La psicoterapia della dipendenza basata sul significato
L’intervento terapeutico nelle dipendenze, richiede una prima fase dedicata al controllo del sintomo. Dal punto di vista psicoterapico, è importante considerare che il primo intervento ha come oggetto l’automatismo. L’obiettivo è mettere in crisi tale sensazione, per riproporre la responsabilità del paziente in termini di “agency”. In alcune situazioni il lavoro sulla conoscenza di questi meccanismi o sulla consapevolezza del significato attribuito al comportamento di dipendenza, qualora riguardi situazioni contingenti e non aspetti profondi della personalità, è sufficiente ad interromperlo .Nelle situazioni in cui il significato attribuito al comportamento di dipendenza riguarda aree profonde della personalità del soggetto, è invece necessario affrontarlo dal punto di vista psicoterapico lavorando sugli aspetti emotivi che riveste .
Descriverò poi, attraverso un caso clinico, il processo di un intervento psicoterapico in base al modello basato sul significato, con una paziente che allo stesso comportamento attribuiva due significati e lo stesso significato a due diversi comportamenti.
Psychotherapy of dependency based on sense
A reflection is proposed on the mechanisms that can exist at the basis of addiction, on some processes that characterize it and which may be the aim of a psychotherapeutic intervention, regardless of the specifics of the technique used.
The therapeutic intervention in the addictions field requires a first phase dedicated to the symptom control. From the psychotherapeutic point of view, it is important to consider that the first intervention has the automatism as its subject. The goal is to undermine this feeling, in order to re-propose the responsibility of the patient in terms of "agency". In some situations the work on the knowledge of these mechanisms as well as the awareness of the meaning attributed to the addiction behavior (if it concerns contingent situations and not deep aspects of the personality) is sufficient to interrupt it. In situations where the sense attributed to the addiction behavior concerns deep areas of the subject personality, it is necessary to deal with it from the psychotherapeutic point of view, working on the emotional aspects that it presents.
I will then describe, through a clinical case, the process of a psychotherapeutic intervention according to the model based on meaning, with a patient who attributed two meanings at the same behavior and the same meaning to two different behaviors.
Introduzione
Uno dei problemi che si incontrano nella psicoterapia delle dipendenze è quello che spesso non si tenga conto della fisiopatologia del disturbo, cercando di inserire la sintomatologia della dipendenza nelle varie teorie, alcune volte con forzature, dovute più alla necessità di confermare la teoria stessa che di cercare di capire il fenomeno.
In questo lavoro, invece, viene proposta una riflessione sui meccanismi che possono essere alla base della dipendenza, su alcuni processi che la caratterizzano e che possono essere l’obiettivo di un intervento psicoterapeutico, a prescindere dallo specifico della tecnica usata.
Descriverò poi, attraverso un caso clinico, il processo di un intervento psicoterapico in base al modello basato sul significato.
Nella definizione di un modello del processo di dipendenza è necessario basarsi sui dati forniti dalle neuroscienze, che hanno consentito di integrare l’originario approccio biologico con elementi di tipo psicologico. Difatti, se alla metà degli anni ‘90 l’enfasi sul craving, e quindi sul circuito neurale della ricompensa, costituiva una evoluzione rispetto alla precedente lettura strettamente legata a concetti biologici quali la tolleranza e l’astinenza, in contrapposizione ad una non meglio definita dipendenza psicologica, all’inizio del 2000 è stato possibile dare rilievo al coinvolgimento di altre zone del cervello. In particolare le aree legate ad attività cognitive ed al decision-making (corteccia frontale e prefrontale) nonché ad aspetti emotivi (amigdala). ( 1) Di particolare rilievo l’osservazione dell’esistenza, a fianco di un esile sistema "liking", che media il piacere, di un più robusto sistema “ wanting”, il quale, indipendentemente dal piacere, sostiene la dipendenza. (2). L’attivazione di tale sistema non sarebbe legata unicamente agli effetti ricompensanti, ma anche e soprattutto alla significatività degli stimoli, in base alla salienza che individualmente viene loro attribuita. Ne risulta una visione del craving in cui la componente reward è integrata con la salienza dello stimolo. La dopamina rilasciata a seguito dell’attivazione dl sistema wanting determina il progressivo passaggio da un comportamento controllato da aspettative esplicite ad un comportamento più automatico, del tipo Stimolo-Risposta.( 3 ). Questo processo è alla base della sensazione di automatismo, che costituisce uno degli elementi del circuito della dipendenza, unitamente alle distorsioni cognitive ed alla ripetizione dell’atto.
Parlo di circuito perché questi elementi si attivano circolarmente a vicenda.
Con automatismo si intende la sensazione del soggetto dipendente di essere impotente di fronte a situazioni vissute come ineluttabili. Si sviluppa una “logica” caratterizzata dalla finalità di spiegare la persistenza dei comportamenti di consumo e proteggerli dal rischio di interruzione (4).
Ogni qualvolta il processo venga attaccato da aspetti di critica, sia da parte del soggetto stesso (ad esempio per il senso di colpa), sia da altre persone o situazioni che lo possano mettere in discussione, si attivano processi di distorsione cognitiva, incaricati di mantenerlo.
Le distorsioni cognitive osservate nelle dipendenze possono essere
- scuse che il soggetto accampa, anche a se stesso, per sostenere l’impossibilità di agire diversamente, per affermare la propria passività rispetto alla dipendenza;
- contenuti di pensiero in apparenza formalmente congrui, spesso diffusi anche a livello culturale, ma in realtà basati su aspetti pregiudiziali, del tutto infondati;
- convinzioni ed aspettative irrealistiche.
Il livello di consapevolezza è pressoché assente, travolto dall’impellenza dell’azione sotto la spinta delle componenti del craving. (1)
Il significato
La parziale spiegazione della complessità per mezzo di qualcosa che è meno complesso non significa impoverimento
Damasio A.R. Descartes ‘error . Emotion, reason and human brain Avon Books, New York 1994
L’ ipotesi alla base del modello è che, dopo un incontro casuale, con finalità ludico – ricreative, l’uso di sostanze, o un comportamento, progressivamente possano acquisire un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’idea che un individuo si è fatto di se stesso, in base alle esperienze vissute nel corso dello sviluppo, che hanno contribuito a determinare la dotazione di opzioni comportamentali ed emotive a sua disposizione. Le situazioni con caratteristiche che vanno aldilà dell’esperienza individuale creano vissuti negativi, che possono andare dal semplice fastidio alla difficoltà, fino all’angoscia, con intensità direttamente proporzionale alla profondità dei limiti individuali ed inversamente alla quantità di opzioni comportamentali ed emotive di cui si è fatta esperienza. I contenuti di tali vissuti negativi sono legati all’idea che una persona ha di se stessa, ad esempio in termini di incapacità, stupidità, malvagità ecc. In seguito a questo ogni individuo produce una serie di pensieri con i quali, tra sé e sé, tenta di ridimensionare tali aspetti emotivi negativi, o talora, al contrario, in situazioni con aspetti depressivi, o di fronte a situazioni di grande svalutazione, di fornire loro conferme, anche estreme. Per qualcuno possono assumere un significato di rivalsa, di vendetta, di rivendicazione, di autoaffermazione. Per altri, invece, possono assumere il significato di conferma dell’idea che hanno di sé stessi, soprattutto in termini svalutativi. (5,6) . E’ insito nella natura umana il fatto che l’esperienza di interiorità aiuti a proteggere il Sé da una eccessiva influenza esterna. (7). Questi processi di pensiero esplicano la loro funzione nella interiorità del soggetto, e non vengono quasi mai colti dagli altri. Da un punto di vista relazionale finiscono per essere delle vere e proprie “vittorie di Pirro”.
Il rapporto con gli oggetti della dipendenza e con il loro utilizzo si inserisce in questo contesto: collegandosi ai pensieri ed alle modalità descritte, finisce per diventare una nuova possibilità comportamentale ed emotiva a disposizione dell’individuo, a difesa della propria soggettività.
Allora, una volta instaurata la dipendenza, tornare a casa ubriaco, fare piccoli furti di cose inutili in un supermercato, giocare ad una slot, riempire la casa di cose inutili etc. diventa il modo con il quale un individuo si prende una rivincita, si vendica, ecc., come modalità di risposta a situazioni o eventi che mettono in discussione il suo equilibrio interno. Allo stesso modo possono diventare modalità con le quali conferma l’idea negativa che ha di sé, dimostrandosi, ad esempio, inaffidabile o cattivo. L'utilizzo di tali modalità ed il relativo investimento di energie in esse, finisce per cristallizzare una rapida e sicura strada per proteggere la sensazione di sé, contribuendo a bloccare l’ elaborazione emotiva e la relativa acquisizione di nuove opzioni comportamentali ed emotive. (1,6) Il processo della dipendenza diviene parte integrante del funzionamento della persona e contribuisce, comunque, al mantenimento di una condizione di equilibrio a basso costo emotivo. Si spiega così l'apparente illogicità della ripetizione del comportamento e della ricaduta .(8,9)
La terapia
Grossi problemi non richiedono sempre grosse soluzioni
Cannistrà F., Piccirilli F. :Terapia a seduta singola. Ed Giunti. Firenze 2018
L’intervento terapeutico nelle dipendenze, come descritto da Kaufmann (10), richiede una prima fase dedicata al controllo del sintomo. Dove è possibile, ovviamente, si farà ricorso a protocolli farmacologici idonei.
Dal punto di vista psicoterapico, invece, e per i quadri clinici in cui non si hanno a disposizione farmaci specifici, è importante avere chiaro che il primo intervento ha come oggetto l’automatismo. L’obiettivo è mettere in crisi tale sensazione, per riproporre la responsabilità del paziente in termini di “agency”(11), quindi la sua possibilità di agire in una situazione della quale, invece, percepisce solo la passività e l’impotenza.
Si può descrivere l’insieme dei comportamenti come diviso in due parti, una sotto il controllo dell’individuo, anche se influenzato dal craving, ed una “automatica”, che, una volta attivata, è incontrollabile e non può che giungere a compimento, divise da una ipotetica linea di controllo.
Spesso l’idea del paziente è di dover applicare il controllo in situazioni che, in realtà, si trovano sotto la linea di controllo, per cui l’operazione diventa difficile se non impossibile. Ad esempio è più facile concentrare la propria attenzione e le proprie energie per non imboccare la strada in cui si trova la sala giochi rispetto a passare davanti alla sala stessa e non entrarci, per non parlare della quasi impossibilità di controllare il comportamento giunti davanti alla slot machine. Un intervento terapeutico importante consiste proprio nel portare il paziente a questa consapevolezza, con l’obiettivo che impari ad attivarsi in situazioni che siano il più possibile lontano dalla linea di controllo. In relazione agli specifici comportamenti, sono identificabili i vari passi che, lungo una sequenza di “snodi decisionali” possono portare all’atto di dipendenza o ad opzioni comportamentali diverse.
Il rilievo dato al momento della decisione ed alla possibilità di sperimentare decisioni diverse, comporta la scarsa applicabilità di questa proposta ai pazienti in trattamento sostitutivo, per i quali tali processi sono stemperati dalla stabilizzazione farmacologica. Pertanto un obiettivo dell’intervento è aiutare il paziente a focalizzare la propria attenzione sulla parte del processo in cui può essere esercitato il controllo, con la finalità di:
- Diventare consapevole dei punti di decisione (“snodi decisionali”)
- Superare le distorsioni cognitive
- Valutare le opzioni comportamentali alternative
- Prendere decisioni.
( 12) e propedeutico ad un intervento psicoterapeutico, qualora risulti necessario (10)
In alcune situazioni il lavoro sulla conoscenza di questi meccanismi o sulla consapevolezza del significato attribuito al comportamento di dipendenza, qualora riguardi situazioni contingenti e non aspetti profondi della personalità, è sufficiente ad interromperlo. Ad esempio è quanto è successo ad un giocatore d’azzardo che, essendo stato “esodato”, continuava a giocare con la speranza di fare grosse vincite, tali da muovere ad invidia gli ex colleghi, o ad una signora pensionata che, umiliata dal sentirsi messa da parte, rubava piccoli oggetti al supermercato per dimostrare di non essere così incapace. Portati alla consapevolezza i significati è stato possibile trovare delle soluzioni alternative, che sono state per il giocatore dedicarsi con maggior intensità alla valorizzazione di alcuni aspetti della sua vita, e per la signora cercare di sentirsi utile, dapprima con azioni di “buon vicinato”, poi con una attività di volontariato.
Nelle situazioni in cui il significato attribuito al comportamento di dipendenza riguarda, invece ,aree profonde della personalità del soggetto, è necessario affrontarlo dal punto di vista psicoterapico, come illustrato nel seguente caso clinico.
La dipendenza della signora V. e i suoi significati
Signora di 50 anni giunta alla mia osservazione con una diagnosi di disturbo di abuso da alcool e disturbo misto di personalità. A causa del problema alcol correlato, era reduce da un ricovero in clinica specializzata e successiva terapia farmacologica con antidepressivi, benzodiazepine, disulfiram.
Al momento del primo colloquio aveva ripreso a bere e segnalava recenti manifestazioni di cleptomania. Presentava un funzionamento di tipo intensamente autosvalutante, con intensi sensi di colpa. La modalità con la quale beveva era caratterizzata da una certa drammatizzazione: è stata trovata più volte ubriaca, anche priva di sensi, dalle figlie adolescenti, le quali, a seguito di una separazione estremamente conflittuale, che concorre a determinare sensi di colpa, vivono con lei.
La sua famiglia di origine era caratterizzata da due genitori presenti, ma con modalità molto poco affettive ed estremamente rigidi moralmente, anacronistici nei modelli educativi e relazionali che proponevano.
Pertanto ogni manifestazione di autonomia, anche di solo pensiero, era svalutata e punita talora in modo eclatante. Questo aveva portato la paziente a ritenersi cattiva, confondendo l’intolleranza dei genitori con suoi aspetti disfunzionali. Ogni sua iniziativa era collegata ad un pesante senso di colpa , ad una sorta di indegnità morale.
Tali vissuti sono stati riattivati dalla decisione da lei presa, a fronte dei numerosi tradimenti del marito, iniziati prima ancora del matrimonio, di porre fine alla relazione.
Si è sentita in colpa accusandosi della fine del matrimonio, considerando unicamente ed eccessivamente la propria parte nella vicenda. Ha iniziato a ritenersi una pessima madre, che ha fatto soffrire le figlie a causa della separazione.
Ha preso a bere in modo eccessivo con modalità che coinvolgevano le persone vicine, rispetto alle quali provava vissuti di indegnità e senso di colpa.
Applicando il modello basato sul significato è emerso immediatamente l’aspetto autodistruttivo del suo uso di alcool, che andava inserito nel tentativo di confermare l’idea negativa che aveva di se stessa. La consapevolezza di tale aspetto, unita al lavoro sull’automatismo, ha iniziato a incrinare la lettura che dava della situazione, basata sull’ essere malata, sul suo sentirsi in colpa e ad aprire la via ad aspetti emotivi profondi legati alla particolare situazione familiare in cui era cresciuta. Inoltre ha permesso di affrontare la cleptomania. Tali episodi si presentavano quando andava nel supermercato per acquistare alcolici, e consistevano nell’appropriarsi di oggetti assolutamente insignificanti in assoluto, non solo in relazione alle condizioni economiche della signora. Seguendo il modello basato sul significato, è stato indagata la sensazione con la quale compiva tali azioni. Era un senso di colpa e di critica morale, del tutto sovrapponibile a quello legato al consumo di alcol. L’ipotesi che potesse costituire un rinforzo della sensazione autosvalutativa che viveva nel momento di acquistare l’alcol ha colpito la signora. La cleptomania è stato il primo sintomo a scomparire, dopo poche sedute, alla luce della consapevolezza del suo significato e non ritenendolo più un ulteriore prova della sua malattia .
Successivamente si è lavorato sugli snodi decisionali, mettendo la paziente nella condizione di iniziare a pensare di poter esercitare un controllo sul consumo di alcool. Progressivamente ha iniziato a limitare gli eccessi, anche se si sono verificati un paio di episodi, a seguito dei quali è stato ripreso il lavoro sugli snodi decisionale, per cercare di capire cosa non aveva funzionato.
A questo punto è iniziato il lavoro psicoterapico in senso stretto, sulla situazione familiare e sui relativi vissuti. Dopo alcuni mesi, nel corso dei quali è riuscita a gestire l’uso di alcol, seppur con qualche alto e basso, la signora ha rivalutato la propria immagine di sé e le relative modalità comportamentali ed emotive.
Progressivamente la signora è riuscita da un lato ad elevare il livello di autostima, modificando il suo stile relazionale, dall’altro ad eliminare gli abusi di alcool e gli episodi di ubriachezza.
Rimaneva però un uso di alcool contenuto, ma frequente, che la signora non riusciva a controllare. Gli episodi avvenivano alla fine della giornata di lavoro: sulla strada del ritorno a casa si fermava ad un supermercato, dovendo fare la spesa, e finiva per comprare una lattina di birra ad alta gradazione, che poi consumava in auto rientrando.
Riflettendo su questo comportamento, alla luce del modello basato sul significato, non sembrava aver senso la lettura legata ad aspetti autodistruttivi. Indagando su questi episodi è, invece, emerso un senso di rivincita, collegato a vissuti frustranti riguardo al lavoro. L’ipotesi che ha preso forma è stata, quindi, che la signora avesse consumato alcol con due diversi significati, uno legato all’auto distruttività, su cui avevamo lavorato ( difatti non si erano più presentati episodi di abuso con ubriacatura) ed uno collegato al senso di rivincita che continuava, con modalità diverse dal primo. Difatti non era legato ad abuso ( si limitava ad una lattina di birra) e non portava ad ubriachezza.
Abbiamo allora iniziato a lavorare su questo aspetto. Sono emerse una serie di insoddisfazioni a partire dagli studi fatti, rispetto ai quali non sempre le sembrava che l’attività lavorativa fosse congrua. Questo la portava a svalutare il lavoro e sé stessa, ma non con le stesse modalità descritte in precedenza, in quanto la consapevolezza di aver conseguito una laurea difficile la salvaguardava dai vissuti riguardanti il suo valore. Si sentiva poco valorizzata, percepiva in modo eccessivo il peso del suo lavoro ed alcune modalità caratteristiche di tale lavoro che trovava avvilenti. La birra all’uscita era collegata ad una sensazione di rivincita, di premio a seguito della giornata di lavoro.
Riequilibrate le sue percezioni su questi aspetti, ha iniziato ad approcciarsi in modo più positivo al lavoro, limitando gli elementi frustranti o, comunque, imparando a collegarli alla realtà lavorativa.
E’ venuto meno il bisogno di prendersi una rivincita o di premiarsi e non ha più comprato la birra all’uscita dal lavoro. Dopo circa un anno e mezzo di psicoterapia è stata dimessa.
Conclusioni
Valutando il caso in base al modello basato sul significato, è stato possibile cogliere aspetti legati a processi che probabilmente si sarebbero persi se considerati all’interno del concetto generale di abuso alcolico.
Il fatto che la paziente presentasse due comportamenti estremamente diversi ( abuso alcolico e cleptomania) legati allo stesso significato e modalità diverse di consumo di alcol legato a due significati diversi, autonomi, attiva una riflessione su quanto, a questo proposito, siano importanti i processi che, nell’interiorità dell’individuo, definiscono il rapporto tra soggetto ed oggetto della dipendenza, attraverso l’attribuzione del significato, aldilà di discorsi generalizzanti.
Anche le osservazioni delle neuroscienze sul ruolo della dopamina nei processi di wanting, che prescindono dal piacere, fanno riflettere sul ruolo dell’individuo nel determinare la loro attivazione, appunto attraverso l’attribuzione di un significato che trova il suo senso nell’interiorità e nel tentativo di mantenere un equilibrio. Allo stesso modo le considerazioni che riguardano il ruolo della dopamina nel trasformare comportamenti A-O (Act-Outcome) in comportamenti S-R costituisce la base biologica della sensazione di automatismo e determina la necessità di intervenire a questo livello per riportare, attraverso la consapevolezza delle decisioni, un comportamento percepito come automatico a quello che in realtà è: una serie di comportamenti ed esiti legati a decisioni operative prese.(6)
E’ opportuno che il focus di una psicoterapia della dipendenza, almeno inizialmente, riguardi il recupero della consapevolezza della propria responsabilità (agency) , attraverso il lavoro sugli snodi decisionali.
Questo con due ordini di finalità, uno collegato alla necessità di interrompere il comportamento di dipendenza o, comunque di metterlo sotto controllo, l’altro collegato al conseguente rafforzamento dell’autostima, condizione favorente l’intervento psicoterapico che avrà come obiettivo il significato attribuito al comportamento di dipendenza ed i suoi risvolti emotivi.
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