LA VOCE DELL'INDICIBILE
I suggerimenti della rêverie degli Artisti
di Sabino Nanni

Vedere senza osservare, sapere senza capire: il problema della negazione nell’Edipo Re di Sofocle

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10 luglio, 2019 - 16:02
di Sabino Nanni
Ancora oggi, parlare di “complesso di Edipo” suscita, in chi sia culturalmente estraneo alla psicologia del profondo, risposte sostanzialmente emotive; il che spiega, a mio avviso, il diffuso rifiuto (ingiustificato sul piano razionale) non solo della psicoanalisi, ma anche di ogni forma di approfondimento che riguardi la vita interiore. Alcuni si sentono inorriditi e scandalizzati di fronte all’idea che, sia pure a livello inconscio, possiamo nutrire desideri incestuosi e parri/matricidi. Altri reagiscono con l’incredulità. Altri ancora accettano l’esistenza di un complesso di Edipo con una sorta di “atto di fede”; il che non aiuta certo a porre su di un piano razionale la discussione su questo problema. Fra le tre posizioni, quella che ritengo la più razionale (la meno emotiva), essendo parzialmente giustificata dai dati di fatto, è quella dell’incredulità. In effetti, esistono trattamenti analitici condotti a fondo (e capaci di produrre effetti benefici) in cui non compaiono indizi certi di vere e proprie tendenze incestuose e di desideri omicidi verso uno dei genitori. Chi meglio spiegò questi rilievi clinici, a mio avviso, fu Kohut con una presa di posizione che scandalizzò molti psicoanalisti. Egli, pur riconoscendo la grande diffusione del complesso di Edipo, ne negò il carattere universale e necessario. Negò che nutrire, e poi superare, desideri incestuosi e parricidi dovesse essere un passaggio obbligato di ogni sviluppo sano. In condizioni sane, secondo Kohut, assistiamo ad una rivalità con il genitore dello stesso sesso e ad un’attrazione per quello di sesso opposto che, però, non arrivano mai a produrre desideri omicidi e incestuosi perché, fin dall’inizio, temperate e raddolcite dalla comprensione empatica e dall’affetto di chi ci ha messo al mondo. Il complesso di Edipo, secondo quest’Autore, rappresenta una patologia diffusa, prodotta da carenze affettive e soprattutto da un difetto di comprensione empatica da parte dei genitori. Ecco perché ritengo che le risposte emotive che ho descritto rappresentino le posizioni difensive di chi si rifiuta di riconoscere le diffuse carenze affettive ed empatiche della famiglia: il rifiuto scandalizzato dell’idea che un bambino possa nutrire desideri così “mostruosi” significa negare l’esistenza di questa patologia così diffusa; l’accettazione acritica del complesso di Edipo come tappa “normale” e necessaria dello sviluppo significa negare il carattere patologico e le cause (per nulla “naturali” e inevitabili) di questa anomalia così grave. Entrambe le posizioni, benché apparentemente opposte, sono al servizio della negazione di un male che, in realtà, ci occorrerebbe conoscere per poterlo curare.
Qual è l’origine prima del complesso di Edipo? Ritengo sia una diffusa patologia del narcisismo dei genitori, posti a dura prova di fronte ai figli che crescono; patologia che interferisce negativamente sulla loro capacità di comprensione empatica della prole. Il genitore dal narcisismo fragile (patologico e immaturo) vive come intollerabile la rivalità del figlio dello stesso sesso, ed il fatto che questi aspiri a prendere il suo posto nella vita, come inevitabilmente accadrà. L’altro genitore, ugualmente malato, non sopporta che il figlio aspiri a non essere più il bambino che vuol bene a papà e mamma, ma voglia diventare un adulto che ama un’altra persona adulta (il che è la premessa per la scelta, che un giorno farà, di prendere la sua strada e allontanarsi dalla famiglia d’origine). Se, come troppo comunemente accade, queste difficoltà non vengono affrontate, ma negate, il figlio, lasciato solo, privato della comprensione empatica, svilupperà desideri omicidi e incestuosi che non sono altro che la copia speculare, esasperata, di quel che provano gli stessi genitori.

L’Edipo Re di Sofocle, com’è noto, rappresentò la fonte principale da cui Freud attinse per sviluppare il concetto di “complesso di Edipo”, che applicò ai suoi pazienti. Pur seguendo Kohut nel negare il carattere universale e necessario di tale realtà interiore, l’opera del grande tragico greco, tuttavia, ci fornisce importanti suggerimenti riguardo a ciò che ne è alla base. In questo domina, in tutti i personaggi, il meccanismo di difesa della negazione.
Qui sotto riporto alcuni brani tratti dall’Edipo Re. Ho apposto, per ciascuno, i miei commenti fra parentesi quadre ed in corsivo.
 
 
Pag. 11: Creonte (di ritorno dall’oracolo di Delfi):
 … c’è qualcosa d’impuro che contamina
la terra nostra e che di lei si pasce,
che bisogna respingere da lei,
né più dare alimento all’insanabile
[Ciò che crea la peste in Tebe continuerà a “dare alimento all’insanabile” finché le colpe di Edipo che l’hanno causato (e che hanno suscitato l’ira degli Dei) non diverranno consapevoli ed ammesse: finché in Edipo stesso, e in chi lo circonda, prevarrà la negazione.]
 
Pag. 17: Edipo (dopo la rivelazione dell’oracolo):
Io muoverò l’indagine; io, l’estraneo
Alle voci già corse, al fatto estraneo…
[Excusatio non petita: una delle forme più evidenti della “negazione che afferma”]
Pag. 18: Edipo (a proposito dell’assassino impunito di Laio, causa della peste in Tebe):
E su me invoco, s’egli fosse alcuno
delle mie case, del mio focolare
e complice io ne fossi, le medesime
pene che or ora sul capo d’altrui
chiamai maledicendo…
[Anche qui, excusatio non petita: finora nulla e nessuno avevano creato il sospetto che il colpevole appartenesse alla casa di Edipo, e tanto meno che lui ne fosse complice. C’è, però, qualcosa di più: c’è l’istanza auto-punitiva di Edipo (che anticipa la sua auto-condanna all’esilio), e c’è un maldestro tentativo di sviare i sospetti, presentandosi come giudice severo e imparziale]
Pag. 19: Edipo (riferendosi a Laio, che afferma di voler vendicare):
a compenso di quanto oggi gli devo
sosterrò questa lotta che m’assumo
quasi mi fosse padre, ora, per lui;
[la sua consapevolezza del parricidio, negata e resa inconscia, si esprime attraverso una sorta di auto-ironia]
Pag. 21: L’indovino Tiresia (interrogato su chi sia l’assassino di Laio):
Cosa tremenda, possedere il vero,
quando a chi lo possieda non può rendere
usabili profitti…
Pag. 22: Tiresia (rimproverato da Edipo per la sua reticenza):
Il mio disdegno biasimi; ma quello,
che ti vive nell’anima, non scorgi.
[Tiresia ha ben compreso che quella di Edipo, non è la buona fede di chi ignora la verità, ma la negazione della colpa: nei confronti di essa, è Edipo ad essere “cieco”]
Pag. 23: Tiresia (ad Edipo che lo sfida a ripetere la sua accusa):
Mi cimenti? O non hai, già prima, appreso?
Edipo:
No, non così da dire: io so. Ripeti.
Tiresia:
L’omicida che cerchi sei tu stesso
………………………………….
Pag. 24: Tiresia:
Con gli esseri più cari, hai, non sapendo,
il più turpe commercio; e tu non vedi
fino a che punto ti domina il male.
…………………………………
Edipo:
È di Creonte, la scoperta, o tua?
Tiresia:
Ma non è già Creonte il tuo tormento:
tu solo, a te medesimo, lo sei.
[Tiresia ha colto il carattere difensivo dell’accusa a Creonte: la persecuzione che Edipo attribuisce proiettivamente al cognato è un modo per sfuggire alla persecuzione interna prodotta dal suo senso di colpa. C’è, qui, un altro accenno al “non vedere”]
Pag. 26, 27: Tiresia:
… E dato
Che tu a me rinfacciasti l’esser cieco,
io ti dirò: veggente, tu non vedi
a quale passo di tua triste via
sei giunto, e dove vivi, e con chi vivi.
Lo sai da chi discendi? No. E non sai
D’essere in odio agli esseri più tuoi,
quassù e sotterra…
…………………………………
… Infanga pure, dunque,
Creonte e le mie labbra che ti parlano;
ché tra i mortali, sappilo, non uno
sarà mai che subisca né più triste
né più intero dissolversi nel nulla.
[Tiresia, qui, ripetendo quanto già espresso precedentemente, rimprovera ad Edipo il suo non vedere (che prelude alla auto-punizione che Edipo s’infliggerà, per una sorta di contrappasso, con l’auto-accecamento); il non vedere, ossia il negare, che il fondamento della sua autostima è del tutto illusorio: odiato da chi lo mise al mondo, il primo e fondamentale nucleo del valore della sua esistenza e della propria consistenza come essere umano (l’amore dei genitori) viene a mancare: egli è condannato ad un “triste dissolversi nel nulla”]
Pag. 27: Tiresia:
Questa giornata ti darà la luce,
questa giornata ti darà la morte.
[Il “far luce” sulle proprie perdite irrimediabili (senza il sostegno empatico e l’intervento riparativo di alcuno) è mortifero]
Pag. 41, 42: Giocasta (ad Edipo, turbato dalla rivelazione di Tiresia):
E tu allontana ormai questi pensieri,
non parlar più, rimettiti alle mie
parole, ascolta. Un essere mortale
segnato dall’impronta di quell’arte
che del futuro dischiude le vie
non esiste. E le prove brevemente
te ne darò. Giunse una volta a Laio
un vaticinio……………………….
……………… ed era
Che gli sarebbe la morte venuta
Da un figlio suo, che fosse creatura
Di me, come di lui. Ma lui, t’è noto,
predoni d’altra terra trucidarono
là sul crocicchio di tre carreggiate;
e non eran trascorsi dalla nascita
di quel bambino ancor tre giorni, quando
lo allontanò da sé, per mano altrui,
il padre, abbandonandolo, coi ceppi
ai piedi, sulla vetta inaccessibile
d’una montagna. E in questo caso Apollo
non avverò il presagio che dovesse
farsi uccisore di suo padre; ed anzi
i terrori di Laio, d’una morte
per mano di suo figlio, ecco, si spensero
…………………………………
Edipo:
Smarrimento dell’anima, risveglio
Torbido del pensiero, se t’ascolto
[Le parole di Giocasta, che avrebbero voluto rassicurare Edipo negando ogni valore ai vaticini, al contrario suscitano in lui “smarrimento dell’anima” e “risveglio torbido del pensiero”. Sono evidenti, nella donna, i segni della negazione. Ad esempio, ha sotto gli occhi i segni delle caviglie trafitte di Edipo, tuttavia non li associa con i ceppi messi ai piedi del suo bambino: vede, ma non osserva e non riflette. Tuttavia la sua negazione afferma: volendo, in sostanza, sostenere che il vaticinio non si è avverato (che Laio non è stato assassinato dal figlio), aggiunge, al suo discorso, particolari che sembrerebbero superflui: i ceppi posti ai piedi del bambino, il luogo dove sarebbe avvenuto l’assassinio (il crocicchio di “tre carreggiate”) l’insistenza sul numero “tre”: le tre carreggiate e il bambino abbandonato dopo “tre” giorni dalla nascita. Questi  particolari comunicano, attraverso la negazione, la verità che sconvolge Edipo. Per il momento si tratta solo dell’assassinio di Laio (Edipo ricorda sicuramente il crocicchio di tre carreggiate); tuttavia l’accenno ai ceppi, ed il numero tre (il rapporto triangolare) descrivono, più in profondità, l’identità di Edipo come figlio rinnegato, parricida e incestuoso]
Pag. 44, 45: Edipo (raccontando a Giocasta il suo passato a Tebe, presso i genitori [adottivi] Polibo e Merope:
…Tra gli altri cittadini
del luogo, ero il più grande nella stima
di tutti, prima che un evento nuovo
sopravvenisse, più di meraviglia
degno, che del tormento che mi diede.
In un convito un uomo in piena ebbrezza
Tra i bevitori mi chiamò mentito
figlio del padre mio…
……………………….
… il giorno dopo m’accostai
a mia madre, a mio padre, interrogandoli.
Si mostrarono anch’essi insofferenti
dell’offesa, implacabili con l’uomo
alle cui labbra era sfuggita. Ed io…
mentre da loro mi veniva gioia,
tuttavia mi sentivo punger sempre
da quella spina; che profonda intanto
s’insinuava. Ed io decisi allora
……………………………
la partenza per Delfi. Inappagato
mi lasciò Febo Apollo del responso
per cui venivo; rivelando invece
miserie, orrori, atrocità non chieste.
Dovevo unirmi con mia madre e dare
alla luce una prole intollerabile
……………………………
divenir l’uccisore di colui
che m’avea generato dal suo seme. 

[Edipo osserva che la rivelazione d’essere “mentito figlio” di Polibo gli suscitò “tormento” anziché semplice meraviglia. Il motivo è che non si tratta di una scoperta che egli possa accogliere con emozioni dominabili, come pura sorpresa o disappunto: essa va a toccare una parte profonda del suo mondo interiore che egli non ha mai potuto elaborare ed integrare col resto della sua mente. Si tratta degli esiti di un grave trauma precoce (l’abbandono e gli intenti infanticidi da parte dei genitori naturali) mai confrontati con la realtà presente, mai leniti dalla comprensione empatica e dall’affetto dei genitori adottivi. Questi, di fronte alla rivelazione, si dimostrano “insofferenti” e “offesi”: ancora nel presente, essi dimostrano di non voler affrontare l’argomento, di non essere in grado d’aiutare Edipo a sostenere e superare il trauma. Edipo è lasciato solo di fronte ad una parte di lui stesso che, mai accolta dai genitori naturali (mai aiutata a temperare e raddolcire la naturale inclinazione verso la madre e la naturale rivalità verso il padre), si è spinta a sviluppare desideri esasperati di tipo incestuoso e parricida. Le imago genitoriali di Edipo sono sdoppiate: verso i genitori adottivi egli prova un puro affetto positivo, privo di ostilità e di aspetti corporei. Al contrario, i desideri più primitivi, più strettamente legati al corpo, ossia al suo sesso ed al naturale rapporto coi genitori dei due sessi (desideri esasperati dal trauma dell’abbandono), sono rivolti ai genitori biologici. A ciò corrisponde uno sdoppiamento anche dell’Io di Edipo: figlio affettuoso di Polibo e Merope, egli, con Laio e Giocasta, sarà solo capace di produrre “miserie, orrori, atrocità”. Le due parti di lui non si sono mai integrate.]

Pag. 46: Edipo (dopo aver confessato a Giocasta d’essere lui l’assassino di Laio):
… Io che contamino
il letto dell’ucciso con le mani
che l’uccisero. È dunque alle radici
di mia vita, la colpa? O non son forse
profondamente, interamente impuro?
[Finora, l’unico crimine accertato, commesso da Edipo, è il regicidio. Tuttavia, con le parole sopra riportate, egli dimostra d’aver oscuramente intuito molto di più: il crimine risale alle “radici della sua vita”. La colpa originaria (l’espulsione dalla casa dei genitori naturali) ha permeato tutto il suo essere.]
 
Pag. 49: Coro:
È la violenza buia
Che genera il tiranno: è la violenza
Sazia d’insania e di dannosi eccessi

[Il Coro coglie, qui, ciò che vi è di più sinistro nell’animo umano: è l’υβρις, concetto che condensa il significato di “cieca violenza” (Kohut direbbe la “rabbia narcisistica”, cieca e inesorabile) e quello di avidità che porta a dannosi eccessi e a desideri insani. È da questo male estremo che derivano tutti gli altri mali; è questo l’aspetto del mondo interno per cui occorrerebbe il massimo possibile di consapevolezza e di autocontrollo e che, invece, è più degli altri oggetto di negazione]

Pag. 54: Giocasta (a Edipo, che teme ciò che gli è stato predetto riguardo all’incesto, e ne aspetta con ansia l’avverarsi: non è ancora del tutto consapevole che l’incesto è stato già commesso):
A che l’angoscia di un’attesa? Domina
la vita umana il caso: e nulla mai
può l’uomo anti vedere. Oh, sì! Lasciarsi
vivere d’ora in ora, com’è dato
ad ognuno… assai meglio! E tu, quest’incubo
dell’incesto materno, non accoglierlo.
Quanti, prima di te, nei sogni loro
giacquero con la madre! Ma la vita,
per chi vede in quest’ombre il nulla è facile
da sopportare, non diventa un peso.

[Giocasta, come tutti coloro in cui domina la negazione, è nemica dell’introspezione e degli approfondimenti psicologici: per lei, il sogno non è rivelatore di verità profonde, è un “nulla”. E questo, così s’illude, consentirebbe di vivere la vita giorno per giorno, e di rendere più “facile” la propria esistenza, senza porsi “inutili” problemi]

Pag. 59: Giocasta (a Edipo, ormai sul punto di scoprire chi sono i suoi reali genitori):
No, lascia, per gli Dei, lascia l’indagine,
se della vita tua t’importa un poco:
molto, già troppo, è quel che soffro io sola.
………………………………………
Nella tristezza del tuo fato, almeno,
che tu non possa mai saper chi sei!

[Giocasta, in un estremo impulso di generosità materna, vorrebbe assumersi lei sola il peso della verità e delle sofferenze atroci che essa comporta, vorrebbe che il figlio ne fosse risparmiato. Lo supplica di rinunciare a sapere chi egli “è”, non rendendosi conto che ciò significa rinunciare ad esistere come essere umano]
Ma ormai, crollato inevitabilmente l’estremo baluardo difensivo della negazione, il danno si rivela irreparabile:

Pag. 69: Coro:
Ridare la purezza a questa casa
tutti i lavacri dell’Istro e del Fasi
non saprebbero più, tanto l’ammorbano
i mali chiusi in lei, che rivelare
dovrà fra poco; né solo subìti,
ma voluti. E i dolori che feriscono
più crudelmente, sono quelli appunto
di cui vediamo risalir l’origine
ad una scelta libera dell’uomo
 

L’argomento delle insidie implicite nel meccanismo di negazione, così ben illustrate nell’Edipo Re, ha un’importanza che va al di là della patologia individuale. Riporto, qui sotto, un paio di riflessioni (pubblicate come post su Facebook), frutto della rilettura di quest’opera.

 

Quando in una comunità le cose vanno male, occorre indagare fino in fondo per conoscerne le cause, e questo comporta il mettersi in discussione: nessuno può essere certo a priori di non essere almeno corresponsabile di quel che accade. È un concetto presente nella nostra cultura già da parecchi secoli. Nello “Edipo Re” di Sofocle, la peste in Tebe continua ad infuriare fino a quando il protagonista non si è reso conto delle sue colpe, che hanno suscitato l’ira degli Dei. È una metafora di quel che può succedere nell’individuo o nella comunità: fino a quando non ci si è resi coscienti delle cause di un male che ci affligge (per quanto possa essere spiacevole il riconoscerle), esse continuano ad agire indisturbate, senza che ci sia la possibilità di modificarle. E se c’è qualcuno che fa presente verità sgradite (come l’indovino Tiresia ad Edipo), trattarlo come fosse un malvagio o un pazzo (e censurarlo) significa agire contro l’interesse comune. La posizione più fuorviante e dannosa è quella di chi giudica gli altri e pretende di non essere mai giudicato, o di giudicarsi lui stesso; posizione particolarmente pericolosa quando viene istituzionalizzata, come nel caso di un re o di un magistrato. Particolarmente dannosa, poi, è la stessa negazione istituzionalizzata, che diviene censura.

 

Amleto: “There’s something rotten in the state of Danemark” (c’è qualcosa di marcio nello stato di Danimarca). Più di un motivo spinge a pensare che “qualcosa di marcio” esista anche nel nostro paese; qualcosa non ancora chiarito, di cui sono emerse, qua e là, occasionalmente, solo punte di iceberg. Per il resto la gente “non sa”; però siamo sicuri che si tratti di un vero e proprio non sapere? Esiste una via di mezzo fra la piena consapevolezza e la totale ignoranza: è il vedere senza osservare, l’udire senza ascoltare attentamente, il conoscere senza riflettere su quel che si conosce; in poche parole: è una consapevolezza resa confusa da quei meccanismi di difesa noti come negazione e disconoscimento. Che cosa spinge molti individui ad ignorare quel che può interessare loro stessi? Ci sono alcuni possibili motivi, che possono affiancarsi l’uno all’altro e sommarsi. C’è l’incredulità, ossia la reazione emotiva di chi si sentirebbe sconvolto se fosse sicuro che certi fatti sono veri. Legata ad essa, c’è il bisogno di aggrapparsi a menzogne rassicuranti. C’è la visione “manichea” di chi vuole vedere tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra, e non può ammettere che il “marcio” stia corrompendo la parte che finora ha visto come “buona”. C’è il timore d’essere accusati di “complottismo”, ossia di sospettosità patologica, ed il dubbio che certi sospetti, che pure affiorano alla coscienza, siano infondati; qui, l’esistenza di veri e propri paranoici (che presentano come verità certe alcune ipotesi non ancora comprovate) possono rafforzare tali dubbi. C’è, comunque, l’amore del “quieto vivere”, che spinge, fatalmente, alla superficialità dei giudizi e all’incoscienza.

 
Bibliografia
-         Freud Sigmund (1899) L'interpretazione dei sogni (Boringhieri O.S.F. Vol.3 -  1966)
-         Freud Sigmund (1925) La negazione (Boringhieri O.S.F. Vol.10 - 1978)
-         Kohut Heinz (1972) Thoughts on narcissism and narcissistic rage (The search for the self. Selected writings of Heinz Kohut 1950 - 1978 Vol. 2 - International  Universities Press 1978)
-         Kohut Heinz (1984) La cura psicoanalitica (Boringhieri 1986)
-         Quinodoz Danielle (1999) The Oedipus complex revisited: Oedipus abandoned, Oedipus adopted (Int. J. Psychoanal. Vol. 80, N° 1, pag. 15)

Sofocle (450? A.C.) Edipo re (Einaudi - in: Sofocle. Le tragedie - 1966)
- Steiner John (2018) The trauma and disillusionment of Oedipus (Int. J. Psychoanal. Vol. 99, N° 3, pag. 555)

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