IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
Psicoanalisi di frontiera
A sentire la parola “topologia”, agli psicoanalisti salgono i fumi alla testa; pensano subito ai famigerati matemi di Lacan. In realtà, Lacan non fece mai topologia. Si limitò a sfruttare ben note e ampiamente volgarizzate proprietà topologiche e/o omotopiche delle superfici bidimensionali – banda di Möbius, toro, piano proiettivo – come artifici mnemotecnici per ridurre in pillole il proprio insegnamento e farlo inghiottire agli allievi. Il suo tormentone fu mes élèves. Lacan fu un maestro, non un ricercatore. Trasmise una dottrina, non inaugurò una pratica scientifica.
Eppure, se a Lacan va riconosciuto il merito di aver introdotto in psicoanalisi la nozione di “reale”, contrapposta a quella di “simbolico” e “immaginario”, la ragione è che in un certo modo si avvicinò alla topologia, la quale rappresenta “un’astrazione di alcune interessanti proprietà dei numeri reali”.[1] L’astrazione è una delle più potenti molle del procedere scientifico verso il reale. La simmetria tra Lacan e la matematica più che nei suoi matemi va trovata nella logica del reale come impossibile, che non cessa di non scriversi,[2] esattamente come pi greco, che ha un’espansione numerica infinita senza regole locali.
Lo psicoanalista che fece realmente ricerca topologica in campo psicoanalitico fu Paul Federn; non ebbe emuli tra i colleghi, in genere più inclini alla letteratura, in specie narrativa, che alla scienza.[3] Tuttavia Federn fu saccheggiato, senza essere citato, ad es. da Heinz Kohut, che sfruttò la nozione di Federn di occupazione di libido narcisistica nelle formazioni di imago parentale idealizzata (“oggetto” narcisistico) e di Sé grandioso (“soggetto” narcisistico), tipiche formazioni dei transfert di personalità narcisiste. Alla voce “Narcisismo” del loro Vocabulaire de psychanalyse Laplanche e Pontalis non citano Federn.
Di Federn presento un’introduzione alla sua concezione del narcisismo, esposta in tre lavori fondamentali:
P. Federn, “Narzißmus im lchgefüge” (Il narcisismo nella struttura dell’Io). Conferenza al X Congresso di Psicoanalisi di Innsbruck l’1 settembre 1927, in Intern. Zeit. f. Psychoan., vol. XIII.4, pp. 420-438, 1927.
P. Federn, “Das Ich als Subjekt und Objekt im Narzißmus” (L’Io come soggetto e oggetto nel narcisismo). Conferenza alla “Wiener Psychoanalytischen Vereinigung”, Vienna, giugno 1928, in Intern. Zeit. f. Psychoan., vol. XV.4, pp. 393-425, 1929.
P. Federn, “Zur Unterscheidung des gesunden und krankhaften Narzissmus” (Sulla differenza tra narcisismo sano e morboso), Imago, XXII.1, 5-39, 1936.
Sono testi molto ricchi e complessi; li semplifico mantenendomi sulle generali; mi preme più trasmettere lo spirito della ricerca topologica di Federn che i suoi risultati effettivi, compito che lascio agli eruditi.
Da fedele discepolo, Federn fu costantemente preoccupato di dimostrare che la propria concezione non si discostava molto dai canoni freudiani. In realtà lo scostamento c’era e tale da non poter passare sotto silenzio. Prima che di contenuti la differenza è di forma e di metodo; sta nell’approccio al reale.
L’approccio di Freud è letterario, in particolare “narrativo” o diacronico. Un esempio non a caso: nell’Introduzione del narcisismo (1914), Freud racconta tanti interessanti dettagli clinici relativi all’autoriferimento soggettivo, ma senza inquadrarli in una visione di insieme. La grande narrazione freudiana declina il mito edipico in due versioni: individuale (complesso di castrazione) e collettiva (mitologia pseudo-darwiniana dell’orda primitiva o psicologia delle masse[4]). Le narrazioni non generalizzano e non astraggono. Sono sempre rivolte al particolare che si può interpretare in mille modi. L’impressione è che Freud sarebbe potuto partire da qualunque altra favola, persino da Biancaneve e i sette nani o da Cappuccetto rosso. La sua metapsicologia non avrebbe cambiato assetto interpretativo, basato su virtualità psichiche analoghe alle pulsioni.[5]
L’approccio di Federn è “scientifico”, in particolare topologico o sincronico. Non tratta miti o favole. Negli articoli citati espone un modello meccanicistico, dove alcuni “elementi psichici” – Federn li chiama proprio così – interagiscono tra loro secondo certe relazioni di prossimità – simmetrie topologiche appunto – stabilite dall’esistenza di frontiere tra un elemento e l’altro. L’evoluzione globale del sistema psichico dipende dalle interazioni locali delle componenti alle loro frontiere, le quali legittimano narrazioni globali diverse – non una sola – a seconda delle condizioni di partenza.
La differenza tra letteratura e scienza è di principio e al principio dell’era moderna; storicamente sta all’origine della bipartizione dei due discorsi dal XVI secolo in poi; da una parte ci sono i primi grandi romanzi moderni: Gargantua e Pantagruel (1532-64), Don Chisciotte (1605-1615), Orlando Furioso (1516-1532), dall’altra le grandi innovazioni scientifiche di Copernico (1543) e Galilei (1604-1638), che avviano la scienza moderna, essenzialmente diversa dall’antica.[6]
I presupposti filosofici dei due approcci sono antitetici. In psicoanalisi, dalla parte della letteratura freudiana, ci sta il vitalismo, espresso nella concezione del plasma germinale immortale. Nel vitalismo freudiano domina la vita psichica.[7] Secondo la narrazione di Freud c’è una sostanza vitale (“eine lebende Substanz”), che evolve lungo certe fasi libidiche, nelle varianti edipiche, attraverso il conflitto tra pulsioni di Eros (costruttive) e pulsione di morte (distruttiva).[8] Nella metapsicologia c’è una genesi e una patogenesi dei processi psichici (psicogenesi [9]) con cause ben determinate, come si legge nei trattati di patologia medica dei fenomeni morbosi; alla base ci sono delle pulsioni: forze costanti al confine tra psichico e somatico. Freud concepisce l’apparato psichico come il medico la patologia. Le pulsioni freudiane sono cause psichiche, cioè cause efficienti o finalistiche nel senso di Aristotele; sono “tendenze interne della sostanza vivente miranti a ristabilire lo stato precedente”.[10] Nel complesso, tuttavia, il quadro pulsionale del vitalismo freudiano resta incerto. Freud non sa decidere se prevalgano le pulsioni di autoconservazione dell’Io o la pulsione di morte dell’Es, che distrugge in silenzio.[11]
Dalla parte della scienza federniana, invece, ci sta il meccanicismo; ci stanno, cioè, relazioni di contiguità tra elementi che “ingranano” tra loro come ruote e leve, pistoni e cilindri di una macchina, nel rispetto di certe simmetrie, date dalla presenza/assenza di occupazioni libidiche ai bordi delle frontiere. Il meccanicismo scientifico non è però il determinismo di causa ed effetto, che imperversa nel freudismo, secondo cui ogni evento psichico ha alle spalle una causa, segnatamente una pulsione. La scienza ospita l’indeterminismo; lo tratta con il calcolo delle probabilità. Il termine “Wahrscheinlichkeitsrechnung” non ricorre nelle Gesammelte Werkedi Freud.[12] Nonostante i suoi meriti tecnologici, tuttavia, il meccanicismo non si presta a descrivere le vicende della vita; ci riesce meglio il romanzo.
La dicotomia tra i due approcci, ignota all’antichità, che non produsse più di due o tre romanzi e nessuna scienza indeterministica, si può anche leggere come contrapposizione tra due tipologie scientifiche: le scienze umane (idiografiche e narrative) dalla parte di Freud, le scienze naturali (nomotetiche e meccaniciste) dalla parte di Federn.[13]
Anche in concreto gli esordi dei due discorsi intorno all’Io sono diversi: per Freud l’Io inizialmente non esiste, ma evolve attraverso successive identificazioni; per Federn l’Io esiste da sempre in qualsiasi forma di vita, anche allo stato larvale o fetale; è inizialmente fuso/confuso con il mondo esterno in una situazione che Federn chiama egocosmica. Essa corrisponde all’instaurarsi del processo primario, regolato da condensazioni e spostamenti, come stabilito da Freud già ai tempi dell’Interpretazione dei sogni (1899), in risposta al desiderio inconscio.[14]
Schematizzo la situazione iniziale con una curva chiusa: un quadrato, ma potrebbe essere un cerchio,[15] che include l’Io e il mondo, tra loro indistinti.
Sta qui il fondamento concettuale del modello topologico di Federn, diverso da quello freudiano. Federn non distingue tra interno ed esterno. Tutto è interno al perimetro primordiale. La sua topologia, come ogni vera topologia, non distingue tra dentro e fuori. Le topiche freudiane, invece, si basano sulla contrapposizione (non topologica) tra interno ed esterno. La differenza è a più riprese riproposta da Freud, dai tempi di Pulsioni e loro destini (1915) fino a Negazione (1925), supportato da Ferenczi con la coppia: proiezione (all’esterno dell’apparato psichico) / introiezione (all’interno) a salvaguardia della sostanza vivente.
Ricordo da post precedenti che in topologia un punto si dice interno a un insieme se e solo se esiste un suo intorno che lo contiene ed è contenuto nell’insieme.[16] Un punto si dice esterno se e solo se è interno all’insieme complementare. In modo controintuitivo, per la topologia anche l’esterno è interno. Le trasformazioni continue, che non alterano le relazioni di vicinanza tra punti, non distinguono tra dentro e fuori: rivoltano un toro o una sfera facendo apparire all’esterno la faccia interna e all’interno l’esterna. Esistono persino superfici unilatere, come la banda di Möbius, dove il recto coincide con il verso.
La reale differenza topologica è tra punti interni e di frontiera. Un punto si dice alla frontiera di un insieme se e solo se non ha intorni nella frontiera. Detto altrimenti, un punto è alla frontiera di un insieme se e solo se ogni suo intorno interseca sia l’insieme sia il suo complementare, cioè non è interno né all’insieme né al suo complemento. Questa è la base topologica per la doppia occupazione libidica ai due lati di una frontiera tra un insieme di elementi psichici e il suo complemento. Le proprietà topologiche della frontiera potrebbero interessare lo psicoanalista. La frontiera di un insieme aperto (o chiuso) è un insieme chiuso privo di punti interni. In Francia si dice insieme raro, nei paesi anglosassoni insieme non ovunque denso (“nowhere dense). Le frontiere sono buoni modelli topologici di soggetto. Lacan li costruiva tagliando superfici topologiche con il coltello del significante.
Arriviamo così al concetto chiave della topologia di Federn: la frontiera dell’Io (Ichgrenze), che nel primo dei saggi citati è presentata come frontiera dell’Io-corpo (Körperich-Grenze); nozione, quella di Io-corpo (Körper-Ich, letteralmente “Io del corpo”), che Federn mutua da Freud. Körper-Ich è infatti la parola che Freud scrive alla fine del II capitolo di L’Io e l’Es (1923), prima di introdurre il discorso sul Super-Io, versione simbolica dell’istanza dell’Ideale dell’Io, già presente nell’Introduzione del narcisismo (1914).
Prima di procedere una precisazione. Anche Freud usò il termine Grenze per “confine”, ma in senso concettuale. Scrisse che “così quello di pulsione ci si presenta come concetto limite tra psichico e somatico, come rappresentante psichico degli stimoli originati all’interno del corpo, che arrivano alla psiche”. [17] Invece per Federn la frontiera ebbe una realtà psichica effettiva.
Secondo Federn le frontiere dell’Io (plurale) sono occupate da libido narcisistica, la quale costituisce il sentimento dell’Io (Ichgefühl), che è l’importo affettivo (Affektbetrag) con cui l’Io fa esperienza della propria frontiera. Nel saggio del 1936 Federn precisa che “topicamente, le frontiere dell’Io sono le portatrici, si potrebbe dire, gli organi psichici del narcisismo, anche se le sensazioni, gli impulsi e gli eccitamenti legati ai processi libidici narcisistici appartengono alle zone e alle funzioni erogene più diverse”.[18] In questa topologia la libido narcisista è il substrato su cui si stratifica la libido d’oggetto. Il narcisismo è la premessa alla relazione d’oggetto. Qualcosa di simile ha avanzato Lacan, in particolare negli schemi L ed R, in generale nella simmetria tra “altro piccolo” (immaginario e individuale) e “Altro Grande” (simbolico e collettivo).
La topologia offre un modello concreto, molto fisico, di “occupazione” libidica, la cosiddetta Besetzung, solitamente tradotta “investimento”, convocando in modo ingannevole un’immaginaria economia psichica, mentre si tratta di “quanti di libido” (Libidoquanten [19]), come li chiamava Federn, che occupano una certa superficie come le cariche elettriche in un condensatore.[20]
Per chiarire le idee, propongo il seguente semplice esperimento mentale. Partiamo dal centro del quadrato primitivo e costruiamo la successione di quadrati concentrici di semi-diagonale pari a un mezzo, tre quarti, sette ottavi, quindici sedicesimi ecc. della semi-diagonale di partenza. Alla frontiera del quadrato originario, cioè in prossimità del suo perimetro, si accumulano infiniti quadrati concentrici sempre più vicini. Comunque piccola si prenda la distanza dalla frontiera, nell’intervallo cadono sempre infiniti perimetri quadrati; la loro densità materiale cresce avvicinandosi alla frontiera.[21] Alla frontiera l’Io sente l’“accumulazione” – così la chiamano i topologi [22] – come sentimento dell’Io. Federn precisa che esistono frontiere dell’Io inconsce e preconsce e che non si può identificare la coscienza come l’unica frontiera dell’Io.
Se si accostano due frontiere libidicamente occupate, per esempio tra l’Io e la rappresentazione dell’altro, lì scatta la sensazione dell’affetto. Questo è un modello topologico (ce ne possono essere altri) relativamente semplice di occupazione libidica, germe per una teoria scientifica della libido, essenzialmente qualitativa, risalente a quel geometra, per la verità più “geometico” che “geometrico”, che fu Spinoza.
In proposito Bleuler obietta che non può esistere un’energetica psichica puramente qualitativa, senza unità di misura.[23] Incurante della riserva, che per altro non era rivolta a lui ma a Lehmann, Freud dichiarava: “Libido è un’espressione della teoria dell’affettività. Chiamiamo così, considerandola come grandezza quantitativa – per quanto attualmente non misurabile – l’energia delle pulsioni che hanno a che fare con tutto ciò che si può considerare amore”.[24] In latino libido dice tante cose: “voglia, desiderio, passione, brama, piacere, talento, impulso, stimolo, appetito”; in senso cattivo, “desiderio sfrenato o smodato, passione, capriccio, arbitrio, dissolutezza, eccesso, libidine, sensualità, lascivia, lussuria, intemperanza”. Corrisponde al tedesco Begehren, contrapposto a Wunsch, “augurio”. Come pensare l’unità di misura?
In proposito la storia della matematica conferma la validità dell’impostazione freudiana. Sin dai tempi dello scopritore della banda di Möbius, Johann B. Listing, cui si deve il nome di topologia (1847),[25] fino a quelli di Felix Hausdorff, che ne diede la prima sistemazione assiomatica (1914), la topologia esordisce come studio qualitativo dello spazio; nasce non quantitativa, non metrica, radicalmente non euclidea, giusto come analisi delle condizioni qualitative che rendono possibile una metrica (una misura delle distanze), in particolare la separabilità e la numerabilità degli intorni. La topologia di Federn è puramente qualitativa senza unità di misura. Federn è più moderno di Euclide, forse anche di Freud.
Come si produce la frontiera dell’Io? Lo schematizza il disegno:
Il disegno successivo rappresenta la situazione limite. La progressiva restrizione del rapporto Io/mondo porta a un solo punto in comune a entrambi.
Secondo Freud l’Io è simile a un’ameba che invia nel mondo pseudopodi esploratori, carichi di libido narcisistica primaria, la quale diventerà secondaria quando lo pseudopodio si staccherà dalla frontiera dell’Io e cadrà come oggetto nel mondo.
Secondo Federn l’ameba è il mondo. L’Io si ritira – ritrae la propria libido narcisistica di frontiera – dagli pseudopodi, carichi di libido d’oggetto, che il mondo introduce nell’Io e l’Io avverte come minacciosi; quando questi si staccano dalla frontiera, cadono nell’Io come oggetti interni. Il distacco degli pseudopodi avviene in entrambi i casi per coalescenza di porzioni di frontiera che entrano in contatto.[27]
Faccio notare che, pur iniziando in modo apparentemente distante dalla letteratura di Freud, la topologia non porta in realtà a esiti molto diversi da come Freud racconta la sessualità nella nevrosi e nella perversione, sintetizzandola nel noto aforisma: “La nevrosi è, per così dire, il negativo della perversione”.[29]
A questo punto il discorso si complica introducendo la seconda topica. All’Io si impongono da una parte il Super-Io e dall’altra l’Es. L’Io è alla fine preso in una morsa, pur mantenendo i piedi ben piantati alla frontiera del mondo. Lo schema potrebbe essere rappresentato da un tetraedro, dove le frontiere tra elementi psichici sono rappresentate dagli spigoli.
La combinatoria delle diverse occupazioni libidiche dipende dal fatto che ogni frontiera è effettivamente doppia:double-faced. La frontiera Io-Mondo ha un lato (bordo) Io e un lato (bordo) Mondo; la frontiera Io-Es un lato Io e un lato Es; la frontiera Io-Super-Io un lato Io e un lato Super-Io.[30] Tenendo conto che ogni lato può essere occupato o disoccupato da libido, le combinazioni possibili sono 2 elevato alla sesta potenza, cioè 64. Tutte le possibili frontiere tra le quattro istanze: Io, Mondo, Es, Super-Io, sono 6, come gli spigoli del tetraedro, per un totale di 12 bordi. Quindi tutte le possibili combinazioni di occupazione o disoccupazione libidica sono 4096, un numero intrattabile per ogni psicopatologia di impianto filosofico, in particolare fenomenologico.[31] Senza contare che le tre frontiere senza l’Io (Es-Mondo, Es-Super-Io, Super-Io-Mondo) sono di fatto inaccessibili all’osservazione clinica.
Nel secondo degli articoli citati Federn si dedica prevalentemente alla frontiera Io-Super-Io nella sua genesi pre-edipica in rapporto alla frontiera Io-Mondo, un tema che sarà sviluppato dalla Klein. Da leggere e meditare.
Suggerisco, concludendo, uno spunto di possibile riflessione topologica. Tra il primo e l’ultimo disegno c’è continuità, in topologia si chiama omeomorfismo. In gioco c’è sempre lo stesso quadrato, che chiamerei “quadrato della soggettività”.[32] Nel primo disegno il quadrato è senza diagonali, nell’ultimo è con diagonali. Le diagonali rappresentano rispettivamente le frontiere dell’Io con il mondo (Freud parlerebbe di Wirklichkeit o realtà effettuale) e con l’Es, cioè con la realtà psichica più profonda (Freud direbbe Realität). Le chiamerei “diagonali estetiche”. Sul piano teorico, ma non su quello pratico, Freud trascurò la dimensione estetica, concedendo più spazio all’etica alla frontiera tra Io e Super-Io.
A questo punto la topologia ha il fiatone. Il suo discorso finisce qui. Le basta aver fissato una cornice per la teoria e lascia la parola alla pratica clinica della psicoanalisi, per cui rimandiamo ai testi citati. Nel secondo testo citato, con sano realismo Federn afferma che la teoria non può rispondere a tutti i quesiti. Alle domande che la teoria sollecita le risposte può darle solo l’esperienza.
Postilla politica
Questo discorso non pretende convincere nessuno. Non sono filosofo che parla in nome di verità da imporre al mondo intero. In fondo, il filosofo è in perenne campagna elettorale per conquistare il potere. Il discorso filosofico, infatti, è una variante del discorso del padrone, o del maestro, secondo Lacan, che di magistero se ne intendeva. Io sono uomo di scienza. Non faccio campagna elettorale per me stesso, anche perché non ho un partito da difendere e soprattutto il potere non mi interessa. Più che con la verità in clinica armeggio con la falsità dei sintomi, dei falsi ricordi, dei falsi amori di transfert e di tutte le formazioni dell’inconscio. Per la precisione mi occupo di congetture che non sono né vere né false, ma in attesa di essere confutate.[33]
Di più. Metto in guardia chi mi legge dall’adottare il discorso scientifico, per esempio quello topologico che ho sommariamente illustrato. Perché? Perché il discorso scientifico scardina le appartenenze di scuola; avendo una valenza isterica, il discorso scientifico demolisce quel che il padrone-maestro afferma, come avverte Lacan. Se appartieni a una scuola di pensiero, dove vige una dottrina consolidata e inconfutabile, imposta dall’alto in nome del principio d’autorità, il discorso scientifico ha delle chance per confutare la tua ideologia – nel caso “psi” la tua psicopatologia. Dopo di ché ti trovi in brache di tela: non hai più un porto dove rifugiarti. Se sei uno psicoanalista resti senza possibilità professionali di esercitare la psicoterapia. La scienza porta all’esilio, a volte alla miseria.Galilei docet.