In che modo Freud inizia una cura psicoanalitica?[1] Per saperlo possiamo far ricorso o ai suoi casi clinici o all’apparato teorico che egli elabora. In Appunti[2] ho cercato di indicare qualche traccia di come Freud operasse negli inizi di una cura, facendo riferimento a qualcuno dei suoi casi clinici.[3]
Nel presente testo prenderò spunto dal suo articolo Inizio del trattamento[4] per sottolineare alcuni aspetti e problematiche dell’inizio della cura secondo Freud.
In Freud le questioni riguardanti l’inizio del trattamento si collocano in una visione d’insieme di tecnica della psicoanalisi. E’ questo il titolo di un trattato, iniziato nel 1908 e abbandonato nel 1910 a metà stesura, a uso di chi pratica la psicoanalisi.
Freud riprenderà presto la questione programmando una dozzina di testi su problemi particolari di tecnica psicoanalitica, ma, a causa di difficoltà, personali, di ordine tecnico e dell’approccio stesso della materia, scriverà solo sei saggi, scritti tra il 1911 e il 1914, tra cui il testo Inizio del trattamento.
All’origine il testo era diviso in tre capitoletti, successivamente soppressi: “Inizio del trattamento” (fino a p. 348), “Il problema delle prime comunicazioni” (pp. 348-351) e “Dinamica della guarigione” (da p. 351 alla fine).
Nella parte “Inizio del trattamento” dopo una prolusione con il riferimento al gioco degli scacchi[5], Freud tenta di raggruppare “alcune” regole per l’avviamento della cura. Tali regole riguardano la selezione dei malati, a proposito di cui fa riferimento al testo del 1904 Psicoterapia, il periodo di prova, a cui accorda soprattutto un valore diagnostico, le situazioni sfavorevoli che l’analista può incontrare e la questione della posizione soggettiva del paziente rispetto alla fiducia nel trattamento analitico. I temi tempo, denaro e divano sono presi in esame come condizioni d’inizio cura. Il problema del materiale da portare in analisi e la prescrizione della regola fondamentale concludono infine questa prima parte.
Nella seconda parte, circa il problema delle prime comunicazioni, Freud si chiede quando interpretare e in che modo l’interpretazione si situi rispetto al transfert.
Nelle due paginette che compongono la terza parte e che riguardano la dinamica della guarigione è questione della forza motrice dell’analisi, del desiderio di guarire motivato dalla sofferenza.
Questo testo ci invita a qualche ripresa e a qualche puntualizzazione.
In primo luogo troviamo che in esso Freud ci indica in che modo egli si serve dell’apparato analitico, ma non ci dice in che modo esso funzioni. Non è la stessa cosa rispondere alla questione: come funziona la macchina logica dell’inconscio? O alla questione: come posso farla funzionare? Quest’ultima questione si riassume in un problema di tecnica, l’altra richiede di saperne sulla causa rinviando così al campo dell’etica.
Certo quest’orizzonte non è assente in Freud. Questo spiega l’ambivalenza che egli ha a ricorrere a espedienti tecnici pur limitandone la portata, rendendoli contingenti. Così da un lato Freud mette in piedi una standardizzazione che verrà poi resa dogma incondizionato, e dall’altra parte si ripete in messe in guardia contro la “standardizzazione della tecnica” per mettere in risalto il particolare proprio dell’analizzante o dell’analista.
Ora noi leggiamo gli imperativi posti da Freud circa alcuni aspetti della cura, per esempio, la ineludibilità della regola fondamentale, l’obbligatorietà del pagamento e il necessario impiego del tempo, non già come un incitamento alla standardizzazione, ma come una sottolineatura del legame tra funzionamento della cura e questione etica.
E’ a causa di questa non localizzazione dell’etica dell’analisi rispetto alla tecnica che il testo di Freud abbonda nell’enumerazione delle condizioni della cura e si limita a brevi cenni per quanto riguarda aspetti veramente centrali, come, ad esempio, la questione del sapere nel trattamento analitico.
Inoltre le condizioni della cura non sono scevre da aspetti immaginari, si pensi al noleggio del tempo, giustificato con la necessaria sussistenza materiale dell’analista, o all’uso del divano, che serve sì a isolare il transfert, ma anche a risparmiare all’analista spiacevoli faccia a faccia.
Tutte le condizioni della cura enumerate da Freud risentono dello stesso limite: il riferimento al simbolico, vero motivo che spinge Freud al loro esame, rimane occultato dal predominio dell’asse immaginario nella relazione analizzante-analista.
Un altro punto fondamentale riguarda il materiale che si porta in analisi. Con quale materiale si deve iniziare? Freud lascia al paziente l’arbitrio della scelta sul punto di partenza. Indifferente è ai fini dell’analisi il materiale apportato e indifferente è per l’analista da dove parte il discorso del paziente. Sola eccezione a questo lasciar parlare il paziente è la prescrizione della regola fondamentale, l’unica, dice Freud, che il paziente deve seguire. L’analisi è dunque, a dire di Freud, un “lasciar parlare” liberamente, nel quadro di un’unica eccezione, il tenersi alla regola fondamentale. Indicheremo piuttosto che la regola fondamentale resta sì un imperativo, ma non già in funzione del lasciar parlare, ma in funzione “di ciò che parlar vuol dire”[6]. Il lasciar parlare infatti non conduce alle stesse conseguenze, sia rispetto all’instaurazione dell’interlocutore, sia rispetto all’implicazione del soggetto nella propria parola, sia rispetto alla soggettivazione del sintomo, sia rispetto alla traversata del fantasma.
Prendiamo un altro aspetto: in che modo Freud affronta il problema delle prime comunicazioni. Quando si può iniziare a svelare all’analizzato “il significato recondito” dell’inconscio? Non prima che si sia instaurato un transfert efficace, risponde Freud. E quando il transfert è efficace? Quando esiste un regolato, forte rapporto con il medico (ordentlicher Rapport). A tal fine il primo scopo del trattamento è quello di legare (attachieren) il paziente alla cura e alla persona dell’analista. E per raggiungere un tal scopo l’analista ha un mezzo efficace: il tempo. Grazie al fattore tempo, l’analizzante inserirà l’analista “fra le imagines di quelle persone dalle quali è abituato a ricevere del bene”.
Se questo è lo scopo primario dell’analisi è chiaro che l’analista deve riservarsi dal rivelare la traduzione dei sintomi. Anche quando fosse vera. Tale traduzione renderebbe la resistenza tanto più violenta quanto più esatta. E quindi Freud oppone la strada dello svelamento del valore del sintomo alla strada dello svelamento del valore del transfert. La soluzione del sintomo o la traduzione di un desiderio deve avvenire senza mettere a repentaglio il legame transferale, tenendo conto che ogni comunicazione prematura provoca una fine prematura della cura. Bisogna interpretare solo quando il transfert si fa resistenza, ma evitando che la resistenza diventi impedimento al proseguimento del transfert.
Abbiamo qui un doppio problema: il primo riguarda il transfert e il secondo l’intervento dell’analista. Per quanto riguarda l’intervento dell’analista, Lacan con Freud, mantiene che l’interpretazione, che è l’interpretazione del sintomo, debba essere effettuata solo dopo il transfert. E tuttavia indica un altro modo di intervento dell’analista, che chiama rettifica dei rapporti del soggetto con il reale, che precede l’instaurazione del transfert e che potrebbe addirittura provocarlo. Mentre l’interpretazione, tramite l’equivoco, rivela la struttura di metafora del sintomo, la rettifica dei rapporti del soggetto con il reale mette a nudo la posizione equivoca che il soggetto ha rispetto al godimento di cui si lamenta.
Per quanto riguarda il transfert poi notiamo come Freud cerchi di districarsi tra una concezione del transfert che è contemporaneamente il primo ostacolo alla cura e il più poderoso mezzo al servizio di essa. L’accentuazione del transfert sul versante affettivo non fa che rinforzare il paradosso. La soluzione di Lacan è quella di legare il transfert al sapere dell’inconscio, di articolarlo con la presenza reale dell’analista e di subordinare l’affettivo al sapere inconscio.
Ritorniamo a Freud e vediamo in che modo egli cerchi di risolvere il paradosso rispetto al sapere. Infatti se la psicoanalisi è lo svelamento della verità del sintomo del soggetto, perché è proprio questo svelamento che si oppone all’analisi? Che ruolo gioca in tutto questo il sapere? La brevissima disgressione che fa Freud a proposito “sul significato del sapere e sul meccanismo della guarigione in psicoanalisi” accentua lo strano comportamento dei malati “che sanno conciliare un sapere cosciente con un non sapere” (bewusstes Wissen mit dem Nichtwissen) che, se è inspiegabile per la psicologia normale, non lo è più, dice Freud, per la psicoanalisi. E perché? Per il fatto che la psicoanalisi ammette l’esistenza dell’inconscio. Per i malati è come se sapessero, nel conscio, di un elemento rimosso inconscio, ma manca loro il collegamento tra il conscio e “il punto in cui il ricordo rimosso è in certo qual modo contenuto”.
Ora, dal contesto offerto dall’esempio che Freud dà a tale proposito si evince che c’è continuità tra il sapere e il non-sapere, in altri termini che il non-sapere si definisce come ciò che non è ancora arrivato a essere saputo. Una tale concezione del non-sapere avvalora la lettura postfreudiana del Wo Es war soll Ich werden, malgrado che il riferimento di Freud a “una differenziazione topica” possa essere letta come preludio a una lettura topologica. Così tutto, secondo questo testo di Freud, può essere dell’ordine del sapere e non c’è un non-sapere che, radicalmente, resta tale.
[1] In Come iniziano le analisi, Volume per uso interno alla Scuola Europea di Psicoanalisi, 1995.
[2] Rivista della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano, https://www.slp-cf.it/appunti/
[3] “Freud e i suoi casi”, in Appunti anno 3, n°17, febbraio 1994.
[4] S. Freud, Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino, pp. 333-352.
[5] Vedi il testo di Aldo Tricarico, in Come iniziano le analisi, cit.
[6] J. Lacan, “Varianti della cura-tipo”, in Scritti, Einaudi, Torino, p. 324.