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QUALE APPROCCIO AI PROBLEMI PSICHICI DELL’ATLETA?

5 Mar 19

A cura di davide.mate

di Gianfranco Gramaccioni, Medico dello Sport e Psicoterapeuta, AIPS (http://www.aipsweb.it/)

Tra le cause che hanno ostacolato la pratica e la diffusione nell’ambiente sportivo delle discipline che si occupano della salute mentale e del benessere, rientra l’erronea convinzione da parte di molti operatori del mondo dello sport che lo psicologo o lo psichiatra dovrebbero intervenire solo quando l’atleta presenta problemi mentali complessi o evidenti disturbi psichici che danneggiano la sua prestazione. Tutto ciò che concerne la preparazione mentale, Il benessere personale, o la presenza di problematiche “minori”, sarebbero pertanto gestite solo dai tecnici sportivi sulla base della loro personale esperienza e del buon senso. I nuovi modelli di Psicologia Clinica e Psichiatria dello Sport rifiutano invece l'idea che i problemi “mentali” dell'atleta possano essere inquadrati in maniera dicotomica, cioè classificati o come problemi esclusivamente prestativi oppure di natura clinica. Lo stile di pratica nella moderna psicologia clinica dello sport si basa innanzitutto su un modello di consulenza psicologica dove l’inquadramento delle difficolta’ prestative dell’atleta venga attuato non attraverso una visione specialistica settoriale ma piuttosto secondo un’ottica che consideri l’atleta in una più ampia prospettiva bio – psico – sociale.

Definizione di Psicologia Clinica dello Sport

Gardner e Moore (2006) definiscono la Psicologia Clinica dello Sport come :“l’applicazione delle conoscenze e dei metodi, derivati dai vari campi della psicologia, per:

  • Promuovere e mantenere la salute e il benessere psicofisico,

  • Ottimizzare la prestazione atletica coinvolgendo gli atleti, ma anche le famiglie e le organizzazioni sportive,

  • Prevenire, valutare e gestire le difficoltà personali o prestative determinate da cause psicologiche.”

In quest’ottica d’intervento, il professionista, o meglio un team di professionisti, dovrà essere preparato ad affrontare una molteplicità di problemi presentati dall’atleta; dovrà essere in grado di trattare eventuali disturbi psichici e problemi di transizione, di sviluppo, personali o interpersonali, che andranno adeguatamente inquadrati, valutati e gestiti allo scopo di fornire un’adeguata consulenza.

Definizione di Psichiatria dello Sport

Anche la specialità della Psichiatria dello Sport ha iniziato a svilupparsi negli ultimi decenni. La disciplina non riguarda solo l'applicazione dei principi e della pratica della psichiatria nel mondo dello sport. Infatti altri fattori hanno contribuito a rendere la psichiatria dello sport una specifica “sottospecialità”. In primo luogo lo stato d'animo dell'atleta ha un impatto significativo sulle prestazioni, in secondo luogo la pratica a livello agonistico di una disciplina sportiva influenza l'umore, il pensiero, la personalità e la salute del partecipante in modi specifici, infine va evidenziato come una cura psichiatrica dell'atleta debba essere adattata al contesto atletico per essere efficace. In linea con la precedente definizione di Psicologia Clinica dello Sport, Glick, Morse e Reardon (2010) delineano pertanto gli obiettivi principali della Psichiatria dello Sport:

  • Ottimizzare la salute fisica,

  • Migliorare eticamente le prestazioni atletiche migliorando le forze psicologiche positive

  • Gestire i sintomi psichiatrici nel corso della vita dell'atleta con l'obiettivo di mantenere elevata la prestazione.

Gli autori hanno anche evidenziato che lo psichiatra sportivo deve possedere abilità nel trattare non solo l'atleta ma anche la famiglia dell'atleta, le altre figure significative, e l'intero sistema composto da allenatori e compagni di squadra.

Come si nota entrambe le definizioni sono in sintonia, prevedendo un intervento non settoriale ma collaborativo, interdisciplinare e olistico. Lo stile di pratica in Psicologia Clinica e Psichiatria dello Sport implica questi importanti elementi:

  • L’ approccio è basato sull’evidenza (evidence-based) allo scopo di utilizzare strategie di documentata efficacia;

  • I problemi relativi alla prestazione dell’atleta vanno inquadrati in un contesto più ampio relativo all’intera sfera psico-bio-sociale. Non andranno pertanto considerati esclusivamente gli aspetti tecnico-prestativi o quelli strettamente biomedici.

  • L’intervento è rivolto non solo all’atleta agonista ma anche a chi pratica esercizio fisico.

Sintetizzando, è possibile affermare che gli operatori della salute mentale dell’atleta dovrebbero operare in sinergia nei seguenti ambiti

  • diagnosi e trattamento di disturbi psichici dell’atleta, quali ad esempio i disturbi del comportamento alimentare e depressione;

  • counseling per situazioni di transizione o problemi intra-interpersonali derivanti, ad esempio, da circostanze stressanti della vita o del contesto sportivo;

  • miglioramento della prestazione attraverso programmi di preparazione mentale.

Indispensabile è anche l’attuazione di un nuovo contesto operativo, un setting attuato “sul campo” e sempre meno nelle tradizionali strutture sanitarie che favoriscono molto spesso un’impropria medicalizzazione del caso.

Il Modello di Classificazione Multidimensionale di Gardner e Moore

Data l’importanza di considerare con particolare attenzione tutti fattori che influiscono sull’atleta e sulla prestazione, ovvero le abilità sport-specifiche (abilità richieste per la specifica disciplina), le richieste prestative (insieme dei fattori che contribuiscono al conseguimento di una buona prestazione), le variabili intrapersonali e interpersonali, le situazioni di transizione e richieste dell’ambiente ed infine le caratteristiche cognitivo-affettivo-comportamentali, è stato proposto da Gardner e Moore (2006) un modello di classificazione multidimensionale per la psicologia dello sport, dal quale è derivato un adattamento Italiano ( Gramaccioni e Robazza, 2008). Esso si basa sulle richieste e sui problemi dell’atleta che vengono analizzati e suddivisi in categorie funzionali. Tale classificazione consente di inquadrare l’atleta in maniera olistica, di identificare le aree meritevoli di approfondimento, di orientare l’assessment, di concettualizzare il caso, di progettare le strategie e fornire infine dati utili alla ricerca scientifica. In questa classificazione la prestazione diventa un importante parametro di riferimento. Anche la valutazione Psichiatrica routinaria prende in considerazione il “funzionamento” del paziente ma in senso globale. In Psicologia Clinica dello Sport, dato che si ha a che fare con un atleta, il cui livello funzionale si basa principalmente sul suo rendimento nella pratica sportiva, il parametro di riferimento sarà pertanto la prestazione. Per ogni livello della classificazione vengono presi in considerazione tutti quegli elementi che possono contribuire al suo miglioramento o al suo deterioramento. L’atleta in esame potrà rientrare in una delle quattro seguenti categorie funzionali:

  1. Sviluppo della prestazione: comprende atleti che desiderano migliorare la propria prestazione e che non presentano fattori psicologici che possano comprometterne l’espressione, quali problemi di transizione, intrapersonali ed interpersonali o problemi psicopatologici. In questi casi l’intervento sarà finalizzato all’apprendimento di un programma di mental training o, come proposto più recentemente, da tecniche basate sull’accettazione consapevole di pensieri, emozioni, sensazioni fisiche associate all’esperienza interiore del momento (Gardner e Moore, 2007)

  2. Difficoltà prestative: riguarda i casi in cui la prestazione atletica passata è stata consistentemente elevata, ma allo stato attuale evidenzia un sensibile peggioramento. L’atleta non presenta particolari disturbi della sfera psichica, ma barriere psicologiche e dello sviluppo, momenti di transizione, problemi interpersonali, problemi derivanti da schemi cognitivi, quali perfezionismo, eccessivo timore di sbagliare, irrazionale bisogno di approvazione, che influenzano negativamente la prestazione. In questi casi l’atleta potrebbe trarre beneficio dall’apprendimento di programmi di preparazione mentale come focus di intervento secondario, ma l’intervento primario dovrà basarsi sul counseling o sull’intervento psicoterapico.

  3. Decadimento della prestazione: si tratta di casi nei quali esiste chiaramente un disturbo psichico che causa una sensibile danno prestativo che, a sua volta, può determinare la riduzione o la sospensione dell’attività sportiva. Il problema clinico danneggia anche uno o più ambiti della vita dell’atleta, come la famiglia, il lavoro, le relazioni sociali e interpersonali. L’aiuto può essere richiesto direttamente dall’atleta, da un allenatore o anche da un familiare. La richiesta d’intervento per il miglioramento della prestazione è ovviamente di secondaria importanza in quanto il disturbo dei soggetti appartenenti a questo gruppo rientra in una delle categorie diagnostiche del DSM. La gestione dei casi che rientrano in questa categoria funzionale sarà basata su valutazione, colloquio e consulenza psichiatrica ed Il trattamento sin questo caso sarà costituito da un intervento psicoterapico e/o farmacologico. Il manuale Sport Psychiatry (Baron, Reardon & Baron, 2013) descrive dettagliatamente le più frequenti “sfide della salute mentale affrontate dagli atleti”. Tra queste emergono più frequentemente Disturbi dell’Umore, Disturbi d’Ansia, Disturbi di Personalità, Disturbi Alimentari, la Dipendenza da esercizio, l’Abuso e la Dipendenza da Sostanze, Il Doping la Concussione cerebrale e il Disturbo Post-Traumatico da Stress.

  4. Interruzione della prestazione o conclusione della carriera: questa categoria comprende casi in cui la prestazione viene interrotta temporaneamente o definitivamente a causa di un infortunio o perché l’atleta cessa la propria attività al termine della carriera agonistica. Nella maggioranza dei casi il trattamento si baserà su un intervento psicoterapico.

Secondo il modello multidimensionale, per definire in quale delle suddette categorie funzionali rientrano le problematiche dell’atleta e attuare quindi una corretta strategia di intervento, si dovrà procedere all’assessment e alla concettualizzazione del caso. Gli obiettivi dell’assessment sono la classificazione o la diagnosi del problema presentato, l’identificazione dell’etiologia, la comprensione funzionale dei problemi personali e sport-specifici e quindi la possibilità di valutare un eventuale “danno funzionale” e la prognosi se si tratta di un disturbo psichico. Gli elementi su cui si basa l’assessment sono il colloquio, l’intervista, che a seconda dei casi sarà strutturata o semi-strutturata, una sistematica osservazione dell’atleta nel suo contesto di allenamento e di gara e, infine, la somministrazione di tests.
Secondo Gardner e Moore (2006) l’assessment va attuato in tre fasi: nella prima fase di assessment clinico dovrà essere valutata l’eventuale la presenza di disturbi psichici; nella fase successiva di assessment dello sviluppo personale sarà valutata la presenza di problemi non psicopatologici ma “situazionali”, “esterni” od “interni” al soggetto, che comunque possano costituire un ostacolo allo sviluppo e al mantenimento della prestazione a causa di problemi psichici che comunque non rientrano in un ambito psicopatologico. Solo dopo aver escluso la presenza di cause psicologiche di decadimento della performance, si passerà alla terza fase di assessment della performance, allo scopo di progettare strategie di allenamento mentale finalizzate al miglioramento della prestazione. L’assessment della performance sarà effettuato attraverso colloquio, analisi funzionale della prestazione, valutazione psicofisiologica, questionari di tipo nomotetico e idiografico. La valutazione sarà anche integrata da osservazioni della prestazione reale, colloqui con l’allenatore e anche con la famiglia nel caso di giovani atleti. Successivamente, sulla base delle osservazioni e dei dati raccolti, si procederà all’implementazione di uno specifico programma di preparazione mentale. Lo stile di lavoro che si attua in psicologia clinica dello sport consente di raccogliere e analizzare in modo adeguato e funzionale un’ampia gamma d’informazioni sull’atleta. Per progettare efficaci programmi e strategie di intervento occorre individualizzare l’intervento partendo da un’integrazione delle informazioni raccolte sistematicamente attraverso l’assessment. Da queste informazioni si potrà “formulare il caso” definendo in dettaglio i problemi dell’atleta. La fase di concettualizzazione comporta l’identificazione di tutti gli elementi che contribuiscono a scatenare e stabilizzare un problema, quali le variabili disposizionali, le problematiche emozionali e le relative risposte comportamentali. Analizzando dettagliatamente il processo che determina o mantiene un comportamento problematico verranno meglio identificati i punti di forza e le aree critiche da potenziare con adeguate strategie individualizzate di intervento. L’ovvia considerazione che deriva dai punti sopra esposti è che l’intervento dello specialista va effettuato in una dimensione collaborativa che preveda una integrazione fa le varie figure professionali nelle varie fasi dell’intervento, non ultima quella dell’allenatore che vive la realtà sportiva in stretto rapporto con l’atleta.

L’operatore del mondo dello sport e l’invio allo specialista Psicologo o Psichiatra dello sport

Accade raramente (almeno nella realtà sportiva Italiana) che un atleta che presenti una delle problematiche sopra esposte si rivolga immediatamente allo specialista Psicologo o Psichiatra dello sport. Nei casi di seri disturbi psicopatologici il soggetto potrebbe afferire direttamente ad uno psichiatra competente sotto il profilo professionale, ma con poca esperienza nel settore sportivo; in questo caso il disturbo clinico sarà trattato correttamente, ma compito dello specialista sarà poi, nella fase di remissione della sintomatologia, quello di avvalersi della collaborazione di uno psicologo dello sport che assista l’atleta nella fase di reinserimento nel contesto sportivo. Questa prima evenienza non è comunque frequente. Accade invece spesso che il tecnico sportivo sia la prima figura professionale che può rilevare sia direttamente (richiesta del soggetto) che indirettamente (percezione personale) un disagio psichico o un problema mentale rilevante che danneggia la prestazione dell’atleta anche se non consistentemente, come nel caso precedente. A volte l’atleta potrebbe chiedere aiuto ad un sanitario (ad es. un medico dello sport, ad un medico di medicina generale, ad un fisiatra…) perché presenta un calo prestativo associato ad altri disturbi, sia fisici che psichici, questi ultimi spesso vaghi e sfumati. In questi casi è auspicabile che il tecnico sportivo o le altre figure professionali intuiscano la necessità di un invio allo Psicologo dello Sport. Questo è un momento importante e delicato, perché un invio ad un esperto potrebbe non essere accettato dall’atleta, che potrebbe manifestare le sue resistenze e un atteggiamento oppositivo. A questo proposito è opportuno considerare che l’efficacia di una consulenza psicologica o clinica non dipende solo dalla abilità e dalla esperienza dello specialista competente, ma dipende anche dalla modalità con cui il tecnico sportivo o altri professionisti gestiscono la richiesta di aiuto dell’atleta, che deve sentirsi accolto, compreso, non giudicato e accompagnato nel percorso di invio. “Un corretto invio dell’atleta allo Psicologo dello Sport si caratterizzerà, dunque, non come un demandare o un delegare il problema a terzi, che se ne facciano carico, deresponsabilizzando, in qualche modo la propria figura di operatore dello sport, ma al contrario, nella consapevolezza dell’utilità di un intervento multidisciplinare e multi-professionale, in grado di garantire non solo il curare, ma soprattutto il prendersi cura, realizzando una comprensione e un’accoglienza autentica della problematica complessa (esistenziale, relazionale, fisica, psichica, sociale e culturale) dello sportivo, avendo cura di promuoverne “coraggiosamente” una iniziale e basilare presa di coscienza della sua attuale condizione critica” ( Fulcheri, Carrozzino, Marchetti e Gramaccioni, 2014).

Riferimenti Bibliografici:

Baron, D.A., Reardon, C. L., Baron, S.H. (2013). Clinical sports psychiatry : an international perspective. Chichester, West Sussex : Wiley-Blackwell.

Fulcheri, M., Carrozzino, D., Marchetti, D., Gramaccioni, G. (2015). Quando il problema diventa clinico: dalla gestione dello stress alla psicopatologia nello sport. Giornale Italiano di Psicologia dello Sport, 21, 3-8.

Gardner, F. L., & Moore, Z. E. (2006). Clinical sport psychology. Champaign, IL: Human Kinetics.

Gardner, F. L., & Moore, Z. E. (2007). The psychology of enhancing human performance: The Mindfulness-Acceptance-Commitment (MAC) approach. New York: Springer Publishing.

Glick, I.D., Morse, E., Reardon., C.L. (2010). Sport psychiatry—a new frontier in a challenging world. Die Psychiatrie (Stuttg), 7:249–253.

Gramaccioni, G., e Robazza, C. (2008). Psicologia clinica dello sport: Un modello multidimensionale. Giornale Italiano di Psicologia dello Sport, 3, 28-31.

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