PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Rom e Sinti ( gli “zingari”) secondo il prof. Semizzi, medico e scienziato razzista

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19 aprile, 2019 - 09:11
di Luigi Benevelli

In Italia si stanno susseguendo da tempo episodi di “mobilitazioni di popolo” sostenute, “argomentate” da gruppi neo fascisti e neonazisti, legittimate da uomini politici e amministratori locali a contestare il diritto alla casa e alla scuola di famiglie di rom e sinti che vivono ai margini delle nostre città piccole e grandi.  Assistiamo insomma al diffondersi di pratiche di discriminazione fondate sul  pregiudizio contro persone che parlano una lingua diversa dall’italiano ed hanno abitudini di vita non-stanziali o poco stanziali. Non è un fenomeno nuovo da noi perché si è già visto nell’epoca d’oro del razzismo scientifico di Stato.
Ripropongo al riguardo un testo sugli zingari, a mio avviso assai eloquente, pubblicato nel 1939 da un medico e scienziato italiano, il professor Renato Semizzi, ordinario della cattedra di Medicina Sociale della facoltà di Medicina dell’Università di Trieste[1]. Semizzi fu tra i firmatari del “Manifesto della Razza”.
 
Semizzi definisce gli zingari un gruppo etnico a sé, un popolo “misterioso, nomade, talvolta mistico e talvolta sanguinario, sparso per tutta l’Europa, buona parte dell’Asia e sulle coste settentrionali dell’Africa”.
Gli zingari hanno differenti nomi a seconda del paese che li ospita, si definiscono tra loro “Rom” che in lingua indiana antica vuol dire “impuro” o “paria”. Non sono né mongoli, né egiziani, né appartenenti a schiatte semitiche né ancor meno ebrei. La loro origine va cercata nell’Indostan.
La loro lingua, o meglio il loro “idioma” deriva dal sanscrito; quella parlata oggi è formata in parte dal patrimonio linguistico ereditato dall’India e in parte dalle lingue dei paesi ospiti: “si tratta quindi di un gergo che varia da tribù a tribù”.
Quanto alle qualità razziali antropologiche, “generalmente gli zingari sono belli, hanno dei lineamenti puri, ma questa bellezza, molte volte, rimane offuscata dal sudiciume, dalla straccioneria, dalle rovine della povertà e del malcostume. […]Il colore del viso è bruno olivastro chiaro, mentre il corpo presenta, spesso, una tinta più scura.  […] Sono snelli e flessuosi, di media statura, ben proporzionati e potrebbero essere classificati fra i biotipi longilinei stenici. Le mani e i piedi sono piccoli. Sono raramente obesi, forse per il fatto che fanno una vita movimentata e che si cibano di alimenti poco sostanziosi, ma bisogna invocare anche il fattore razziale. Le donne nell’epoca della menopausa tendono lievemente a ingrassarsi. Le fanciulle hanno forme scultoree. Le mammelle delle zingare sono ircine e pendenti sì da ricordare quelle di alcune tribù africane. I capelli sono neri e lucidi, spesso ondulati […]. Gli occhi hanno un colore nero o avana scuro, sono molto espressivi con bagliori di intelligenza, bene aperti e tagliati leggermente a mandorla verso le tempie; la sclera è porcellanea, le ciglia sono lunghe e folte, l’arco sopraciliare ben modellato. La fronte, nelle donne specialmente, è molte volte bombè. Le labbra sono carnose e nel sorriso lasciano scoprire dei denti bianchi, sani, regolari e diritti. Il naso è leggermente arenato, mai adunco.
Hanno una voce dolce e quasi sempre, gli uomini in registro tenorile.
Sono quanto mai prolifici; però, dato il loro tenore di vita, hanno una grande mortalità infantile. Le madri sono molto affettuose verso la prole. È severamente punito l’adulterio – il colpevole come punizione può anche venire espulso dalla tribù, il che costituisce il più duro dei castighi”.
 
Per le qualità psichico-morali, “a torto gli zingari vengono incolpati di cannibalismo ed è ancor meno vero che sieno ladri di bambini. Sono vagabondi per eccellenza, dediti alla mendicità, alla scrocconeria, alla frode, al furto, alla menzogna e all’inganno. I furti vengono perpetuati per lo più dalle donne e dai fanciulli. Sono di carattere facilone, infedeli, pavidi, astuti nel pericolo, vendicativi, cinici, arroganti e sfacciati con i deboli, pigri ma intelligenti.[…] Si dedicano al contrabbando di bestiame ed alla compravendita degli equini, dove, appunto, è facile la frode; fanno gli stagnini, i maniscalchi, calderai, gli ammaestratori di orsi, i saltimbanchi ecc. ecc. Le donne sono chiromanti o indovine, vendono amuleti e filtri e speculano sempre sulla credulità del popolino. In genere lo zingaro si dedica ai mestieri che gli rendono possibili la truffa e l’inganno. Amano la musica e la danza e le ballerine zingare, nelle movenze e nel ritmo, ricordano le bajadere indiane e le almee egiziane.
Gli zingari danno un notevole contingente di delinquenti e prostitute. La criminalità non si limita solamente ai reati della proprietà altrui, ma comprende anche quella del sangue. Il nomadismo e la criminalità costituiscono una prerogativa razziale. […]
Gli zingari possiamo dividerli in nomadi propriamente detti con i loro baracconi ambulanti – che oggi vanno scomparendo per misure di pubblica sicurezza- in semi-sedentari e sedentari. I semi-sedentari si muovono nel raggio del paese nativo, ma sempre vi ritornano. I sedentari sono quasi tutti dediti alla musica. […] La loro musica è piena di fioriture e passaggi cromatici, quanto mai nostalgica, punteggiata di fughe e di sincopi, ora irrequieta come la loro vita, ora dolce e melanconica  ed ora selvaggia, quasi fosse l’espressione di un tormento atavico”.
Circa le religione e leggi “non si sa se gli zingari abbiano una propria religione; si adattano a praticare, pro forma e con interpretazioni speciali, la religione del paese che li ospita. Si è potuto constatare in qualche tribù dei ricordi totemici e delle pratiche simboliche con reminiscenze pagane. Non hanno leggi, ma ogni tribù dipende da un Capo, seguono le leggi del loro istinto, le leggi della natura, le leggi dettate dall’atavismo. Il modo di vivere dei nomadi ricorda il matriarcato, lo sposo segue la donna e da essa riceve la dote. Sono in continuo conflitto con le leggi degli stati che li ospitano; non possono subire la volontà sociale della civiltà. […]
È difficile conoscere il numero esatto, per la vita che fanno sfuggono ai controlli dei censimenti; tuttavia pare che in Europa ce ne siano 7-800.000 e circa 6.000.000 sparsi per il mondo”.
 
Dopo un paragrafo dedicato agli zingari dell’Albania che “vivono nella più tragica miseria e nella più bassa abiezione, “paria fra i paria”, Semizzi si sofferma sulla bellezza delle danzatrici: “Sono zingare di rara bellezza, il prodotto dell’incrocio fra Skipettari  e Zingari. Inaccessibili perché sfruttate dalle mezzadre. Strane creature queste danzatrici, flessuose come canne, di un bianco alabastrino, occhi lampeggianti e forme scultoree”.
Gli zingari mantengono costanti le loro qualità razziali ed eredità in ragione della diffusa endogamia che dà “dei prodotti antropologicamente puri rispetto ad una determinata razza, ma esalta, per contro, caratteri recessivi rendendoli dominanti, e ciò spiega le costanti e dominanti qualità psico-morali razziali degli zingari”. […]
Le mutazioni modificano la costruzione del tipo, della specie e sono permanenti. Sia che sieno favorevoli o sfavorevoli sono delle vere crisi di assestamento della massa ereditaria, […] non hanno fenomeni premonitori. Ma non sappiamo però se prima dell’apparizione, l’ambiente non abbia influito al manifestarsi di queste crisi di assestamento chiamate mutazioni. […]
Le qualità psico-morali razziali degli zingari noi le definiamo “mutazioni psicologiche regressive razziali”. Gli zingari […] costretti all’esilio, a vagabondare per le vie del mondo poveri e disprezzati perseguitati, sospinti da un doloroso destino emigrarono in cerca di pace […]  e così, piano piano, attraverso secoli, l’ambiente funzionò da choc scatenante tramutando le qualità recessive in qualità dominanti. Vi sono anche degli zingari laboriosi e con qualità morali positive e ciò rappresenterebbe un vero ritorno ancestrale delle qualità primigenie”.
Semizzi alla domanda se l’incrocio con gli zingari può inquinare la razza risponde no dal punto di vista antropologico, ma parzialmente sì da quello psichico-morale. Osserva che gli zingari si sposano solo fra di loro e che il nomadismo costituisce “una ben definita barriera di repulsione”; i due elementi risultano “una provvidenziale legge demografica”. Infatti, il loro essere di razza ariana non dovrebbe portare ad alcun “inquinamento razziale”, ma danni ereditari potrebbero essere arrecati dal punto di vista psico-morale a causa delle mutazioni regressive trasmissibili.
Semizzi al riguardo precisa che “la razza non è formata unicamente dall’indice cefalico, dal colore della pelle e degli occhi, ma da tutto il patrimonio spirituale, culturale, religioso e morale” e che “le proprietà psico-morali costituzionali degli zingari intrinseche nel materiale ereditario, fissate nelle catene cromomeriche costituirebbero uno sfavorevole rapporto razziale”.
In conclusione, nel caso di incroci, “la fusione delle due sottorazze ariane produrrebbe sì degli elementi somaticamente omogenei, ma psichicamente minorati poiché la qualità del genitore ariano europeo non potrebbero attenuare o meno ancora annullare quelle del genitore ariano zingaro, anche se queste dovessero, per fortunate combinazioni dei genidi o cromomeri, rimanere recessive”.
 
Nel dibattito sulla questione zingari fra gli scienziati razzisti italiani all’intervento di Semizzi ne seguirono in particolare altri quattro, tre nel 1940 su  «La Difesa della Razza»: l’articolo dell’antropologo Guido Landra, Il problema dei meticci in Europa ; quello di Mario De Bagni,  Gli zingari e quello di Vincenzo De Agazio, Gli ultimi nomadi e uno di Luigi Cesari su «Razza e Civiltà» del marzo 1941.
Nel settembre 1940 prese il via il progetto di campi di concentramento da riservare agli zingari.
 
Buon 25 aprile a tutti !!!

 



[1] Renato Semizzi, Gli zingari, «La Rassegna di clinica, terapia e scienze affini» , fasc. 1, gennaio-febbraio 1939, pp.64-79.
 

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