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L’ascia di Washington: il turnover dei volontari in età giovanile e il problema della separazione

30 Dic 18

A cura di dinange

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Premessa del 30.12.18:

Quella che segue è la relazione tenuta l’1.12.1995 ad un seminario, a cura della Provincia di Reggio Emilia, di riflessione sui risultati raggiunti nel primo quinquennio dal gruppo di volontariato giovanile  “Gancio Originale”, portato avanti allora dall’Ausl di Reggio Emilia.
La ripropongo per sottoporla alla riflessione degli operatori odierni della psichiatria e della psicologia dell’età evolutiva poiché mi pare che nel frattempo (sono passati 23 anni da allora) i servizi dell’età evolutiva operanti nel ‘pubblico’ abbiano abdicato a questo tipo di lavoro, che ‘allora’ era sentito come un compito strettamente legato alla clinica.
Strettamente e doppiamente – come sottolineava la Manoukian Olivetti, che è stata una delle nostre ‘madrine’ – poiché si trattava di un lavoro che queste giovani volontarie (è giusto usare il femminile poiché, almeno all’inizio, si trattava per il 90% di giovani donne adolescenti) facevano sia sugli altri, sia su se stesse. Un doppio lavoro quindi, svolto in un rapporto di tutoring e di scambio con una vera e propria ‘catena dell’accompagnamento’, che permetteva loro di trovare in quel tipo di volontariato, libero e gratuito, occasione per sperimentarsi all’interno di un circuito del dono. Un percorso che magari partiva con Gancio Originale, ma che spesso andava ben al di là sia di Gancio, sia dello stesso tempo dell’adolescenza.
Ho sottolineato prima la gratuità del percorso, e l’assoluta libertà nell’aderirvi, perché mi pare che oggi tutto l’ambaradan dei crediti, dei percorsi scuola-lavoro mortifichi e, in certo qual modo, tenda a coartare e svuotare di significato ciò che invece avrebbe senso solo sul piano dell’autenticità. (L.A.)
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– Tempo fa ho letto che nella casa natale di George Washington, attualmente trasformata in un museo, è ancora oggi visibile l'ascia appartenuta al primo presidente degli Stati Uniti d’America. Ad un turista incuriosito, che chiedeva come avesse fatto quell'ascia a sopravvivere per duecento anni a George Washington, un custode ha risposto ciò era dovuto al fatto che nel frattempo, a quell’ascia erano stati cambiati per tre o quattro volte il manico e per due volte il ferro.
Questo è l'aneddoto che mi è venuto in mente quando per la prima volta ci siamo trovati a riflettere sul turnover dei volontari di Gancio Originale. C'è infatti, a mio avviso, una analogia fra il nostro turnover e l'ascia di Washington: anche nel nostro caso, a parte una sparuta pattuglia di “fedelissimi”, nei quattro anni di vita del nostro servizio di volontariato vi è stato un turnover così accentuato che, ad una osservazione superficiale, sembrerebbe che, come per l’ascia di Washington, di quello che fummo all'inizio sia rimasto ben poco.
Cos'è che, invece, che rende vera l'affermazione del custode della casa-museo di Washington, e proponibile l'analogia tra il nostro servizio e la storia dell'ascia di Washington? Partiamo dall'ascia, che se ne sta lì, a far bella mostra di sé, anche se ormai del tutto diversa da quella che materialmente fu una volta impugnata da George Washington: sappiamo – ce lo ha detto innocentemente il custode – che ciò che lì è rimasto non è materialmente l’ascia di Washington, che anzi si è andata usurando col passare degli anni ed è stata sostituita, in entrambe le sue parti, più volte.
Perché allora tendiamo ad accettare come vera l'affermazione del custode? perché intuiamo che qualcosa dell'ascia di Washington lì effettivamente sia rimasto, qualcosa di immateriale, di etereo, eppure qualcosa che noi intuiamo essere profondamente vero! Qualcosa che in una parola possiamo definire come l'aura che nell'ascia attuale è rimasta di quella che fu l'ascia materialmente usata da George Washington. Intendo per "aura" un qualcosa che possiamo definire come una specie di lieve impronta che è su quell'ascia, e che la segna ancora oggi come appartenente a George Washington.
Ebbene in Gancio Originale, a mio avviso, sta avvenendo qualcosa di simile. Nonostante il turnover dei volontari, nonostante, anche nel nostro caso, più e più volte siano cambiati il "manico" e il "ferro" della nostra ascia, è come se, anche nel nostro caso, qualcosa rimanga. Qualcosa che assomiglia ad una lieve impronta; ad un'aura, appunto! qualcosa che è il frutto dell'impegno di tutti coloro che, anche per pochi giorni, sono passati di qui, da Gancio Originale, lasciando su di noi e soprattutto sui nostri pazienti il segno particolare del loro lavoro, del loro impegno, della loro dedizione.
Ma cos'è che rende il nostro volontariato così specifico e "volatile", così "leggero come un soffio", ma anche così forte e capace di segnare di sé le esperienze e gli incontri?
– Innanzitutto, direi, il tipo di selezione e di autoselezione che noi promuoviamo, che è selezione ed autoselezione di giovani e fra i giovani, che avviene prevalentemente nelle scuole medie superiori e nelle associazioni giovanili, quali gli scout, le parrocchie, etc.-
Una selezione, cioè, piuttosto mirata che si rivolge ad una popolazione di gente che "passa", che "cresce", che diventa grande e poi (un poi che può essere proiettato in un futuro più o meno prossimo, ma che in ogni caso non è mai molto lontano nel tempo) poi va via, passa ad altre esperienze.
– In secondo luogo, ed in stretto rapporto con questo primo punto, la “volatilità” del nostro volontariato sta nel fatto che a questa già specifica categoria di volontari e di volontarie corrisponda una specificità della città che accentua ancora di più il turnover: Reggio infatti non è una sede universitaria, ciò provoca una vera e propria migrazione di molti giovani, dopo i 18\19 anni, in altre città universitarie, accentuando quella tendenza alla volatilità che, come abbiamo appena visto, è tipica dell'età “di passaggio” dei nostri volontari.
Le due cose, messe insieme, determinano una situazione di apparente svantaggio. Dico "di apparente svantaggio" perché credo che lo svantaggio possa invece diventare una risorsa se, come è stato già detto poco fa da Mariella Cantini[1], ciò che viene chiesto ai giovani è compatibile con questa leggerezza, sia da un punto di vista quantitativo (le poche ore di impegno settimanale richiesto), che qualitativo (il tipo di impegno, il tipo di utenza, il tipo di competenze richieste).
 
Cerchiamo di vedere adesso di che natura è, nel nostro caso, l'aura che il volontario lascia dietro di sé, che tipo di impronta egli lascia nei servizi.
Innanzitutto va detto che quest'aura, questa impronta non è dovuta al caso, bensì il frutto di una serie di accorgimenti che sono: 1) nel tipo di disposizione, direi di spirito dei volontari stessi; 2) nel tipo di pre\occupazioni (cioè di programmazione, di lavoro, di riflessione sul fare) degli operatori USL circa la il lavoro di volontariato.
1. Vediamo innanzitutto cosa intendiamo quando parliamo di disposizione dei volontari: si tratta, come è stato già detto, di una disposizione molto circoscritta, delimitata fin dal contratto iniziale. Questo fa si che il passaggio delle competenze da un volontario all'altro sia semplice. Cosicché la estrema semplicità dei setting di lavoro volontario rende facile il passaggio delle competenze da una generazione all'altra.
2. E vediamo ora cosa intendiamo quando parliamo di "pre\occupazione dell'ufficio di "Gancio Originale": tale pre\occupazione va vista a mio avviso sotto una triplice veste:
A) come consapevolezza che non si può chiedere di più; che sarebbe forse dannoso chiedere di più (innescando ad esempio pericolose spirali di setting basati sulle residue parti onnipotenti del giovane);
B) come pre\disposizione di una attività di tutoring che permette di dare un ancoraggio a tutti i momenti di crisi dei giovani e di ‘passare le competenze”, cioè di assegnare gli incarichi in base ad uno "sposalizio" tra caratteristiche personali dei giovani e delle giovani e natura dei problemi dei singoli casi loro affidati;
C) infine come formazione dei volontari stessi che va ben al di là degli obblighi di legge, prevedendo da una parte il turnover, dall'altra la necessità di non tediare i formatori e gli allievi con programmi-standard, predefiniti, surgelati, precotti.
E' in questo modo, penso, che, nel nostro caso, la nostra “aura”, quella dei nostri volontari è diventata un soffio leggero che avvolge lievemente il lavoro: da una parte inserendolo in una tradizione, che è la storia dei servizi, la cultura dei servizi, la tèchne (direbbe il mio maestro Diego Napolitani) solidificata nei servizi; ma nello stesso tempo non forzando mai in questa direzione, ma cercando, semmai di vivificare la tradizione stessa con tutto ciò che di nuovo proviene dai giovani.
In questo modo i servizi, gli operatori – cioè l'insieme di coloro che da sempre lavorano con i bambini ed i ragazzi disabili ed a rischio – non rinunciano a pensare, non rinunciano a indicare ai giovani quali sono gli elementi del "mestiere", dell'’arte” fin qui accumulati nei vari scomparti, ma anzi lo fanno con orgoglio e con spirito di complementarità, di non concorrenzialità.
Si scorga l'elenco dei formatori dei nostri corsi e si vedrà che pubblico e privato, sanità e scuola, laici e credenti sono accomunati in un concerto polifonico in cui ciascuno ha di che dire in armonia con gli altri.
Ma questo passaggio, che è anche passaggio da una generazione all'altra di competenze e di cultura dei servizi, è fatto lievemente, in maniera non cattedratica, non accademica, ma usando in maniera discreta tutti e tre gli strumenti didattici a disposizione dei più anziani: l'insegnamento formale (il sapergliela raccontare), l'esempio (il sapergliela far vedere), il precettorato (il sapergliela risolvere).
In maniera discreta e non ripetitiva, in modo che, cioè la storia del servizi, le ‘arti’  che nei servizi si sono cristallizzate negli anni, non passino al giovane in maniera ripetitiva, ma con una disposizione ad essere contaminate dagli apporti nuovi che dai giovani stessi e dalla loro creatività possono venire: è da questa coniugazione fra vecchio è nuovo, fra certo ed incerto, fra sapere accumulato e nuova voglia di fare che è nato Gancio Originale.
In questo modo viene evitata, penso, anche l'illusione, che prende molti oggi, anche qui a Reggio Emilia, che avvenga il contrario: e cioè che il vecchio, le vecchie arti, le vecchie tradizioni siano ripudiate, adialetticamente e scissionalmente buttate al macero in favore del nuovo, che, non dimentichiamolo, spesso non si è ancora confezionato in un'arte definita, non solo in Gancio Originale, ma anche nei servizi per il volontariato più “organici” e più "storici" del nostro.
C’è un ultimo punto che mi viene da affrontare prima di concludere: quello della somiglianza fra separazione del giovane da “Gancio Originale" e certe forme di interruzione della terapia, tipiche dell'adolescente. E' noto che, in termini percentuali, le interruzioni della terapia in adolescenza sono maggiori che in ogni altra fase della vita. Ciò è dovuto ad una serie di fattori che spesso sono riconducibili alla responsabilità del terapeuta, ma che a volte sono dovuti al fatto che la non completa maturazione dell'adolescente può condurlo ad allontanarsi dal terapeuta, magari per ritornare dopo qualche tempo.
In questi casi l'interruzione non va vista come un fallimento, ma come una fase di un dialogo fra terapeuta e adolescente: dialogo che può riprendere, da un momento all'altro. E' importante in questi casi che il terapeuta si mostri disponibile ad un re\incontro.
Ebbene nel nostro caso cosa avviene? avviene che l'abbandono di Gancio Originale da parte del giovane, a volte sia improvviso, quasi come una interruzione, come una uscita di casa improvvisa ed apparentemente non dialettica. La nostra disposizione d'animo in questo caso deve essere di sopportazione della separazione, e di disposizione ad un re\incontro, che non è detto che avvenga materialmente in Gancio Originale, ma più facilmente in altre organizzazioni di volontariato, o in ogni caso in altri luoghi, su altre cure che per loro natura e per loro compito possono, più facilmente che in Gancio Originale, diventare i nuovi interlocutori di un dialogo, i nuovi luoghi di un impegno che speriamo duri il più a lungo possibile.



[1] che, insieme al sottoscritto e Deliana Bertani, costituiva lo staff di Gancio Originale

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