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Il fondamento erotico di “nomos/legge”

2 Mar 19

A cura di Sarantis Thanopulos

Dialogo tra Sarantis Thanopulos e Monica Ferrando
 

Sarantis Thanopulos “Monica nel tuo ultimo libro, “Il regno errante. L’Arcadia come paradigma politico” (Neri Pozza), operi un’interpretazione, filologicamente molto accurata, della parola greca “nomos” (nel suo triplice significato di musica, pascolo e legge) che si oppone con decisione a quella di Carl Schmitt. Non più appropriazione di terra con la forza, ma attribuzione secondo il costume, secondo giustizia. Nella tua lettura dei famosi versi di Pindaro, la legge, re dei mortali e degli immortali, non giustifica il più forte ma lo rende, invece, conforme alla giustizia. È interessante che nel capovolgere la tradizionale interpretazione dei versi, tu non disgiungi la legge dalla natura. Piuttosto che affidare il loro legame alla supremazia del più forte, tipica del mondo animale, lo metti in relazione con la musica, il canto degli uccelli. Come scrivi, nell’unità indissolubile di pascolo, legge e musica, il modo naturale e il mondo umano possono toccarsi nel fenomeno comune e originario della voce.
In effetti la musica, il canto degli uccelli, la musicalità del suono umano -a partire dalla voce materna,  ovvero dalla sua sensualità erotica e  affettiva-, precede e ispira le parole ed è il fondamento originario di ogni dialogo e del discorso politico.”

Monica Ferrando “Reintegrando nel nomos, a differenza di Schmitt, il significato originario di canto, il nomos/pascolo (aperto e libero) non verrà reso appropriabile dal nomos/legge, perché il nomos/canto non lo consente. I tre significati si intrecciano indissolubilmente. Come il canto degli uccelli, il nomos/canto, scrive Alcmane, è alieno da arbitrio. La natura per legge è la comoda via dei sofisti. Il nomos dell’essere umano è diverso dal nomos della natura: la legge del più forte. La prima occorrenza di questa parola dopo Omero, nel primo apologo dell’occidente dove Esiodo avverte i giudici che gli umani non si trattano come lo sparviero l’usignolo, è chiara: stare nel nomos significa abitare la natura umana secondo una giustizia che è la sua “natura”, cioè escludendo l’arbitrio della forza. Scelta ardua, ispirata al canto, di attiva contiguità con la natura anziché, cedendovi mimeticamente, di sopraffazione e quindi di passiva ricaduta in essa. Per questo le leggi più antiche erano cantate, cosa che noi abbiamo dimenticato.

Sarantis Thanopulos “Hai delineato un nomos naturale ispirato al canto piuttosto che alla logica della predazione. Un nomos erotico, legato alla sensualità, musicalità dell’esperienza e non all’“istinto” degli animali -una nostra proiezione legittimante il potere del più forte come potere sovrano che mette ordine, ci  protegge dall’anarchia, dal caos”.
 
Monica Ferrando “Attribuita al nomos, la sovranità è immune –a differenza del sovranismo- da quell’arbitrio antropocentrico che neppure la teologia ha mai messo in questione, e si intona alla realtà cosmico-naturale – il corso del sole, dal quale dipende la vita sulla terra- di cui anche il più violento è tenuto a riconoscere la giustizia. Questo è il senso dei versi pindarici. Citati da Callicle, nel Gorgia, al contrario per dire che viene fatta violenza al più giusto, esibiscono il difetto di memoria del sofista che parla per dominare. Pindaro, autore anche di inni a Pan e alla Grande Madre, testimoniava nel canto la presenza sovrana di un nomos non scritto se non nella psiche rammemorante di ciascuno di noi, nell’eco della prima voce amorosa in cui è custodito il codice genetico dell’umano. Arcaismo? Pensiamo al film di Ermanno Olmi: Durante l’estate; è la latente e inconfessabile esigenza di regalità che anima il protagonista, in cui l’umano tocca insieme profondità e innocenza assolute, a mostrare il possibile accordo della sua gloriosa varietà, oltre ogni differenza di classe, sesso, cultura.

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