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MIGRANTI: NELL’INFERNO DI LESBO. Intervista con Giulia Berberi

1 Feb 20

A cura di Paolo F. Peloso

Lesbo è un’isola greca di 1.630 kmq e 90.000 abitanti circa, a pochi chilometri dalla costa turca, famosa per aver dato i natali nel VII secolo a.C. ai poeti Alceo e Saffo. Oggi è sui giornali per il “muro galleggiante” che la Grecia ha progettato di costruire per proteggerla dagli sbarchi dei profughi. E non è di poesia che intendiamo parlare con Giulia Berberi, una giovane odontoiatra genovese che vi ha trascorso una ventina di giorni come volontaria di una ONG impegnata nell’aiuto ai migranti; proseguiamo così idealmente l’esplorazione delle isole dei migranti iniziato col precedente articolo su questa rubrica, Diario da Lampedusa.
 
Giulia, di ritorno da questa esperienza importante mi piacerebbe farti qualche domanda per i lettori di Pol. it. Quanti sono oggi i migranti sull’isola, qual è la nazionalità prevalente e come sono distribuiti?
I migranti a Lesvos sono 21mila. I campi sono 3 ma sicuramente quello più problematico è il campo di Moria. Moria è un’ex base militare che potrebbe contenere al massimo 2.800 persone e al momento ne contiene 19.000. Sono al 70% circa afgani, a seguire siriani, iraniani, iracheni, somali ed altre minoranze di altre nazionalità. La distribuzione è difficile da capire dati i numeri. Ho sentito che si cerca di dividerli in tenda per nazionalità.
 
Quali sono le condizioni di vita nel campo di Moria?
Tutto quello che si vede nelle fotografie è reale. Inutile dire che sia sovraffollato. il campo è tutto un sali-scendi ed è caotico come un mercato di una grande città nella giornata di festività del patrono. Ecco, hai presente i resti che rimangono sulla strada al termine della festa? Quello potrebbe essere molto simile, aggiungendoci del filo spinato e delle condizioni igieniche assolutamente terrificanti. Ed è così ogni giorno con la differenza che ogni giorno arrivano sull'isola un centinaio di persone. Il campo è diviso all'interno dalla parte "ufficiale" dove diverse famiglie condividono un unico container. Ed è circondato da quello che chiamano "olive grove" (boschetto degli olivi): una baraccopoli. Stanno ammassati in tende anche in 10-15-20. Tende fatiscenti, tende da campeggio spesso messe su dei bancali per isolare dal terreno. Un terreno che non è per nulla confortevole. Quando piove o c'è vento queste tende crollano. Non c'è elettricità quindi non c’è luce né acqua calda nel campo, e c’è un bagno ogni 100 persone circa. Medici senza frontiere più volte ha denunciato la catastrofe di questa situazione ulteriormente peggiorata dopo l’accordo Ue-Turchia del 2016 sui migranti. Questi campi profughi sono veri e propri campi di concentramento.
 
Quali sono mediamente i tempi di permanenza dei migranti sull’isola, e di lì quali possono essere le loro destinazioni?
Mediamente 18 mesi. Ho conosciuto ragazzi che erano lì da più di 3 anni. Le politiche sono cambiate con l'inizio del 2020, i legali si stavano aggiornando mentre mi trovavo giù, ma pare che i ragazzi vengano "intervistati" e in base a questo venga deciso per loro se il Paese di provenienza è un posto sicuro o no. Nella migliore delle ipotesi un giorno potranno essere trasferiti in un altro campo ad Atene, al contrario verranno rimandati indietro.


 
Si legge a volte di fatti di cronaca nera all’interno del campo; ne sono accaduti anche durante la tua permanenza?
Quasi ogni giorno ci sono cose di questo tipo. Io sono stata quasi un mese e purtroppo ci sono stati diversi morti nel campo, molti codici rossi ma anche sul tragitto per arrivare a Lesvos ce ne sono stati altri. Ai primi di gennaio ad esempio un gommone si è scontrato con la guardia costiera turca ed ho letto che questi ultimi hanno dichiarato che il gommone viaggiava senza le dovute precauzioni di sicurezza (?!). Risultato 4 morti e 18 ricoverati. Questo è stato il secondo incidente in 3 giorni. Negli ultimi 5 anni pare che 654 persone siano morte per annegamento o per ipotermia.
 
Com’era organizzata la ONG dove lavoravi, e di cosa si occupava?
L'ONG in cui ero è "un isola nell’isola". Si chiama ONE HAPPY FAMILY (OHF). Un posto che accoglie i migranti e riesce a restituire dignità e la normalità alle persone. Lo spazio si trova a 3 km dal campo Moria ed è aperto al pubblico dalle h10 fino alle h16, è composto da una parte all'aperto e una al chiuso ed offre molti servizi: caffetteria, parrucchiere, clinica, palestra, spazio donne, corsi yoga, corsi ceramica, cucina per il pranzo ed un "maker space" (dove potevano costruirsi tappeti per isolarsi dal freddo costruiti con materiali da riciclo da mettere sotto le tende, bidoni di latta in cui fare fuochi e quindi riscaldare la tenda o cucinare etc.). Questo posto è gestito da volontari ed “helper” che lavorano in sinergia. Questi ultimi sono rifugiati che ogni giorno si mettono al servizio dell'ONG per fare sicurezza e molto spesso traduzione ai volontari che non riescono ad interagire con chi non sa l'inglese.
 
Esiste un’assistenza sanitaria nel campo, e come è organizzata?
Ci sono varie ONG che cercano di tamponare la situazione. C'è MSF di fronte dal campo Moria ed anche la clinica dentro OHF fa un ottimo lavoro. Ma purtroppo nessuno ha le capacità di fornire trattamenti specialistici per determinate patologie. Nemmeno l'ospedale dell'isola con le sue 3 ambulanze è in grado di portare assistenza dati i numeri di persone che necessitano di cure, oltre al fatto che non dispone di alcuni servizi specializzati.
 
Esiste un’organizzazione per la presa in carico dei problemi relativi alla salute mentale?
Tendenzialmente è MSF che ha un team PSY e si occupa della salute mentale delle persone lì, che è uno dei (tanti) problemi principali del campo.
 
Ci sono bambini, e qual è la loro situazione?
Nel campo c'è uno spazio per minori non accompagnati. E al momento sono più di 1000 che vivono in una zona recintata dove dormono dentro a container. Non penso di aver mai visto nulla di più triste. In questi giorni MSF ha denunciato che la Grecia nega cure essenziali a 140 bambini gravemente malati che non dovrebbero stare lì eppure sono bloccati in quel campo. Non è la prima volta; la stessa associazione chiede aiuto: qualche tempo fa l'aveva segnalata come "l'isola dei bambini suicida".
 
C’è qualche incontro che ti è rimasto particolarmente nel cuore?
Molti.
 
E tu come ti senti dopo questa esperienza?
Dissociata. È impensabile che in Europa esista un inferno creato per scoraggiare le persone a partire. Un posto in cui sul rifugiato vige la strategia del terrore e la caccia all'uomo. È inimmaginabile che le persone debbano rimanere bloccate in un posto simile a causa di politiche europee che hanno disegnato questi percorsi. Come avviene anche nel Mediterraneo centrale. A me questo non è toccato perché i miei documenti sono "giusti". Nessuno mi ha mai respinta alla frontiera né ho mai dovuto prendere un gommone e sentire la paura che si prova ad essere freddi, bagnati di notte in mezzo al mare e al nulla. Impariamo ad accettare le cose così come sono, ma abbiamo la responsabilità di non poterlo accettare.
 
Grazie davvero. E complimenti per essere stata tanto coraggiosa.

Nell'immagine: la traversata nel disegno di un bambino nel campo di Moria. Anche questo è il confine.

Nel video: altri disegni di bambini e altre notizie su Moria.

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