Sarantis Thanopulos: “Sembra che nel mondo dell’editoria, delle mostre librarie e dei festival letterari, contino sempre meno il piacere della sperimentazione, l’innovazione dei linguaggi, l’attenzione per gli scrittori eccentrici ai gusti correnti. Le iniziative culturali, impoverite sul piano del confronto, sono appannaggio di una minoranza colta, numerosa ma isolata dal resto della popolazione. Sono condizionate da attese che temono la sorpresa e la scoperta, amano il già sentito, visto, servito in salsa accattivante. Il piacere del leggere e del sapere, il godimento delle opere narrative e saggistiche, che dà respiro e profondità ai sentimenti e ai pensieri, non si irradia dai luoghi della cultura a tutti i luoghi del vivere. I colti, persa la loro capacità di attrazione, appaiono chiusi in un inconsapevole sentimento di autosufficienza che li oppone agli incolti.”
Chiara Valerio: “I festival sono diventati, quantomeno da un punto di vista statistico, l’ultimo anello della catena editoriale. Questo non è un bene né un male, non va a detrimento della ricerca e della sperimentazione, semplicemente indirizza la sperimentazione e la ricerca all’interno delle novità librarie dell’anno. Tu pensi che ci sia mai stata una maggioranza colta? Io credo ci sia stata in certe epoche storiche – penso a chi è nato negli anni cinquanta –, credo ci siano state persone che sono andate a comporre, dalla fine degli anni sessanta e per tutti gli anni settanta, una maggioranza istruita, ben istruita, all’interno della quale, non molti, hanno fatto una scelta culturale. L’istruzione è un processo orizzontale e collettivo, la cultura un processo verticale e singolare. È una scelta dell’individuo e non può essere altrimenti. Festival e fiere non possono occupare un ruolo che storicamente è stato della scuola, e cioè stabilire un canone. Eppure ci provano, con intenzione e capacità. Pensa alle sezioni per bambini e ragazzi che per esempio organizza Festivaletteratura di Mantova, al Festival di Gavoi, al progetto Adotta uno scrittore, alle sezioni dedicate alle scuole nel Salone del Libro di Torino. Dopodiché, riguardo gli intellettuali, i colti, anni fa ti avrei detto che era politicamente indifendibile e dimostrava mancanza di generosità (dunque di intelligenza) restare alla propria scrivania a studiare, oggi lo capisco invece, talvolta lo invidio. È faticoso confrontarsi giorno dopo giorno con la velocità alla quale perdiamo parole e forme grammaticali e dunque concetti e principi di causalità, ma è anche avvincente. Dobbiamo fare “come se” lo studio, la comprensione ci fossero ancora come li abbiamo conosciuti, avere l’umiltà di capire come sono cambiati, e sperare che quel “come se” crei uno spazio di futuro culturale.
Sarantis Thanopulos: “Non attribuisco alla cultura un carattere eccezionale, la vedo come una combinazione di istruzione, curiosità e sensibilità/piacere dei sensi. La maggioranza “colta”, un obiettivo raggiungibile per la democrazia, connette la sapienza e la creatività artistica con la quotidianità dell’esperienza. I festival sono come gli alveoli, hanno bisogno di ossigeno per funzionare. Un po’ di questo ossigeno potrebbe darlo il ritorno al piacere di conversare? Rendere abitabili i grandi spazi e i grandi numeri con l’intimità degli scambi ravvicinati, non sarebbe questo il senso della cultura?”
Chiara Valerio: “Di certo un ritorno alla civiltà della conversazione è auspicabile. La questione, tuttavia, è che per conversare, come per giocare a scacchi, bisogna avere regole condivise, dunque credo che tutto debba ricominciare dalla scuola, dall’istruzione appunto, perché ritorni con l’uso delle modale, delle causali e delle temporali, la possibilità di ascolto dell’altro, di comprensione e di responsabilità”
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