Ecce Bombo e Nanni Moretti. L'estetica del non risolto

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2 ottobre, 2012 - 18:22

Nel 1978 avevo diciannove anni e si andava ancora al cinema di pomeriggio. Quando incontrammo il primo lungometraggio di Nanni Moretti, davanti grande schermo eravamo proprio quattro amici, come i protagonisti del film. Tutti della stessa annata e dunque tutti maturandi, anche per questo, la scena dell’esame di stato che poi diventerà un cult, ci rimase impressa a fuoco. Vedere unite in un mix tragicomico, purtroppo profetico, la pantomima dei professori "democratici" e l’insipienza culturale degli studenti che parlano per luoghi comuni, ebbe allora un effetto catartico sulla tensione degli esami che ci aspettavano.

Ci riconoscemmo subito, nel bene come nel male.

E’ anche per questo, ora che le sale lo ripropongono dopo tanti anni, che sono andato a rivederlo. Perché, anche se la generazione che viene messa in scena è quella subito prima della mia, i protagonisti sono già all’università o lavorano, noi dovevamo ancora uscire dalle scuole superiori, tuttavia le passioni e le inquietudini che ci raccontarono erano già anche le nostre.

Cosicché una parte di noi ha amato molto quel film. L’incapacità a pensare percorsi esistenziali credibili (figuriamoci a praticarli), l’incomunicabilità che trovava il suo massimo vertice tra i sessi, l’oppositività ai genitori tutta costruita su idee e parole ma senza l’ombra d’un fatto. Insomma un mondo psicologico che trovava la sua massima sintesi, anche cinematografica, nella "cameretta" scarna e confusa di Michele protagonista alter ego del regista.

Ho sempre pensato che la "cameretta" (a venticinque anni) fosse un tòpos tutto italiano. Cameretta naturalmente con poster (e chi non li aveva), quello che si intravedeva nelle varie inquadrature rappresentava Buster Keaton. Un comico sicuramente sui generis come, credo, sia poi diventato il cinema morettiano, difficilmente classificabile.

Eppur tuttavia, dentro quelle camerette, molti di noi si incontravano, ascoltavano i dischi in vinile e le radio libere (come nel film). In quegli ambienti, quasi sempre rettangolari (perché la forma quadrata era riservata alla camera dei genitori), si affrontavano all’arma bianca temi universali come l’amicizia, l’uguaglianza, la giustizia, l’amore. Tanto intensi erano quegli incontri/scontri che talvolta anche le nostre relazioni ne uscivano un po’ ammaccate.

Quel cinema gettava uno sguardo ironico e convincente, forse per la prima volta, su una generazione vicinissima alla nostra nella sua attività principale: farsi domande. Naturalmente c’erano già stati esempi importanti, uno per tutti "I Vitelloni" di Fellini, ma era l’epoca dei nostri padri. Questi invece erano i nostri "fratelli maggiori" poco più grandi di noi, li frequentavamo già nelle nostre case, al bar, o durante una manifestazione (sportiva o politica che fosse).

Quel cinema ci avvisava su quello che avremmo incontrato di li a pochissimo. Ragazze con le gonne a fiori e gli zoccoli (espadrillas in estate) che alla morettianissima domanda: "ma tu, concretamente, che cosa fai?....come campi?" potevano risponderci: "giro….vedo gente….mi muovo…conosco….faccio cose…". Una frammento della società della fine dei settanta che questa sceneggiatura ha immortalato.

Ho memoria di pochi affreschi, sull’arte di non definirsi, così ben riusciti. Questa difficile arte che si apprende fin dall’adolescenza ma che alcuni, purtroppo, protraggono fin a maturità inoltrata.

Anche il narcisismo mal sorvegliato di Michele al telefono invitato ad una festa ci riguardava: "Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici vengo? ….Mi si nota di più se vengo e me sto in disparte o se non vengo per niente?

Ecce bombo ci ha aiutati a ridere di noi e dei nostri "fratelli", anche se nell’intenzione del regista il film doveva essere di genere drammatico. Invece ha s-drammatizzato, ci ha permesso quindi di prendere distanza, di prenderci in giro. In qualche modo di crescere. Non scordiamoci che eravamo ancora nello scorcio finale degli anni di piombo, dove lo spazio perché una generazione politicamene orientata si osservasse con un po’ di sana autoironia era veramente poco.

In questo gruppo di amici non sembra funzionare niente. Ci si raduna di notte in una spiaggia con i sacchi a pelo, per vedere sorgere il sole sul mare. Questi naturalmente (essendo ad Ostia) sorge alle loro spalle, sorprendendoli. Sono comici loro malgrado. Una parte di noi credo, è grata a quel cinema, a quella cultura, proprio per questo. Aver introdotto ironia, a tratti disincantata, senza però aver tolto dignità ai temi pubblici e privati che rimanevamo tutti sul tappeto, in gran parte irrisolti.


Non so se quel film avesse nel suo "genoma" e dunque nel conseguente scopo, mostrare una sorta di estetica del non risolto.

Sia in ambito politico che privato. Certo ha messo finalmente alcune carte sul tavolo, ha fatto ridere e pensare una classe di persone che anche se non aveva avuto l’età per fare il ’68, non voleva nemmeno esser ricordata per quella che avrebbe fatto il "riflusso".

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