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PTSD Stress Post-Traumatico: che fare?
di Raffaele Avico

MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc)

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4 ottobre, 2019 - 22:14
di Raffaele Avico

La teoria sul trauma si sposa in modo perfetto con due altre teorie:

  • la teoria dell’Attaccamento teorizzata da John Bowlby
  • Il principio del funzionamento gerarchico delle funzioni mentali teorizzato da Jackson 

In particolare, gli studi sul trauma da attaccamento hanno evidenziato come crescere in un ambiente traumatizzante, sappia produrre conseguenze durature e difficili da gestire per il bambino che lo viva.

Il lavoro più importante di integrazione tra l’approccio psicotraumatologico e la teoria dell'attaccamento, lo dobbiamo all’apporto culturale di Giovanni Liotti (a questo proposito, la SITCC Lombardia organizza il prossimo 15 novembre un convegno in sua memoria - qui la brochure)

Liotti, e con lui altri studiosi di trauma e dissociazione, si batterono affinché fosse riconosciuta l’esistenza non solo di un disturbo post-traumatico, ma anche di una dimensione post-traumatica e dissociativa presente in molteplici, se non in tutti, i disturbi. In un recente articolo dal titolo “finalmente abbiamo capito l’importanza di studiare il trauma e dissociazione”, Benedetto Farina ricorda il lavoro fatto con Liotti sulla “dimensione psicopatologica traumatico-dissociativa”. Un riferimento puntuale a Janet lo troviamo a proposito del concetto di dis-gregazione: esiste,a seguito del trauma, un difetto di integrazione delle funzioni mentali superiori, che in teoria dovrebbero frenare e “cognitivizzare” informazioni provenienti da aree profonde del cervello ma che, in questo caso, non assolvono a questa funzione.

Liotti e Farina evidenziano quindi una tipologia di problema che trascende dal semplice PTSD: il PTSD è un disturbo che osserviamo a seguito di un trauma singolo potenzialmente minaccioso per l’individuo, come spesso qui argomentato.

Liotti e Farina allargano la questione chiedendosi cosa capiti nella mente di un bambino che cresca in un ambiente costantemente traumatico, dove la minaccia è quotidiana, endemica e spesso sottile. Qui ho approfondito la definizione di PTSDc, ovvero PTSD complex. Cosa succede per esempio nella mente di un bambino abituato fin da piccolissimo a gestire psicologicamente sbalzi d’umore, oscillazioni e reazioni spropositate di un genitore con un disturbo di personalità? Già solo gli esperimenti sulla still face di Tronick ci mostrano l'escalation di reazioni del bambino in modo chiarissimo: da un tentativo di ri-socializzare, fino a chiare manifestazioni dissociative di fronte a un “semplice” assenza di sintonizzazione da parte della madre, tutto in 5 minuti (vedasi il video sotto riportato):

Sempre nel suo lavoro “Sviluppi Traumatici”, Gianni Liotti approfondisce la questione ponendo al centro della sua riflessione teorica il concetto di “strategia regolativa”.

Come può un bambino che viva in un contesto pericoloso e terrorizzante -si chiede l’autore- ottenere la vicinanza emotiva del care-giver, indispensabile per sopravvivere all’ambiente circostante?

Liotti ragiona sul fatto che un bambino per poter sopravvivere a un adulto psicologicamente abusante è obbligato a mettere in atto delle strategie di controllo.

Queste potrebbero essere riepilogate come segue:

  1.     Strategia controllante/accudentegenitorializzazione: la tendenza definita da Liotti alla “genitorializzazione” implica lo sviluppare da parte del bambino una serie di competenze relazionali e comportamentali che gli consentano di prevedere il comportamento -imprevedibile- del care-giver. Una sorta di “progressione traumatica” in cui il bambino diviene iper-competente e iper-sensibile agli sbalzi del genitore, di fatto imparando a “contenerlo”. Immaginiamo per esempio un padre seduttivo/terrorizzante, magari con tendenza all’abuso di alcol e ad esplodere in scoppi di ira apparentemente immotivati. Se immaginiamo la vita di una bambina che cresca a contatto con una figura di riferimento del genere, dobbiamo pensare a quanto questa sia sottoposta, nel corso dello svolgersi della quotidianità, a uno sforzo anticipatorio del comportamento del padre stesso. Osservandoli in interazione noteremo come la bambina abbia imparato a conoscere ogni sfumatura caratteriale del care-giver e come riesca ad anticiparlo o manipolarlo al fine di garantirsi la sua protezione anche quando quest’ultimo manifesti pesanti alterazioni del carattere o sbalzi umorali. La genitorializzazione, l’autore esplicita, è dunque una strategia di controllo messa in atto laddove sia necessario per il/la bambino/a anticipare costantemente le mosse di un genitore abusante (più un generale, di una realtà o di un ambiente abusante), per contenere i danni prodotti sulla sua stessa salute psichica e allo stesso tempo garantirsi la sua protezione. L’autore sottolinea che un’inversione simile dell’attaccamento avrà dei costi futuri nei termini di una difficile creazione di rapporti stabili e in cui ci si possa affidare e aprire all’altro senza che questo voglia dire, nuovamente, sottoporsi a una possibile minaccia e a nuovi abusi.
  2.     Strategia controllante/punitiva: con questo Liotti intende sottolineare come all’interno di una diade bambino/care-giver in cui quest’ultimo manifesti comportamenti abusanti e discontrollati (“disorganizzati/disorganizzanti”) è possibile che il bambino sviluppi tendenze punitive che hanno a che fare con l’inversione non tanto dell’attaccamento (come prima si diceva), ma con un’attivazione del sistema motivazionale agonistico e lo spostamento della questione a livello di sistema di rango. E’ come se il bambino utilizzasse, per controllare l’adulto, il potere fornitogli da una posizione dominante in termini di rango. Osserviamo in questi casi una tendenza ad aggredire e ad imporre le cose da parte del bambino al genitore, letteralmente dominato/a dal figlio (o dalla figlia). Il/la figlio/a diviene “tirannico/a”: all’interno della diade genitoriale le cose hanno subito una inversione, incentrata questa volta sulla dinamica di potere/rango. In questo caso il bambino diviene punitivo e severo verso il genitore al fine di anticipare e sopprimere le condotte disregolate vissute come intrusive e dolorose.
Quello che è importante sottolineare è che queste strategie di controllo vanno lette come il miglior compromesso/soluzione possibile messo in atto dalla mente di un/a figlio/a per sopravvivere a un contesto traumatizzante, garantendosi al contempo una vicinanza con la figura di riferimento e quindi la sua protezione (da bambini, è "meglio essere mal accompagnati che soli", ovvero, la priorità implicita, nell'infanzia, è data alla vicinanza della figura di riferimento, seppur minacciosa o attivamente abusante).
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