I problemi posti dalle migrazioni in corso da alcuni decenni hanno portato a coniare l’acronimo CALD (Culturally And Linguistically Diverse people) a designare una persona appartenente a un contesto culturale, etnico, religioso, linguistico diverso da quello dominante in un determinato paese. L’impatto di tali diversità genera di solito problemi perché non sono solo i migranti a doversi adattare al nuovo ambiente sociale, ma è anche il contesto che li accoglie che deve adeguarsi, magari per costruire una società sempre più multiculturale. La questione riguarda da vicino quindi anche i servizi sanitari e il lavoro degli operatori della salute (medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali, psicoterapisti ecc,) che devono sempre più rapportarsi con una vasta, inedita gamma di domande e bisogni di salute individuali e di gruppo, nonché ricercare e fare propri saperi e competenze che facilitino la maggiormente efficace possibile “alleanza terapeutica”. Ovviamente, si tratta di una questione che non riguarda il singolo operatore e i soli operatori della salute, quella mentale in particolare ma non solo, perché attraversa l’insieme delle istituzioni di una società. Infatti, senza una committenza così ri-orientata non può esserci un sostegno adeguato alle persone CALD.
Parliamo qui di “competenza culturale”, ossia dell’acquisizione di quell’insieme di comportamenti, attitudini e politiche che dentro un sistema , un’agenzia sociale o un gruppo di professionisti, consentono di operare con efficacia in contesti multiculturali.
PLOS ONE del 19 luglio 2018 ha pubblicato l’articolo dal titolo A systematic review of mental health care workers’ constructions about culturally and linguistically diverse people di tre studiosi australiani: Tinashe Dune, Peter Caputi e Beverly Walker. Gli autori hanno passato in rassegna la letteratura disponibile sull’argomento, analizzando in modo approfondito 38 studi scelti su 583, esclusivamente in lingua inglese, (28 di autori USA, 3 di canadesi, 3 di australiani e 1 rispettivamente di autori giapponesi, tanzaniano, britannico e tedesco) condotti per accertare la natura dei costrutti[1] degli operatori di salute mentale circa le persone CALD. Lo scopo della rassegna è quello di contribuire a migliorare la disponibilità di servizi maggiormente adeguati dal punto di vista culturale e a promuovere la formazione di base e permanente alla multiculturalità. Il punto di vista degli operatori è stato sempre poco studiato perché, di solito, ci si è accontentati di registrare una diffusa resistenza a incorporare costrutti diversi da quelli euro/etnocentrici. In sostanza, si tratta di meglio capire:
- Come gli operatori della salute mentale “costruiscono” il paziente CALD
- Quale può essere l’impatto tali costrutti sulle competenze culturali degli operatori e sull’alleanza terapeutica, quella che costituisce il “cuore” della “presa in carico” di una persona/situazione di sofferenza clinicamente significativa
- Il significato di tali nuove competenze sia per le persone CALD che per gli operatori della salute (mentale).
In generale si può affermare che a condizionare i costrutti degli operatori circa le persone CALD sono le gerarchie sociali, culturali, politiche, religiose ed economiche di norme e valori etnocentrici, per la maggior parte eurocentrici, che portano a far vivere le persone CALD come problemi sociali e a rappresentarle come cause di instabilità. Tutti gli studi condotti prima della formazione ad hoc e dell’aggiornamento hanno evidenziato la presenza negli operatori di credenze, pregiudizi, stereotipi per lo più negativi per i quali le persone CALD costituiscono un grave costo sociale.
Dall’indagine è risultato che i costrutti che riguardano le persone CALD sono strettamente connessi alla capacità degli operatori di giocarsi con competenza a sostegno di una efficace alleanza terapeutica per la salute mentale del paziente/cliente/utente. I costrutti sono risultati per la maggior parte positivi dopo un adeguato tirocinio per l’acquisizione di competenze multiculturali; sono rimaste tuttavia fra i professionisti delle professioni di aiuto zone di rifiuto e resistenza. Ovviamente, in taluni casi potrebbe non trattarsi solo di un atteggiamento di diffidenza verso la formazione/aggiornamento in sé, quanto di una difficoltà legata al modo con cui si insegna.
Inoltre bisogna considerare che le persone CALD non sono tutte uguali e poi lo stesso termine CALD è discutibile: in fondo ciascuno di noi è una persona CALD.
Dato che la maggior parte degli studi ha preso in considerazione il Bianco (whiteness) non solo come colore, ma come fondamento di sistemi sociali, culturali, economici, politici, religiosi, il termine Non-Bianco può risultare appropriato nel designare molti gruppi minoritari e nel riconoscere il ruolo della cultura anglo-europea nell’impatto con popolazioni minoritarie, salvo le situazioni in cui la cultura dominante non sia “bianca”.
Le raccomandazioni proposte sono molto importanti, sempre tenendo fermo come indispensabile il punto di partenza della formazione di base, dell’aggiornamento e dell’acquisizione che non c’è un approccio buono per tutte le situazioni. Deve essere riformato il modo con cui è insegnata la competenza culturale affinché gli operatori ri-educati raggiungano il livello di esperti nel contesto degli specifici ambiti nazionali:
- la competenza culturale deve percorrere tutta la formazione di base e la formazione permanente
- grande importanza hanno le esperienze vissute in diversi contesti culturali, con supervisione.
Grande è l’importanza degli interpreti-mediatori, del coinvolgimento dei famigliari, dei conoscitori delle varie declinazioni dei bisogni di salute; è utile la conoscenza almeno di una qualche lingua.
In conclusione, nelle ultime due decadi il multiculturalismo è enormemente cresciuto a livello internazionale. Mentre alcune persone CALD giungono nei paesi di adozione già con problemi di salute mentale, altri sviluppano disturbi mentali in conseguenza dei traumi della migrazione. La gestione di tali problemi di salute mentale richiede una sempre maggiore competenza degli operatori per il raggiungimento e il mantenimento della miglior possibile alleanza terapeutica. Questa alleanza è del tutto a rischio quando gli operatori, di solito con bassa competenza culturale, hanno costrutti negativi riguardo le persone CALD. Questo non significa che i singoli e i gruppi etnici non possano coltivare le proprie identità e credenze.
Dobbiamo prepararci ad un futuro che è già arrivato, ed educare i nostri figli ad essere cittadini di un mondo che possono cambiare, pur conservando il “cuore” del senso di sé.
Il mutare e il moltiplicarsi dei contesti multiculturali in tutti i paesi comporta che i sistemi e gli operatori della salute mentale debbano prepararsi ad occuparsi di una vasta gamma di pazienti bisognosi di sostegno. Si tratta di una vera e propria impresa che richiede l’impegno a sviluppare nuovi modelli di ricerca, pratiche, formazione, aggiornamento dinamici, sensibili, sempre più colti e sofisticati .
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