Percorso: Home 9 Rubriche 9 PENSIERI SPARSI 9 MIGRANTI: dal Rio Bravo a Lampedusa, passando per Tajoura

MIGRANTI: dal Rio Bravo a Lampedusa, passando per Tajoura

5 Lug 19

A cura di Paolo F. Peloso

Insomma, ci sono quasi riusciti; la grande affabulazione che ha avuto inizio due anni fa, estate 2017, ha reso le cose così confuse che non ci capisco più niente. Le ONG nate per salvare i naufraghi sono chiamate dal Governo organizzazioni criminali, e perseguite da una legge ad hoc. I Magistrati sono lodati quando le condannano e oggetto di contumelie e minacce quando le assolvono, non da un militante anarchico, da uno di estrema sinistra o di estrema destra, ma dal Ministro degli interni. La Libia è un porto sicuro, anzi non lo è, anzi sì  lo è; se non si rispettano i diritti umani e piovono missili, non importa. I morti sul confine se la sono cercata; non ha nessuna responsabilità chi quel confine lo ha chiuso, costringendoli a peripezie per attraversarlo. Le condizioni di detenzione, nei lager libici come alla frontiera tra USA e Messico, sono ciò che merita chi ha commesso un reato: migrare. E avverto davvero l’esigenza di provare a riordinare le idee…
C’è un’immagine che, più di altre, ha fatto impressione in questi giorni; è quella piena di tenerezza della bambina di due anni, Angie Valeria, affogata nel Rio Bravo mentre per non perderla il padre, Oscar Martinez, se l’era infilata nella maglietta. Che subito ricorda, certo, quella dei tre bambini vestiti di rosso ripescati morti qualche tempo fa su una spiaggia della Libia. O quella del bambino, vestito di rosso anche lui, ripescato morto su una spiaggia turca: Alan Kurdi. O altre immagini di bambini, donne, uomini annegati, anche a centinaia (una sessantina, pare ieri), che sia il Rio Bravo o il Mediterraneo poco importa: è sempre l’acqua del confine. Che sia il Sahara o gli hangar libici (venti morti di TBC a Zintan, mentre intorno si spara, pochi giorni fa; oltre 40 uccisi da un bombardamento aereo proprio adesso, mentre scrivo, a Tajoura; impossibile contare gli altri stuprati, umiliati, affamati…), o i boschi dei Balcani non fa differenza: sono tutti morti di confine. Sono i diversi volti tragici di Terra e confini, dei quali scrive Sandro Mezzadra. E’ L’abisso del quale scrive Flore Murad-Yovanovitch, l’abisso della disumanità che fa l’uomo indifferente al destino dell’altro uomo, nel quale di nuovo siamo precipitati, e sono ancora caldi i forni di Auschwitz. Neppure un secolo è passato e di quella speranza in un mondo più giusto e migliore per tutti che accompagnò l’ingresso dell’Armata Rossa in quella macchina di sterminio e la sconfitta del nazifascismo – e trovò poi la maturità negli anni ’60 – non rimangono ormai che poche tracce.
E tra queste poche, certamente, ci sono le ONG che, sostituendosi a ciò che solo pochi anni fa facevano i governi, mettono in mare le navi di sea rescue e sono il segno di un’Europa che non ci sta. Che non ci sta ad assistere indifferente alle morti nel deserto, a quelle in Libia, agli annegamenti. A una politica che miete incredibilmente successo col ritornello semplicistico, monotono, logoro e stantio: porti chiusi, a casa loro, clandestini, criminali… Dall’estate 2017 è in atto un attacco culturale concentrico contro le ONG, volto a screditarle. Non sono, ovviamente, le poche centinaia di naufraghi che salvano a preoccupare, ma l’attività di denuncia che svolgono, il mondo migliore e diverso al quale alludono, la loro caparbietà nel ricordare che ogni giorno, di confine, si annega. Che c’è qualcosa che gli Stati dovrebbero fare, facevano solo in parte, e ora non fanno più. Che c’è un problema: e che la classe politica europea si sta dimostrando incapace a risolverlo né aiutandoli a casa nostra, né a casa loro, né lungo il tragitto. Di migrazioni si muore ogni giorno, nel Rio Bravo come nel Mediterraneo; ma non lo si deve sapere: acqua in bocca! Così, dopo due anni di martellamento, si è giunti alla sfida personale ingaggiata dal Ministro degli interni di una delle nazioni del G8 con una ragazza trentenne generosa e tranquilla di sé, una sfida che il Ministro ha pervicacemente cercato per il gusto di umiliarla, e di umiliarci tutti con lei.
E così l’altra immagine che ha colpito in questi giorni, è quella della Guardia di Finanza che arresta Carola Rackete. Nuova Antigone, arrestata per avere infranto i vincoli di una legge vergognosa e, probabilmente, contraria alla Costituzione e ad alcuni trattati che l’Italia ha sottoscritto, quella che vieta di fatto il soccorso in mare a chi ha volontà, generosità ed esperienza per farlo.
Rackete ha violato una legge ingiusta, il Decreto sicurezza bis; e mi è parso opportuno, in un post su Facebook il giorno dell’arresto – che è quello, tra i miei di sempre, ad avere ricevuto più like – accostarla nell’immagine a Gandhi e Martin Luther King. La distorsione in base alla quale le cose consegnate alla storia appaiono più grandi di quelle che viviamo può fare apparire sproporzionato il paragone, ma non lo è. Lottare ed essere disponibili a sacrificarsi per la vita dei migranti oggi ha la stessa dignità che aveva un tempo la lotta anticoloniale, o quella contro l’apartheid. Un’amica, Lorenza Magliano, commentandolo mi ha fatto notare che Rackete non aveva violato la legge, perché leggi sovraordinate al Decreto sicurezza bis, convenzioni alle quali l’Italia è impegnata in sede internazionale, le imponevano di fare quello che ha fatto: sbarcare i naufraghi salvati. E la GIP di Agrigento le ha dato ragione (da leggere i documenti riportati da Emilio Robotti su Pol. it: E' lo Stato di Diritto, bellezza!), e poi vari giuristi sui giornali e il capitano De Falco. Qualcuno ho visto che ha ricordato sui social la proposta del costituente Giuseppe Dossetti d’inserire il diritto alla resistenza contro le leggi ingiuste in Costituzione, proposta che ha purtroppo trovato troppo timida accoglienza. Qualcuno ha, amaramente, riproposto la scena di Cristo e Barabba facendo chiedere a Pilato: “volete che liberiamo lei che ha salvato 43 vite umane, o lui che ha rubato 49 milioni?” E la folla osannante a dire: lui, lui! 
Perché la vera stranezza, in questa vicenda, è proprio il comportamento del Ministro dell’interno. Un comportamento che può essere quello del leader di un partito estremista e chiassoso (dalla polemica antimeridionale, poi antinazionale, poi nazionalista ecc.), ma non è quello di una delle più delicate istituzioni dello Stato, dalla quale possono venire le maggiori garanzie o minacce per la democrazia. L’atteggiamento casual, disinvolto con il quale l’attuale Ministro sta interpretando il ruolo mi sembra avere due scopi: apparire spregiudicato e accattivante per sembrare uno di noi, un amicone; ma se è il Ministro, non è uno di noi! E, più grave, non so quanto volutamente svuotare di senso le istituzioni della democrazia dal loro interno. Ma si è mai visto il Ministro dell’interno rispondere con le beffe (le beffe!), come un adolescente maleducato, a un Deputato dell’opposizione in pieno dibattito parlamentare? Ci sono quattro considerazioni soprattutto, sul comportamento del Ministro nel caso Sea Watch, che mi hanno fatto riflettere.
La prima è la sensazione che l’esasperazione dello scontro, il braccio di ferro con Rackete sia stato attivamente cercato dal Ministro dell’interno, che l’ha sfidata con la maligna superiorità del gatto che gioca col topo e ha avuto la soddisfazione di vederla arrestata, vederla mostrata (illegalmente, ma è un dettaglio che non pare più interessare a nessuno!!) mentre veniva ripresa nel corso della foto segnaletica, poterla pubblicamente chiamare criminale e “ricca fuorilegge”, prima di qualsiasi rinvio a giudizio. Fare vedere ai suoi, a cui piace che sia un “duro”, che è proprio un duro. Che con lui al Ministero di lì non si passa (anche se poi, silenziosamente, tutti passano tranne le ONG, e dopo lo spavento che si è preso sul caso Diciotti anche con la Guardia costiera fa meno il gradasso). Certo, la Magistratura finora, in Italia non è ancora subordinata alla politica, e meno male; così… non si sa mai. Quindi, poteva andargli bene: la rasta radicalchic e sbruffoncella incriminata, l’onore dei patri confini salvato da lui, una nuova botta per chi vuole salvare i naufraghi dalla morte nell’acqua. O poteva andargli male; e certo – se l’impostazione della GIP di Agrigento sarà mantenuta – questo potrebbe far sì che al posto della coraggiosa marinaia sul banco degli imputati finiscano le sue leggi di dubbia costituzionalità e la malvagità dei suoi divieti. Ma non è detto che neppure questo gli vada poi tanto male; perché al posto della sbruffoncella trentenne e straniera adesso sembra avere un nuovo nemico, più ghiotto, che è la GIP di Agrigento, e con lei tutta la Magistratura, che si arroga impunemente il diritto di interpretare le leggi senza chiedere il permesso al Governo. Con buona pace di Montesquieu, un altro rompiballe del quale farsi spallucce. E magari anche questa noiosa Costituzione che ci si ritrova sempre tra i piedi a ogni nuovo geniale tentativo di “cambiamento”, tutto in un sol boccone.
Le affermazioni del Ministro dell’interno nei confronti della GIP di Agrigento – siamo arrivati al punto che già dobbiamo dire la “coraggiosa” GIP di Agrigento, ma è ben triste un Paese in cui si deve definire coraggiosa una persona solo perché fa il suo lavoro – mi sono sembrate gravissime, da revoca del mandato io credo. Intendiamoci: il segretario della Lega avrebbe avuto tutto il diritto di farle; ma il Ministro dell’interno, no! In bocca del Ministro dell’interno quelle affermazioni a me suonano eversive, e non solo a me ho letto. Non potenzialmente eversive: già eversive. Di fronte alla minaccia alla Magistratura “ora vi riformo io…” da parte del Ministro a commento di una sentenza sgradita, non si possono fare orecchie da mercante: le istituzioni di garanzia, in primo luogo. E poi le persone, per quelle che ancora amano questa democrazia. Chi pensa di ritornare a votarlo perché divertito da queste smargiassate, o perché spera di risparmiare qualcosa con la flat tax o i condoni (che poi perderà con l’aumento dell’IVA o gli interessi sul debito, peraltro), ci pensi bene prima… Condivido, per una volta, quanto scrive il Sole 24 ore: «Salvini dice di non accettare lezioni di moralità dalla magistratura, ma qualche lezione di diritto  su cosa si debba intendere per Stato di diritto forse gli potrebbe essere utile (…). Lo slogan “padroni a casa propria”, spesso evocato, non può significare che esiste un padrone che, solo perché votato può comandare senza limiti. Questa ordinanza [di scarcerazione] ci ricorda che “a casa nostra” non ci sono padroni, ci sono norme costituzionali, penali e internazionali che lo impediscono; ci sono giudici che fanno il loro mestiere, a prescindere dai desiderata del governo» (Melzi d’Eril e Vigevani, 3 luglio).
La terza considerazione riguarda quella che mi pare una puerile e assoluta panzana, che il Ministro va ossessivamente ripetendo mostrandosene diligentemente scioccato: che Rackete, nel manovrare la Sea Watch 3 e urtare una motovedetta della Guardia di Finanza, abbia messo a repentaglio la vita degli occupanti. Chiunque abbia visto quel video sa che nell’urto Rackete non ha “speronato”, come si ossessiona a ribadire il Ministro, né ha messo a repentaglio la vita di nessuno, e la GIP ha dovuto prendere atto dell’evidenza…  Ma il Ministro si ostina a non farlo. E io, se fossi uno di quei cinque finanzieri sentirei il mio onore calpestato, e mi affretterei a smentirlo: sono un uomo d’armi, combatto contrabbandieri armati, sono un pezzo d’uomo e so nuotare: ci vuole altro per mettere la mia vita in pericolo; noi finanzieri non siamo fatti di porcellana! Se io fossi uno degli italiani ai quali si rivolge il Ministro, ugualmente mi ribellerei col chiedergli: ma ci credi davvero così abelinati da bercela, questa? Ma già, in pochi avranno avuto la curiosità di vedere il video, e in molti hanno ascoltato la panzana, sparata subito, cogliendo al volo l’occasione, a caldo, senza pudore. E ossessivamente ripetuta. Una bella fortuna, insomma, per chi ha esasperato la situazione due settimane alla ricerca della forzatura per incominciare subito a sbraitare dell’offesa ai confini e del rischio di vita di uomini dello Stato (quella dei naufraghi non conta), quella botterella, cercata con pervicacia, parrebbe… Ci consola lo sguardo dignitoso e tranquillo di questa ragazza, la garbata richiesta di scuse, la sua paziente sopportazione dell’ingiustizia di cui è stata vittima, degli insulti inqualificabili di una piccola folla inferocita, xenofoba e sessista, della panzana del grande affabulatore.
La quarta considerazione riguarda la presenza di esponenti anche del Partito Democratico – non certo un partito bolscevico né particolarmente generoso in tema di migranti, perché all’origine della madre di tutte le sventure, il decreto Minniti – tra i quali almeno un ex Ministro, sulla Sea Watch nel momento nel quale attraccava contro il diktat del Ministro. Del che lui ha fatto di tutto per mostrarsi paternamente scandalizzato per l’ingenuità dei colleghi (ma guarda ‘sti scemi dove sono andati a cacciarsi!); ma che la dice lunga su quanto la politica esasperata del Governo in tema di migrazioni sia divisiva, anziché trovare quell’equilibrio che, nel seguire certo l’orientamento di quella che dopo le elezioni si è coagulata come maggioranza, non trascuri però del tutto le aspettative di quella minoranza comunque cospicua che non è disposta ad accettare il costo morale che la politica del respingimento a ogni costo comporta.
Si sa, e Giacomo Matteotti ce lo ha insegnato pagando con la vita, che quando la politica comincia a prendere una piega autoritaria la prima vittima è sempre la verità. E allora, in tanta confusione, per chiarezza vorrei ribadire quelle che mi paiono poche ma limpide certezze:
  • Le migrazioni nascono dalle disuguaglianze nella distribuzione delle ricchezze e delle opportunità tra nord e sud del mondo, in qualche caso anche dall’impossibilità di vivere nella fame, nella guerra, nella mancanza di assistenza sanitaria o di libertà
  • Prima della legge viene la Legge, prima della legge e dei confini degli uomini, viene un sentimento di solidarietà che è antico quanto l’uomo e quanto il mare: la Legge che chi annega, deve essere salvato, recepita dai trattati tra le nazioni civili
  • Lo sforzo del nord del mondo di respingere le migrazioni uccide, sui confini di acqua e su quelli di terra, e di quelle morti il nord del mondo, noi costruttori di confini, siamo responsabili
  • Non servono politiche improntate all’ideologia del respingimento ostinato, né a un’accoglienza generica, ma abbiamo la necessità di una classe politica capace di recepire la domanda di miglioramento delle condizioni  di vita e di speranza di milioni di abitanti del sud  del mondo come un’emergenza cui dare risposta, offrendo soluzioni, che saranno  a casa nostra e a casa loro
  •  Il Ministro dell’interno è un’istituzione delicata nell’ordinamento democratico, e chi svolge questo ruolo deve svolgerlo nel rispetto delle altre istituzioni, o diventa un pericolo per la vita democratica; deve sapere che il Ministro dell’interno rinuncia a essere uomo di parte, per il tempo che ricopre quell’incarico, o non può fare il Ministro dell’interno
  • La Sea Watch 3 ha pazientemente sostato a lungo fuori dalle acque territoriali prima di entrare, poi ha sostato fuori dal porto ad attendere quello che pareva solo il puntiglio di un Ministro, avallato dalla servile condiscendenza del resto del Governo; infine, rompendo una situazione di impasse che sembra creata ad arte, è entrata ritenendo con questo di rispondere a leggi più cogenti del Decreto sicurezza bis, le leggi che regolano il salvataggio in mare sottoscritte dall’Italia, e spetta alla Magistratura nella sua autonomia dal potere politico, e non al Ministro dell’interno, stabilire se così è stato
  • La Sea Watch aveva necessità di attraccare a Lampedusa, perché è nella natura di una nave sovraccarica cercare prima o poi l’attracco; non  si capisce invece perché il Ministro dell’interno si ostinasse ad impedirglielo
  • L’affermazione che la vita dei finanzieri sia stata posta in pericolo nella manovra di attracco appare pretestuosamente esagerata, e contribuisce a dare l’immagine avvilente di una politica che insegue solo retoriche e non considera i fatti
  • Adesso c’è una nuova nave carica di migranti, battente bandiera italiana, che chiede un approdo, la Alex Mediterranea che parrebbe anche meno solida della precedente….[i] Cerchiamo di evitare di mettere un’altra volta in scena la ferocia e il ridicolo, Ministro…
Allora, grazie, Carola, per quello che hai fatto per rendere il mondo e l’Italia luoghi un po’ migliori e più giusti!

E, proseguendo per chi avrà la pazienza di proseguire nella lettura, vorrei ricordare che il tema del migrare ci accompagna da quando, era  il gennaio 2016 e questa rubrica era nata da tre mesi, ce ne siamo occupati per la prima volta commentando gli incidenti del capodanno a Colonia: Corpi eccedenti, corpi violati. Scrivevo allora che dobbiamo rassegnarci a fare posto anche ai poveri, al banchetto del mondo. Perché loro stanno venendo, e fanno bene a farlo, anche se non li invitiamo. Oppure decidere di continuare a farli morire, nel deserto, nei mari, nei fiumi, sui confini, ma sia esplicito e chiaro che è ciò che stiamo facendo, ormai da quasi vent’anni. Scrivevo che il migrare era un fatto ineludibile e l’Europa si trovava a un bivio: svoltare a sinistra, e sforzarsi di integrare applicando un principio generale di giustizia; o svoltare a destra, violare i diritti dell’uomo, e impegnarsi più a fondo nel respingere l’ondata. Se non fossi già marxista, sono certo che lo diventerei adesso. Il fatto che la storia sia storia di lotta di classe non è mai stato, nella storia, forse evidente come oggi. E’ un pezzo intero della terra, quello delle masse diseredate dell’Africa e dell’America Latina, che si sta ribaltando come un tappeto che si soleva sull’altra parte, quella dei ricchi, noi del nord. Le stessi immagini nel Mediterraneo e nel Rio Bravo; la stessa ferocia di chi sta cercando di impedire, a qualunque costo (sì: a qualunque costo, e le stragi di donne e bambini sono quel costo!) che quel che è normale che accada, accada. Nell’iconografia di quella bambina morta insieme al padre nel Rio Bravo sta l’immagine della durezza del capitale: un capitale che si conferma, a quasi due secoli di distanza, con questo crudeltà e barbarie.
In questi tre anni e mezzo l’Europa ha svoltato decisamente a destra, e l’Italia con maggiore decisione di altri. Così è venuto il Decreto Minniti, l’errore più grave della sinistra italiana dall’ultimo dopoguerra; era l’agosto 2017 e pur di non accoglierli l’Italia, la Repubblica italiana nata dalla Resistenza, affidava la responsabilità della vita dei migranti alle bande armate dei banditi libici e li restituiva a luoghi che palesemente non potevano essere considerati sicuri, e ci siamo così sentiti Preoccupati dalla svolta estiva. Avevamo ben ragione di esserlo, e un paio di mesi dopo recensivamo Non sono razzista, ma, un bel libro di Luigi Manconi e Federica Resta sulla xenofobia degli italiani, una xenofobia che diventava di giorno in giorno più grande, offuscava il pensiero e impediva di ragionare. Ancora un paio di mesi e abbiamo dovuto commentare l’occupazione della sede della Charitas di Como da parte di un gruppetto di fascistoidi durante una riunione sull’accoglienza e del fatto che la xenofobia, in un pericoloso mix con la pochezza culturale, il balbettio adolescenziale di alcuni e l’ammiccamento di gran parte della destra, andava assumendo vieppiù il volto preoccupante del neofascismo: Turbocapitalismo e cosmominchioneria. Ma qualche sforzo di reagire si poteva apprezzare, e così potevamo salutare a febbraio 2018 un ragionamento di alto profilo sul tema delle identità e le differenze nel volume curato da Emilio Di Maria: Noi e altri. L’ottobre 2018 commentavo l’avvicendamento di Minniti con Salvini al Viminale con queste parole: «Fatti come il decreto Minniti o la cultura stolidamente egoistica che Salvini sta dispensando a piene mani non riguardano solo l’impronta politica di una nazione in un determinato periodo. Lavorano nella coscienza – nella cultura e nella psicologia – dei singoli e dei gruppi, fino a far accettare l’egoismo individualistico e la prevaricazione del forte sul debole come la “normalità” e a far apparire la solidarietà umana come bizzarria, ingenuità, persino follia. L'egoismo, il sovranismo e il confine ci rendono brutti dentro». Ma contemporaneamente salutavo con entusiasmo il varo della prima nave di sea rescue italiana da parte della piattaforma Mediterranea: Mare Ionio: umanità contro la barbarie. Due mesi dopo Salvini colpiva ancora, migranti e italiani, ma in questo caso “prima i migranti” ed era la volta di: Senza pietà: la guerra ai poveri e il decreto sicurezza. E quando, un mese fa, aggiungendo inutile cattiveria a inutile cattiveria, il governo emanava il “Decreto sicurezza bis”, volto a colpire direttamente le ONG costruendo contro di loro una barriera d’acqua che impedisse anche solo di avvicinarsi, mi sono limitato a riproporre quel ragionamento. C’era poco da aggiungere: era sempre lo stesso stolido refrain securitario e disumano che costruisce soluzioni per gli italiani fregandosene degli altri. Che non risolve i problemi; semplicisticamente, se li scrolla di dosso.

Nel trarre un Bilancio del 2018, poi, salutavamo con interesse l’uscita di libri preziosi per la conoscenza e la comprensione del fenomeno, e qui riprendo alla lettera quel pezzo: in primo luogo del medico legale Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto (Milano, Cortina)dedicato alle 30.000 persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo dal 2001 a oggi alle quali si sforza di restituire nome e identità. Poi il testo collettaneo La giungla di Calais curato da Michel Agier e proposto da Ombre corte. Altro testo collettaneo è I confini dell’inclusione. La civic integration tra selezione e disciplinamento dei corpi migranti curato da Vincenzo Carbone, Enrico Gargiulo, Maurizia Russo Spena per DeriveApprodi, con testi tra gli altri di Miguel Mellino, che focalizza l’attenzione sul concetto di inclusione e la sua declinazione oggi in Italia. Infine Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici nel Mediterraneo, curato da Salvatore Palidda, propone una lettura dei fenomeni migratori all’interno di altri fenomeni ad impatto sociale che hanno interessato in questi anni le sponde sud e nord del Mare nostrum. Fa il punto sul sistema dell’accoglienza in Italia (almeno com’era prima della devastazione operata dal Decreto sicurezza) Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione curato da Gennaro Avallone per Orthotes. La disuguaglianza tra la tutela della salute dei cittadini e dei migranti in Europa, e in Italia ancor più, è al centro di un importante volume del ricercatore Aldo Rosano, Access to primary care and preventive health services of migrants (Sprenger). La  storia di un’Italia diversa, per la quale accogliere era un valore, è poi al centro del numero monografico Accogliere. Una storia di settanta anni fa 1946-1948 della rivista Infiniti mondi. Altri due testi, infine, riguardano temi che con le migrazioni molto hanno a che fare. Il primo è Nel labirinto delle paure. Politica, precarietà, immigrazione di Aldo Bonomi e Pierfrancesco Majorino (Bollati Boringhieri) e riguarda  l’«inversione morale» con la quale le società occidentali paiono aver reagito ai fenomeni migratori, frutto in gran parte l’una e gli altri delle ricadute in luoghi diversi di analoghi processi di erosione dei redditi medio-bassi, di precarizzazione, di pauperizzazione che la globalizzazione degli ultimi decenni ha determinato. Il secondo è il testo di Sandro Luce Soggettività antagoniste. Frantz Fanon e la critica postcoloniale (Meltemi) nel quale sono affrontati – alla luce del pensiero dello psichiatra martinicano del quale avevamo già avuto occasione di occuparci su Pol. it, recensendone alcuni scritti – molti temi centrali del dibattito contemporaneo sull’esperienza coloniale e le migrazioni, dall’identità, al riconoscimento, il razzismo, la cittadinanza, e ancora il confine. Le politiche delle organizzazioni umanitarie sono infine al centro di Ragione umanitaria. Una storia morale del presente di Didier Fassin, tradotto da Lorenzo Alunni per Deriveapprodi.
Ricordo, ancora, sette volumi pubblicati nel 2019: il primo è La legge del mare. Cronache dei soccorsi nel mediterraneo di Annalisa Camilli (Rizzoli); il secondo si sforza di guardare, per una volta, l’Europa con gli occhi dei migranti, ed è l’interessantissimo Luci in lontananza di Daniel Trilling (Marsilio); il terzo, prevalentemente fotografico, In mare non esistono taxi di Roberto Saviano (Contratto); il quarto dedicato alle migrazioni italiane in Svizzera: Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi di Concetto Vecchio (Feltrinelli); e il quinto Governare la crisi dei rifugiati. Sovranismo, neoliberismo, razzismo e accoglienza in Europa di Miguel Mellino (Deriveapprodi). Ai quali aggiungerei due volumi ora disponibili in italiano: The black Atlantic. L’identità nera tra modernità e doppia coscienza di Paul Gilroy, tradotto da Miguel Mellino e Laura Barberi per Meltemi; e Le vite ineguali. Quanto vale un essere umano di Didier Fassin, tradotto da Lorenzo Alunni per Feltrinelli. E’ il caso di leggerli e contribuire a diffonderli.
 
 

 

[i] E intanto, appunto, mentre scrivo apprendo che una nave di Mediterranea prende di nuovo il largo: e scrivo: buon vento! Ma non passano 24 ore, e già leggo: «A BORDO DELLA ALEX MEDITERRANEA. Cinquantaquattro naufraghi, stretti su un gommone in pessime condizioni nel mare della Sar libica,  sono stati salvati e caricati a bordo della barca a vela Alex della ONG italiana Mediterranea. Tra loro 11 donne di cui tre incinte e una in gravi condizioni, bambini in fasce, uomini e ragazzi che ora vengono medicati, reidratati mentre la barca si dirige verso l'Italia. Tallonata. inseguita da una motovedetta libica a lungo prima di abbandonare la caccia» (Repubblica.it, 4 luglio). La stessa storia che ricomincia, ho la sensazione, e già oggi in piazza in tutta Italia, a chiedere il ragionevole attracco!
 

Loading

Autore

2 Commenti

  1. luigi.benevelli@libero.it

    Carissimo Paolo,

    Carissimo Paolo,

    condivido pienamente il tuo sdegno e il tuo ‘allarme per il susseguirsi di scelte che non sono della sola Lega, ma anche di Forza Italia, Fratelli d’Italia, centristi, M5S, vale a dire della maggioranza dei nostri connazionali. Non sono però d’accordo con la tua affermazione “Se non fossi già marxista, sono certo che lo diventerei adesso. il fatto che la storia sia storia della lotta di classe non è mai stato , nella storia, forse evidente come oggi”.
    Non sono d’accordo perché il difficile riscatto dei popoli del Sud della Terra dalla discriminazione razzista e dallo sfruttamento è un percorso affatto concluso che non è inquadrabile negli schemi della lotta di classe. Ti propongo, al riguardo, la lettera a Maurice Thorez, segretario del Partito Comunista Francese con cui Aimé Cèsaire, deputato della Martinica, poeta, scrittore, restituiva il 24 ottobre 1956 la tessera del PCF. Il contesto è quello del Rapporto Krushev che aveva dato il via alla de-stalinizzazione e quello della Guerra di Algeria.

    Aimé Cèsaire, dopo aver criticato la timidezza con cui il PCF stava prendendo le distanze dalla stalinismo interno e internazionale, passa ad alcune considerazioni come “uomo di colore” : Noi, uomini di colore, in questo momento della nostra evoluzione storica, dobbiamo fare nostra l’intera grandezza della nostra singolarità, ed assumerci la responsabilità a tutti i livelli e in tutti i contesti, che derivano da tale presa di coscienza. (…) Noi siamo convinti che i nostri problemi (ovvero, se preferisci, la questione coloniale) non può essere trattata come una parte di un tutto più importante”. Segue una nota polemica per il voto favorevole del PCF alla concessione al governo francese di pieni poteri in Nord Africa e Algeria.
    “La nostra lotta di popoli coloniali contro il colonialismo, di popoli di colore contro il razzismo è più complessa e di diversa natura rispetto alla lotta dei lavoratori francesi contro il capitalismo francese, e non può essere in alcun modo considerata parte di tale lotta”.

    Trovo le considerazioni del deputato martinicano, amico e compagno di Frantz Fanon, ancora attuali, utili alla comprensione degli ostacoli alla liberazione delle persone e dei popoli: il ritardo e gli impacci della decolonizzazione, l’intensa, organizzata, alimentazione di pregiudizi razzisti nella nostra società, un lavoro affatto concluso e del tutto inadeguato di studio del colonialismo italiano, luigi b.

    Mantova, 6 luglio 2019

    Rispondi
    • chiclana

      Carissimo Luigi, ti ringrazio
      Carissimo Luigi, ti ringrazio intanto per l’attenzione che hai dedicato al mio scritto; so che sono temi che ti stanno a cuore come dimostra anche la rubrica sempre interessantissima che curi su POl. it. Comprendo senz’altro il senso della tua obiezione, e in parte la condivido. Solo in parte però, perché credo che il ragionamento di Cesaire fosse relativo appunto a una situazione precisa, e mi pare che da allora non possiamo trascurare il fatto che molte cose sono cambiate nella relazione tra i popoli del sud e l’Europa. Intanto perché la dialettica tra europa metropolitana e colonie, almeno sul piano formale, non c’è più. Poi perché non parlerei propriamente di razzismo nel caso di atteggiamenti come quello della nostra destra, perché è in realtà lo straniero povero che non vogliono, e il rifiuto del migrante mi pare soprattutto un rifiuto di persone che peserebbero sul nostro welfare, e per alcuni anche sul nostro mercato del lavoro; ma se è la povertà ciò che la destra rifiuta soprattutto nel migrante (nel migrante in sovrannumero rispetto alle esigenze del nostro mercato del lavoro, in realtà), ecco che questione di razza e di classe tendono a porsi in questo caso come una questione sola. E non trascurerei, tra l’altro, quello che ha fatto in questi anni la globalizzazione, portando molto avanti la tendenza spontaneamente insita nel capitale all’unificazione del mercato, e del mercato del lavoro. Non sono certo un esperto di economia, però credo che una delle molle più importanti delle migrazioni contemporanee (e probabilmente non solo) sia la ricerca di una situazione dove la propria forza lavoro possa essere venduta a condizioni migliori, e per questo mi pare che la migrazione si presti ad essere letta oggi – certo con qualche approssimazione, forse, però credo non del tutto senza ragione – come un fenomeno di classe. Il che certo non significa che gli interessi dell’immigrato e quelli del collega autoctono trovino, purtroppo, immediata composizione , e qui sta l’attualità che tu sottolinei della giusta polemica di Cesaire verso la classe operaia francese. Io ho evocato questo problema recentemente, nell’articolo pubblicato sulla rubrica per il 1 maggio, che credo avrai visto, riferendomi a un film di Ken Loach, però non credo che ciò impedisca di considerare la lotta dei poveri per entrare nel Paese dei ricchi un aspetto della lotta di classe. Forse dovremmo ragionarne più diffusamente di quanto possiamo ora e qui, comunque sono sempre onorato e felice quando posso ragionare con te delle cose che ci stanno a cuore, e ti mando un carissimo abbraccio. E tra l’altro, ai migranti della Alex approdati quest’oggi, benvenuti da entrambi! Paolo

      Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia