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LESSICO AMOROSO SU RAI3: A scuola serale di desiderio di ANTONELLO SCIACCHITANO

5 Feb 19

A cura di antonello.sciacchi16


Solo che la scuola non è quella che certuni tra noi ricordano di aver frequentato dopo una giornata di duro lavoro, magari saltando il pasto. Ci troviamo in un’elegante sala cinematografica dove si proiettano spezzoni di film cult, dove sfilano il regista Tornatore (“Nuovo cinema paradiso”), il poeta Ungaretti (in un film di Pasolini), cantanti come De André (“Amore che vieni, amore che vai”), attrici come degli Esposti (il bacio alla caramella), Philip Roth e qualche altro che con la notte di mezzo non ricordo più.
Ricordo l’attore reale, vestito di nero come un prete, con addosso la nostalgia della tonaca buttata alle ortiche, che pontifica sulla profonda differenza tra amore e desiderio. Devo fare il riassunto della lezioncina appresa alla scuola di J.A. Miller? Devo dire quel che penso del sincretismo scolastico tra Freud e Lacan, ma opportunamente ridotti ad usum delphini? “Preferirei di no”, come diceva un famoso anoressico della letteratura americana, tanto più che la lezioncina è stata fondamentalmente corretta, direi addirittura ortodossa, stando ai parametri di una certa scolastica (ce n’è più d’una in psicoanalisi).
Mi chiedo, invece, come sia possibile un fenomeno di volgarizzazione della psicoanalisi tanto patetico quanto quello visto ieri sera in televisione a Lessico amoroso e tento di dare una risposta, che prescinda dal soggetto individuale ma riguardi il soggetto collettivo, cioè tutti noi. Io sono di formazione cattolica dura, con simpatie gesuitiche alla Cartesio. Quindi mi interessano poco le persone (anche nella cura sono neutrale), perciò non le attacco paranoicamente; mi interessano le idee e quelle le attacco scientificamente nel loro contesto comunitario. (Il mio maestro è stato don Luigi Giussani).
Il problema è la volgarizzazione scientifica. In Italia non sappiamo farla. Ancora oggi siamo inibiti dall’idealismo storicistico, imposto alla nostra cultura dai Croce e Gentile, che consideravano le scienze un prodotto culturale di secondo livello, essendo il primo occupato dalla filosofia e dalla storia. A maggior ragione, se non sappiamo fare della volgarizzazione scientifica, non sapremo fare la volgarizzazione psicoanalitica, se è vero che la psicoanalisi è la nostra giovane scienza, come la chiamava Freud. La volgarizzazione in psicoanalisi si riduce a campagna elettorale (per cuccare pazienti) a favore di questa o di quella scuola di formazione psicoanalitica, contro quella o quell’altra. Miserie. Chi volgarizza parla in nome di una verità incontrovertibile, come ha imparato dai suoi maestri, in modo né critico né problematico, apofantico direbbe Aristotele: dice pane al pane e vino al vino. Un buon senso che uccide.
Già qui siamo al nucleo del discorso dell’uomo in nero, che esordisce con una bordata di scuola contro la “psicologia cosiddetta scientifica”. La scienza è brutta e cattiva, si insegna alla scuola di Miller, da cui il nostro proviene. Per la precisione è una variante del discorso paranoico, perché perseguita le nostre certezze, per lo più ideologiche e indimostrabili, con il dubbio sistematico cartesiano.
Allora sento dire che la scienza fa un discorso meccanicistico sugli istinti sessuali, finalizzati alla riproduzione della specie, fuorcludendo il soggetto che ne è il portatore. L’uomo in nero non usa il termine accademico “meccanicistico”, ma un termine di sua invenzione “macchinico”, per esprimere tutto il proprio personale disprezzo per l’onesto e nascosto lavoro dei collettivi scientifici, incapaci – a suo dire – di mobilitare il singolare desiderio soggettivo.
Per contro la psicoanalisi freudiana fa un discorso sulle pulsioni: un discorso che non è realista ma surrealista, che non è naturale ma innaturale, un discorso su desiderio e sul godimento. Non entro, come premesso, nei dettagli tecnici, ma sullo stile di volgarizzazione del nostro. Che presuppone un ipse dixit, di cui il nostro si incarica di svolgere il pensiero. Senza metterlo in discussione, per l’amor di Dio (l’invocazione è a proposito), anche se ci sarebbe molto da discutere. Oggi si sa che la nozione di pulsione è problematica, perché prescientifica. Le pulsioni freudiane sono cause aristoteliche: le pulsioni sessuali sono cause efficienti, la pulsione di morte è la causa finale che regola tutto l’accadere psichico. Le pulsioni sessuali portano alla soddisfazione sessuale, secondo Freud; la pulsione di morte allo smaltimento del trauma sessuale attraverso la ripetizione. Ma di pulsione di morte l’uomo in nero non parla, perché non quadra con il suo schematismo del rapporto maschile/femminile.
Infatti, per semplificare non ho detto la profonda verità che ho imparato dalla volgarizzazione di ieri sera: l’uomo desidera il “pezzo” di una donna: il seno, il culo, il piede, mentre la donna ama essere amata dall’altro come ciò che all’altro inesorabilmente manca. Perciò non c’è rapporto sessuale, secondo Lacan; c’è un rapporto che non può essere scritto ma, quando capita, solo fatto, per lo più in modo sconveniente. Una ragazza del pubblico chiede se questo non sia uno stereotipo, ma il nostro svicola. Si salva in corner citando il corrispondente stereotipo freudiano: l’uomo ce l’ha, la donna non ce l’ha, il fallo. Per cui l’uomo è perverso, la donna isterica, impersonando il fallo.
Come se ne esce? Con i poeti, suggerisce l’uomo nero. Anch’io seguo volentieri il suo consiglio che non trovo in contrasto con i miei pregiudizi scientifici sulla psicoanalisi. La serata si conclude sulla dicotomia “bruciare/durare”. L’amore inizia bruciando, poi si spegne. Il matrimonio è la tomba dell’amore. Come farlo durare? L’uomo nero promette alla fine del corso di dare la ricetta perché l’amore si rinnovi. Io non ci sarò. Ho imparato già tutto da lui. Preferisco ascoltare il poeta. Cito dalle poesie libere di Carlo Porta questo gustoso sonetto in dialetto milanese, che mi guardo bene dal tradurre:
 
Dormiven do tusann tutt do attaccaa
Alla stanza de lecc de la mammina,
Vergin istess tutt do, ma in quell’etaa
Che comenza a spiurigh la passarina,
Tant che a dispett de la verginitaa
Faven tra lor di cunt ona mattina
Sul gust che pò dà on cazz quand l’è tiraa,
E sulla forma che po’ fagh pù mina.
Voena la dava el vant al curt e al gross,
L’oltra al longh e suttil, e in del descor
Diseven e prò e contra di bej coss;
Quand stufa la mammina, la se mett
A sbraggià a quanta vôs: Cossa san lor?
Dur, e ch’el dura, e citto vessighett!
 

Insomma, il duro desiderio di durare, come diceva anche Eluard, citato da Lacan, promotore dell’etica di non cedere sul desiderio. I poeti ci sono arrivati prima degli psicoanalisti, come sapeva bene anche Freud. Senza essere volgari, volgarizzano in modo più convincente di Massimo Recalcati.

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2 Commenti

  1. admin

    LA RECENSIONE DELLA PRIMA
    LA RECENSIONE DELLA PRIMA PUNTATA DELLA TRASMISSIONE A FIRMA DI ANNALISA PIERGALLINI E’ DISPONIBILE SUL SITO SEGUENDO IL LINK;: http://www.psychiatryonline.it/node/7843

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  2. renato.carlo.moglia

    Che dire ? Di sicuro ho
    Che dire ? Di sicuro ho retto la visione dell’uomo di nero vestito per meno tempo di Sciacchitano. Ho smesso dopo le prime bordate contro la scienza che fuorclude il soggetto. Recalcati porta avanti il suo progetto, e il titolo della trasmissione ce ne trasmette tutto il senso. “Lessico…” : è un progetto enciclopedico, un Dizionario totalizzante, autoreferenziale, senza incertezze e senza ma. Le sue lezioni sono appunto “magistali”, come le medioevali “lectio magistralis”. Ovviamente ognuno utilizza il lessico alla sua maniera; esempio è il termine “macchinico” che con la scienza, anche a volerla criticare, non ci azzecca. Si potrebbe parlare di meccanicismo e di come il filosofo (perché di questo si tratta) ontologico sia rimasto legato alla sua versione positivistica, dove il meccanicismo viene inteso (dal filosofo ovviamente) come assolutamente deterministico: ad un effetto una causa. Vige qui e ancora, il principio di ragion sufficiente, esposto per la prima volta non da un filosofo ma da un medico : Ippocrate. Ci si scorda che nel mentre è avvenuto il passaggio dall’ontologia all’epistemologia moderna, da Platone a Cartesio, dalla scienza antica a quella moderna, da un ferreo determinismo (ideale o materiale) ad un meccanicismo indeterministico ( a che è servita la fisica quantistica, i teoremi di incompletezza semantica e sintattica,il “lungo ragionamento” di Darwin ?). Oggi il sapere (anzi da Cartesio in poi ma questo viene continuamente rimosso dal potere che ci ammanisce certezze per farci stare buoni) è cambiato. Da uno statuto ontologico siamo passati ad un divenire epistemico : noi non sappiamo perché siamo ma, viceversa, siamo nel mentre che sappiamo e questo accade solo tramite la pratica dell’incertezza, inaugurata dal dubbio sistematico di Cartesio. La scienza che ne vien fuori è come l’etica del René: “par provision”, ovvero “provvisoria” perché confutabile. Il Lessico di Recalcati tende ad occupare tutto l’orizzonte del pensabile, una volta occupato l’orizzonte non resta più nulla di nuovo da pensare.

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