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La storia di Mauro Guerra, ucciso in un T.S.O. che non era un T.S.O.

10 Mag 19

A cura di Emilio.robotti

 

La morte di Mauro.

La Sentenza: la condizione di Mauro ed i dati clinici.

Un T.S.O. che non è un T.S.O.

Colpevolezza o assoluzione per la morte di Mauro?

Conclusioni

 

 

La morte di Mauro.

 

Ho conosciuto Mauro Guerra – ucciso il 29 luglio del 2015 in un T.S.O. che non era un T.S.O. – prima attraverso la sentenza del giudice penale relativa ai fatti che hanno portato alla sua morte, per mano del comandante della Caserma dei Carabinieri del paese, Carmignano di Sant’Urbano, in provincia di Padova dove abitava. Poi, in una iniziativa pubblica a Padova, nella quale ero stato invitato proprio per commentare il caso e la Sentenza, ho conosciuto Mauro anche attraverso le parole di sua madre e di sua sorella.

Lo ammetto, se prima di incontrare la mamma e la sorella di Mauro ero riuscito a mantenere un certo distacco preparandomi una relazione, le parole di una madre che ha perduto un figlio e dell’altra figlia che ha perso il fratello hanno completamente azzerato il distacco. Perché se sei portato ad immedesimarti con chi ha perduto un figlio, sai quale sia il dolore e sai che non potrà essere mai superato: puoi solo imparare a sopravvivere a quel dolore.

 

Questo era un avvertimento: cercherò di essere oggettivo, ma non è detto che ci riesca completamente, ammesso sia possibile essere assolutamente oggettivi: deciderete voi.

 

L’incontro con la mamma e la sorella di Mauro e con i due giornalisti (Roberta Polese e Ivan Grozny Compasso) che seguendo la vicenda, hanno contribuito a dare un’immagine di Mauro e della  sua morte che ha contribuito ad una diversa direzione delle indagini fino ad arrivare al processo, con l’imputazione di eccesso colposo di legittima difesa.

 

Mauro era un ragazzo grande e grosso, palestrato, laureato in Economia e Commercio. Aveva svolto il servizio militare ausiliario nel Reggimento Paracadutisti Tuscania dei Carabinieri, abitava con i genitori ed il fratello più piccolo proprio a poca distanza dalla Caserma dell’Arma, dove era giunto da non molto tempo prima della sua morte, un nuovo comandante. Che ucciderà Mauro.

 

Nel luglio del 2015, Mauro apprende una notizia (falsa) secondo cui alcuni richiedenti asilo in un centro di accoglienza avrebbero rifiutato il cibo offerto. 

Mauro è a casa, il suo tirocinio professionale come commercialista si è interrotto qualche tempo prima.

 

La notizia (falsa) lo colpisce; come molti suoi cittadini abbocca alla “fake news”, una delle tante simili che girano sui social network. Decide così di andare dai Carabinieri, a cui sente ancora di appartenere, a chiedere il permesso per fare una manifestazione di protesta. Senza sapere che così avvierà la macchina che lo ucciderà.

 

In Caserma non trova il nuovo Comandante, che però viene informato della visita di Mauro e che vede i disegni, a contenuto mistico, lasciati nel corso della visita. Il Comandante decide di far convocare Mauro. Ma lo ritiene pericoloso, non vuole incontrarlo da solo e si preoccupa di avere un numero ritenuto sufficiente di uomini in Caserma per l’evento.

 

A leggere la Sentenza, si percepisce il timore del comandante, imputato di eccesso di legittima difesa (dopo essere stato derubricato il reato inizialmente iscritto nella notizia di reato, omicidio volontario) nei confronti di Mauro e si percepisce l’immedesimazione in questo timore del Giudice, che ripetutamente fa riferimento alla prestanza fisica della vittima.

 

Il comandante incontra Mauro e di fronte a questo ragazzo grande e grosso, che gli espone l’intenzione di fare una manifestazione contro i richiedenti protezione o comunque i musulmani e gli consegna ancora questi strani disegni, gli propone di farsi curare, cosa che Mauro non gradisce affatto e lo fa capire: secondo la sentenza, cerca di fuggire temendo di essere ricoverato tenta e di arrampicarsi sul reticolato di cinta della caserma perdendo le infradito che porta i piedi. I carabinieri, di fronte a questa reazione – certamente non aggressiva -aprono il cancello della Caserma e Mauro può uscire, tornando a casa.

 

Il comportamento di Mauro, che non ha fatto male ad una mosca, conferma però il comandante nella sua idea; Mauro è grande e grosso, matto e pure pericoloso: bisogna fare un Trattamento Sanitario Obbligatorio.

 

Anche se Mauro, in effetti, dopo la convocazione in caserma e la fuga, è nel frattempo tornato a casa sua e dipinge nel suo giardino tranquillamente.

 

Il Comandante non si cura di questo. Non non gli interessa, ha già fatto la diagnosi e la prognosi: ha deciso che occorre un T.S.O..

 

Chiama il 118, chiede un’ambulanza, poi chiama per avere uomini di rinforzo “per eseguire un T.S.O.”.

 

Da lì in poi, è un crescendo di comportamenti assolutamente illegittimi e sbagliati sotto ogni profilo, sanitario come in diritto, dei carabinieri.

 

Che in forza vanno dentro il giardino di casa di Mauro, tentano di fargli bere una bibita con dei calmanti – forniti dai militi dell’ambulanza – di nascosto. Se ne accorge e la cosa che lo fa infuriare.

 

Voi vi sareste infuriati, al suo posto?

 

Mauro sì, si si infuria, ma ancora una volta, non fa male a nessuno e rimane in casa sua, nel suo giardino.

 

Sempre accerchiato e controllato a vista dai Carabinieri.

 

Mauro sarà anche stato così pericoloso e così matto. Ma risulta dalla Sentenza che ancora in casa sua e senza aver fino a quel momento fatto nulla, fa anche notare ai Carabineri che il loro comportamento è illegittimo, che lui ha dei diritti, chiede se ci sia un provvedimento dell’Autorità che abbia deciso che deve essere ricoverato o comunque che lo costringe a curarsi.

 

Il provvedimento non c’è.

 

Voi che avreste fatto al suo posto?

 

Non avreste potuto chiamare la forza pubblica: avreste forse chiamato un avvocato? Oppure, di fronte all’accusa – non prevista in nessuna legge – di essere matto, avreste chiamato il Vostro  psichiatra per certificare la vostra perfetta salute mentale? Mauro non fa nulla di questo e continua a non far nulla di male a nessuno.

 

Nel giardino di casa sua, nel caldo afoso di agosto, circondato da tutti quei Carabinieri, Mauro è sempre più esasperato e compie una serie di atti forse dimostrativi, sempre senza far male a nessuno: agita un bilanciere e due pesi, si spoglia quasi completamente (cosa poi non così strana sotto il sole cocente in giardino, a pensarci), picchia per terra il bilanciere – già difficile da maneggiare e lo piega. Lo fa in casa sua e senza fare male a nessuno: la Sentenza da atto che i Carabinieri non si sentono minacciati da questo ed infatti nemmeno si spostano di fronte a questo agito di Mauro.

 

Al Comandante dicono che un conoscente di Mauro potrebbe essere chiamato e intervenire per calmarlo.

 

Forse, però l’unica cosa che veramente potrebbe calmare Mauro, sarebbe lasciarlo senza tutti quei Carabinieri a casa sua, nel suo giardino, a riprendere a dipingere.

Anche la madre di Mauro è stata avvertita, non riesce a capire cosa stia succedendo, non viene fatta avvicinare a a suo figlio, ancora a casa sua, le dicono che Mauro sta male ed è pericoloso.

 

Il fratello più piccolo di Mauro, che è sconvolto da quanto sta accadendo e piange viene fatto rifugiare dalla sorella più grande, che abita poco lontano.

 

Il crescendo di tensione nel caldo soffocante del giorno è troppo: Mauro ad un certo punto decide di fuggire da una casa che non è più casa sua, ma è diventata il teatro di una operazione militare costruita per catturarlo e costringerlo a curarsi.

Scappa, scalzo ed in mutande, entra nel bar del paese chiedendo aiuto, poi prosegue la fuga nei campi, sempre a piedi nudi, sempre inseguito dai carabinieri in divisa ed armati, che seppure calzati, non riescono a tenergli dietro.

 

Solo uno dei Carabinieri, un Brigadiere che è un corridore dilettante, riesce a tenere il passo di Mauro. Più indietro, il comandante della caserma che ha disposto il T.S.O.

 

L’inseguimento prosegue fino a che Mauro, chissà perché, si ferma ed offre al suo inseguitore più prossimo le braccia per le manette, con un gesto plateale.

 

Il Brigadiere corridore non se lo fa dire due volte: perché lo inseguivano, non dovevano forse catturarlo? Il Brigadiere prende le manette e inizia a farle chiudere su uno dei polsi di Mauro.

 

Quando questo accade, Mauro ha cambiato idea, non vuole farsi ammanettare; o forse non aveva mai avuto intenzione di farsi ammanettare, il suo gesto voleva solo dire “non ho fatto niente, non ho commesso nessun reato, volete arrestarmi? Ecco, mettetemi le manette”.

 

Mauro non potrà mai spiegarlo.

 

La Sentenza spiega, sulla base delle testimonianze dei Carabinieri, che Mauro a quel punto agita la mano imprigionata e colpisce con la manetta il Brigadiere corridore.

 

Che il Brugadiere corridore cade per terra, il sangue della ferita inferta con la manetta a coprirgli il viso.

 

Che Mauro sale sopra al Brigadiere, bloccandogli le braccia e percuotendolo con la manetta.

 

Che il Comandante è nel frattempo arrivato, un metro e mezzo circa, che il Comandante teme per la vita del Brigadiere a terra, teme per a sua incolumità, teme l’inefficacia di un intervento diverso.

 

Che il Comandante estrae la pistola e spara, mirando al braccio ammanettato di Mauro.

 

Che il braccio di Mauro si alza e si abbassa per continuare a colpire il Brigadiere a terra ed il proiettile, invece che il braccio, colpisce il fianco di Mauro, trapassando gli organi vitali e lasciandolo a terra agonizzante, per poi spirare.

 

La morte di Mauro è descritta così nelle testimonianze dei Carabinieri presenti e nella Sentenza, incerta nel determinare la esatta distanza da cui è stato sparato il colpo mortale. Sappiamo però, sempre dalla Sentenza, che il brigadiere colpito con la manetta da Mauro non ha avuto necessità di nemmeno un punto di sutura per la ferita alla testa e che il Comandante che ha sparato è un istruttore di tiro. Sappiamo dalla Sentenza che nella concitazione di fatti, la scena del crimine è stata involontariamente inquinata dagli stessi Carabinieri intervenuti e dai sanitari accorsi per soccorrere inutilmente Mauro che agonizzava.

 

L’immagine di Mauro nudo che corre nei campi inseguito dai Carabinieri fa pensare ad una scena simile eppure completamente diversa non solo nel diverso esito, viva nei ricordi di alcuni psichiatri sui primissimi tempi di applicazione della L. 180/78: Carabinieri che, senza intervenire, guardano a vista “il folle” che si aggira nei campi in attesa che il Sindaco convalidi il provvedimento di T.S.O. Sappiamo che oggi non è così, se va bene la convalida del T.S.O. Almeno nelle grandi città, arriva quando il paziente è già ricoverato. Per Mauro, che non entrerà mai vivo in una autoambulanza, nemmeno una parvenza di rispetto della Legge che regola il T.S.O.

 

Ammesso e non concesso che Mauro sia morto nel corso di un T.S.O.

 

La Sentenza: la condizione di Mauro ed i dati clinici.

 

 

La Sentenza insiste molto sulla prestanza fisica di Mauro, sul timore che generava negli altri e soprattutto nell’imputato, il Comandante della Caserma dei Carabinieri. Una “fisicità fuori dal comune che lascia sinceramente impressionati nei filmati”, scrive il Giudice, sembrando quasi immedesimarsi nella condizione psichica dei Carabinieri.

Molta parte della Sentenza è dedicata al ragazzone grande e grosso, che è diventato Ausiliario Carabiniere, si è laureato e faceva pratica da commercialista, ma contemporaneamente lavorava, sin dai tempi degli studi universitari, come “buttafuori” in alcuni locali. Si sofferma su alcune denunce, su due condanne  – applicazioni della pena su richiesta, il “patteggiamento” insomma -una di cinque anni prima della morte, probabilmente relativa al lavoro come buttafuori, l’altra di un anno e mezzo precedente per atti persecutori nei confronti di una ragazza.

La Sentenza si sofferma sul fatto che Mauro era stato in cura da uno psichiatra per diverso tempo, interrompendo poi per sua decisione la cura.

Sul fatto che pochi giorni prima della sua morte, Mauro era stato convocato in caserma dei Carabinieri dallo stesso Comandante, il quale aveva cercato bonariamente di dissuaderlo dal continuare ad avere attenzioni non corrisposte nei confronti di una ragazza alla quale inviava messaggi e lettere dal contenuto “vaneggiante ed inopportuno”.  Il Comandante non era riuscito nel suo intento, ma aveva ricevuto da Mauro, nell’occasione, “alcuni disegni da lui effettuati, ritraenti scene incomprensibili e relativi a supposte "sfortune amorose”. La conseguenza dell’intervento del comandante, scrive il Giudice, era stata che Mauro si era presentato a citofonare a casa della ragazza, chiedendo di vederla senza riuscirci. La reazione al rifiuto era stata quella di andarsene, lasciando un quadro da lui dipinto sull’uscio di casa dove viveva la ragazza con i suoi genitori.

La preoccupazione del Comandante rispetto a Mauro era negli stessi giorni aumentata, si legge, perché era venuto a sapere, dalla Stazione dei Carabinieri di Este, che il tirocinio da commercialista di Mauro era stato interrotto a seguito dei suoi deliri mistici e dei suoi atteggiamenti inopportuni nei confronti del personale femminile dello studio.

Negli stessi giorni, si legge in Sentenza, Mauro “aveva inviato al suo datore di lavoro alcune email dal contenuto completamente delirante, cosi come aveva pubblicato sulla sua bacheca Facebook numerosissimi post, visionari anche questi, apparentemente inneggianti alla preparazione di una presunta manifestazione cristiana contro i musulmani, da organizzare in piazza ad Este con l'aiuto di alcuni Carabinieri”. 

Insomma, nei giorni prima di morire, “è del tutto innegabile che, nelle fasi dei sui contatti con i Carabinieri del 29 luglio 2015, il Guerra abbia manifestato evidenti stranezze comportamentali, unite ad eloquio delirante, indicativi, se non altro, di uno stato di rilevante sofferenza psichica.

Ma non c’è nessuna diagnosi negli atti processuali, tranne quelle scritte dopo la morte di Mauro. Il terapeuta dal quale per un periodo Mauro è stato in cura si è avvalso del segreto professionale e le diagnosi (postume) dei periti e dei consulenti sono basate sul diario della terapeuta relativo agli anni precedenti, di cui vengono riportate alcune frasi in sentenza, compreso il punto interrogativo presente negli appunti: “tratti di incoerenza”, "pensiero paranoideo intriso di elementi religiosi”, "allucinazione" "pieno delirio mistico”, "scompenso psicotico?”, sul fatto che Mauro negli anni precedenti avesse assunto, sospendendola poi, Risperdal 4 mg ed in varie occasioni, prescritto dal MMG (Medico di Medicina Generale) con avallo della terapeuta, del Prozac.

Sappiamo, dalla Sentenza, che sulla base del Diario della terapeuta, il Consulente del PM nella fase delle indagini preliminari conclude che Mauro fosse affetto da un disturbo psicotico cronico di tipo delirante, con andamento oscillante nel tempo; che tale patologia, inoltre, si sarebbe trovata in una condizione di grave scompenso in occasione nei giorni in cui sono accaduti i fatti e Mauro è stato ucciso, con totale compromissione della capacità di intendere e volere, probabilmente a causa del combinato disposto della verosimile scelta di "non prendere più psicofarmaci", del dispiacere cagionato dalla conclusione del rapporto professionale di tirocinio come commercialista e delle recenti "disavventure amorose”.

Il consulente delle parti civili, cioè i familiari di Mauro, è di parere diverso: egli poteva forse soffrire di una "sindrome bipolare", patologia caratterizzata da repentini e marcati sbalzi del tono dell'umore, peraltro di tipo non cronico, ma episodico. In questo senso, il Risperdal ed il Prozac sarebbero proprio serviti a mitigare gli effetti delle fasi c.d. "up" e "down" (euforia e depressione).

Insomma, Mauro avrebbe mantenuto in buona parte la propria lucidità di pensiero per quanto riguarda i temi generali, non obnubilata di per sé nemmeno dalla “evidente, e comunque sussistente, retorica delirante "grandiosa" su temi "specifici" (in primis quello politico-religioso).” 

Una conclusione ben diversa, che peraltro nulla dice – nè potrebbe dire – sulla vera o presunta pericolosità di Mauro per sè o per gli altri il giorno in cui è stato ucciso e sulla conseguente necessità e legittimità di avviare o meno la procedura di T.S.O..

 

La Sentenza è estremamente puntigliosa nel ricostruire la dinamica dei fatti, nel criticare il comportamento dei militari nei confronti di Mauro, nel riportare che la sofferenza psichica che spingeva Mauro a “fuggire” da casa sua è stata causata dai militari.

 

Si legge, ad esempio, che Mauro “opponeva, sempre in modo disteso, più che legittime rimostranze, ad esempio domandando ai militari se vi fosse un provvedimento scritto che disponesse il suo ricovero (ricevendo risposta negativa), oppure facendo notare di non aver fatto male a nessuno. Per questi motivi, egli rifiutava esplicitamente e più volte di sottoporsi a cure mediche, di cui, pare di capire dal primo video, aveva anche un certo timore. Nei minuti e nelle ore successivi, la situazione, purtroppo, degenerava. Guerra, visibilmente innervosito dall'ininterrotta presenza dei militari, scivolava a mano a mano in uno stato di crescente alienazione mentale a cui corrispondevano comportamenti evidentemente scomposti e scoordinati. 

Ad esempio, ad un certo punto, trovandosi nel cortiletto sul retro, "accerchiato" da un gran numero di Carabinieri, il giovane afferrava un bilanciere da pesistica, notoriamente in acciaio pieno, e lo brandiva tra le mani facendolo volteggiare come si trattasse di un fuscello. Poi, iniziava a batterlo ripetutamente sul selciato, con tanta forza da riuscire a piegarlo, ora invocando a gran voce entità soprannaturali, ora sfidando i presenti a "farsi sotto", pur senza avvicinarsi agli stessi né dimostrandosi realmente minaccioso, tanto che nessuno si spostava.“.

 

Giustificava tutto questo un T.S.O.? Mauro è stato ucciso durante un T.S.O.?


Per continuare a leggere la seconda parte, cliccare qui : http://www.psychiatryonline.it/node/8040

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