sua scienza, fondata sul dubbio.

Non so neppure dire perché nel 1895 Freud abbia cestinato il suo Progetto per una psicologia scientifica. Forse non lo saprebbe dire neppure Freud. [11] Il suo gesto va classificato comeacting outdi una psicanalisi pasticciata e fallimentare, arenata nella volontà di ignoranza; con buoni motivi Lacan parlerebbe di paranoia post-analitica. Della pseudo-analisi di Freud con Fliess non ne sapremo mai abbastanza; quel che è certo è che non uscì mai dalle secche del discorso medico-chirurgico. [12] L’autoanalisi di Freud produsse un’opera monumentale, la Traumdeutung che, a parte l’ipotesi dell’inconscio, non ha molto di scientifico. [13]

A livello collettivo si può dire qualcosa di più. Tutti noi, a prescindere dal grado d’istruzione, resistiamo alla scienza. Addirittura Einstein resistette alla meccanica quantistica, che pure contribuì a fare avanzare. (Ricorda il famoso detto: “Dio non gioca a dadi”). Darwin non abbandonò mai l’ipotesi gradualista, punto debole di tutta la costruzione biologica basata sulla selezione naturale. Alla scienza si resiste come si osteggia l’innovazione, in genere di sinistra. Tutti noi siamo riluttanti al pensiero scientifico, perché siamo conservatori, ossia siamo fondamentalmente di destra, che è l’orientamento politico originario, come si vede bene oggi in Italia. Vogliamo preservare le verità mitologiche dei nostri padri, non tanto perché li amiamo, ma perché ci fanno comodo le loro certezze. Le scienze, essendo congetturali, non danno certezze. Freud non fece eccezione; conservava la Bibbia autografata dal padre e si senti autorizzato ad abbandonare la scienza.

A ciò si aggiunga una rilevante, benché banale, perciò diffusa ragione sociologica, che regola il legame scolastico e opera da pesticida.

La scienza non ha maestri perché ha ricercatori. Il controllo delle procedure scientifiche non è nelle mani del singolo ma del collettivo. Da qui origina la politica conservatrice delle scuole di psicanalisi. Per non perderne il controllo, i maestri si guardano bene dall’esportare fuori dalla scuola il proprio insegnamento, rivolgendolo esclusivamente agli iniziati, agli “eletti”. La scienza, invece, è controllata democraticamente; tutti i membri di un collettivo di pensiero scientifico possono – se sono in grado – cooperare a corroborare o confutare un’ipotesi di lavoro. Perciò gli scolastici vivono come la peste l’eventuale confutazione scientifica dell’ortodossia, che porterebbe le scuole a dissolversi; si incrinerebbe infatti il potere centralizzato del maestro, che è l’anima di ogni scuola.[14]Allora in certe scuole di psicanalisi si stigmatizza la scienza addirittura come forma di paranoia – proprio a rovescio! Sono loro, i maestri, a sentirsi perseguitati dalla scienza e perciò la combattono per parare eventuali argomenti razionali contro i loro idiotismi.

Ma come dar loro torto? È questione di sopravvivenza. Primum vivere. Le scuole di psicanalisi continueranno giustamente a difendersi dalla peste scientifica, che le ha già infettate senza saperlo e quotidianamente minaccia la professione psicoterapeutica, più vicina all’ipnotismo che alla pratica scientifica. La paranoia delira, ma ha quasi sempre buone ragioni. 

Da ultimo, va detto che la profezia newyorchese di Freud non si avverò. La peste scientifica della psicanalisi non attecchì né in America né nel resto del mondo. In psicanalisi la psicoterapia ha ormai da tempo fatto fuori la scienza, cioè ha “guarito” la nostra psiche dalla peste scientifica. E molti di noi se ne rallegrano. Freud temeva questo esito sin dal 1927, quando era ormai troppo tardi per porvi riparo. Freud spese una vita a curare l’aspetto di cura dell’analisi, incurante di quello scientifico. Tuttavia, seppure tardivamente, concepì il timore per la sopravvivenza scientifica della psicanalisi nel poscritto a La questione dell’analisi laica, opera censurata dalla rozza cultura italiana, che la travisò sin dal titolo: Il problema dell’analisi condotta dai non medici. [15] Purtroppo in questo caso Freud fu buon profeta: la scienza psicanalitica è stata uccisa.

Ignorante forse, ma lungimirante quel Freud.



[1] J. Lacan, “La chose freudienne ou Sens du retour à Freud en psychanalyse” (1955-56, La cosa freudiana o senso del ritorno a Freud in psicoanalisi), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 403. Riporto la traduzione di G. Contri:“È così che le parole di Freud a Jung, dalla cui bocca le ho ricevute, quando, invitati entrambi alla Clark University, furono arrivati in vista del porto e della celebre statua che illumina l’universo: «Non sanno che portiamo loro la peste», gli sono rinviate come sanzione di una Hybris la cui antifrasi e la sua tenebrosità non spengono il fosco bagliore. Per prendere in trappola il suo autore, la Nemesi non ha dovuto far altro che prenderlo in parola. Potremmo temere che ci abbia aggiunto un biglietto di ritorno di prima classe. In verità, se è successa una cosa del genere non abbiamo che da prendercela con noi. Infatti, l’Europa sembra essersi tolta di mente le preoccupazioni, lo stile, se non addirittura la memoria, di coloro che ne sono usciti, con la rimozione dei loro cattivi ricordi”.
[2] Vale per me la distinzione, avanzata da Freud in LUomo Mosè e la religione monoteista, tra verità materiale e storica. Freud non fu materialmente ignorante in campo scientifico, ma lo fu storicamente agli effetti dell’introduzione della psicoanalisi nella cultura. In realtà curò le psiconevrosi, incurante della scientificità della cura.
[3] Il falso riferimento sfuggì a praticamente tutti gli psicoanalisti, che condividono la stessa impreparazione biologica di Freud.
[4] Dimenticare la dimensione collettiva è il primo passo per uscire dal campo scientifico, dove opera il soggetto collettivo della scienza. I colleghi che esaltano la singolarità del percorso analitico, in nome di qualche psicologia del profondo, hanno già compromesso la scientificità della loro clinica. E ne vanno fieri. “Gli archetipi dell’inconscio collettivo” (1934-1954), di Carl Gustav Jung, ricordano ai freudiani il rimosso di Freud.
[5] SFGW, vol. XVI, p. 214.
[6] Non è un hapax. Il termine ricorre ben tre volte in Sigmund Freud gesammelte Werkein Introduzione al narcisismo(SFGW, vol. X, p. 141), nella Lezione XXVI (SFGW, vol. XI, p. 436), in Una difficoltà della psicoanalisi (SFGW, vol. XII, p. 6). Non solo qui Freud si mostra incline a considerazioni vitalistiche non proprio scientifiche. Per salvare il sembiante scientifico le OSF traducono “ameba” (che in tedesco si direbbe Amöbe Wechseltierchen).
[7] Agosto 2018, p. 60.
[8] I riferimenti culturali di Freud in biologia erano a dir poco limitati. Nella sua biblioteca troviamo, oltre alle discutibili opere di Wilhelm Fliess, A. Weismann, Über Leben und Tod. Eine biologische Untersuchung. 2. Aufl., Gustav Fischer, Jena1892, p. 68.
[9] “La differenza la fa il sesso. Solo dopo aver succhiato sangue dal ratto i maschi di C. fasciatuscominciano a cercare le femmine, che si lasciano fecondare e depongono in 24 ore circa 400 uova”. Cfr. A. D’Amico, cit. p. 67.
[10] S. Freud, “Brief an Maxim Leroy über einen Traum des Cartesius” (1929, Lettera a Maxim Leroy su un sogno di Cartesio), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIV, p. 559.
[11] La mia congettura è che il segreto del rigetto freudiano della scienza (Verwerfung) sia sepolto nel sogno dell’iniezione a Irma, del 24 luglio 1895, fatto due mesi prima della stesura del Progettoe in parte lì riferito. Costituisce il suo ombelico, come lo chiama Freud. La siringa sporca, che infetta Irma, potrebbe essere una metafora della pulce che trasmette la pestedal ratto all’uomo. (Torna l’Uomo dei ratti). “Pulce” si dice in tedesco der Floh, con radice da fliehen (“fuggire”), non lontana da Fliess. Non c’è traccia di pulci nelle opere di Freud, che dopo Fliess prese la fuga dalla scienza, forse perché erroneamente identificava la medicina con la scienza. Per lo studio circostanziato del sogno di Irma si veda il lavoro di Carlo Bonomi, Withstanding trauma: the significance of Emma Eckstein’s circumcision to Freud’s Irma dream, “The Psychoanalytic Quarterly”, 2013, vol. LXXXII, n. 3.
[12] È del febbraio 1895 la disastrosa operazione di Fliess al naso ai danni di Emma Eckstein, alias Irma. Il sogno è di 5 mesi dopo.
[13] La verità della Traumdeutung è tutta lì, nel sogno “campione” di Irma (Münstertraum), che rappresenta il vacuo e fatuo affaccendarsi del corpo medico intorno al corpo della donna, scrutando nella sua gola profonda, simbolo della vagina. Irma, paziente indocile di Freud (unfolgsam, più vicina a “disubbidiente” che a “ribelle” – il psicoterapeuta che non ne ha avute in cura scagli la prima pietra), personifica il mito di Lilith, prima moglie di Adamo, da lui ripudiata perché unfolgsam.
[14] In realtà la scienza non ha gran potere interdittivo, come dimostra la tenace campagna antivax. Un giorno per divertimento contai le farmacie lungo la circonvallazione di Milano da Porta Venezia a Porta Ticinese. Su 12 ben 5 portavano l’insegna OMEOPATIA; nell’intervallo di confidenza di tre sigma potrebbero variare da 2 a 8 su 12. Inutilmente Silvio Garattini si spende contro l’assenza di basi scientifiche dell’omeopatia. L’omeopatia ha successo proprio perché non è scientifica. Se diventasse scientifica perderebbe consenso. Idem per la psicoanalisi.
[15] C’è di peggio. Il testo tedesco riporta: “Ich will nur verhütet wissen, daß die Therapie die Wissenschaft erschlägt”. (S. Freud “Die Frage der Laienanalyse” (1926-27, La questione dell’analisi laica), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIV, p. 291). Letteralmente: “Voglio solo sentirmi al sicuro dall’eventualità che la terapia uccida la scienza” (S. Freud, La questione dell’analisi laica, trad. A. Sciacchitano e D. Radice, Mimesis, Milano-Udine 2012, p. 112, sottolineatura mia). R. Colorni, corretta da Musatti, traduce: “Voglio solo cautelarmi, ed essere sicuro che la terapia non soverchi la scienza” (Opere di Sigmund Freud, vol. X, p. 419). Da quando “soverchiare” è sinonimo di “uccidere” nella lingua italiana?

> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 2986