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Le tre ondate della terapia cognitivo-comportamentale

27 Gen 20

A cura di emilio.franceschina

La terapia cognitivo-comportamentale, come ho avuto modo di illustrare brevemente negli scorsi capitoli, è costituita da una molteplicità di trattamenti e non è rappresentata da un unico modus operandi terapeutico. Ciò non è dovuto solo all’ampliamento delle conoscenze sui disturbi mentali, ma anche ad una complessa evoluzione legata ad aspetti teorico-epistemologici, storico-culturali e tecnologici. Abbiamo perciò assistito a diverse fasi che hanno prodotto nuovi modelli esplicativi, nuovi filoni di ricerca e nuove applicazioni terapeutiche, sempre più articolate ed evolute. Visto l’insistente richiamo al metodo scientifico, del resto, non si poteva immaginare che la CBT rimanesse statica ed immutabile. Fedeli all’epistemologia di Kuhn, invece, queste terapie hanno visto il succedersi di paradigmi in grado di spiegare meglio i fenomeni studiati e, conseguentemente, di proporre tecniche e metodi sempre più mirati agli obiettivi terapeutici. La descrizione che segue è breve e riassuntiva, una sorta di abstract di contenuti che avrò modo di illustrare più dettagliatamente in seguito.

Prima ondata: la Behavior Therapy
La prima ondata prende avvio direttamente dal laboratorio. La behavior therapy rappresenta un approccio clinico che ha proceduto in senso inverso, rispetto ad altri celebri approcci: dal laboratorio alla clinica, e non viceversa – ognuno di noi poi potrà valutare quale dei due sensi sia metodologicamente quello più “sensato”. Sulla base delle ricerche sperimentali che hanno riguardato le leggi dell’apprendimento – che possiamo riassumere, sinteticamente, in condizionamento classico e condizionamento operante –, vengono costruite le corrispondenti applicazioni cliniche. Ciò voleva rispecchiare il rispetto di un innegabile criterio di scientificità delle pratiche impiegate e, per forza di cose, il prioritario oggetto di intervento furono le fobie.
Già a partire dagli anni ’20, John B. Watson e Rosalie Rayner alla Johns Hopkins University e Mary Cover-Jones alla Columbia University avevano mostrato come trattare le fobie utilizzando metodiche direttamente ispirate alla ricerca sperimentale sui processi di condizionamento, ma bisogna attendere il 1953 perché l’espressione behavior therapy compaia per la prima volta in un articolo, dal titolo “Study of psychotic behavior, studies in behavior therapy”. Tra i coautori è Burrhus F. Skinner, docente di psicologia ad Harvard, che nello stesso anno pubblicherà anche il celeberrimo “Science and Human Behavior”. Skinner è senza dubbio lo studioso americano che ha fornito i maggiori contributi di ricerca utili ad una molteplicità di future applicazioni terapeutiche, tanto da venir riconosciuto nel 2002 dall’American Psychological Association come lo psicologo più influente del XX secolo. Nel 1960 Hans J. Eysenck, psicologo tedesco naturalizzato britannico, all’altro capo dell’oceano (siamo a Londra), pubblica il primo testo che porta nel titolo la denominazione del nuovo approccio: “Behaviour Therapy and the Neuroses”, mentre uno psichiatra di formazione freudiana, ma votato alla ricerca sperimentale, Joseph Wolpe, dall’altra parte del Mondo, in Sudafrica, aveva da tempo iniziato quella sperimentazione (che proseguirà nei decenni successivi negli States) che porterà a definire operativamente alcune tra le procedure più classiche di questa prima fase della CBT (come ad es., la desensibilizzazione sistematica). La behavior therapy era così divenuta rapidamente una terapia mondiale.

Seconda ondata: la via cognitivista
La seconda ondata prende avvio solo pochi anni dopo, pur prendendo una forma più ampia e definitiva nel decennio successivo. Ad avviarla è uno psicologo della Columbia University, Albert Ellis che, insoddisfatto dall’esperienza psicoanalitica, nel 1955 pubblica il saggio “New approaches to psychoterapy techniques”, nel quale espone un nuovo modo di trattare i disturbi emotivi, che denominò Rational Therapy (RT), poi successivamente modificata in Rational-Emotive Therapy (RET), ed infine in Rational Emotive Behavior Therapy (REBT). Negli Stati Uniti, quasi parallelamente, lo psichiatra Aaron T. Beck, dell’Università della Pennsylvania, concettualizza un nuovo trattamento della depressione, che chiama Terapia Cognitiva.
Questo nuovo filone si richiama nientemeno che alla concezione stoica delle emozioni, riassumibile nella massima del filosofo Epitteto: “Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti. (…) Di conseguenza, quando subiamo un impedimento, siamo turbati o afflitti, non dobbiamo mai accusare nessun altro tranne noi stessi, ossia i nostri giudizi”. La cosiddetta teoria cognitiva delle emozioni sostiene parimenti che la risposta emotiva disadattiva non sia la diretta conseguenza dell’esposizione del soggetto alla situazione-stimolo, quanto piuttosto il riflesso della sua elaborazione cognitiva cosciente. Questi autori pertanto elaborano tecniche e metodi volti ad aggiungere alle pratiche precedenti una attenta analisi dei processi di pensiero dei pazienti, al fine di individuare quei convincimenti disfunzionali, erronei o irrealistici che contribuiscono al mantenimento del malessere emotivo, denominati e classificati in vari modi (distorsioni cognitive, idee irrazionali, pensieri automatici negativi, schemi maladattivi, ecc.). La modificazione di questi convincimenti, tutti rigorosamente consci, diviene pertanto una parte molto importante del lavoro dello psicologo, che da ora viene definito cognitivo-comportamentale, termine la cui paternità è attribuita a vari autori, ma soprattutto a Donald Meinchenbaum, poiché le tecniche di trattamento non sono esclusivamente cognitive, ma si aggiungono a nuove tecniche comportamentali abilitative (è di questa fase lo sviluppo di vari training), nonché a quelle proprie della behavior therapy. L’analisi dei convincimenti disfunzionali e le procedure di modificazione terapeutica (definite come ristrutturazione cognitiva oppure come disputa delle idee irrazionali) seguono un percorso ed uno stile rigorosamente razionalista, in questo discostandosi da altri approcci cognitivisti come quelli di tipo costruttivista o quelli definiti post-razionalisti.
A questa evoluzione ed a questo “ampliamento” dell’offerta terapeutica, contribuiscono in primis due elementi: (1) la constatazione che le sole procedure comportamentali non fossero più sufficienti nel trattamento di una vasta gamma di disturbi psicologici e (2) il crescente fermento nelle università (soprattutto americane) delle cosiddette teorie socio-cognitive. La black box, la scatola nera di Watson, ossia la mente “non-studiabile scientificamente”, aveva iniziato a svelare i suoi segreti, grazie agli sviluppi tecnologici, statistici e metodologici, che permettevano ora di effettuare studi e ricerche fino a poco prima impensabili. Alle storiche teorie dell’apprendimento se ne aggiungeva quindi una nuova, la teoria dell’apprendimento sociale, di cui il canadese Albert Bandura rappresenta il massimo esponente, in cui si enfatizza la capacità degli esseri umani di apprendere repertori comportamentali non solo per esperienza diretta, ma anche attraverso l’esposizione al proprio ambiente sociale (osservando gli altri, imitandoli, ascoltando racconti, ecc.). Vengono introdotti termini “sconosciuti” ai comportamentisti radicali, come aspettative, beliefs, schemi, intrusioni, ecc. È in questo periodo che Ulrich C. Neisser, utilizzando la metafora dei calcolatori elettronici, conia l’espressione Human Information Processing, per riferirsi alla complessa serie di elaborazioni cognitive che caratterizzano l’essere umano e che sono alla base del suo funzionamento emotivo e comportamentale.

Terza ondata: accettazione, impegno e consapevolezza
L’avvio della third wave, la terza ondata, viene fatto risalire al 2004, con un articolo pubblicato da Steven C. Hayes sulla rivista Behavior Therapy, dal titolo in sé esaustivo: “Acceptance and Commitment Therapy, Relational Frame Theory, and the third wave of behavioral and cognitive therapies”. Anche in questo caso, la constatazione della necessità di disporre di ulteriori strumenti trattamentali ed una sana curiosità ed irrequietezza intellettuale, hanno indotto diversi autori a cercare di migliorarsi. In particolare, sul piano cognitivo, alcune tematiche sembrano impermeabili ad un approccio razionalistico, e taluni disturbi, se affrontati “di petto”, divengono notoriamente più resistenti ai trattamenti.
Le modificazioni, gli aggiustamenti ed i progressi della storia ormai centenaria della CBT sono riassumibili, come detto, nel successivo sviluppo di tre generazioni o ondate di terapie. Queste due espressioni metaforiche sono spesso usate in modo intercambiabile. Personalmente sono tra coloro che ritengono che l’uso dell’espressione generazione possa essere sottilmente suggestivo e costituire un velato espediente di marketing. Le psicoterapie non sono infatti indifferenti alle mode, ai cambiamenti culturali, alle particolari sensibilità di un’epoca e, per certi versi, non sono totalmente “disinteressate”. Siamo abituati, ad es. nelle pubblicità di strumenti tecnologici (come gli smartphone o i pc) a veder definiti di nuova generazione quei prodotti che vengono a sostituire ciò che è vetusto. Se leggiamo su una locandina che “Questo pc è dotato di un processore BT38X di nuova generazione!”, potremmo essere indotti a pensare che un pc che monti il processore precedente sia obsoleto e destinato a breve a divenire lento ed inutilizzabile. Le metafore aiutano spesso la comprensione, ma possono anche essere impiegate come espedienti retorici dotati di un’apparente capacità probatoria. Nel nostro caso, infatti, non stiamo parlando di processori, ma di tutt’altro, che non ha nulla a che fare con i microchip e l’informatica. È stato anche lo stesso Hayes, il già citato apripista della third wave, a rendersi conto di questo rischio e di voler puntualizzare con chiarezza quanto segue: “La metafora dell’onda (wave, nel testo originale N.d.T.) ha suggerito a qualcuno che le precedenti generazioni di trattamenti vengano così spazzate via, ma questo non era l’intento, né ne è stato il prodotto. Le ondate che colpiscono la spiaggia assimilano ed includono le onde precedenti – ma lasciano dietro di sé una spiaggia mutata. Sembra che ci si trovi ora in una posizione in cui poter iniziare a considerare cosa ci si lascerà alle spalle in modo permanente con la terza ondata CBT. Non c’è dubbio che molti concetti e metodi della terza ondata (mindfulness, procedure basate sull’accettazione, decentramento, defusione, valori, flessibilità psicologica) sono ora parte integrante della tradizione CBT ed anche più in generale delle terapie evidence-based, grazie al fatto che la loro utilità è stata comprovata. Questi nuovi concetti e metodi ora ampiamente coesistono, fianco a fianco, con quelli precedenti, con una dialettica che rappresenta un utile sprone per l’indagine teoretica e tecnologica. In alcuni casi, ora sappiamo che i tradizionali metodi CBT funzionano in parte in virtù dei processi di cambiamento che sono divenuti centrali dopo l’arrivo dei metodi della terza ondata” (Hayes e Hoffman, 2017).
Non si tratta di un cambiamento minore, sia ben chiaro, ma di un cambiamento che introduce novità più sostanziali e promettenti, a partire da una maggior focalizzazione sul rapporto che le persone hanno con i pensieri e le emozioni, piuttosto che sul loro contenuto. Per questo motivo, le tecniche metacognitive vengono ad avere un posto di maggior rilievo rispetto a quelle cognitive. La terza ondata o generazione – chiamatela come volete – non sostituisce tuttavia tout court le precedenti, ma piuttosto si aggiunge ad esse, integrandole e rendondole più vive ed attuali, favorendone una applicazione ancora più estesa ed efficace. Il terapeuta CBT ha a disposizione sempre più strumenti, diverse vie che possono essere intraprese tenendo conto delle problematiche riportate e delle caratteristiche del paziente. Tra i principali nuovi modelli di intervento ricordiamo la acceptance and commitment therapy, la terapia dialettica comportamentale, le terapie basate sulla mindfulness, la psicoterapia analitico funzionale, la terapia metacognitiva e molte altre.

Riferimenti
Eysenck, H. (1960). Behaviour Therapy and the Neuroses. London: Pergamon.
Hayes, S. C. (2004). Acceptance and Commitment Therapy, Relational Frame Theory, and the third wave of behavioral and cognitive therapies. Behavior Therapy, 35, 639-665.
Hayes, S.C., Hoffman, S.G. (2017). The third wave of cognitive behavioral therapy and the rise of process based care. World Psychiatry 16:3, 245-246.
Lindsley, O.R., Skinner, B.F., Solomon, H. C. (1953). Study of psychotic behavior, studies in behavior therapy. Status Report 1. Waltham, MA: Metropolitan State Hospital.
Skinner, B.F. (1953). Science and Human Behavior. New Yor:, Macmillan.

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