Dopo Roma, Bolzano, Torino, Cagliari, Milano la mostra Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo accompagnata dall’appendice italiana Malati, manicomi e psichiatri in Italia: dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale[i] è approdata il 22 febbraio a Udine, Palazzo Valvason Morpurgo (via Savorgnana 10, II piano), dove rimarrà visitabile fino al 31 marzo.
La mattina successiva, nel suggestivo salone del Castello ha avuto luogo l’incontro internazionale “Una storia che ci appartiene… come l’ombra alla luce” organizzato dalla cooperativa Guarnerio al quale sono stato invitato a prender parte e del quale vorrei qui riportare qualche appunto.
Ad aprire il convegno Fabrizio Cigolot, assessore alla cultura di Udine; Maria Angela Bertoni, direttrice del DSM di Udine che ha colpito l'uditorio col ricordo dello straordinario film realizzato da Margarethe Von Trotta su Hannah Arendt e le questioni sollevate dal suo resoconto del processo Eichmann; e Matteo Balestrieri, in rappresentanza dell’Università e della SIP, e a moderare lo storico Paolo Ferrari. Ad aprire è stato lo psichiatra tedesco Christian Kieser che ha ricordato le 400.000 persone sottoposte a sterilizzazione obbligatoria nella Germania nazista dopo l’1 gennaio 1934, 6.000 delle quali morte a seguito dell’intervento, e gli oltre 70.000 morti di Aktion T4, le oltre 250.000 morte a causa della prosecuzione selvaggia del programma, le diete della fame, le sperimentazioni e il resto, gli oltre 70.000 internati psichiatrici slavi assassinati dai nazisti sul fronte orientale. E poi ha ricostruito le tappe attraverso le quali la DGPPN, la società tedesca di psichiatria, è arrivata a fare lentamente i conti col proprio passato, fino ad arrivare appunto una serie di iniziative tra le quali la mostra rientra. A me è toccata, per la SIP, la stessa ricostruzione per ciò che riguarda però la relazione tra la psichiatria italiana e il fascismo, a partire dall’adesione di gran parte dell’establishment psichiatrico al regime negli ani 20-30, il contributo dei manicomi alla politica di legge e ordine, le responsabilità secolari nel razzismo coloniali e l’ambiguità dell’adesione di Donaggio al Manifesto degli scienziati razzisti, e anche l’appoggio all’ingresso in guerra nel 1940[ii]. Poi il XXIII congresso della SIP, dove si ritrovano coloro che sono stati fascisti, coloro che sono stati vittime del fascismo, e coloro che sono stati prima l’una cosa e poi l’altra. Al congresso siamo debitori del fatto di aver tentato una ricostruzione di ciò che era accaduto da quello che l’aveva preceduto, perciò nel corso della guerra: gli psichiatri deceduti in diverse circostanze, quelli perseguitati per motivi politici o razziali, le conseguenze della guerra per i manicomi. Un bilancio terribile, che Padovani e Bonfiglioli, ai quali era stata affidata la ricostruzione di questo calvario, chiudevano attribuendone la responsabilità alla leggerezza e all’incompetenza dei governanti fascisti ai diversi livelli di responsabilità centrale e periferica. Ma il XXIII congresso non fu solo un momento fondamentale di ricostruzione; rappresentò anche l’inizio di una serie di rimozioni, nelle quali l’atteggiamento della psichiatria verso il fascismo non differisce da quello dell’intera società italiana di quegli anni: lo spostamento di ogni responsabilità dal fascismo italiano alla «bestiale ferocia» del nazismo tedesco, con il fascismo benignamente recepito come una sorta di nazismo più umano e più bonario, la rimozione della propria responsabilità da parte dell’élite psichiatrica nel sostegno al fascismo, al razzismo, all’ingresso in guerra e la mancanza di un vero esame di coscienza, e insomma lo stesso desiderio di ripartire frettolosamente senza attardarsi a comprendere e a fare giustizia del quale è riflesso anche l’amnistia forse troppo precipitosamente concessa e le significative omissioni dell’epurazione in particolare in settori chiave del controllo sociale, come la magistratura e le forze dell’ordine. E a tutto ciò si aggiungeva, per la psichiatria, la persistenza del rifiuto di riconoscere la guerra e il lager come fattori psicotraumatici in assenza di predisposizione costituzionale, testimoniata dal rigetto della posizione di Ottorino Balduzzi, reduce di Mauthausen, per il quale l’esposizione a una situazione estrema poteva fare ammalare di mente anche in assenza di predisposizione. La seconda parte del mio intervento ha affrontato la ricostruzione storica dei fatti, la copiosa letteratura memorialistica degli anni 1945-1950, poi il lungo silenzio fino al 1978, con un introvabile lavoro di Catapano e coll., poi un riferimento al bombardamento del manicomio di Ancona da parte di Basaglia nel 1979, nel 1989 il riferimento alla questione delle opzioni nelle zone di confine con l’Austria da parte di Pantozzi, nel 1992 il volume “La follia della guerra di Sorcinelli,, poi tra 1994 e 1998 tre quaderni dei Fogli di informazione, che rendono conto di altrettanti convegni volti ad affrontare i temi delle opzioni, della deportazione degli internati ebrei a Trieste e Venezia, dell’assassinio da parte dei nazifascisti dello psichiatra toscano Lippi Francesconi, deli rapporti tra psichiatria e nazifascismo che intanto stavano emergendo anche in Germania. Gli atti di un analogo convegno a Reggio Emilia, poi il testo di Lallo e Toresini sui fatti di Venezia e quello di Massimo Tornabene sul manicomio di Racconigi negli anni del fascismo. Nel 2008, con La guerra dentro, ho tentato di operare una sintesi di quanto era emerso su quegli anni, importare dalla storia del fascismo, della shoah e della resistenza quanto poteva riguardare la psichiatria, disseppellire le fonti delle riviste psichiatriche di prima del ’50 e arrivare così alla prima trattazione organica del rapporto tra psichiatria, fascismo e resistenza in Italia. Da allora le monografie diventano più frequenti, e il tema trova collocazione in Liberi tutti di Valeria Babini (2009) o in storie di singoli manicomi, come Le officine della follia di Vinzia Fiorino su Volterra (2011) o Malacarne di Annacarla Valeriano su Termoli (2017)[iii]. Altri testi si soffermano su aspetti particolari: La psichiatria coloniale italiana negli anni dell’Impero (1936-1941) di Luigi Benevelli (2012) sulla psichiatria coloniale,Odissea partigiana di Franzinelli e Graziano (2015) sugli ex partigiani comunisti internati in OPG dopo reati commessi nel convulso periodo intorno al 25 aprile[iv], o i volumi del 2014 di Marco Rossi e Matteo Petracci, che si occupano separatamente dell’uso della psichiatria nella persecuzione degli antifascisti[v], o quello del 2015 con cui Paolo Giovannini riprende e approfondisce i temi della mia ricostruzione sulla seconda guerra mondiale. Poi, gli stessi temi vengono ripresi nella mostra, nella quale grazie a Gerardo Favaretto emerge anche la vicenda degli ebrei deportati dal manicomio di Treviso. E ancora, nel 2018 Agnes, Ida, Max und Anderen, quasi tutto in tedesco, sulle opzioni dagli istituti dell’Alto Adige, e nel 2019 Dove ci portate?, curato da Paolo Ferrari e Kirsten Maria Dusberg, sulle opzioni dagli istituti di Udine.
La mattina successiva, nel suggestivo salone del Castello ha avuto luogo l’incontro internazionale “Una storia che ci appartiene… come l’ombra alla luce” organizzato dalla cooperativa Guarnerio al quale sono stato invitato a prender parte e del quale vorrei qui riportare qualche appunto.
Ad aprire il convegno Fabrizio Cigolot, assessore alla cultura di Udine; Maria Angela Bertoni, direttrice del DSM di Udine che ha colpito l'uditorio col ricordo dello straordinario film realizzato da Margarethe Von Trotta su Hannah Arendt e le questioni sollevate dal suo resoconto del processo Eichmann; e Matteo Balestrieri, in rappresentanza dell’Università e della SIP, e a moderare lo storico Paolo Ferrari. Ad aprire è stato lo psichiatra tedesco Christian Kieser che ha ricordato le 400.000 persone sottoposte a sterilizzazione obbligatoria nella Germania nazista dopo l’1 gennaio 1934, 6.000 delle quali morte a seguito dell’intervento, e gli oltre 70.000 morti di Aktion T4, le oltre 250.000 morte a causa della prosecuzione selvaggia del programma, le diete della fame, le sperimentazioni e il resto, gli oltre 70.000 internati psichiatrici slavi assassinati dai nazisti sul fronte orientale. E poi ha ricostruito le tappe attraverso le quali la DGPPN, la società tedesca di psichiatria, è arrivata a fare lentamente i conti col proprio passato, fino ad arrivare appunto una serie di iniziative tra le quali la mostra rientra. A me è toccata, per la SIP, la stessa ricostruzione per ciò che riguarda però la relazione tra la psichiatria italiana e il fascismo, a partire dall’adesione di gran parte dell’establishment psichiatrico al regime negli ani 20-30, il contributo dei manicomi alla politica di legge e ordine, le responsabilità secolari nel razzismo coloniali e l’ambiguità dell’adesione di Donaggio al Manifesto degli scienziati razzisti, e anche l’appoggio all’ingresso in guerra nel 1940[ii]. Poi il XXIII congresso della SIP, dove si ritrovano coloro che sono stati fascisti, coloro che sono stati vittime del fascismo, e coloro che sono stati prima l’una cosa e poi l’altra. Al congresso siamo debitori del fatto di aver tentato una ricostruzione di ciò che era accaduto da quello che l’aveva preceduto, perciò nel corso della guerra: gli psichiatri deceduti in diverse circostanze, quelli perseguitati per motivi politici o razziali, le conseguenze della guerra per i manicomi. Un bilancio terribile, che Padovani e Bonfiglioli, ai quali era stata affidata la ricostruzione di questo calvario, chiudevano attribuendone la responsabilità alla leggerezza e all’incompetenza dei governanti fascisti ai diversi livelli di responsabilità centrale e periferica. Ma il XXIII congresso non fu solo un momento fondamentale di ricostruzione; rappresentò anche l’inizio di una serie di rimozioni, nelle quali l’atteggiamento della psichiatria verso il fascismo non differisce da quello dell’intera società italiana di quegli anni: lo spostamento di ogni responsabilità dal fascismo italiano alla «bestiale ferocia» del nazismo tedesco, con il fascismo benignamente recepito come una sorta di nazismo più umano e più bonario, la rimozione della propria responsabilità da parte dell’élite psichiatrica nel sostegno al fascismo, al razzismo, all’ingresso in guerra e la mancanza di un vero esame di coscienza, e insomma lo stesso desiderio di ripartire frettolosamente senza attardarsi a comprendere e a fare giustizia del quale è riflesso anche l’amnistia forse troppo precipitosamente concessa e le significative omissioni dell’epurazione in particolare in settori chiave del controllo sociale, come la magistratura e le forze dell’ordine. E a tutto ciò si aggiungeva, per la psichiatria, la persistenza del rifiuto di riconoscere la guerra e il lager come fattori psicotraumatici in assenza di predisposizione costituzionale, testimoniata dal rigetto della posizione di Ottorino Balduzzi, reduce di Mauthausen, per il quale l’esposizione a una situazione estrema poteva fare ammalare di mente anche in assenza di predisposizione. La seconda parte del mio intervento ha affrontato la ricostruzione storica dei fatti, la copiosa letteratura memorialistica degli anni 1945-1950, poi il lungo silenzio fino al 1978, con un introvabile lavoro di Catapano e coll., poi un riferimento al bombardamento del manicomio di Ancona da parte di Basaglia nel 1979, nel 1989 il riferimento alla questione delle opzioni nelle zone di confine con l’Austria da parte di Pantozzi, nel 1992 il volume “La follia della guerra di Sorcinelli,, poi tra 1994 e 1998 tre quaderni dei Fogli di informazione, che rendono conto di altrettanti convegni volti ad affrontare i temi delle opzioni, della deportazione degli internati ebrei a Trieste e Venezia, dell’assassinio da parte dei nazifascisti dello psichiatra toscano Lippi Francesconi, deli rapporti tra psichiatria e nazifascismo che intanto stavano emergendo anche in Germania. Gli atti di un analogo convegno a Reggio Emilia, poi il testo di Lallo e Toresini sui fatti di Venezia e quello di Massimo Tornabene sul manicomio di Racconigi negli anni del fascismo. Nel 2008, con La guerra dentro, ho tentato di operare una sintesi di quanto era emerso su quegli anni, importare dalla storia del fascismo, della shoah e della resistenza quanto poteva riguardare la psichiatria, disseppellire le fonti delle riviste psichiatriche di prima del ’50 e arrivare così alla prima trattazione organica del rapporto tra psichiatria, fascismo e resistenza in Italia. Da allora le monografie diventano più frequenti, e il tema trova collocazione in Liberi tutti di Valeria Babini (2009) o in storie di singoli manicomi, come Le officine della follia di Vinzia Fiorino su Volterra (2011) o Malacarne di Annacarla Valeriano su Termoli (2017)[iii]. Altri testi si soffermano su aspetti particolari: La psichiatria coloniale italiana negli anni dell’Impero (1936-1941) di Luigi Benevelli (2012) sulla psichiatria coloniale,Odissea partigiana di Franzinelli e Graziano (2015) sugli ex partigiani comunisti internati in OPG dopo reati commessi nel convulso periodo intorno al 25 aprile[iv], o i volumi del 2014 di Marco Rossi e Matteo Petracci, che si occupano separatamente dell’uso della psichiatria nella persecuzione degli antifascisti[v], o quello del 2015 con cui Paolo Giovannini riprende e approfondisce i temi della mia ricostruzione sulla seconda guerra mondiale. Poi, gli stessi temi vengono ripresi nella mostra, nella quale grazie a Gerardo Favaretto emerge anche la vicenda degli ebrei deportati dal manicomio di Treviso. E ancora, nel 2018 Agnes, Ida, Max und Anderen, quasi tutto in tedesco, sulle opzioni dagli istituti dell’Alto Adige, e nel 2019 Dove ci portate?, curato da Paolo Ferrari e Kirsten Maria Dusberg, sulle opzioni dagli istituti di Udine.
E proprio Kirsten, che è stata l’infaticabile anima di tutte queste iniziative udinesi, ha preso la parola dopo il mio intervento – del quale ho colto qui l’occasione per render conto in modo più completo – per illustrare il volume fresco di stampa[vi] e la ricerca della quale rende conto, relativa alle tracce nei manicomi tedeschi di 3 donne e 5 uomini provenienti dalla Valcanale e ricoverati a Udine, deportati nel III Reich nel 1940 a seguito delle opzioni.
Hanno fatto seguito due veri protagonisti della riscoperta di queste vicende negli anni ’90, Michael von Cranach per la parte tedesca e Lorenzo Toresini per quella italiana. Von Cranach ha ricordato innanzitutto come lo sterminio non nasca dal nazismo, ma dalla psichiatria, la quale già ne discuteva nei decenni precedenti e come i medici che collaborano a Aktion T4 furono, del tutto, uomini “normali”. Ha poi ricordato come la ricostruzione di questi fatti sia da collegare allo scontro generazionale del ’68 e ai movimenti di critica antiistituzionale e come un momento fondamentale sia stata l’imposizione da parte della WPA al congresso mondiale di Amburgo del 1999 di una mostra dedicata a questi temi e a lui affidata. Michael ha avuto parole di elogio per la misura in cui l’Italia sta soffermandosi, unico Paese in Europa insieme alla Germania, su quei tragici eventi dallo spettacolo di grane successo di Marco paolini, alla dedica del museo del giocattolo di Napoli a Ernst Lossa, una delle vittime protagonista tra l’altro del libro e del film Nebbia d’agosto. Italia, dunque, bravissima nel ricordare le colpe tedesche, e ringraziamo senz’altro Michael di riconoscercelo; meno brava però a ricordare le proprie, osservo invece io, come la memoria ogni anno più stupidamente unilaterale delle tragiche vicende del confine italo-jugoslavo purtroppo testimonia. Quanto a Toresini, ha ricordato quasi per caso sia venuto a conoscere delle deportazioni degli ebrei dai manicomi del nord-est, a partire dal racconto di un infermiere quando lavorava a Trieste, e del nesso tra opzioni e sterminio, e come si sia dedicato negli anni a farle conoscere. Per poi sostenere come questo passato debba servire soprattutto a farci riflettere sulle pratiche di oggi, perché chi pratica la contenzione opera, ha sostenuto, qualcosa di certo quantitativamente diverso, ma qualitativamente assai simile. Ha quindi ringraziato la SIP per l’invito al Club degli SPDC che non legano, del quale è presidente, al prossimo congresso sugli SPDC, e ricordato come le regioni Lombardia e Puglia abbiano enanato recentemente disposizioni contro la contenzione.
Allaa base di ogni azioone di sterminio o di abbandono di esseri umani sta la loro disumanizzazione. Occorre considerare non umani, o memo umani, gli esseri umani per renderci più facile fare loro ciò che non accetteremmo mai che fose fatto a noi stesi, o a coloro che ci sono cari. E il convegno è proseguito con Chiara Volpato che è intervenuta sul tema della deumanizzazione, offrendo così una cornice concettuale a tutti gli altri interventi e rintracciandone numerosi esempi nel Mein Kampft di Hitler o nelle immagini, che in un caso paiono addirittura alludere ad Auschwitz, della rivista fascista La difesa della razza, ed esponendo, anche con una suggestiva iconografia, le diverse forme: animalizzazione, demonizzazione, biologizzazione, meccanizzazione, oggettivizzazione, invisibilità, cioè riduzione a numero[vii]. Volpato ha ricordato come la deumanizzazione non sia solo problema di allora, ma sia anche estremamente presente nella contemporaneità, con numerosi riferimenti alla questione migratoria ad esempio. Le testimonianzae di Berenice Pegoraro e altri sull’incontro tra pazienti e studenti nel parco dell’ex manicomio di Sant’Osvaldo, quella di Silva Bon sulla sua diretta esperienza nella malattia e nei servizi e quella conclusiva ancora di Maria Angela Bertoni sull’attuale situazione dei servizi e i vissuti degli operatori della salute mentale, hanno concluso la giornata.
Hanno fatto seguito due veri protagonisti della riscoperta di queste vicende negli anni ’90, Michael von Cranach per la parte tedesca e Lorenzo Toresini per quella italiana. Von Cranach ha ricordato innanzitutto come lo sterminio non nasca dal nazismo, ma dalla psichiatria, la quale già ne discuteva nei decenni precedenti e come i medici che collaborano a Aktion T4 furono, del tutto, uomini “normali”. Ha poi ricordato come la ricostruzione di questi fatti sia da collegare allo scontro generazionale del ’68 e ai movimenti di critica antiistituzionale e come un momento fondamentale sia stata l’imposizione da parte della WPA al congresso mondiale di Amburgo del 1999 di una mostra dedicata a questi temi e a lui affidata. Michael ha avuto parole di elogio per la misura in cui l’Italia sta soffermandosi, unico Paese in Europa insieme alla Germania, su quei tragici eventi dallo spettacolo di grane successo di Marco paolini, alla dedica del museo del giocattolo di Napoli a Ernst Lossa, una delle vittime protagonista tra l’altro del libro e del film Nebbia d’agosto. Italia, dunque, bravissima nel ricordare le colpe tedesche, e ringraziamo senz’altro Michael di riconoscercelo; meno brava però a ricordare le proprie, osservo invece io, come la memoria ogni anno più stupidamente unilaterale delle tragiche vicende del confine italo-jugoslavo purtroppo testimonia. Quanto a Toresini, ha ricordato quasi per caso sia venuto a conoscere delle deportazioni degli ebrei dai manicomi del nord-est, a partire dal racconto di un infermiere quando lavorava a Trieste, e del nesso tra opzioni e sterminio, e come si sia dedicato negli anni a farle conoscere. Per poi sostenere come questo passato debba servire soprattutto a farci riflettere sulle pratiche di oggi, perché chi pratica la contenzione opera, ha sostenuto, qualcosa di certo quantitativamente diverso, ma qualitativamente assai simile. Ha quindi ringraziato la SIP per l’invito al Club degli SPDC che non legano, del quale è presidente, al prossimo congresso sugli SPDC, e ricordato come le regioni Lombardia e Puglia abbiano enanato recentemente disposizioni contro la contenzione.
Allaa base di ogni azioone di sterminio o di abbandono di esseri umani sta la loro disumanizzazione. Occorre considerare non umani, o memo umani, gli esseri umani per renderci più facile fare loro ciò che non accetteremmo mai che fose fatto a noi stesi, o a coloro che ci sono cari. E il convegno è proseguito con Chiara Volpato che è intervenuta sul tema della deumanizzazione, offrendo così una cornice concettuale a tutti gli altri interventi e rintracciandone numerosi esempi nel Mein Kampft di Hitler o nelle immagini, che in un caso paiono addirittura alludere ad Auschwitz, della rivista fascista La difesa della razza, ed esponendo, anche con una suggestiva iconografia, le diverse forme: animalizzazione, demonizzazione, biologizzazione, meccanizzazione, oggettivizzazione, invisibilità, cioè riduzione a numero[vii]. Volpato ha ricordato come la deumanizzazione non sia solo problema di allora, ma sia anche estremamente presente nella contemporaneità, con numerosi riferimenti alla questione migratoria ad esempio. Le testimonianzae di Berenice Pegoraro e altri sull’incontro tra pazienti e studenti nel parco dell’ex manicomio di Sant’Osvaldo, quella di Silva Bon sulla sua diretta esperienza nella malattia e nei servizi e quella conclusiva ancora di Maria Angela Bertoni sull’attuale situazione dei servizi e i vissuti degli operatori della salute mentale, hanno concluso la giornata.
In allegato il trailer del film Nebbia d'agosto
[i] Cfr. in questa rubrica: La mostra di Roma e il “mea culpa” della psichiatria”.
[ii] Su alcuni di questi temi mi sono già soffermato in questa rubrica: Dalle macerie. 70 anni dal XXIII congresso della SIP (2016); 25 aprile 2016: ricordando il sacrificio di Giovanni Mercurio per la libertà degli Italiani (2016); Via… Donaggio: una buona notizia (2018); 80 anni dal manifesto degli scienziati razzisti (2018).
[iv] Cfr. la recensione: Odissea partigiana.
[v] Cfr. la recensione: Follia antifascista.
[vi] Dove ci portate? Wohin bringt ihr uns? Kam nas peljete? La deportazione dei pazienti psichiatrici della Val Canale e le opzioni italo-tedesche 1939-1940, Udine, KappaVu, 2019. Il volume sarà presentato nei prossimi giorni a lato della mostra.
[vii] C. Volpato, Deumanizzazione. Come si legittima la violenza, Bari-Roma, Laterza, 2011.
Un buon 25 aprile 2019 di
Un buon 25 aprile 2019 di memoria e di lotta: perché quel giorno tutto è parso possibile, e perché tutto è possibile ancora!