*Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo. Docente ac di Psicologia e Nuove Tecnologie – Dipartimento di Psicologia – Università degli Studi di Torino (eddy.chiapasco@unito.it)
**dott.ssa magistrale in Psicologia Clinica e di Comunità
L’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese ha evidenziato come quasi l’80% degli italiani utilizzi Internet e che il 74% circa abbia uno smartphone (Censis, 2018). Se pensiamo che nel 2009 solo 15% della popolazione ne aveva uno possiamo rapidamente farci un’idea dello sviluppo e della pervasività di questi strumenti. Affermare che quasi tutti possediamo uno smartphone sembra una considerazione ovvia ma meno ovvia è la riflessione sulle implicazioni che questo può avere sulle nostre vite.
Dalla sveglia del mattino, le mappe stradali, i sistemi di messaggistica istantanea, i servizi di home banking, i servizi per organizzare i nostri pranzi o i nostri viaggi, l’agenda, le e-mail, i social network, i giochini che riempono ogni nostro momento di noia o solitudine, siamo costantemente e ininterrottamente circondati e supportati in tutte le nostre attività e i nostri bisogni dalle nuove tecnologie.
Tutto questo ci consente di lavorare, spostarci e comunicare in un modo molto più rapido rispetto al passato e ha un effetto sulla nostra percezione di vedere nel telefono uno strumento potente affidabile e sempre disponibile a cui fare affidamento nel momento del bisogno.
Ricorriamo alle nuove tecnologie infatti sempre più per risolvere i nostri dubbi, le nostre dimenticanze e anche per trovare la soluzione a problemi di natura personale.
Negli Stati Uniti le persone che utilizzano un motore di ricerca per motivi sanitari sono aumentate negli ultimi anni, per fare autodiagnosi (Fox & Duggan, 2013) o per cercare un professionista sanitario. Un sondaggio di Nuance Communications del 2015 ha messo in evidenza che i giovani nati tra il 1980 e il 1995 (i cosiddetti “Millenials”) sono più propensi a prendere decisioni di natura sanitaria consultando recensioni online.
Molte persone cercano servizi sanitari per la diagnosi o il trattamento del proprio problema direttamente online (consulenze di professionisti, forum, percorsi specifici di formazione e autoterapia, terapia online; Fox & Duggan, 2013). Secondo il sondaggio precedentemente citato di Nuance Communications, il 54% dei Millenials ricercherebbe informazioni, consulti e farmaci on-line prima ancora di farsi visitare da un medico (Nuance Communications, 2015).
In Italia il 25% della popolazione ricorre ad internet per cercare informazioni di carattere medico (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2015), per un totale di oltre 11 milioni e mezzo di utenti che fanno ricerche sulla propria salute. Il 78% di queste riguarda malattie, il 62% le possibili cure, il 45 % i farmaci e il 36% centri medici di eccellenza (GFK, 2016).
Tutto questo ha delle serie implicazioni nell’evoluzione delle professioni di aiuto e in particolare nella professione di psicologo. Oggi una consulenza psicologica non implica più necessariamente la condivisione di spazio e tempo tra professionista e paziente (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, 2017). Essendo una professione che riconosce prima di tutto l’importanza della relazione umana (Berger, 2017; Shore, Savin, Novins, & Manson, 2006), non può non essere profondamente coinvolta in una fase storica in cui il nostro modo di stare in relazione gli uni con gli altri sembra cambiare così rapidamente (Moock, 2014).
Lo psicologo ha la necessità di “vivere” questi luoghi anche per ottenere visibilità e per raggiungere i suoi possibili clienti. È necessario però che la sua presenza online, dove è sempre molto difficile separare la parte professionale da quella personale, sia rispettosa delle regole comportamentali che il ruolo e la professione richiedono, come previsto e discusso dalle più recenti linee guida italiane (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, 2017) e da quelle statunitensi (Turvey et al., 2013).
I servizi per la salute mentale che si possono reperire online sono di vario tipo, e rientrano in quella branca della telemental health che comprende tutte le prestazioni professionali mediate da internet, spesso denominata iCBT, ovvero internet mediated cognitive behavioral therapy (Andersson, Cuijpers, Carlbring, Riper, & Hedman, 2014). Le consulenze possono essere offerte in videochiamata, via chat o via mail, ma esistono anche programmi con vari livelli di automazione per il trattamento di specifici disturbi (Aboujaoude, Salame, & Naim, 2015). Nel prossimo futuro non possiamo escludere che al servizio offerto da professionisti si affianchi anche un servizio offerto da realtà virtuali, come ad esempio il sistema SimSensei sviluppato dall’USC University of Southern California che, grazie all’intelligenza artificiale, è in grado di condurre un dialogo e rilevare molti dati sullo stato emotivo dell’interlocutore.
L’utente che su internet cerca questo tipo di servizi professionali, deve poter discernere con semplicità e immediatezza se dall’altra parte dello schermo ci sia un professionista reale, un software o una persona che si dichiara semplicemente con un titolo che in realtà non possiede. L’identificazione del professionista garantisce la possibilità di verificare la sua formazione e la qualità delle prestazioni proposte, ed è riconosciuta come requisito fondamentale per l’erogazione di questo genere di servizio (APA, 2017; Turvey et al., 2013).
Qual è la situazione nel nostro paese?
Iniziamo con il sottolineare come alla diffusione dei servizi psicologici online in Italia sia connesso un importante rischio denominato “Digital Professional Divide”, che si caratterizza per un profondo divario tra quei professionisti in grado di promuoversi attraverso il web e coloro che non lo fanno. Un’ulteriore ipotesi futura è quella del “Horse Racing”, uno scenario in cui alle attuali logiche di colleganza e solidarietà tra psicologi, prevarranno quelle economiche, basate su potere d’acquisto, aggressività e competizione (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, 2017). Per affrontare questi rischi è importante che vengano rispettate le norme deontologiche che regolano la professione anche sul web; esse si riferiscono alla possibilità di identificare l’autore delle prestazioni offerte, al consentire un livello di visibilità proporzionale alla formazione e competenza e monitorare il fenomeno (ibidem).
Nel 2009 avevamo indagato (Chiapasco & Veglia, 2011) la situazione della consulenza psicologica online nel nostro paese verificando la presenza di servizi online da parte di professionisti iscritti all’albo e il rispetto delle norme deontologiche sulla specifica materia della consulenza a distanza.
Lo studio aveva preso in considerazione siti che offrivano un servizio di consulenza psicologica gratuita o a pagamento via mail, web-mail, via chat, o attraverso la videocomunicazione. Il rispetto delle norme deontologiche risultava maggiore nel caso di servizi a pagamento rispetto a quelli gratuiti, ad esempio nei servizi resi a titolo gratuito, il consenso informato veniva richiesto appena nel 36% dei risultati analizzati. Un altro dato poco rassicurante di quello studio rivelava che solo nel 75% dei servizi non a pagamento era possibile identificare l’autore della prestazione fornita e solo nel 39% dei casi era indicato il numero di iscrizione all’albo professionale.
Come è cambiata la situazione in quest’ultimo decennio?
Abbiamo utilizzato le stesse chiavi di ricerca utilizzate nello studio precedente (Chiapasco & Veglia, 2011) ovvero “Psicologo online” “Psicoterapeuta online” “Consulenza psicologica online” utilizzando il motore di ricerca Google con browser Chrome in modalità anonima.
La rilevazione dei dati è stata condotta tra luglio e agosto 2018 e ha tenuto conto dei link presenti nella prima pagina dei risultati di ricerca anche se sponsorizzati.
Sono stati complessivamente considerati 48 link (17 Consulenza psicologica online – 17 Psicologo online – 14 Psicoterapeuta online) di cui 18 sponsorizzati (38%).
I risultati conducono a 9 siti di approfondimento (19%) (dove non vengono offerti servizi ma solo informazioni), 17 Network di psicologia (35%) (dove possono essere offerti servizi direttamente online o semplicemente si può trovare un professionista che potrebbe fornire un servizio online), 19 Siti professionali in cui vengono offerti servizi online (40%), 3 link rimandano a un sito internet non più attivo.
Abbiamo considerato come criterio discriminante tra Network e Siti professionali (anche se composti da più professionisti) il fatto che nei primi è possibile registrarsi (gratuitamente o a pagamento) per comparire sul network, quelli invece che abbiamo considerato siti professionali sono costituiti dai soli autori.
Interessante notare come sia sponsorizzato il 33% dei siti di informazione, il 59% dei Network e solo l’11%dei siti professionali. Indubbiamente una pagina che raccoglie tariffe di iscrizione ha maggiori possibilità economiche rispetto ad un singolo individuo, e può dunque investire denaro per aumentare la propria visibilità e comparire tra i primi risultati delle ricerche. Considerando le prime 4 posizioni per ogni chiave di ricerca utilizzata troviamo infatti in ben 9 posizioni su 12 occupate da network che utilizzano la sponsorizzazione.
L’analisi dei dati dei siti professionali evidenzia come in quasi la totalità dei casi (89%) sia offerto il servizio di videochiamata in alcuni siti affiancato anche dalla possibilità di una chat (26%) e una consulenza via e-mail (26%). Per quanto riguarda l’identificazione del professionista e il domicilio il dato è presente nel 100% dei casi. Il numero di iscrizione all’albo è presente nel 63% dei siti così come il riferimento alla normativa deontologica. L’informativa sulla privacy è assente in 1 solo caso.
Un dato che ci pare essere rilevante è il consistente divario tra le regioni italiane: tra i 19 siti professionali il 63% è situato al Nord, il 37% al Centro e nessuno al Sud.
L’analisi dei Network è stata condotta, ove possibile, sui professionisti che compaiono in prima pagina del network stesso. Questa scelta ha numerose limitazioni perché non è rappresentativa di una realtà troppo complessa per poter essere utilmente sintetizzata. Ci sono Network che offrono un servizio anonimo di consulenza dove è non è possibile individuare chi effettua la prestazione, altri che assegnano il professionista dopo aver postato la richiesta (non è l’utente che sceglie ma il network) altri ancora che elencano una serie di nominativi con la possibilità di accedere alle singole professionalità e servizi offerti. Alcuni network offrono direttamente il servizio online, altri rimandano a professionisti che lo offrono individualmente altri ancora sono semplicemente elenchi di nominativi di professionisti che non necessariamente offrono servizi a distanza. Vi sono poi network che richiedono un pagamento al professionista per iscriversi, altri che gratuitamente visualizzano random i nominativi, altri ancora che richiedono un pagamento per poter comparire tra i primi risultati delle ricerche condotte all’interno del network stesso.
Tale complessità rende difficoltosa, se non impossibile l’analisi quantitativa dei dati sul rispetto delle norme deontologiche qui considerate (identificazione del professionista con nominativo e domicilio, presenza del numero di iscrizione all’albo, informativa sulla privacy). Ci è sembrato comunque interessante soffermarci sull’aspetto territoriale. Complessivamente, dall’analisi dei risultati della prima pagina dei vari network, abbiamo individuato 91 professionisti di cui il 54% del nord, il 30% del centro e solo il 16% del sud del paese dato in linea con quello dei siti professionali.
Analisi dei risultati
A distanza di 9 anni la presenza di servizi di consulenza psicologica online è radicalmente cambiata.
Pur nel tentativo di voler ripetere la ricerca mantenendo gli stessi criteri di base ci siamo dovuti arrendere di fronte alla complessità dei risultati emersi dalla ricerca online.
La presenza, su 45 siti attivi, di ben 17 network (assenti nel 2009) ci porta a ipotizzare che il futuro della visibilità online sembra dover passare dall’affiliazione (spesso a pagamento) a questi servizi. Il dato è ancora più rilevante se spostiamo l’attenzione non a tutti i risultati della prima pagina del motore di ricerca ma alle prime 4 posizioni dove la loro presenza è al 75%.
Per quanto riguarda l’analisi dei siti professionali è notevolmente aumentata l’offerta di servizi in videochiamata che passa dal 26% all’89% coerentemente con lo sviluppo e l’accessibilità tecnologica a scapito della consulenza tramite e-mail che passa dal 47% del 2009 all’attuale 26%.
La situazione, dal punto di vista del rispetto delle regole deontologiche, sembra essere migliorata. L’identificazione del professionista è presente nel 100% dei casi mentre lo era solo nel 75%, così come è aumentato il numero di professionisti che indicano l’iscrizione all’albo professionale dal 39% all’attuale 63%.
L’informativa sulla privacy che era presente solo in circa la metà dei siti analizzati ora è assente in un solo caso.
Considerazioni conclusive
Siamo partiti dalla curiosità di indagare quale tipologia di servizi siano disponibili online nel nostro paese e come sia cambiato il rispetto delle norme deontologiche in questi anni.
Su questi aspetti la nostra ricerca ha portato dati positivi, sia sullo sviluppo del servizio di consulenza online coerente con lo sviluppo tecnologico sia per quanto riguarda alcuni aspetti deontologici (identificazione del professionista, indicazione del numero di iscrizione all’albo, riferimento alla legge sulla privacy) che sono decisamente migliorati rispetto al 2009.
Ci siamo però imbattuti in una realtà inattesa determinata dalla nascita in questi anni di numerosi network e della possibilità sempre più comune di pagare per ottenere una visibilità. Gli scenari descritti dalla Commissione Atti Tipici dell’Ordine Nazionale degli Psicologi del “Digital Professional Divide” e l’“Horse Racing” sembrano essere una realtà. La forza del denaro nella possibilità di pagare servizi di indicizzazione sui motori di ricerca o pagare l’iscrizione o l’indicizzazione a Network di psicologia sembra infatti essere determinante nel poter ottenere visibilità nei confronti dei potenziali utenti. Questa situazione di “visibilità a pagamento” produce una situazione di svantaggio e disuguaglianza per molti professionisti che intendono affacciarsi a queste possibilità di promozione del proprio lavoro.
Emerge dai dati anche un profondo divario tra Nord e Sud sia per quanto riguarda la presenza nei siti professionali che all’interno dei network.
La complessità di questa situazione inoltre non è garanzia per l’utente finale di accedere a un servizio qualificato e professionale perché non tutti i network richiedono per l’iscrizione la verifica dei titoli di studio e l’iscrizione all’albo.
A nostro avviso sarebbe molto importante se l’Ordine Nazionale o i singoli Ordini Regionali promuovessero una sorta di certificazione ufficiale per i professionisti che operano online nel rispetto delle regole deontologiche. Sembra però emergere la necessità urgente di studiare e intervenire sul fenomeno dei network di psicologia che si stanno proponendo come unico canale di accesso per avere visibilità online.
In questo senso, a primaria tutela delle persone che si rivolgono a internet per la ricerca di un professionista e al fine di limitare il rischio di Digital Professional Divide, l’Ordine professionale potrebbe investire risorse per competere con tali network sul posizionamento online. In questo modo si darebbe l’opportunità all’utente di scegliere tra gli iscritti all’Albo garantendone la professionalità e la possibilità agli iscritti di essere visibili senza doversi necessariamente affiliare a Network commerciali.
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