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Il Razzismo fa male alla salute, specie alla salute mentale

1 Mar 19

A cura di Luigi Benevelli

Public Library of Science  (PLoS), fondazione non profit di San Francisco, ha pubblicato nel settembre 2015 la meta analisi di 293 studi condotti per la gran parte negli Stati Uniti, ma anche in Australia e nel Regno Unito  fra 1983 e 2013 sull’impatto sulla salute del razzismo[1]. Gli studi presi in considerazione erano solo in lingua inglese; gli autori australiani, canadesi, statunitensi e britannici. Lo studio, definito la più completa meta-analisi mai prima condotta sui rapporti fra razzismo e salute, evidenzia come il razzismo produca sulla salute effetti a lungo termine.
Il  razzismo vi è definito come un sistema strutturato all’interno di una società che produce barriere e disuguaglianze fra i diversi gruppi etnici in termini di accesso a potere, risorse, opportunità. Il razzismo si manifesta attraverso credenze, stereotipi, discriminazioni, pregiudizi radicati nei sistemi e nelle strutture sociali; può collocarsi a più livelli: può essere interiorizzato, agire nelle relazioni interpersonali ed anche sistemiche, quali il controllo dell’accesso al lavoro, alle risorse materiali e simboliche. Il razzismo continua ad essere fonte nel nostro tempo di esclusione, discriminazione, conflitto, svantaggio. Il razzismo produce danni alla salute dei singoli e dei gruppi che lo subiscono a causa di:
– accessi ridotti a lavoro, casa, istruzione;  
– maggiore esposizione a rischi di difficili contatti con le polizie e conseguenti denunce penali, carcere;
– processi cognitivi ed emotivi avversi e stressanti;
–  minori opportunità di comportamenti sani (alimentazione, attività fisica, sonno, consumo di alcool);
– lesioni a seguito di violenze subite.  
L’esposizione al razzismo presa in considerazione negli studi include il razzismo direttamente sperimentato in prima persona ed autosegnalato, nonché quello diretto verso un gruppo di cui la persona è membro e quello riferito dai famigliari, vissuto e interiorizzato. Vi sono prese in considerazione discriminazioni, maltrattamenti, pregiudizi, stereotipi, aggressioni, verbali e non, aventi per oggetto colore della pelle, etnia, cultura, discendenza, origine, paese di nascita, condizione di migrante, religione, lingua e/o accento nella pronuncia delle parole.
Quanto agli effetti sulla salute sono stati presi in considerazione: cattiva salute mentale (depressione, ansia, stress psicologico, stress post-traumatico, somatizzazione, impulsi suicidari, paranoia) vs buona salute mentale ( autostima, benessere, buona affettività, controllo e padronanza delle situazioni); salute corporea (pressione arteriosa, obesità, diabete, malattie cardiovascolari ecc.).
È stata riscontrata una associazione fra razzismo e danni alla salute mentale più forte di quella fra razzismo e salute fisica. Tale associazione ha sollevato interrogativi sui meccanismi con i quali il razzismo danneggerebbe la salute, in particolare la disregolazione dell’asse ipotalamo-pituitario-adrenalinico e la disregolazione delle regioni affettivo-cognitive di corteccia prefrontale, amigdala, talamo. Le modifiche prodotte a livello neurobiologico sarebbero alla base dei tratti di allarme e “ruminazione” caratteristici delle vittime di razzismo, tratti che emergono come fattori di rischio per la salute della persona.
Anche l’appartenenza etnica risulta importante: l’associazione fra razzismo e cattiva salute mentale sarebbe più forte fra gli americani di origine asiatica e i latino- americani rispetto agli afro-americani; l’associazione fra razzismo e cattiva salute fisica sarebbe più forte  fra i latino-americani rispetto agli afro-americani. Non sono state rilevate significative differenze fra afro-americani. Europei e nativi americani. tali  riscontri farebbero ipotizzare che gli afro-americani ed i nativi americani siano più “resilienti” rispetto alle altre minoranze. Ma qui le ricerche risultavano ancora troppo scarse di numero.   
Nella discussione gli autori sottolineano l’evidenza delle associazioni fra razzismo e salute, anche al di là dei limiti metodologici.
Sono indicate da segnalare e da approfondire le questioni della durata dell’esposizione agli eventi discriminatori  in riferimento alle età della vita in relazione al tempo che intercorre fra l’esposizione e l’insorgere dei sintomi di malattia. È ritenuto plausibile che i bambini siano più vulnerabili e che gli effetti dannosi del razzismo siano maggiori se le esperienze risalgono ai primi anni di vita.

 

[1]Yin Paredies, Johnathan Ben, Nida Denson, Amanuel Elias, Naomi Priest, AlexPieterse, Arpana Gupta, Margareth Kelaher, Gilbert Ges, Racism as a determinant of heallth: a systematic review and meta-analysis, PLoS, sept. 2015.
 

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