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PEDERASTIA ANTICA, PEDOFILIA MODERNA Un’ipotesi

8 Nov 18

Di Sergio-Benvenuto
Negli ultimi anni sono enormemente cresciute, nell’opinione pubblica del mondo industrializzato, angoscia e avversione nei confronti dei pedofili. A questo orrore crescente risponde peraltro – anche se in modo timido – un’area culturale pro-pedofila[1], che sbandiera l’amore per gli infanti come un diritto civile da riconoscere. In questo contesto passionale, ho potuto constatare quanto sia difficile proporre analisi storiografiche o cliniche distaccate, che cerchino di capire e non solo di giudicare, nella tradizione dell’Illuminismo: queste analisi spassionate tendono a essere interpretate come tentativi di portare acqua al mulino dei pedofili. In questo clima di caccia all’untore, confesso di aver quasi paura a rendere pubblica questa mia ipotesi.
Non è dimostrato che in questi anni i pedofili siano aumentati rispetto al passato – quel che è certo è che oggi la pedofilia è meno tollerata che nel passato. Non era così fino a pochi decenni fa. Mi permetto una testimonianza personale, di quando, a 15 e 16 anni, negli anni ’60 passai due anni come studente in una scuola di barnabiti a Napoli. All’epoca, noi ragazzi (era scuola solo maschile) sapevamo chi erano i monaci pedofili o comunque semplicemente frotteurs (dediti alla manomorta). Evidentemente lo sapevano anche i nostri genitori. Del resto, adulti che avevano frequentato l’ambiente ecclesiastico ci dicevano che c’erano vari preti pedofili. Eppure la cosa all’epoca non creava le reazioni che la cosa scatena oggi, si dava la presenza di preti pedofili quasi come un fatto di natura, come una “prova” che i ragazzi, soprattutto maschi, dovevano superare, magari per diventare più presto “uomini”.
Del resto, quando alla fine dell’Ottocento nacque la sessuologia medica, diciamo scientifica (Krafft-Ebing, Havelock Ellis, Binet, e altri), la pedofilia veniva classificata certo tra le perversioni, ma non era considerata particolarmente grave o disastrosa. Molto più grave era considerata l’omosessualità. Oggi, evidentemente, le valutazioni si sono capovolte.
Oggi le scorribande di Pasolini a caccia di ragazzi minorenni delle periferie urbane non sarebbero più guardate con indulgenza da parte di una fetta dell’opinione pubblica, nemmeno dai suoi ammiratori. La pedofilia non è tollerata nemmeno dalla malavita: nelle carceri americane chi è stato incarcerato per pedofilia viene sistematicamente fatto fuori dagli altri detenuti – ragion per cui, in Italia e altrove, i pedofili sono isolati dagli altri prigionieri. Inoltre, criminalizziamo non solo l’atto, ma ormai il desiderio pedofilo stesso; per cui, ad esempio, vengono perseguiti anche coloro che si limitano a contemplare le foto di bambini nudi. Quella pedofila è l’unica pornografia oggi legalmente perseguita.
          Da notare che questo rigetto della pedofilia si è radicalizzato in un’epoca in cui gran parte delle cosiddette perversioni – o parafilie, come oggi la diagnostica ufficiale detta – sono state sdoganate. Il nostro moderno sistema etico-giuridico occidentale non giudica più un atto sessuale in quanto tale, lo sanziona solo se avviene esercitando violenza sull’altro: qualunque congiunzione carnale è lecita, purché l’altro adulto acconsenta. Questo principio non si applica alla pedofilia: anche se un bambino di fatto acconsentisse a giochi sessuali con l’adulto, comunque l’atto pedofilo viene condannato eticamente e penalmente. Per la sessualità con minorenni non vale il nostro criterio fondamentale (e Dio sa quanto ambiguo) del consenso dei partecipanti[2]. Quindi la pedofilia, assieme al sadismo agito, è la sola parafilia oggi considerata veramente perversa.
 

 
1  Pedofilie incommensurabili
 
         Dato questo clima, gli storici – in particolare antichisti – spesso respingono, talvolta con indignazione, il paragone che alcuni avanzano tra la pedofilia di oggi e la pederastia nel mondo antico, in particolare in Grecia. Dicono: all’epoca la pederastia era integrata nella cultura della polis come una vera e propria istituzione sociale. E poi oggetto d’amore erano gli adolescenti, quindi già maturi sessualmente. Si cita Strabone (Geografia, 10.21.4). Questi racconta che la pedofilia era un’istituzione a Creta: qui gli uomini adulti usavano rapire gli adolescenti di cui erano innamorati e li conducevano con sé fuori città per due mesi. In questo periodo intrattenevano con i ragazzi rapporti minutamente regolati dalla legge consuetudinaria. Oggi invece il pedofilo è un criminale e/o un malato circondato dal disprezzo generale. Insomma, non si possono identificare – ripetono questi storiografi – pratiche che si svolgono in contesti culturali del tutto diversi. E questo sulla base di un presupposto “relativista”: le pratiche erotiche nelle diverse culture ed epoche sono, tra loro, incommensurabili[3].
Si prenda l’omosessualità. Si fa notare che il concetto stesso è un prodotto dell’etica cristiana, nella misura in cui essa ha sempre condannato qualsiasi rapporto tra persone dello stesso sesso. Oggi stipiamo nella categoria unica omosessuali o gay e lesbiche tutti gli adulti che hanno desideri e relazioni sessuali con persone adulte del proprio stesso sesso; se invece uno dei partner non è maggiorenne, allora cadono nella categoria pedofilia. (E’ tollerato oggi invece il sesso tra bambini, che non desta molte preoccupazioni. E ci dovremmo chiedere perché.). Questa categorizzazione non distingue fondamentalmente i gay maschi dalle lesbiche ad esempio – anche se l’omosessualità maschile e quella femminile risultano tanto diverse da molti punti di vista. Ma non è detto che questa nostra classificazione sia più adeguata e pertinente di altre lontane da noi nello spazio o nel tempo.
Si fa notare che nel mondo antico non esisteva il concetto di omosessualità per la semplice ragione che quel che contava, all’epoca, era essere sessualmente attivi o passivi[4]. L’uomo degno di rispetto doveva essere comunque attivo: non importa se penetrasse una donna o un altro uomo[5]. Invece gli uomini passivi – chiamati malakoí dai greci e molles dai latini – erano spregiati come effeminati. Questo perché per gli Antichi la posizione nel coito illustrava anche una posizione politica tra superiore e inferiore: chi penetra domina, chi è penetrato è dominato. La società antica era molto maschilista; e quella greca classica ancor più di quella latina.
         Ma se c’è incommensurabilità tra omosessualità e pedofilie di varie epoche, allora ci sarà anche per qualsiasi altra forma di relazione sessuale, comprese quelle eterosessuali. Anche l’eterosessualità dei greci antichi era molto diversa dalla nostra, se non altro perché erano del tutto diversi dai nostri immagine e ruolo della donna. Ma l’incommensurabilità tra pratiche in epoche diverse non implica ipso facto impossibilità di paragonarle. Due grandezze matematicamente incommensurabili – ad esempio, la lunghezza di un lato e quella della diagonale di un quadrato – sono paragonabili e come. Certo la pedofilia di oggi è molto diversa dalla pederastia dell’antica Atene – come tutto era diverso – ma nulla ci vieta di metterle in relazione proprio per trovare una “rappresentazione perspicua”[6]. Anzi, il paragonarle può ispirarci ricostruzioni verosimili delle cause o ragioni della pedofilia contemporanea: non perché quella di oggi sia identica a quella antica, ma proprio nella misura in cui ne differisce. Capire una pratica non significa necessariamente riportarla a un universale – nella quale quella pratica è risucchiata come un semplice caso particolare – ma situarla attraverso le variazioni rispetto a ciò a cui è simile. La differenza è rilevante per capire qualcosa, nella misura in cui essa gioca su uno sfondo che abbiamo deciso di considerare (provvisoriamente) omogeneo.
 
2.  Amante e amato
 
Finché, nel fiore dell’età, desiderando i ragazzi,
si brama la dolcezza delle cosce e delle labbra.
           Solone[7]
 
Nella Grecia antica, l’erastés (amante) era un uomo maturo di un alto ceto sociale attratto – di solito prima di sposarsi – da giovanetti liberi, anch’essi per lo più di buona famiglia. La pederastia antica non era interclassista, diremmo oggi. L’erastés corteggiava un ragazzo e, se aveva successo, lo legava a sé. Il ragazzo, paíseroménos, amasio – aveva sempre fra i dodici e i diciassette anni. Sedici anni era considerato “l’anno divino”, vertice irripetibile della desiderabilità giovanile. Dopo i diciassette anni, ai ragazzi greci spuntava la barba, e quindi cessavano di essere concupiti. Con la prima peluria dell’eroménos, “l’erastés si libera della tirannia di eros”[8]. Così Strattone minaccia un giovanetto ritroso che non gli si concede:
 
Sì, ti verrà quella barba ch’è l’ultimo, il sommo dei mali,
saprai allora cos’è la scarsità di amici[9].
 
Oltre i vent’anni tutti i giovani diventano brutti: i loro fianchi diventano larghi e maschili, le gote ruvide e le cosce si coprono di peli[10]. Il pederasta apprezza altamente il deretano (pyga) dei ragazzi, mentre ha orrore dei peli. Il modello di desiderabilità è un sedicenne con un sedere piccolo rassodato dall’abitudine agli esercizi ginnici, un pene piccolo e flaccido (l’erezione dell’eroménos non è apprezzata) e nessuna peluria. Se con i primi peli i ragazzi escono “dalla tempesta e dalla tormenta degli amori maschili”, comunque
 
…poco dopo rientrano in quella tempesta, e in un modo nuovo: invece di essere spiati, nudi, nella palestra, si troveranno loro stessi a girare intorno ad altri ragazzi, negli stessi luoghi, fiutando la preda. Da erómenoi divenuti erastaí, scoprono finalmente, come amanti, che cosa vuol dire essere posseduti dall’amore. (Calasso 1988, p. 105)
 
I rapporti omosessuali che proseguivano oltre i diciotto anni certo esistevano, ma venivano ricordati appunto come straordinari. Ad esempio, Euripide amò tutta la vita, fino a settantadue anni, Agatone più giovane di lui di 32 anni, fino a quando questi ebbe quarant’anni (Levêque 1954; Buffière 1980); la cosa, più che scandalosa, appariva inusuale. Si poteva anche essere erastés ed eroménos nello stesso momento, ma non era possibile essere l’uno e l’altro nei confronti della stessa persona[11]. L’amore pederastico non era mai reciproco né reversibile.
Gli storici hanno discusso a lungo fino a che punto la relazione tra l’erastés e i suoi paidiká fosse una relazione fisica e che tipi di contatti carnali venissero praticati. Oggi sono convinti che il ragazzo di solito si lasciasse sodomizzare dall’uomo maturo[12]. Parlando di Eraclito, un ragazzo ormai irrimediabilmente peloso, Meleagro ammonisce Polissenide:
 
Quand’era bello era bello Eraclito. Passato quel fiore,
fa guerra il vello a chi di dietro monta.
Tu, Polissenide, questo lo vedi: deponi le arie!
Anche in culo c’è Nemesi che spunta[13].
 
Quindi, il giovane poteva (doveva?) farsi penetrare dall’amante. Ma, a differenza delle donne, non doveva mostrarsi partecipe del rapporto sessuale, non ne traeva (e soprattutto non doveva trarne) alcun piacere. Anzi, i paídes – ricordava Euripide[14] – dal rapporto sessuale con un uomo ricavavano piuttosto dolore e lacrime.
 
Il ragazzo nell'atto d'amore non partecipa al piacere dell'uomo, così come succederebbe con una donna; distaccato, sobrio, [il ragazzo] osserva il suo partner ubriaco e traboccante di desiderio.[15]
 
Il ragazzo non doveva nemmeno prendere piacere dal piacere dell’uomo. L’erastés si aspettava che il ragazzo rispondesse al suo amore non con eros ma con philía, con un sentimento affettuoso di amicizia per il suo amante. Il desiderio dell'eroménos doveva essere piuttosto desiderio di imparare cose – e non solo cose sessuali – dal suo amante. Il pederasta amava il ragazzino per il suo fisico a un tempo infantile, maschile e femmineo; il ragazzino amava l’amante come professore. Oggi mandiamo i nostri adolescenti al liceo, allora li si mandava dal pederasta[16].
Da sempre si è evocato lo slittamento frequente da pederastia a pedagogia, e viceversa. Anche il pedofilo d’oggi, portato di fronte a un tribunale, di solito giustifica le sue iniziative sessuali evocando una nobile funzione educatrice: “così il bambino conosce il mondo adulto, vede come è fatto il corpo di un uomo” e simili. Non si tratta a mio avviso solo di maldestri tentativi di giustificarsi: il desiderio di iniziare l’innocente al gran mondo – in particolare alla sessualità – è davvero uno dei motori dell’iniziativa pedofila. Del resto, è ben noto che i pedofili si orientano spesso verso le professioni educative. Una linea discreta ma unica lega pedagogia, pederastia antica, pedofilia moderna.
 
         All’epoca di Aristofane e Platone la pederastia era quasi una frenesia di massa ad Atene: gli adulti maschi passavano gran parte del loro tempo nelle palestre, per ammirare e corteggiare gli adolescenti nudi.
Del resto la stessa mitologia e teologia greche abbondava di legami pederastici: Dioniso e Adone, Poseidone e Pelope, Apollo e Admeto, Eracle e Giasone, Apollo e Ciparisso.
Invece l’omosessualità femminile, quella delle tribadi[17], che certo esisteva, non aveva alcuna importanza e non era tema di dibattito. Essa veniva vista come una semplice deriva della tendenza femminile all’eccesso erotico incontrollato e alla smoderata lussuria.
 
 
  1.  L’”antinomia del ragazzo”
 
    Il tutto è alquanto imbarazzante per tanti psicologi e pedagogisti di oggi. Come è possibile che l’iniziazione degli adolescenti alla sessualità del cittadino greco, libero e dominatore, avvenisse cedendo alle avances di pederasti e lasciandosi da loro sodomizzare? Eppure l’Atene dell’epoca ha prodotto tra i più notevoli uomini della storia dell’Occidente.
Molti storici odierni cercano allora di giustificare la pederastia antica. Sottolineano che si trattava di una istituzione in cui un uomo maturo iniziava un giovanetto ai valori e al sapere a cui doveva essere partecipe come cittadino. In effetti a Sparta i ragazzi a 12 anni erano affidati ad amanti adulti, dai quali apprendevano a essere dei veri spartiati[18]. In Senofonte[19] leggiamo che Licurgo aveva regolato attraverso leggi i rapporti omosessuali.
Fanno notare che questa forma di pedagogia, riservata alle classi più elevate, era in fondo un rito di passaggio degli adolescenti maschi dall’infanzia alla vita adulta, riti che si ritrovano in molte società primitive[20]. In effetti, la pederastia aveva cauzioni religiose nei riti e nelle feste in cui si invocavano certe protezioni divine (Buffière 1980, pp. 90-1). Alcuni storici nella pederastia trovano tracce della credenza arcaica secondo cui lo sperma dell’adulto, passando al ragazzo attraverso la sodomizzazione, lo virilizzasse a sua volta favorendo la sua maturazione fisica e mentale. Essi parlano della sodomizzazione come modo di acculturazione (Keuls 1985)[21]. L’atto di inchinarsi da parte del ragazzo per essere penetrato analmente dal suo erastés viene visto da questi eruditi – sfidando la nostra ilarità – come l’atto simbolico di sottomissione alla Legge e quindi come strumento di continuità dei valori della Città.
Questa visione rassicurante è probabilmente ispirata dalla ammirazione per il mondo greco antico, che prospera spesso anche tra gli storici più spregiudicati.
In realtà, all’epoca la pederastia era osteggiata e disprezzata da molti, i padri ne erano preoccupati e facevano proteggere dai pedagoghi i figli maschi per tenere alla larga i corteggiatori. La pederastia, lungi dall’essere un’istituzione universalmente condivisa e accettata, era un tema più che mai controverso. Come oggi, ad esempio, sono temi controversi la liceità o meno dell’aborto, l’uso della canapa indiana, il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, il ricorso a organismi geneticamente modificati: tutti temi su cui l’opinione pubblica occidentale è fortemente divisa. Analogamente, nell’antica Grecia la pederastia era oggetto di polemiche accese. In alcune città greche – in Elide e in Beozia – l’amore tra uomini era sempre ammesso; in altre – come nella Ionia – era sempre riprovato. Ad Atene la situazione rimaneva fluida. Molta filosofia e logografia giudiziaria esaltavano l’amore pederastico, mentre la commedia lo vituperava. Per Aristofane, il diffondersi della moda pederastica era un segno capitale della decadenza dei costumi e della potenza di Atene; i suoi anatemi ricordano quelli dei moralisti di oggi contro i tatuaggi e i piercing, o le attuali lamentele sul fatto che “i giovani non leggono più!”
Platone invece costruisce la sua concezione della filosofia come eros sublimato a partire dal desiderio per il país (come si legge nel Simposio e nel Fedro). Aristotele, al contrario, nella Politica condanna la pederastia, anche se non l’omosessualità. Comunque lo stesso Aristotele, secondo la tradizione, aveva amato un suo allievo proveniente da una città licia, Herphyllis[22]. Nell’Etica Nicomachea Aristotele distingue i maschi che amano gli uomini “per natura” (phýsei) da quelli che amano gli uomini “per abitudine”: i primi non sono immorali, i secondi lo sono. Una distinzione che oggi ci suona alquanto enigmatica.
E potremmo continuare con molti altri esempi di divaricazione.
 
Perché la pederastia era un tema così dibattuto?
I greci vivevano quella che Foucault (1984, p. 243) chiama “l’antinomia del ragazzo”: una contraddizione acuta per il loro sistema di valori. Da una parte, i greci accettavano qualsiasi desiderio erotico per il bello, e quindi anche per il bel ragazzo. Platone[23] notava che l’anima, attratta dal bello, spinge a unirsi carnalmente anche alla propria madre e a chiunque altro, uomo, dio o bestia che sia. Dall’altra però questo desiderio per il kalós implicava l’uso del ragazzo come oggetto passivo, e questo cozzava con la loro visione che esaltava l’attività mascolina opposta a ogni forma di passività, sia politica che sessuale. Come mettere assieme il legittimo impulso del maschio greco a penetrare “il bello”, e il non meno legittimo rifiuto del futuro uomo libero e dominatore a farsi usare come una donna? In questo quadro, la soluzione platonica – il desiderio pederastico eleva, ma l’atto sessuale pederastico degrada – poté essere vista da alcuni come una via d’uscita dall’antinomia biopolitica.
(Tra i dibattiti di oggi, la controversia sull’aborto è tra quelle che ricordano di più questo dibattito greco sulla pederastia. Infatti l’aborto mette in tensione due valori fondamentali della nostra modernità: da una parte, il valore dell’autonomia e libertà decisionale della donna, corollario dell’assunzione completa della cittadinanza da parte delle femmine; dall’altra il valore della difesa del più debole, il bambino, in balìa del potere genitoriale. Sarebbe sbagliato ridurre il dibattito sull’aborto alla contrapposizione tra due aree etico-politiche precise: da una parte la sinistra femminista, dall’altra la destra conservatrice. In realtà i dubbi sulla liceità o meno dell’aborto agitano tutti noi, proprio nella misura in cui mettono in contraddizione princìpi che noi tutti, chi più chi meno, consideriamo costitutivi della nostra bio-etica.)
         Il precetto secondo cui l’amasio dovrebbe amare – anche se in modo riflesso, attutito – il suo amante, ma senza godere del rapporto sessuale, fu probabilmente anch’esso una soluzione di compromesso. Se il ragazzo godesse, sarebbe come una donna – insomma, una sgualdrina. Questa auspicata frigidità del ragazzo penetrato è essenziale perché l’amante continui a stimare il suo amato – e quindi a goderne in modo per lui sublime. Se all’amasio il sesso piacesse, allora all’erastés basterebbe la propria moglie o concubina. Ma l’erastés cerca appunto nell’efebo qualcosa che quasi nessuna donna potrà dargli mai: un’incantevole frigida femminilità. In questo la pederastia greca si congiunge alla perversione, categoria specifica della modernità: nella misura in cui entrambe sono modi di godere dell’altro che non gode. Infatti chiamiamo certi atti sessuali “perversi” (Benvenuto 2003, 2005) quando la soggettività dell’altro è usata per il godimento del soggetto perverso, senza che il vero godimento dell’altro venga perseguito. La perversione è insomma uso dell’altro non come oggetto, ma come soggetto.
Davvero il ragazzino acconsentiva al pederasta non per il sesso ma per avere un patrocinatore? Questa frigidità dell’eroménos era un dato di fatto a cui l’erastés doveva rassegnarsi? O era quel che il pederasta, nel fondo, desiderava e in qualche modo imponeva? Di fatto, gli adolescenti ateniesi si sentivano onorati per i loro corteggiatori e amanti – le loro attenzioni dimostravano la propria avvenenza e qualità. Avere molti innamorati altolocati e prestigiosi era un grande onore per un giovane. Di fatto, il suo comportamento appare del tutto simile a quello delle ragazzine fino a non molto tempo fa: lusingate ed eccitate dall’essere corteggiate, anche se esibendo una spesso ipocrita ritrosia. (La coquetterie femminile di un tempo di fatto era essa stessa soluzione di un conflitto di valori: da una parte una ragazza doveva essere desiderabile, dall’altra la stessa non doveva darsi al primo che le piacesse e doveva custodire la propria verginità fino al matrimonio.)
E’ poco credibile che, dato questo comportamento che oggi chiamiamo femmineo, questi ragazzini non fossero disposti anche a godere del rapporto sessuale. Evidentemente qualcosa sbarrava loro questa possibilità. Non dovevano essere come Clistene, il più famoso effeminato e travestito all’epoca di Socrate: celeberrimo in quanto era sempre pronto a darsi a qualsiasi uomo per il proprio piacere.
 
 
4.   La minaccia di Pandora
 
I greci avevano un'immagine del tutto diversa, rispetto alla nostra, della femminilità.  In fondo, in amore – segnalava Lacan (1990, p. 44) – la donna greca svolgeva un ruolo attivo, lei "esigeva quel che le spettava, attaccava l'uomo”.  Santippe la bisbetica, moglie di Socrate, era in questo senso la quintessenza caricaturale della donna greca. Nelle commedie di Aristofane, in particolare, la donna è ben lontana dall'essere angelicato che noi ‑ imbevuti di amor cortese cristiano – abbiamo amato in essa fino a poco tempo fa. La donna greca è dedita al bere[24], sessualmente intemperante, lubrica, bugiarda, con i piedi per terra.
Queste caratteristiche si esaltavano proprio nella città che Platone ammirava per i suoi uomini virtuosi, Sparta. A Sparta più che altrove, ricorda Aristotele, “[le donne] vivono senza freno, rotte a ogni dissolutezza e lussuria”[25]. In effetti, la donna spartana ci appare molto più vicina alla donna di oggi, proprio perché, con tutta probabilità, il suo modello era proprio la vita virile (in fondo, non diversamente da oggi). Il lirico Ibico chiamava le spartane “esibitrici di cosce”[26] in quanto vestivano in modo succinto, come gli uomini. Le ragazze spartane si esercitavano nude nelle palestre, insieme ai ragazzi nudi; ed era costume a Sparta che venissero penetrate prima del matrimonio “alla maniera dei ragazzi”, cioè sodomizzate. Le migliori donne spartane – a differenza delle ateniesi – erano fiere di essere lesbiche[27]. Da notare che le spartane esercitavano su figli e mariti un’autorità molto superiore a quella delle altre donne greche. Insomma, le donne di Sparta ci ricordano piuttosto quelle di New York oggi. Paradossalmente, la donna emancipata che siamo tentati di vedere nella spartana era il prodotto di una società particolarmente virile e guerriera – ma forse il paradosso è solo apparente.
         Quando gli dei dell’Olimpo chiesero a Tiresia, l’unico essere che fosse stato sia uomo che donna, quale dei due sessi traesse più piacere dal coito, Tiresia rispose: “Se il piacere ha dieci parti, la donna ne riceve nove, e una soltanto l’uomo". Hera non fu affatto contenta di questa risposta, per cui accecò Tiresia. Ma la risposta di Tiresia era credenza comune nella Grecia classica: si pensava che la donna nel rapporto sessuale godesse molto più intensamente dell'uomo. Inoltre si pensava che essa fosse sempre ben disposta al coito e all'adulterio, e che per questa ragione fosse saggio segregarla in casa. Si pensava che non avesse alcuna forza morale per resistere all'attrazione dei piaceri, del sesso, del confort e della sicurezza. Alla ricerca costante del piacere, in assenza di uomini le donne erano solite soddisfarsi con falli di cuoio (olisbi)[28].
         Del resto, quando una donna veniva scoperta con un amante, non veniva veramente punita: tutta l’ira del padre o marito si riversava sul seduttore. Si dava per scontato che la natura lussuriosa della donna la portasse ad accettare tutte le proposte allettanti, e che fosse moralmente irresponsabile. La cultura giudaico-cristiana, che invece punirà severamente la donna adultera (gli ebrei con la lapidazione), aveva certamente un’immagine più alta della donna rispetto a quella classica antica; almeno la considerava corresponsabile della tresca. (E’ vero che Gesù salva l’adultera dall’esecuzione, ma congedandola le dice “và e non peccare più”[29]).
         Per i greci la donna, essere umido e freddo, raggiungeva il suo azimuth sessuale nella canicola; al contrario l'uomo, essere secco e caldo, era minacciato sempre dal disseccamento estivo. La calura era pericolosa per l’uomo greco: proprio quando la canicola gli seccava le linfe vitali, le sue donne erano scatenate ed esigevano coiti intensi. Come ricorda Esiodo, in estate “le donne sono molto lascive (maklótatai) e gli uomini molto estenuati, perché Sirio brucia la testa e le ginocchia, mentre la calura dissecca la pelle”[30]. In agosto le mogli – scrive Alceo – si dimostrano “piene di perversità” proprio quando i loro mariti, con la testa e le ginocchia che bruciano, sono “fiacchi” (Detienne 1975).
         Questa inclinazione delle donne alla frenesia è palese nel misticismo che la vede protagonista, come i culti dionisiaci o le Adonie: pratiche sensuali e selvagge, che davano libero corso al sesso sfrenato e al modo di vivere delle fiere.
         Non c’è da meravigliarsi quindi se, di fronte a questa creatura, il maschio greco provasse, oltre al desiderio sessuale, anche una certa angoscia, se non ripugnanza. Questa pericolosità risulta evidente dal mito esiodeo di Pandora, l’Eva della mitologia antica:
 
Zeus crea la prima donna, Pandora, (…) di natura ctonia, terrosa e umida; non è soltanto mortale, resta anche vicina alla bestialità, da un lato per il suo insaziabile appetito alimentare, dall'altro per il suo appetito sessuale (…) Ma Pandora non è soltanto, per l'eccesso della sua sensualità animale, un fuoco che fa pagare all'uomo quello che Prometeo ha nascosto agli dei per rubarlo: è ella stessa un inganno, un trabocchetto, un essere duplice, la cui apparenza maschera e traveste la realtà (…) L'inganno di Zeus e la sua vendetta consistono nell'avviluppare di seduzione erotica, cioè di un'apparenza divina, un essere la cui anima è quella di una cagna, che dissimula, sotto la dolcezza accattivante del suo sorriso (…), una grossolana bestialità. Pandora è un male, ma un male così bello che gli uomini, in fondo al cuore, non possono fare a meno di amarla e desiderarla (…) La donna [è] divina per la seduzione del suo aspetto, bestiale per la realtà dei suoi appetiti[31].
 
 
Insomma, la donna greca era il contrario del prototipo della madonna medievale, come Beatrice o Laura. Essa corrispondeva più all'immagine odierna del sottoproletario, illustrata da Buñuel (Los olvidados, Viridiana) o da Pasolini.  Il godimento era femmineo, anti‑sublimante ‑ il desiderio era maschio, sublimante. Non a caso Eros, desiderio, è maschile; mentre Afrodite, dea dell'atto sessuale, è femmina. La donna era per l’uomo greco un ciclone desiderabile ma pericoloso; e soprattutto poco idealizzabile, dato che l’ideale dell’uomo greco era piuttosto la sophrosýne, la saggia temperanza. La donna, creatura della hýbris, non era saggia né temperante, quindi, nel fondo, spregevole. Non a caso i greci consideravano del tutto normale la prostituzione femminile, mentre punivano come reato quella maschile: trovavano obbrobrioso che l’uomo, essere superiore, potesse darsi per danaro.
 
 
 
5. La donna impresentabile
 
In Grecia i rapporti amorosi con le donne erano di vari tipi. O la donna era sposa legittima (kouridìe àlochos), che essenzialmente doveva generare una progenitura legittima; o era concubina (pallakìs), che forniva anch’essa prole e si occupava dell’economia domestica della casa; oppure era prostituta, pòrne, cercata solo per il piacere. Poteva anche essere hetaíra (letteralmente: compagna), etera, di solito suonatrice di flauto o danzatrice che si noleggiava per un certo periodo[32]. Ma con nessuna di queste, di solito, l’uomo greco amava farsi vedere in giro, non erano compagne o complici della sua vita sociale. La moglie non era oggetto d’amore preferito perché significava casa e vita domestica, il grigiore del privato. Invece, con i paídes l’uomo greco partecipava ai banchetti e alla vita mondana. I ragazzi insomma, a differenza delle donne, erano presentabili.
Come abbiamo visto, al contrario della donna, sempre ghiotta di piaceri libidinosi, l’amasio non gode della sessualità. Ancora prima che Platone esaltasse la vocazione sublimante dell’eros per i ragazzi, molti greci opponevano alla volgare eterosessualità – segnata dalla spudoratezza della femmina – l’aura raffinata, temperata, civilizzata e quasi artistica dell’amore omosessuale. Callicratida, nel dialogo Amores dello pseudo Luciano di Samosata[33], sosteneva che l’amore per le donne è primitivo e violento, degno delle scimmie, proprio in quanto legato alle necessità vitali della riproduzione[34]. La funzionalità generativa del coito con la donna rende l’atto poco nobile – mentre la vera philía (amicizia e amore) è disinteressata, non-funzionale, priva di utilità pratica, veramente degna dell’uomo libero svincolato dalle necessità naturali. Così Plutarco[35] fa dire a Protogene:
 
….Del vero Eros, neppure una piccola parte entra nel gineceo. Io, per quanto mi riguarda, non definisco amore il sentimento che voi provate per le mogli o le ragazze: osereste forse dire che le mosche sono innamorate del latte, o le api del miele, o che gli allevatori e i cuochi amano i vitelli e i volatili che ingrassano? […Quello per le donne non è amore.] Mentre l’attrazione per un giovane ben dotato porta alla virtù attraverso la philía, il desiderio per le donne, anche nel migliore dei casi, non consente che di godere di voluttà e piaceri passeggeri del corpo.
 
Da qui l’idea che “il sudore dei ragazzi è profumato, più di tutta la cassetta degli unguenti della donna”[36].
Queste teorie oggi possono stupire. Tra il paganesimo e il cristianesimo si è compiuto un ribaltamento importante nei rapporti tra anima e natura. Per noi – eredi della tradizione cristiana – ciò che è naturale è anche ipso facto elevato, vero; per gli Antichi era spesso vero il contrario. Fino a poco tempo fa nella nostra cultura si diffidava dell’omosessualità proprio perché essa devia da certe “funzioni naturali”; al contrario, i propagandisti antichi della pederastia innalzavano il rapporto pederastico proprio perché biologicamente non funzionale. Non a caso l’educazione dei rampolli delle classi elevate nell’Antichità doveva evitare qualsiasi utilitarismo: si insegnava la letteratura classica, la retorica, la filosofia, nulla di pratico.
Secondo Senofonte[37], Ierone il tiranno si lamentava di essere tiranno: questo rovinava la relazione sia con la donna che con il ragazzo. In effetti, un tiranno può prendere moglie solo in una famiglia inferiore alla propria, mentre il bello del matrimonio è ammogliarsi con una di famiglia più ricca e potente della propria. Con il ragazzo, il tiranno non sa mai se l’altro gli abbia ceduto per amicizia e libera scelta, oppure per obbedienza. Ora, questa lamentazione ci dice che nel matrimonio l’uomo all’epoca cercava soprattutto una promozione sociale: più che la donna, contava lo status della famiglia di lei. Con il país invece ritroviamo il problema che certi uomini hanno oggi con le donne: “è stata con me perché mi desidera veramente, oppure perché le posso dare danaro e potere?”
Anche se alcune donne evidentemente si affezionavano profondamente al loro uomo, l’idea dominante era che la donna fosse incostante e inaffidabile. Al contrario, il país sapeva essere costante e affidabile. Nota Teognide[38]:
 
S’affeziona, un ragazzo: d’una donna, non c’è amante
Stabile: fa l’amore con chi capita.
 
L’affetto grato e privo di lascivia del ragazzo, tendenzialmente fedele, viene contrapposto alla lussuria irresponsabile e infedele della donna.
La frase di Senofonte citata più sopra – sull’indifferenza erotica dell’eroménos – certo portava acqua al mulino di quel che chiamiamo amor platonico – ovvero della rinuncia al godimento sessuale per dare massimo spazio al desiderio erotico, considerato da Platone e dai platonici matrice del desiderio filosofico[39]. Il ragazzo è distaccato, quasi ironico, mentre osserva senza biasimarlo il suo amante che gode di lui: l’eroménos resta sobrio, l’erastés è ubriaco di piacere. L’eroménos è saggio, è in sé; l’erastés – proprio colui che si offre come saggio maestro – è fuori di sé, captato dalla pazzia di Eros. Ora, questa scena descrive quel che, in ogni caso, sarebbe dovuto accadere. Ma questa scena in cui le parti paiono rovesciarsi è il risultato di una passione non corrisposta, oppure è proprio la messa in scena della fantasia fondamentale della pederastia? Vale a dire, non è quello pederastico un rapporto inverso a quello eterosessuale normale, nel quale la donna, come una sanguisuga, estrae dal maschio la sua forza vitale per nutrire i propri mastodontici orgasmi?
            Il fatto che per l'uomo greco la donna minacciasse di aprire il vaso di Pandora di tutti i mali ci aiuta a capire il perché della pederastia nel mondo greco. E quando la donna verrà liberata da questo assunto fobico dal pensiero cristiano, allora anche la pederastia scomparirà dall'orizzonte della mascolinità ammissibile. Del resto, già nel mondo ellenistico e in quello romano a partire dalla fine della Repubblica, le donne godono di prestigio e libertà ben superiori rispetto all’epoca greca classica. A questa promozione graduale della donna si accompagna, non a caso, anche il declino graduale della pederastia.
         Insomma, la pederastia sembra essere la forma elettiva di erotismo amoroso in una società fondamentalmente misogina. Non a caso, la letteratura greca svilupperà solo tardivamente (in epoca ellenistica) temi amorosi eterosessuali, ma non avrà nulla che sia comparabile alla lunga e prolifica tradizione dell’iperbolica esaltazione poetica della donna tipica della cultura cristiana dopo l’XI° secolo.
 
 
6.  Desiderio del non-sessuale
 
In un’immagine vascolare dell’antica Grecia[40] si vede un erastés con la barba e il pene in erezione; di fronte a lui c’è l’eroménos, rappresentato senza pene, che gli offre una corona di fiori. Accanto all’eroménos c’è un cane, che probabilmente simbolizza la pulsione erotica.
La mancanza di pene nell’eroménos raffigurato potrebbe stupirci. La pedofilia antica si orientava infatti verso gli adolescenti, quindi già capaci di erezione. Il pene di un ragazzo, ci informa Platone, non era indifferente nemmeno a Socrate. Nel Carmide, Socrate racconta del suo incontro con il giovane Carmide, seduto tra Socrate e Critia:
 
A questo punto, amico mio, non capii più niente, tutta la baldanza che avevo avuto poco prima, di saper discutere del tutto scioltamente con [Carmide], sparì. Quando Critia gli disse che quello del rimedio [contro il mal di testa] ero io ed egli mi fissò con certi occhi che è impossibile dire e si piegò in atto d’interrogarmi, e tutti quelli che erano nella palestra corsero come un sol uomo in cerchio attorno a noi, allora, o nobile amico, a scorgere ciò che la sua tunica copriva mi sentii avvampare, perdetti la testa… Tuttavia, quando egli mi chiese se conoscevo il rimedio per il mal di testa, in qualche modo impacciato gli risposi che sì, lo conoscevo[41].
 
Socrate accanto a Carmide è turbato eroticamente dallo scorgere il pene del ragazzo attraverso la sua tunica. Quindi la dotazione fallica di questi ragazzi aveva valore per il pederasta. Erano desiderabili come esseri con fallo, anche se si voleva che non lo usassero. Portatori dell’insegna del desiderio sessuale, erano appetibili in quanto non erano considerati essi stessi soggetti di desiderio sessuale. Il solo pene in gioco era quello dell’amante maturo (la statuaria greca antica si interessava più al corpo nudo adulto che a quello efebico). Insomma, la pederastia greca ci appare un’eterosessualità traslata sui ragazzi, rigiocata con sostituti della donna.
Del resto, anche se quasi nessuno lo ammette, agisce all’inverso una sottile componente pederastica e pedofila in ogni eterosessuale maschio. Se la pederastia antica può essere vista come un’eterosessualità che prendeva per oggetti dei ragazzini del proprio stesso sesso, analogamente certa eterosessualità può essere vista anche come una “pedofilia” che prende per oggetto le donne adulte. La psicoanalisi ha messo in rilievo come la propria madre sia un prototipo anche sessuale della donna desiderabile per un uomo. Ma in molta eterosessualità maschile oggi convergono anche correnti pedofile, e non solo perché la donna ha una pelle liscia e glabra come quella di un bambino. Anche una donna in carriera con grinta sa che a letto, col proprio uomo, deve fare un tantino la bimba perché il gioco funzioni. Come considerare altrimenti certe espressioni con la propria amante del tipo “bambina mia”, “bambolina mia”, “cara piccola”, e simili? Un amante uomo sarebbe invece sorpreso, forse un po’ preoccupato, se una donna lo apostrofasse con un “bambino mio”. Probabilmente l’uomo è meno incline della donna al maternage anche perché soddisfa già, in parte, queste pulsioni pedofile con la donna.
Ora, che cosa fa si che in alcuni maschi di oggi queste correnti erotiche non convergano verso la donna ma verso gli adolescenti o addirittura verso i bambini? Perché il pedofilo desidera il bambino alla lettera, e non i tratti bambineschi in una donna? Perché si interessa a dei genitali che non possono essere usati? Dobbiamo occuparci allora anche dei pedofili moderni.
 
 
7. Psichiatrizzazione della pedofilia
 
         Che rapporto c’è tra la pederastia antica e la pedofilia, omo- od etero-sessuale, di oggi? La comparazione è difficile, ma istruttiva.
Intanto dovremmo distinguere la pedofilia volta agli adolescenti da quella rivolta ai bambini pre-puberi[42]. Ora, molta psichiatria oggi preferisce le categorie del codice penale a categorie proprie: il pedofilo è chiunque tenti di avere rapporti sessuali con minorenni, non importa se la vittima abbia sei o tredici anni, se sia maschio o femmina. Sono costernato da alcuni resoconti clinici di oggi, dove non si fa menzione nemmeno dell’età del bambino o bambina molestati dal pedofilo!
         Comunque, la messa in evidenza delle differenze non deve renderci ciechi alle similarità che attraversano forme di erotismo molto diverse tra loro, senza per questo fare di ogni erba un fascio.
         Un dato importante che emerge dalle ricerche è questo: il pedofilo d’oggi molto spesso fu a sua volta, da bambino, molestato o stuprato[43]. Lopez (1997) afferma che più del 50% dei pedofili furono abusati da piccoli, altri alzano la percentuale all’80%. Nel 50% dei casi di pedofili incestuosi risulta che il pedofilo è stato a sua volta oggetto di abusi sessuali nel corso della propria infanzia. Nella pederastia greca era la stessa cosa: tutto ci porta a pensare che chi era stato eroménos prima, abitualmente diventasse erastés poi. Pedofilia e pederastia sono di solito ripetizioni di un rapporto adulto-bambino con permutazione di ruoli: chi è stato oggetto passivo passa poi a essere soggetto attivo. Una versione erotica della legge del taglione.
         La psicoanalisi chiama questo “identificazione con l’aggressore”, anche se in realtà questa identificazione avviene piuttosto con l’agente. Il soggetto, che era stato oggetto passivo di azioni, diventa poi istanza attiva nei confronti di persone a loro volta passive.
         Emergono, come tratto comune tra il pederasta antico e il pedofilo moderno – omo od etero che sia –, i segni di un’identificazione narcisistica al proprio oggetto sessuale. Il pedofilo moderno spesso dice di ritrovare nel bambino concupito certi tratti di sé bambino, tratti che lo muovono a compassione e simpatia. Anche l’erastés greco – che amava un giovane di buona famiglia come lui era stato, e faceva al giovane quel che un altro aveva fatto a lui – sembrava innamorarsi della propria adolescenza attraverso l’altro. Ma anche il pedofilo moderno rivela in genere la sua identificazione al bambino o bambina che egli seduce: esalta quella fragilità, candore e dolore che, a suo dire, evocano la propria infanzia.
         Da notare il rifiuto del pedofilo a viversi come colpevole (tranne nei casi di esplicita e grave violenza contro i bambini)[44]. Il pedofilo, anche se condannato penalmente, protesta la nobiltà del suo desiderio e il suo altruismo amoroso: “il mio interesse per i bambini ha una motivazione pedagogica profonda – dice spesso il pedofilo – voglio aiutarli e far loro del bene”. Il pedofilo nutre una sorta di compassione libidinosa che lo porta a prendersi cura del minorenne. Insomma, il pedofilo si auto-interpreta come un benefattore dell’infanzia. Spesso egli sceglie mestieri – insegnante, educatore, medico, ecclesiastico – che lo mettono a contatto con bambini. Tende a sposare una donna che ha già bambini piccoli, come se fosse attratto più dai figli della donna che dalla donna stessa.
 
Molto spesso, anche nei siti web per pedofili, costoro si lasciano andare a una mistica della purezza e grazia infantili che ricorda l’amor cortese medievale. Di solito si sentono ingiustamente perseguitati per il loro orientamento sessuale, si assimilano quindi agli amorosi contrastati dalla società repressiva, come Giulietta e Romeo. Sognano un movimento di liberazione della pedofilia del tutto simile al movimento degli omosessuali negli ultimi decenni. Insomma, si sentono una minoranza oppressa ma avanguardia precorritrice dell’etica e del costume sessuali.
         Questa vocazione militante della pedofilia indigna molti studiosi, che oppongono a queste rivendicazioni denunce vibranti: additano la vasta organizzazione mediatica della pedofilia, mormorano di oscure complicità e appoggi “in alto loco” (nella politica, nel mondo della cultura, ecc.), paventano l’estensione tentacolare delle reti pedofile, che includono la criminalità organizzata (prostituzione minorile, turismo sessuale, rapimento e tratta dei bambini). Insomma, la pedofilia non è solo una faccenda di polizia o di expertise psichiatrica, assume la forma di un conflitto politico-ideologico, ed è matrice di leggende metropolitane a sfondo persecutorio, di “teorie del complotto”, e simili.
Anche questo ovviamente ci ricorda il clima ideologico attorno alla pederastia antica: dall’apologia della pederastia innalzata da Pausania nel Simposio fino alla sublimazione metafisica del desiderio pederastico nel Fedro di Platone, colpisce l’ardore con cui l’erastés sbandierava il suo desiderio, facendone anzi il paradigma e il modello del desiderio nobile in generale. La differenza tra allora e oggi è che mentre nella Grecia antica questa letteratura era accetta da parte delle élites dominanti, oggi le declamazioni idealiste del pedofilo suonano patologiche e ridicole, quasi delle aggravanti nel nostro giudizio negativo, sia esso psichiatrico che etico. Ma allora, in duemila anni è cambiato più il nostro sguardo sulla pedofilia che l’universo mentale di chi è attratto dai giovanissimi? Questa domanda va posta non per sminuire le differenze che esistono peraltro tra pedofilie delle varie epoche e civiltà.
 
         L’anamnesi clinica di molti casi attuali ci conduce a ipotizzare un’affinità tra pederastia antica e pedofilia moderna. Molto spesso colpisce nella storia del futuro pedofilo un rapporto particolarmente deludente con la madre – e quindi con le donne adulte in generale. O perché la madre aveva un amante, o perché faceva la civetta facendo così soffrire al padre del Nostro i morsi della gelosia; o perché non era stata in grado di prendersi cura del figlio e lo aveva messo in un collegio; o perché al figlio aveva preferito un amante. Comunque, in linea generale, il pedofilo non ha potuto idealizzare la figura femminile. Questo tratto mi pare importante. Da ricerche fatte in Francia, emerge che l’autore d’incesti pedofili – per lo più il patrigno (Coutanceau & Martorell 1991) – è molto spesso un uomo alquanto infantile, per lo più molto fedele alla moglie, ma con una vita sessuale coniugale molto povera e una spiccata fobia delle donne (Lopez 1997): l’atto pedofilo incestuoso quindi è anche il risultato di una fuga dalla donna.
Anche quando il pedofilo si sposa, molto spesso sceglie una donna umile e servile, brava massaia magari, ma che gli è impossibile erigere a oggetto di ammirazione – mentre ogni trasporto amoroso esige un’ammirazione per l’oggetto amato. Spesso anzi il pedofilo si forma un’immagine mostruosa della figura materna, che poi tende a trasferire alle altre donne. “Le donne mi hanno sempre fatto soffrire” dice spesso il pedofilo (Schinaia 2001, p. 251). La “scelta” di amare e desiderare bambini o efebi appare quindi, ancora una volta, il risvolto dell’impossibilità di un vero trasporto amoroso, idealizzante, nei confronti della donna.
Il pedofilo piuttosto gode nel veder emergere un desiderio sessuale in un soggetto che non dovrebbe averne. Da una parte quindi egli ripudia in sostanza la sessualità della donna, dall’altra gode nel rivelare la sessualità del bambino: egli tende insomma a scindere il soggetto infante, split tra quel bambino che resta e quell’adulto sessualizzato che precocemente affiora.
 
 
8. Non-più e non-ancora
 
L’attrazione per un essere privo di impulsi genitali elaborati è solo una faccia della pedofilia. D’altro canto, spesso il pedofilo si dice sicuro del fatto che i bambini con cui ha “giocato” nel fondo desideravano quell’esperienza e che, anche se poi ne sono rimasti spaventati, ne hanno goduto. In molti casi i pedofili si dicono provocati sessualmente dagli stessi bambini, i quali sembravano aspettarsi quell’effetto erotico sull’adulto. I pedofili spesso sentono se stessi come la parte passiva e i bambini come la parte attiva. Un insegnante che adescava le piccole allieve dice “loro mi guardano in modo così strano! mi baciano in modo speciale – questo mi uccide, mi paralizza…” (Borens 2004, p. 29) Insomma il bambino o la bambina appare al pedofilo un seduttore irresistibile situato in un’area intermedia, transizionale, tra innocenza infantile e sessualità adulta: un germoglio di sessualità che bisogna coltivare, “educare” attraverso la sessualità adulta. Il pedofilo pare denunciare l’ambiguità sessuale del bambino.
Nel mondo antico gli eroménoi non apparivano mai del tutto innocenti: facevano gli occhi dolci ai loro possibili amanti, li provocavano sottilmente, erano ben consci insomma degli effetti che producevano nelle palestre e nelle terme affollate di maschi.
Eppure il pedofilo cerca “una/o che non ci sta”, che non si è costituita/o pienamente come soggetto di desiderio sessuale in senso genitale. Come l’eroménos antico era tenuto a mostrarsi indifferente nel coito, anche il bambino è concupito oggi proprio in quanto è allo stesso tempo dentro e fuori il desiderio sessuale. Come ogni perverso, anche il pedofilo usa l’altrui soggettività non come fine del proprio desiderio, ma come suo oggetto[45]. Egli si serve strumentalmente dell’altro non come oggetto ma come soggetto, per goderne. Il pedofilo, ancor prima che da un acerbo corpo infantile, sembra essere attratto proprio dalla soggettività infantile in quanto non (ancora) chiaramente sessualizzata. Ma d’altro canto, egli gode nell’iniziare l’altro alla sessualità: è sedotto da questo passaggio tra un bambino asessuato che cessa e un adulto sessuato che non c’è ancora. Fa notare Foucault (1984, p. 221) a proposito degli Antichi: “La virilità come marchio fisico deve essere assente [dal ragazzo amato]; ma essa deve essere presente come forma precoce e promessa di comportamento: comportarsi come l’uomo che non si è ancora”. L’amasio era un non-più e un non-ancora.
Di solito il pedofilo oggi viene denunciato da bambini che sono in quella che Freud chiamò fase di latenza (dopo quella che chiamerei “infanzia edipica”), da bambini tra i 6 anni e la pubertà. Questo può significare anche solo che i bambini più piccoli non sono in grado di articolare una denuncia precisa nei confronti di chi li ha molestati. E’ noto che prima dei sei anni i bambini sono più sfrontati, espliciti dei bambini di età successiva. Se il pederasta antico era attratto dall’adolescente in quanto non-più-bambino e non-ancora-uomo, il pedofilo moderno – come le testimonianze cliniche e giudiziarie suggeriscono – pare attratto piuttosto dal bambino in età di latenza non-più-edipico e non-ancora-pubere. Potremmo dire che il pedofilo è eccitato elettivamente da una certa latenza sessuale; e che egli veda il filo rosso che unisce il bambino edipico all’adulto: vale a dire un tropismo corporeo, erogeno, della sentimentalità. Il pedofilo nel bambino in latenza, dormiente, pare voler risvegliare il monello edipico o anticipare l’adolescente eccitato.
 
 
9. Pedofilo amor cortese
 
Proprio in quanto il bambino – si suppone – non desidera come un adulto, si dà graziosamente. Quella grazia infantile da cui il pedofilo dice di essere sedotto va quindi letta nel senso greco antico di káris, che significava il darsi della donna nel coito (karízesthai, concedere le proprie grazie a…): un darsi grazioso in quanto gratuito, un concedere le proprie grazie con grazia, un darsi disinteressato all’altro che quindi ne sarà grato. Ma in questo darsi gratuito l’infante accede al proprio erotismo: è la seduzione di un egoismo che nasce, come Afrodite dal mare di Cipro, dall’altruistica compiacenza. Pederastia e pedofilia sono quindi desiderio non per un’attualità ma per una potenzialità: sono eccitazione per un passaggio alla posizione sessuale. E’ desiderio, piuttosto che per un essere, per un divenire.
Nel passaggio dal mondo pagano a quello cristiano – ha sottolineato Foucault (1984) – al centro del ciclone del desiderio maschile non è più il ragazzo ma la vergine. La vergine era il tipo di oggetto sessuale più ambito – e quindi più peccaminoso – proprio perché si supponeva che in lei il desiderio sessuale fosse ancora acerbo. Il defloratore per passione ricerca l’attimo in cui una donna castigata e ignara – meglio, una bambina – finalmente fa trasparire la sua lussuria: quando l’angelo rivela la sua insospettabile faccia lasciva.  Forte fu allora, nell’Europa cristiana, la tentazione di estendere questa a-libidicità anche alle donne non più vergini. Non dimentichiamo difatti che, molte volte, nel mondo cristiano sono emerse teorie secondo cui la donna normale, sana – e onesta – era frigida; era normale che l’uomo desiderasse e godesse, era anormale che la donna desiderasse e godesse. Queste teorie riflettevano, dietro la maschera di un precetto morale, un desiderio maschile che ha prosperato per secoli. Insomma, il mondo cristiano per secoli concepiva l’eterosessualità piuttosto sul modello pederastico antico, di un erotismo a senso unico, in cui eros è dalla parte del soggetto maschio, e philía da parte della donna. Forse, era un modo per non essere angosciati dal piacere femminile – e i greci, come abbiamo visto, ne erano angosciati.
Nel Medioevo poi è sorto l’amor cortese, fin amor. L’ideale cortese esigeva anch’esso che la donna, pur desiderando l’uomo, sublimasse o velasse questo desiderio: da qui l’esigenza che la donna fosse composta, ritrosa, “seria”, anzi altera (“Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia…”). Era importante che la donna desiderata fosse di difficile accesso – vergine o già sposata a un altro, come nella poesia trovadorica, la quale tratta di solito amori adulterini.
Negli ultimi decenni, come sappiamo, questo ideale è definitivamente tramontato: oggi occorre che la donna si comporti e desideri esattamente come l’uomo. E viceversa. Non si chiede più alla donna che appaia di difficile accesso; ad esempio può mostrarsi anch’essa cacciatrice di uomini. Da qui la mia ipotesi: che si orienterebbero alla pedofilia soggetti che si sarebbero trovati a loro agio – ovvero, sarebbero stati normali – in una cultura sessuale in cui la vergine era la preda più ambita. O in una cultura improntata all’amor cortese.
Se fosse vero, come sostengono alcuni, che negli ultimi decenni i pedofili sono aumentati – un’ipotesi che è impossibile verificare – allora proprio il cambiamento storico dell’etica femminile potrebbe rendere conto di questo incremento. Nel giro di pochi decenni siamo difatti passati dall’immagine prevalente della donna nel rapporto amoroso che discende dall’amor cortese, all’immagine del tutto diversa di oggi. Allora il pedofilo moderno sarebbe un nostalgico di una femminilità che non gode del sesso, e che riserva all’uomo la soggettività del desiderio. Una femminilità che non è più possibile trovare nelle donne di oggi. Tanto più che sua madre è stata – o gli è apparsa – ben lontana da questo modello.
         E’ come se il pederasta dell’Antichità, il cacciatore di vergini di un tempo e il pedofilo di oggi, tutti potessero desiderare solo rivivendo, nella figura dell’altro, qualcosa per loro di traumatico, ai limiti tra sofferenza e godimento: quando, da bambini, hanno percepito per le prime volte la sessualità attraverso l’altro. Quando dietro le forme dimesse o caste della loro mamma hanno scoperto l’altra faccia, quella della femmina che desidera. Ma allora hanno percepito anche la propria sessualità e hanno capito che certi loro desideri, fonte di una inammissibile delizia, erano dicibili attraverso l’agire adulto. Un po’ come il piccolo Agostino nel romanzo omonimo di Moravia: che scopre la propria sessualità soprattutto attraverso il desiderio sessuale della madre. E’ come se il pedofilo non cessasse di rivivere proprio questa rivelazione, o delusione, o smascheramento, o disincanto.  
 
 
10.  Il mostro dentro François
 
         Riportiamo qui in modo succinto un caso di pedofilia pubblicato da Balier (1998). Esso mi sembra più eloquente di molti altri nell’illustrare i luoghi tipici che scandiscono il paesaggio mentale del pedofilo.
 
[François] ha circa venticinque anni quando viene incarcerato per aver tentato di sodomizzare un ragazzino, dopo una massiccia assunzione di alcolici. Ha già commesso atti di questo genere dall’età di vent’anni, pare. […] Ha avuto dei rapporti eterosessuali dall’età di diciassette anni con delle prostitute prima e con delle amiche poi. E’ sposato e ha un bambino. […] Racconta una storia familiare straordinaria: nato da una famiglia con diversi figli, egli ha visto in età precoce il padre sodomizzare suo fratello e avere dei rapporti sessuali regolari con sua sorella da quando questa aveva otto anni. Il padre era gentile finché era astemio, ma diventava violento dopo aver bevuto: è proprio in quei momenti che commetteva delle aggressioni sessuali. Sodomizzava pure sua moglie, più o meno in presenza dei figli. “Facevano cose inimmaginabili” dirà François. Dopo una disputa durante la quale il padre ha tentato di strangolare la moglie, l’uomo viene internato per lunghi anni. [Balier 1998, pp. 113-4]
 
Nel corso della psicoterapia effettuata durante la sua detenzione, François riesce a ricordare quando lui stesso fu abusato sessualmente dal padre: probabilmente quando aveva tredici anni, suo padre lo portò in una foresta, lo fece spogliare e gli disse “Gli altri ci sono passati, ora tocca a te”. Questo riaffiorare della scena dalla rimozione lo getta in uno stato di disperazione: “impazzisce all’idea che suo padre abbia potuto penetrarlo. Infatti, [noi terapeuti] ci rendiamo ben conto che questo è quel che è successo veramente. Anche lui lo sa, ma non vuole saperlo.” [Balier 1998, p. 115]
         Il mero buon senso ci porterebbe a supporre che François, avendo avuto questo padre così mostruoso, abbia accumulato un terribile risentimento nei suoi confronti – anche se evidentemente imita il padre andando in giro ubriaco a sodomizzare ragazzini. E invece nulla di tutto questo!  “Non smette di pensare a questo padre con ammirazione e tenerezza.” Quando il padre viene internato, è il solo della famiglia a interessarsi alla sua sorte e più tardi si preoccupa di farlo uscire dall’istituto. Il padre per lui resta una figura forte, nel fondo benefica, anche se François non può tollerare l’idea di essere stato penetrato da lui. Invece, tutto il risentimento pare riversarsi sulla madre.
         Egli non cessa di accusare sua madre per non aver fiatato pur sapendo bene che cosa accadeva tra padre e figli. Della madre parla con odio, indulge a fantasie sadiche ai danni di lei. In alcuni sogni, i ruoli tra suo padre e sua madre si invertono: è la madre a fare sesso con diversi uomini e a opprimere il padre. In altri sogni, è sua moglie ad avere diversi amanti e lui si sente annientato. Infatti, questo suo rancore contro la madre si dissemina: nell’adolescenza egli frequenta solo prostitute per sodomizzarle. Ma già dopo i primi rapporti eterosessuali è colto da conati di vomito – la donna gli provoca in fondo orrore e schifo. E’ come se nella lotta tra un padre penetratore e violento e una madre penetrata e umiliata, egli si schierasse sostanzialmente con il primo. Insomma, François dispiega una sessualità all’insegna della misoginia – proprio come nel mondo antico.
         Durante la prigionia, il soggetto scivola in uno stato di agitazione quasi allucinatorio. Ha continuamente incubi, in particolare vede un mostro che gli eiacula in bocca, sogno da cui si sveglia vomitando. Una sera, si infligge un taglio profondo nel braccio per sfuggire alla sofferenza – nel sangue che sgorga, vede il mostro uscire da lui. 
 
Nel nostro paziente, i sogni d’angoscia spariscono a partire dalla notte in cui il materiale abituale dell’incubo si trasforma in sogni con identificazioni secondarie […], ancora una volta, appare il mostro. François osa guardarlo negli occhi e si accorge che sono gli occhi di suo padre. E’ colto allora da una collera violenta, ingiuria il mostro che indietreggia e sparisce dalla porta della cella. […] Egli si sente abbandonato e si risveglia “sudato fradicio, angosciato, attonito”. [Balier 1998, p. 117]
 
Pare trattarsi proprio di una cura catartica, simile a quelle praticate da Breuer e Freud a fine Ottocento. Dopo aver “riconosciuto” nel mostro suo padre, il soggetto si calma, esce dallo stato crepuscolare, dove sogno e realtà erano confusi, in cui era caduto. Per la prima volta, comincia a fare sogni erotici piacevoli. Ha avuto bisogno di riconoscere il padre come mostro – quindi, staccarsi dall’identificazione solidale con lui – per poter sfuggire al suo delirio, e forse alla pedofilia.
 
In questo caso vediamo a chiare lettere i fattori di cui abbiamo parlato, come possibili moventi sia della pederastia antica che della pedofilia moderna. Innanzitutto, un risentimento nei confronti della donna – soprattutto nei confronti della madre e della moglie – accusate immaginariamente di essere promiscue, infedeli, oppressive, irresponsabili. E’ vero che egli stesso si riconosce come un mostro; ma sembra capire le ragioni del mostro: orrore e disprezzo per la donna. François, come molti altri pedofili, sembra considerare le donne un po’ come gli antichi greci le consideravano: Pandore temibili, inaffidabili, sanguisughe da cui guardarsi. Inoltre predomina l’identificazione con l’aggressore: il soggetto fa con un ragazzino quel che il padre fece con lui (proprio come, di solito, l’erastés antico faceva con il suo eroménos quel che un altro erastés, a suo tempo, aveva fatto con lui). Il soggetto si identifica con una figura paterna super-fallica, dispotica, violenta, sfrenata, ma desidera come oggetto sessuale un ragazzo che paia prolungare il se stesso di un tempo: un adolescente dal sesso incerto, passivo, paziente, succube, possibilità virile più che attualità virile. E’ come se molti pedofili facessero l’amore con il se stessi del passato, e questo bambino del passato fosse il solo oggetto d’amore decente, nobile, diverso dallo “schifo” della donna.
 
 
 
  
 
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[1] Tra i sostenitori delle ragioni dei pedofili, cfr. Schuijer (1990), Thorstad (1990), Jones (1990), Brongersma (1990).
 
[2] Non sto dicendo che l’atto pedofilico debba essere depenalizzato! Dico solo che la penalizzazione attuale della pedofilia rivela certi impliciti culturali diffusi sull’infanzia e sulla sessualità che sarebbe finalmente ora di esaminare.
 
[3] Per una discussione sul concetto di incommensurabilità in storia e delle scienze sociali, rimando al mio: Benvenuto (2000).
 
[4] Cfr. Veyne (1982; 1987).
 
[5] Per questa ragione la masturbazione era disprezzata – andava bene solo per gli schiavi e i persiani.
 
[6] Riprendo il concetto di “rappresentazione perspicua” (übersichtliche Darstellung) da Wittgenstein (1975, p. 28-29): “La spiegazione storica, la spiegazione come ipotesi di sviluppo è solo un modo di raccogliere i dati (…). E’ ugualmente possibile vedere i dati nella loro relazione reciproca e riassumerli in una immagine generale che non abbia la forma di un’ipotesi dello sviluppo cronologico”. “Tale rappresentazione perspicua media la comprensione, che consiste appunto nel ‘vedere le connessioni’. Di qui l’importanza del trovare anelli intermedi”.
 
[7] 25 West, in Plutarco, Amatorius, 751 c.
 
[8] Plutarco, Dialoghi 770b-c.
 
[9] A.P., XII, 186.
 
[10] Parr. 25-26.
 
[11] Cfr. Senofonte, Simposio, 8.2.
 
[12] In verità, la pittura vascolare preferisce mostrare i contatti tra le cosce alla penetrazione anale: qui l’amasio, indifferente e distaccato, mantiene la posizione eretta.
 
[13] A.P., XII, 33.
 
[14] Phoemissae, par. 27.
 
[15] Senofonte, Symposion, 8.21.
 
[16] Sull'omosessualità e pederastia nella Grecia antica, cfr. F. Buffière (1980), Calame (1983, 1992), K.J. Dover (1985), Cantarella (1995).
 
[17] I termini lesbia e lesbiazein esistevano all’epoca: ma significavano allora “leccare le parti sessuali” (Giangrande 1981, Gentili 1984).
 
[18] Plutarco, Vita di Licurgo, 17. .
 
[19] Costituzione degli Spartani, 2, 12 sgg.
 
[20] Van Gennep 1909; Bull 1997.
[21] Per una descrizione di queste posizioni, cfr. Cantarella 1995, p. 23.
[22] Cf. Ath., 566 e.
 
[23] Repubblica, 571 c/d.
 
    [24]Sulla passione delle donne per il vino, Athen., 10, 440b; Anth. Pal., 9, 298; Aristofane, Eccl., 227.
 
[25] Politica, 1269 b.
 
[26] Ibico fr. 65 [Edmonds].
 
[27] Plutarco, Vita di Licurgo, 18, 9.
 
[28] Vedi il VI Mimiambo di Eronda (Il calzolaio).
 
[30] Esiodo, Opere, 586-7.
 
[31]J.-P. Vernant (1975), pp. XXXIV-XXXV.
 
[32]Simile insomma a quella che oggi è chiamata escort. L’etera era spesso una straniera che per lo più si faceva mantenere da un uomo; ella intratteneva con lui una relazione sessuale senza il vincolo formale del matrimonio, senza la promessa implicita di rimanere con lui o l’intenzione di formare una famiglia, ma l’uomo poteva anche sperare di essere amato da lei (Dover 1985, pp. 22-23). La più famosa delle etere è Aspasia, donna distinta e colta, amante di Pericle. Sulla differenza tra prostituta ed etera, vedi Rossi (1979) e Cantarella (1981). 
[33] Opera databile verso l’ultimo quarto del III secolo d.C. Il discorso di Callicratida occupa i parr. 30-49 (ed. Loeb).
 
[34] Amores, par. 36.
 
[35] Amatorius, 750 c.
 
[36] Achille Tazio, Le avventure di Leucippe e Clitofonte, II, 38, 3-4.
 
[37] Hyeron, 1.
 
[38] II, 1367-1368.
 
[39] Per Platone, come per molti altri greci, la consumazione sessuale è vergognosa (aischron). Platone nelle Leggi di fatto condanna l’atto pederastico come “contro natura” (para physin): eppure proprio lui è stato il massimo esaltatore dell’eros pederastico.
 
 
[40] Ripresa da Vanguard (1972). Commentata anche dallo psicoanalista Safouan (1976, pp. 67-69).
 
[41] Carmide, 155c-e.
 
[42] Dovremmo distinguere anche il caso dei genitori o patrigni incestuosi da quello dei pedofili che esaminiamo qui. Difatti, i padri incestuosi quasi sempre non hanno commesso delitti di natura sessuale prima di essere condannati per incesto (Balier 1998, p. 107): sembra che l’importante per l’incestuoso sia sessualizzare i rapporti con la propria prole, non importa se i figli siano grandi o piccoli.
 
[43] Stoller (1976), Miller (1981), Groth (1981), de Young (1982), Dobash e altri (1993), Foti e Roccia (1994).
 
[44] Sulla mancanza di senso di colpa del pedofilo, vedi Brenman (1988, p. 275), Dubret (1996, p. 144), Borens (2004).
 
[45] Ho sviluppato questo approccio alle perversioni – in chiave etica oltre che psicologica – in Benvenuto (2003, 2005). Qui, propongo di considerare perverso non un atto sessuale “anormale” (?) ma un atto erotico in cui la soggettività dell’altro viene usata per il piacere del soggetto perverso, anche quando l’altro non gradisce affatto l’atto (la perversione non è egodistonica, è eterodistonica).
 

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