Il modo antico – euclideo – mirava al singolare: disegnava una figura particolare e ne determinava le proprietà caratteristiche. Il modo moderno è generalizzante: concepisce una classe di figure diverse, eventualmente infinite, e ne determina alcuni invarianti, comuni a tutte le figure.
Il teorema di Möbius è di questo secondo genere; riguarda due cerchi di centro OA e OB, intersecati nei punti M e N. Si traccino due rette c e c’ passanti per M e intersecanti i cerchi; siano A e B i punti in cui la retta c interseca rispettivamente il cerchio di centro OA e il cerchio di centro OB; analogamente siano A’ e B’ i punti in cui la retta c’ interseca rispettivamente il primo e il secondo cerchio. Il teorema di Möbius afferma che, comunque si traccino le rette c e c’, le rette AA’ e BB’ formano un angolo costante, pari all’angolo dei due cerchi, che è il loro invariante.
Gioca qui la simmetria tra rette e cerchi, tipica del piano complesso, sottomesso all’isomorfismo dell’inversione circolare (conforme, che conserva il valore assoluto degli angoli ma non il loro orientamento, trasformando i punti interni in esterni e viceversa).
Cosa c’entra questo discorso apparentemente astratto con la psicoanalisi? Non è una semplice analogia. Oggi la psicoanalisi è fissata al modo classico di fare scienza: determinare la specificità del soggetto individuale. Non conosce l’approccio al soggetto collettivo, di cui non sa determinare gli invarianti. È idiografica, non nomotetica, direbbe il filosofo, come la filosofia.
Quando la psicoanalisi diventerà moderna?
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