PSICOANALISI AL PRESENTE
Risposte al disagio della contemporaneità
di Alex Pagliardini

Il sintomo è godimento (parte II)

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3 ottobre, 2018 - 22:17
di Alex Pagliardini

 

ho il più grande disprezzo

per tutte le idee

sui benefici del sapere1

A. Jorn

 

Premessa

Nella prima parte della nostra riflessione sul sintomo ci siamo sostanzialmente occupati del rapporto tra fantasma e sintomo, e del rapporto tra questi e il loro sfondo, il trauma. In questo intreccio abbiamo dato una prima definizione del sintomo come modo di godere, del sintomo come godimento.

Questa prima parte è stata giustamente criticata per il suo estremo e rigido lacanismo. Per molti versi questa seconda parte è ancora più caratterizzata in tale direzione, pertanto ci permettiamo di sconsigliarne la lettura a chi non è addentro alle faccende lacaniane.

 

Il rovescio

A questo punto è per noi fondamentale collocare l’affermazione iniziale “il sintomo è il modo in cui ciascuno gode dell’inconscio che lo determina” nel momento dell’insegnamento di Lacan in cui viene pronunciata. Per farlo sarebbe necessario ripercorre molti passaggi dell’insegnamento di Lacan, cosa che per varie ragioni non è possibile fare in questa sede. Mi pare però possibile indicare, senza spiegarli nel dettaglio, tre rovesciamenti compiuti da Lacan che credo permetteranno di cogliere alcuni cambiamenti radicali nel come intendere la nostra affermazione – ricordo che la tesi che guida questa riflessione è che l’affermazione di partenza di Lacan è valida per tutto il suo insegnamento, ma lo è in modi significativamente diversi.

 

Primo rovescio: lalingua

Il primo rovescio è relativo allo statuto del significante e dunque della sua incidenza sull’essere vivente. Nel corso del suo insegnamento Lacan riformula continuamente lo statuto del significante fino a prenderlo al rovescio. Si passa dal significante come articolazione di elementi, – come catena significante, come struttura organizzata di rinvio che in quanto tale incide il vivente producendo un soggetto diviso e un godimento interdetto implicati come eccedenza e mancanza nel funzionamento del significante che li ha prodotti, nella struttura di articolazione che li determina – al significante come fracasso, mormorio, corpo sonoro e contundete, «bubbone»2, «chewing-gum»3, placca, che in quanto tale incide il vivente, incisione costantemente in atto che è – questo è un punto problematico e vertiginoso dell’insegnamento di Lacan – godimento.

È come se Lacan, che, come visto, si è sempre interessato all’incidenza del significante sul vivente, e mai alla retorica del significante, sia andato progressivamente nel corso del suo insegnamento a mettere l’accento proprio su questo punto di incidenza del significante sul vivente, andando a estrarre proprio da questo punto di incidenza un altro statuto del significante. Per un lungo periodo Lacan maneggia e intende l’incidenza del significante a partire dal funzionamento del significante e il funzionamento significante a partire dall’incidenza, tiene cioè in piedi questa tensione. Progressivamente cerca di maneggiare in “presa diretta” l’incidenza, cerca di intenderla in e nel far ciò si ritrova tra le mani un altro statuto del significante.

Se prima avevamo lo statuto del significante come struttura di rinvio, come articolazione differenziale, che come tale – cioè con Altro – incide il vivente e lo produce e che come tale – cioè come Altro – produce un soggetto mancanza e un godimento interdetto, ora abbiamo lo statuto del significante come sciame, fracasso di elementi sparsi, brusio indistinto, che come tale incide il vivente, incidenza che è godimento.

A questo punto, in modo un po’ scolastico, possiamo dire che con Lacan chiamiamo linguaggio lo statuto del significante come struttura di rinvio, mentre chiamiamo lalingua lo statuto del significante – che a essere precisi non è propriamente dell’ordine del significante – come sciame4.

S1-S2-S3-S4-S5-S6-Sn = (catena significante, linguaggio) = Altro

S1-S1-S1-S1-S1-S1-S1… = (sciame, lalingua) = Uno

 

Gli errori su lalingua

Questa differenza è però non solo parziale ma anche fuorviante. Si tratta dunque di una differenza che va posta, diciamo soprattutto a fini didattici, ma subito rimaneggiata. Il grande rischio di una siffatta differenza è infatti quello di ipostatizzare e cosificare la distinzione linguaggio-lalingua e Altro-Uno - e per di più di collocare questa differenza in un tempo cronologico che ci farebbe ipotizzare la lalingua-Uno come l’originario, quel che è presente all’inizio della vita, e il linguaggio-Altro come quel che sopraggiunge in un tempo secondo, come a simbolizzare il primo, ad elevare il primo.

Proseguendo su questa linea si rischia di cadere in un altro grave errore, quello di ipotizzare lalingua-Uno coma uno stato, una condizione, nella quale la vita umana si trova all’inizio, stato e condizione dalla quale è necessario uscire, uscita che prende il nome di linguaggio-Altro. Questo errore ne determina subito un altro – del resto l’unico modo di rimediare ad un errore è commetterne un altro. Quest’altro errore consiste nell’intendere lalingua-Uno come l’indifferenziato, il caos primordiale, su cui istituire la differenza, il differenziato, cioè il linguaggio-Altro.

In lacanese questo errore si afferma così: c’è lo sciame della lalingua-Uno, stato indifferenziato e caotico, sul quale di edificano – ecco il moralismo – le differenze del linguaggio-Altro.

Per evitare questi errori sono necessari alcuni rimaneggiamenti della distinzione posta poco fa tra lalingua-Uno e il linguaggio-Altro. Non è possibile qui entrare nei dettagli di questi rimaneggiamenti ma solo accennarli.

Prima di farlo ricapitoliamo il passaggio in questione – nel ricapitolare metteremo l’accento su un aspetto trascurato in precedenza, cioè quando abbiamo posto la differenza lalingua-linguaggio.

Il linguaggio è dell’ordine dell’Altro, cioè della struttura di rinvio, e in quanto Altro incide l’essere vivente, in quanto Altro lo alterizza, ossia lo produce come soggetto altro da sé, diviso, e avente a che fare con un godimento interdetto – che appunto è nell’Altro ed è dell’Altro. Nel mettere a fuoco l’altro statuto del linguaggio Lacan mette in evidenza il suo statuto di Uno, statuto che non è uno statuto (ecco quello che abbiamo trascurato prima), cioè che non è che un un’incidenza, una marchiatura, un colpo, un urto, non consiste che in questo un, non consiste in sostanza che in una marchiatura costantemente in atto – è «stabitat [lalingua] ad infliggere un colpo di reale a labitante»5.

Il linguaggio in quanto Altro, cioè struttura di rinvio, è quel che causa quell’essere vivente che chiamiamo umano. Tale linguaggio si rovescia e diventa lalingua, la quale, in quanto Uno – cioè accadere, pura incidenza – diventa quel che causa quell’essere vivente che chiamiamo umano. Si passa così dal primato dell’Altro, è l’Altro la causa attorno a cui tutto si dispiega e determina, al primato dell’Uno, è l’Uno – quel che Lacan chiama c’è dell’Uno – a essere la causa. Con ogni evidenza lalingua non va intesa come caos, come uno stato primordiale, ma come l’atto, l’incidenza, l’accadere, del significante. Lalingua è il rovescio del linguaggio, è il linguaggio preso nella sua pura incidenza, da cui l’articolazione che è il linguaggio è ora da intendersi come risposta e interpretazione dell’incidenza che sempre lo fonda – lo fonda in quanto è il suo accadere.

 

Rimaneggiamenti su lalingua

Priviamo ad entrare adesso nei rimaneggiamenti della differenza posta qui sopra.

Primo rimaneggiamento.

Manteniamo valida l’ipotesi che lalingua ha certe caratteristiche – sciame – e che proprio per ciò marchia, altera, urta, l’essere vivente, l’organismo. Tale marchiatura, tale urto dell’organismo, è il godimento6.

Questa marchiatura da un lato si ripete come tale, identica a se stessa (nella vita di ciascuno), dall’altro lato istituisce l’Altro, il linguaggio (dunque il soggetto e il godimento interdetto). L’accento della riflessione va dunque posto sul fatto che lalingua-Uno non è uno stato in cui ci si trova all’origine della vita, ma una marchiatura dell’organismo costantemente in atto nella vita. Questa marchiatura, da un verso, ripetendosi come tale, fa il godimento, dall’altro verso, istituisce il linguaggio – nel quale essendone il fondamento non può non essere presente, ma proprio perché ne è il fondamento non può non essere presente che come mancanza e eccesso.

Breve schema riassuntivo:

1) lalingua incide/marchia l'essere vivente 1a) da un lato c'è la reiterazione di questa incidenza/marchiatura (godimento Uno) 1b) dall'altro c'è istituzione dell'Altro da parte di questa incidenza/marchiatura (soggetto e godimento interdetto).

 

Secondo rimaneggiamento.

Mettere l’accento sull’incidenza della lalingua sul vivente comporta liberarsi dell’ipotesi che lalingua sia qualcosa che ha certe caratteristiche e che a causa di queste incidendo il vivente produce godimento. Mettere l’accento sull’incidenza, sulla marchiatura, che a nostro avviso è il modo per non ipostatizzare e cosificare la differenza lalingua-Uno/linguaggio-Altro, comporta arrivare ad un’ipotesi: c’è l’incidenza del linguaggio sull’essere vivente, tale incidenza è lalingua, e il farsi corpo di tale incidenza, di tale marchiatura, è il godimento.

Questo rimaneggiamento comporta subito una variazione, che sta nell’ardita ipotesi di sbarazzarsi del presupposto del linguaggio: c’è marchiatura dell’essere vivente, tale marchiatura è lalingua, il farsi corpo di tale marchiatura è il godimento.

A questa ipotesi consegue una considerazione analoga a quella precedente. Tale marchiatura, che a questo punto possiamo chiamare c’è dell’Uno, da un lato si reitera come tale, identica a se stessa, dando corpo al godimento, dall’altro istituisce il funzionamento del linguaggio (Altro) e dunque il dispiegamento in esso del soggetto e del godimento interdetto.

Bisogna precisare che solo in questo Altro, dunque nel rapporto del soggetto con l’Altro, la marchiatura che è lalingua, si fa sciame, ammasso sparso di elementi e ripetizione degli stessi. Detto altrimenti, lalingua che non è che marchiatura, istituisce il linguaggio e in questo è presente – non può non essere presente – come sciame, come bubbone (ha insomma delle caratteristiche, delle proprietà). Per questo Lacan nel Seminario XX può dire che lo sciame è il significante padrone: «l’S1, lo sciame, significante-padrone, è quello che assicura l’unità, l’unità della copulazione del soggetto con il sapere»7. Non entriamo nei dettagli, ma affermare che lo sciame è il significante padrone ha tutta l’aria di un controsenso. Il Significante padrone è sempre stato per Lacan un significante particolare, d’eccezione, che in quanto tale disturba e orienta il funzionamento significante. Affermare che l’ammasso sparso di elementi che è lo sciame è significante padrone indica l’avvento di un cambiamento radicale nell’insegnamento di Lacan. A nostro avviso il cambiamento radicale consiste in quello che abbiamo cercato di articolare sino ad ora, cioè nell’aver posto la marchiatura che è lalingua a fondamento del linguaggio e dunque la ripetizione di questa marchiatura in quel che ha fondato come sciame, ripetizione incessante di elementi non articolati, ma che appunto, essendo fondamento può essere indicata come significante padrone, come ciò che fonda e orienta la catena significante. Certamente questo significante padrone fatto come uno sciame è qualcosa di diverso dal significante padrone fatto come eccezione – questo nuovo significante padrone è chiaramente avvertito della causa che lo determina (cioè marchiatura della lalingua), ben diversa da quella che determinava il significante padrone come eccezione (cioè l’alterizzazione operata dal linguaggio).

Dunque lalingua in sé è solo marchiatura, mentre lalingua nell’Altro è sciame – non tener conto di tale differenza comporta lo schiacciamento della lalingua allo stato dell’indifferenziato.

Cosa analoga andrebbe detta per il godimento. Il godimento in sé è farsi corpo della marchiatura. Il godimento nell’Altro è eccedenza e perdita (dissipazione, entropia).

Breve schema riassuntivo:

1) c'è dell'Uno, cioè marchiatura del vivente (cioè lalingua) e farsi corpo della marchiatura (cioè godimento in sé, godimento Uno,

1a) da un lato c'è reiterazione di questo c'è dell'Uno,

1b) dall'altro questo c'è dell'Uno istituisce l'Altro, dunque il soggetto e il godimento interdetto-eccedente (in questo Altro il c'è dell'Uno, che è quello che lo fonda (non dimentichiamolo) è presente come ripetizione e come sciame.

 

Terzo rimaneggiamento.

Mentre il secondo rimaneggiamento è in forte discontinuità con il primo, il terzo è una piega interna al secondo (che come visto ha già una piega in sé).

Si tratta di portare alle estreme conseguenze l’ipotesi c’è dell’Uno e dunque affermare che c’è marchiatura, incidenza, urto, colpo, e il prendere consistenza di ciò, si declina, da un lato come lalingua, brusio incessante che percuote l’essere vivente, dall’altro lato come godimento Uno, cioè spasmo del corpo, alterazione del corpo, fremito del corpo.

Breve schema riassuntivo:

  1. marchiatura in sé, incidenza in sé, taglio in sé (in sé vuol dire “non è che ciò”) = c’è dell’Uno;

  2. Come è fatto tutto ciò si chiede Lacan? (ossia che consistenza possiamo ipotizzare e riscontrare di questo c'è dell'Uno?);

  3. Due risposte: 1) lalingua come brusio, fracasso, sciame, 2) il godimento come fremito del corpo, alterazione permanente del corpo.

 

 

Secondo rovescio: il godimento Uno

Il rovescio che lalingua è, determina (anzi come visto per molti versi è) il rovescio del godimento – un cambiamento radicale nella concezione del godimento e nel modo di maneggiarlo. Cerchiamo ora di riassumere e puntualizzare questo intreccio di rovesci.

Primo punto.

Il godimento non è più inteso come insistenza di una perdita, perdita che si fa eccesso, non è più inteso come spinta, movimento impossibile da soddisfare e che pertanto si ripete, «perdita da cui il più-di-godere prende corpo»8.

Se Lacan fosse rimasto all’interno di questo paradigma non sarebbe mai arrivato all’affermazione che stiamo analizzando, cioè “il sintomo è il modo in cui ciascuno gode dell’inconscio che lo determina”.

Rimanendo in questo paradigma Lacan si sarebbe fermato a un’altra affermazione, di qualche anno precedente: «il sintomo è il modo in cui ciascuno soffre nel suo rapporto con il godimento, intanto che vi si innesta solo tramite la funzione del più-di-godere»9.

Sarebbe interessante sviluppare un confronto tra le due affermazioni ma la cosa ci porterebbe molto lontano.

Torniamo al godimento. Il godimento a rovescio, il godimento in sé e non il godimento interdetto, è marchiatura, frattura, distorsione, urto, alterazione, che sta sempre accadendo e che non consiste che in questo accadere, e pertanto non è che la sua ripetizione – pertanto non ha che da ripetersi.

Secondo punto.

Il godimento non è più un prodotto del significante che eccede e disturba ciò che lo ha prodotto, ossia il significante – non è ciò, in primis e fondamentalmente. Come abbiamo visto il godimento in sé, il godimento Uno, non è questa eccedenza del significante e, posto che non è ciò, può essere inteso in modi sensibilmente diversi, ma di fatto al fondo quel che a questo punto diventa è: una costante alterazione del corpo (il godimento è una costante alterazione del corpo, o come visto, una costante alterazione che si fa corpo, prende corpo).

Terzo punto.

La nuova concezione dell’incidenza del linguaggio modifica la concezione del godimento, da spinta che non può essere soddisfatta in quanto interdetta, a marchiatura in atto e alterazione costante del corpo. Inoltre nella nuova concezione dell’incidenza del linguaggio il godimento è omologo a questa e cessa di essere un’eccedenza nel funzionamento del linguaggio.

Quarto punto.

In questo modo Lacan arriva a intendere il godimento non più a partire dal rapporto che il soggetto ha con il godimento ma a partire dal rapporto che il godimento ha con se stesso.

Quinto punto.

Il godimento in sé viene sempre più inteso come godimento del corpo. In primis come spaccatura, alterazione, marchiatura del corpo, fremito del corpo, poi come spaccatura, taglio, marchiatura che si fa corpo. Il primo è un corpo attraversato dal godimento, il secondo è un corpo che si gode, che è questo “si gode”.

Terzo rovescio: l’inconscio

Il terzo rovescio è relativo all’inconscio. Nel Seminario XI e in Posizione dell’inconscio Lacan afferma che l’inconscio è «taglio in atto»10. Così facendo annuncia il passaggio, il rovescio, che andrà compiendosi solo nei successivi Seminari – compimento che come ogni rovescio si porta dietro, in qualche modo, in qualche modo che però in Lacan non è mai dialettico, il suo dritto. Il rovescio consiste in questo: dall’inconscio come catena significante implicante il taglio all’inconscio come taglio in sé.

Se abbiamo visto, se pur in modo riduttivo, cosa significa che l’inconscio è una catena significante che implica il taglio, dobbiamo ora cercare di intendere in qualche modo questo rovescio, l’inconscio è taglio, e non è taglio in qualcosa e/o di qualcosa ma taglio in sé. Si tratta di un passaggio delicato, occorre definire la cornice nella quale avviene.

Nel Seminario XI Lacan interroga nuovamente lo statuto dell’inconscio mettendo al centro l’idea, assolutamente freudiana, che l’inconscio è la causa. Del resto è quello che abbiamo detto fino ad ora: la catena significante, l’Altro, incide il vivente, e nel far ciò si istituisce come luogo di produzione del soggetto diviso e del godimento interdetto. In questo Seminario, ragionando proprio su questo snodo Lacan dice «l’inconscio è ben altro, e vorrei cercare di farvelo cogliere»11. A questo, punto per fare intendere che l’inconscio è ben altro dall’incidenza della catena significante, Lacan compie due operazioni.

La prima consiste nell’elevare la discontinuità a causa, e di conseguenza nel fare della discontinuità-causa l’inconscio.

Non abbiamo più a che fare solamente con la causa del significante, con “la causa è il significante”, il quale è operativo, cioè è causa, solo attraverso la discontinuità. Non abbiamo più solo a che fare con il modo di essere causa del significante, modo che comporta una discontinuità, una sproporzione, tra il suo essere causa e l’effetto, ma con un cambiamento sottile e al contempo radicale. Il cambiamento consiste nell’elevare la discontinuità a causa, fare della discontinuità stessa la causa e non solo il modo in cui la causa del significante, il suo funzionamento, opera.

La discontinuità come modo della causa significante è il come di un funzionamento, dunque rimanda e rilancia un funzionamento in corso. Diversamente, la discontinuità come causa è semplicemente frattura, taglio, non rimanda ad alcun funzionamento, ad alcuna trama significante, non rinvia ad altro, ma è solo e tutta in quell’essere discontinuità.

A questo punto ritengo che qui vada dato il massimo peso a questo passaggio – arriviamo così alla seconda operazione - di Lacan: «Non c’è fort senza da e, se così possiamo dire, senza Dasein. Ma, per l’appunto, contrariamente a quanto tutta la fenomenologia della Daseinanalyse tenta di cogliere come il fondamento radicale dell’esistenza, non c’è Dasein con il fort»12.

A livello del fort non c’è nessun da. Lacan dopo aver affermato per anni l’impossibilità del fort senza da, l’originaria correlazione del fort-da, cioè dell’Altro, afferma qui il fort senza da, ossia il c’è dell’Uno Uno, cioè fort, senza Altro, cioè senza fort-da. Non a caso Lacan afferma che l’analisi spinge l’analizzante a uscire dal Dasein: «quello che gli chiedete è proprio di lasciare la posizione che ho appena qualificato come Dasein e che è semplicemente quella di cui si accontenta. Se ne accontenta appunto lamentandosi»13.

Ritroviamo qui il rovescio a cui abbiamo già fatto riferimento, dal primato dell’Altro, della sua ineliminabilità e insuperabilità, al primato dell’Uno, del suo sempre in atto, del suo non essere che questo atto. Il taglio in sé, la discontinuità come causa, è fort senza da, frattura, taglio, che non è che frattura e taglio, fort, e non taglio e frattura di qualcosa e per qualcosa, da. La causa è taglio che non rimanda a nient’altro, che non si rapporta ad altro, è taglio in sé – dunque è dell’ordine dell’Uno. Da qui si può dire che l’inconscio come taglio in sé è dell’ordine dell’Uno e non più dell’Altro.

Lacan mette in questo modo le fondamenta della sua ultima versione dell’inconscio, quella a cui dedicherà gli ultimi anni del suo insegnamento, battezzata da Miller inconscio reale14.

In un precedente articolo apparso in questa stessa rubrica abbiamo problematizzato la possibilità di sovrapporre inconscio e reale – si può certo parlare di un inconscio reale, ma reale e inconscio vanno al contempo distinti.

 

Conclusione della seconda parte

In questo incontro abbiamo cercato di mettere a fuoco alcuni rovesci presenti nell’insegnamento di Lacan che ci permetteranno nell’incontro successivo, che sarà l’ultimo sul godimento del sintomo, di entrare propriamente nel merito della nostra frase: il sintomo è il modo in cui ciascuno gode dell’inconscio che lo determina.

 

 

 

 

 

 

 

1A. Jorn, La creazione aperta e i suoi nemici, in Internazionale Situazionista 1958-69, Nautilus, Torino, 1994, p. 42.

2J. Lacan, Il sintomo, in “La Psicoanalisi” n. 2, Astrolabio, Roma, 1987, p. 22. Occorre precisare che Lacan nell’ultima parte del suo insegnamento parla spesso del linguaggio intendendolo come lalingua.

3 Id., Ouverture de la Section clinique, in “Ornicar?” n. 9, Navarin, Paris, 1977, p. 9.

4 Questo statuto del “significante” inteso come corpo sonoro, materialità dispersa, sempre in atto in ogni articolazione significante e sulla cui cancellazione ogni sistema significante si fonda, è, proprio per queste caratteristiche, dell’ordine dell’Uno e non dell’ordine dell’Altro.

5 Id., Lo stordito, in Altri Scritti, cit., p. 474.

6 Che vuol dire che l’incidenza del significante – significante ridotto a lalingua – sul vivente introduce e fa irrompere godimento? A questo livello del ragionamento vuol dire che il significante ridotto al mormorio che fa, ridotto a lalingua, non è che incisione, marchiatura, non è che l’accadere ripetuto di ciò come rovescio di ogni articolazione significante - e vuol dire che tale marchiatura del vivente, costantemente in atto, è il godimento (dunque la marchiatura della lalingua non tanto produce godimento, fa irrompere godimento, quanto la marchiatura della lalingua è godimento, la marchiatura in atto della lalingua è godimento in atto (e il godimento in atto è marchiatura in atto).

7 Id., Il Seminario. Libro XX. Ancora, Einaudi, Torino, 2011, p. 137.

8J. Lacan, Il Seminario. Libro XVII, cit., p. 153. Tutta la riflessione di Lacan sul plus-godere è interna al paradigma “godimento interdetto”. La cosa è ribadita da Lacan anche negli ultimi anni del suo insegnamento: «Ricavare dalla castrazione un godimento: è forse questo il plusgodere?» (Id., A proposito delle religioni e del reale, in “La Psicoanalisi” n. 58, Astrolabio, Roma, 2015, p. 15).

9 Id., Le Séminaire. Livre XVI. D’un Autre à l’autre, Seuil, Paris, 2006, p. 41 [traduzione nostra].

10 Id., Posizione dell'inconscio, in Scritti, vol. II, cit., p. 843.

11 Id., Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2003, p. 22.

12 Ivi, p. 234.

13 Id., La terza,  in "La Psicoanalisi” n. 12, Astrolabio, Roma, 1993, pp. 28-29.

14 Cfr. J.-A. Miller, L’inconscio reale, in “La Psicoanalisi” n 42, Astrolabio, Roma, 2007, pp. 112-172. 

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