Come iniziano le analisi

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Annalisa Piegallini "Libro 12. Per Il libro tibetano dei morti." (dettaglio) 2008

Per entrare in merito alla questione come iniziano le analisi partirò mettendo a confronto le due posizioni, quella di Freud e quella di Lacan, a partire da due testi. Quello di Freud del 1913, dal titolo Inizio del trattamento[1] che fa parte degli articoli sulla tecnica della psicoanalisi, e l’altro, di Lacan, che porta il titolo “Proposta del 9 ottobre 1967 intorno allo psicoanalista della Scuola”[2]. Si tratta quindi di un articolo scritto mezzo secolo dopo l’articolo di Freud.
Questa messa a confronto tra i due testi la propongo in sei punti.
Il primo riguarda il prerequisito, la conditio sine qua non, affinché un’analisi sia possibile. Il secondo punto riguarda ciò da cui prende inizio il processo analitico. Il terzo punto riguarda lo strumento che viene usato in psicoanalisi. Il quarto punto riguarda le regole da seguire affinché il funzionamento sia utilizzato correttamente. Il quinto punto concerne l’analizzante. Il sesto punto concerne l’analista.
Primo punto.
Qual è il prerequisito, la conditio sine qua non, affinché ci sia analisi? Abbiamo in Freud e in Lacan due risposte, apparentemente uguali, ma che in realtà sono molto diverse. La conditio sine qua non di Freud può essere riassunta nell’affermazione dell’esistenza dell’inconscio: l’analisi è possibile se l’inconscio esiste. La conditio sine qua non di Lacan è invece riassunta nell’aforisma l’inconscio è strutturato come un linguaggio: l’analisi è possibile solo se l’inconscio è strutturato come un linguaggio. La concezione di Freud sull’inconscio tende sempre a una concezione ontologica dell’inconscio, come se esso fosse la parte vera del soggetto. Per questo l’inconscio inteso in questo senso va sempre alla deriva verso lo junghismo. Al contrario la definizione di Lacan mette l’accento sull’articolazione logica del funzionamento dell’inconscio. L’inconscio non c’è già, ma è da venire. E l’analista non è il distaccato interprete delle formazioni dell’inconscio, ma l’elemento che lo completa e permette che si realizzi fino all’emergenza di un sapere non saputo.
Secondo punto.
Il secondo punto riguarda ciò da cui prende inizio il processo analitico. Il trattamento analitico prende inizio da ciò che Freud chiama transfert. In Freud il concetto di transfert implica la ripetizione di un rapporto anteriore, di quel rapporto cristallizzato nel cosiddetto complesso edipico, e il suo campo è quello della riattualizzazione di fenomeni affettivi. Lacan mostra che una tale concezione separa male il transfert dai fenomeni suggestivi, livellando il transfert analitico a livello di ogni forma immaginaria di rapporto transferale. Per Lacan il fulcro del transfert è il soggetto supposto sapere. C’è transfert non già se sorgono vari movimenti affettivi, ma se sorge, dall’incontro con l’altro incarnato dall’analista, una significazione che è la significazione dell’inconscio e che Lacan definisce soggetto supposto sapere. Il transfert quindi non va colto in relazione all’affettività, ma nel discorso dell’analizzante stesso. Ora tale significazione porta in sé, in riserva, il referente, che è il segreto del sapere inconscio e che è il godimento indicibile. E l’amore di transfert non è mera affettività che si rivolge al sapere, al sapere inconscio. E così, se l’inconscio è un sapere senza soggetto, il transfert è ciò che permette di supporre un soggetto al sapere inconscio.
Terzo punto.
Il terzo punto riguarda lo strumento che viene usato in psicoanalisi: la parola. Secondo Freud la psicoanalisi inizia e prende il volo solo se si usa della parola, ma con due condizioni apparentemente contraddittorie: la prima consiste nel fatto che l’uso della parola deve essere, diciamo così, in libera uscita. La seconda condizione è che il paziente non è libero in questo uso della parola libera. In altri termini il paziente ha la libera scelta del punto di partenza, ma non ha alcuna scelta nel prosieguo: egli è tenuto a osservare la regola fondamentale. Lacan non mette in questione la regola fondamentale, la cui formulazione condensa anzi la concezione che ogni analista si fa dell’analisi, ma non ritiene sufficiente affidarsi allo svolgimento di un meccanismo che si basa essenzialmente sulla tecnica. Lacan considera che non basta parlare, bisogna che il soggetto in domanda di analisi sappia ciò che parlar vuol dire. Per esempio, parlare vuol dire, innanzitutto, domandare. E domandare vuol dire che il soggetto è alla ricerca di un senso del proprio sintomo, senso che non può cercare che nell’Altro il quale, accogliendo la parola, la rinvia al soggetto, non già per rispondergli come un uditore qualsiasi, ma per interrogarlo nella sua implicazione soggettiva circa la verità del sintomo di cui si lagna e di cui ignora quel sostegno segreto che è il godimento, godimento a cui l’analista fa spazio fin dall’inizio come quel punto di fuga verso cui scivoleranno tutte le serie dei detti.
Quarto punto.
Il quarto punto riguarda le regole da seguire affinché il funzionamento sia utilizzato correttamente. Qui troviamo che tanto più Freud è prolifico di regole, consigli e imperativi che riguardano le varie possibilità della cura, nell’utilizzo del tempo, del denaro e del divano, tanto più Lacan è sobrio e laconico e riassume la riuscita del lavoro analitico nella condizione che egli pone a non mancare neppure un passaggio nell’articolazione logica che egli propone. Sottolineando nella cura la tecnica, Freud non può non incappare nella standardizzazione, standardizzazione che Lacan evita ponendo il trattamento analitico nel campo dell’etica.
Quinto punto.
Il quinto punto concerne l’analizzante.
Freud lo chiama il paziente. Già il termine indica la posizione passiva che gli assegna. Tale passività è prossima a una medicalizzazione della psicoanalisi: è l’analista che dovrà valutare la fondatezza dell’analizzabilità del paziente a partire dalla diagnosi e più in generale dall’esame della personalità. Inoltre tale passività è esercitata nel trattamento stesso poiché l’interpretazione è concepita come una donazione di senso senza resto nel quale il sintomo si scioglie. Freud fa del paziente l’oggetto del suo testo, non ne fa mai l’interlocutore, e riserva il testo agli analisti e agli specialisti. Lacan lo chiama invece analizzante, conferendogli un ruolo attivo. Questo ruolo attivo è sensibile all’inizio dell’instaurazione del transfert e nel lavoro della cura. Egli è l’unico soggetto, come dice Lacan nella prima versione della “Proposta del 9 ottobre”[3], con la preghiera di non dimenticarlo.
Sesto punto.
Il sesto punto concerne lo psicoanalista.
Per Freud è l’operatore nella cura e l’interlocutore del suo testo, colui a cui il testo si indirizza. Notiamo invece che il testo di Lacan è un testo programmatico: esso si indirizza a chiunque, chiunque voglia sapere che cosa Lacan intende per “psicoanalista”. Per questo, mentre il testo di Freud offre allo specialista i consigli tecnici per il trattamento, indicando come fare per ben iniziare e per ben continuare, il testo di Lacan invece dà le coordinate essenziali affinché ciò che si chiama un’analisi sia un’analisi. Non conforta quindi il lettore che si immagina analista, ma lo interroga invece sulla distanza che intercorre tra il punto in cui egli si pensa analista e il posto in cui la struttura dell’inconscio esige che egli sia per ricoprire la funzione di analista. Lacan richiede dunque a colui che fa funzione di analista un’implicazione che va ben al di là del rapporto immaginario con l’analizzante, che non si riduce a un saperci fare, ma che lo interroga nel suo stesso essere. Così è compito dell’analista di permettere, tramite il significante qualunque, la nascita della significazione dell’inconscio che è il soggetto supposto sapere, di saperne conservare il valore di costituente ternario che il soggetto supposto sapere occupa tra lui e l’analizzante, di saperne sopportare la funzione senza prendersi per l’agalma che non è, e tramite la funzione del desiderio dell’analista orientare la cura affinché si articoli in catene di lettere finché il non saputo si ordina come il quadro del sapere.

NDR: testo è pubblicato in *Come iniziano le analisi*, Volume per uso interno alla Scuola Europea di Psicoanalisi, 1995, pp. 18-22



[1] S. Freud, Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino, pp. 333-352.
[2] In Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013, pp. 241-256.
[3] In Altri scritti, tra gli allegati, cit. pp. 569-584.

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