DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO
Crescita e creatività intorno ai DSA, Disturbi Specifici dell'Apprendimento
di ELìCE ONLUS

FISIOLOGIA DELL'APPRENDIMENTO

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10 febbraio, 2020 - 09:41
di ELìCE ONLUS

di Redazione Centro Elice, Milano
 

Ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo,

 noi stessi diventiamo qualcosa di nuovo .

Leo Buscaglia

 

L'apprendimento è il processo attraverso il quale le esperienze producono un cambiamento relativamente stabile nel nostro comportamento.

Il termine apprendimento viene comunemente associato alla sfera educativa, divenendo sinonimo di acquisizione di conoscenze scolastiche. Imparare a leggere, a scrivere, a fare calcoli, a memorizzare informazioni riveste senza alcun dubbio un ruolo importante nella vita degli esseri umani. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che l'uomo fin dalla nascita (e addirittura ancora prima) apprende: impariamo infatti a riconoscere i suoni che udiamo, a imitare espressioni facciali e gesti, a parlare, a esprimere e manifestare le nostre intenzioni e le nostre emozioni, a modulare il nostro comportamento in funzione della situazione sociale in cui ci troviamo e molto altro. L'apprendimento, in tutte le sue forme, consente all'individuo di essere nel mondo, di interagire con la realtà esterna e relazionarsi con gli altri.

In ottica evoluzionistica, la capacità di apprendere ha rappresentato un fenomeno importantissimo: ha infatti consentito all'uomo e a moltissime specie animali di modificare il proprio comportamento al fine di adattarsi alle circostanze esterne e quindi sopravvivere. Lo sviluppo della capacità di apprendere nella specie umana è ineguagliabile rispetto a quello delle altre specie: l'uomo ha saputo modificare l'ambiente per le proprie necessità, e ha creato codici simbolici per rappresentare la realtà e trasmettere le conoscenze acquisite.

Elkhonon Goldberg nel suo: “L'anima del cervello" ci mostra come i lobi frontali siano più sviluppati nell'uomo rispetto a ogni altro essere vivente e siano dunque quelli che ci rendono più "umani" e costituiscano di fatto l'"anima" più profonda delle nostre stesse funzioni mentali. Illustra, infatti, come quella zona del cervello ci consenta di affrontare processi mentali complessi, come essa controlli il nostro giudizio e il nostro comportamento etico e sociale, l'origine della leadership e della capacità di prefigurare e quindi realizzare sogni e progetti nel medio e lungo termine.

Apprendimento: quale definizione?

L'apprendimento può essere definito come un processo continuo, basato sull'esperienza, che produce un cambiamento relativamente stabile e duraturo nel sistema nervoso e nel comportamento.

Impariamo continuamente grazie all'interazione con l'ambiente e ciò che viene appreso in modo accidentale nelle svariate situazioni della vita di ogni giorno è molto di più di quello che intenzionalmente ci sforziamo di acquisire ad esempio tramite lo studio di un manuale. La nostra stessa vita non è forse apprendimento ed esperienza? L'esperienza e l'apprendimento ci arricchiscono in modo straordinario, cambiando il nostro modo di percepire la realtà, pensare, pianificare, agire.

L'apprendimento si traduce in cambiamenti nel nostro sistema nervoso. Già nel 1949 lo psicologo Donald Hebb cercò di spiegare come l'esperienza produca cambiamenti nei nostri neuroni. La legge di Hebb sostiene che l'attivazione simultanea di due neuroni o di gruppi di neuroni produce un rafforzamento permanente delle connessioni sinaptiche, in breve “What fires together, wires together”.

Nel corso degli ultimi trent’anni questi processi neurali legati a plasticità ed apprendimento sono stati studiati ed in parte compresi dalle neuroscienze. Grazie a diverse tipologie di scansioni (fMRI, EEG, PET, etc.), i neuroscienziati hanno contribuito a determinare in che modo le informazioni vengono elaborate e immagazzinate nella memoria, avvicinandoci sempre di più a poter realmente comprendere cosa sia l’apprendimento. In questo campo, dunque, un interesse particolare viene dedicato ai possibili collegamenti con l’apprendimento/insegnamento. La scoperta che il cervello può modificare la propria struttura, le proprie connessioni, la propria organizzazione e le proprie funzioni è stata una vera e propria rivoluzione non solo per le neuroscienze, ma anche per tutto ciò che riguarda l’apprendimento (e l’insegnamento).

Questa caratteristica del nostro sistema nervoso abbraccia ambiti completamente diversi l’uno dall’altro e ci permette di capire fenomeni fino al secolo scorso completamente inspiegabili. Si è scoperto che esistono numerose tecniche per permettere una riorganizzazione ed un miglior funzionamento delle aree cerebrali, e di conseguenza favorire, supportare e rendere efficiente l’apprendimento: tra le più utilizzate troviamo l’esercizio fisico, le tecniche di meditazione, l’allenamento cognitivo e la stimolazione sensoriale.

A livello comportamentale, l'apprendimento può essere verificato tramite un cambiamento nella prestazione. Per esempio, per ottenere la patente di guida è necessario iscriversi a scuola guida, frequentare le lezioni teoriche e fare pratica al volante. Solamente dopo un periodo sufficiente di pratica le conoscenze apprese saranno valutate con un test mentre le competenze di guida attraverso una prova pratica.

Nell'apprendimento, il cambiamento nel comportamento mantiene una certa stabilità e durata nel tempo. Riprendendo il nostro esempio, di certo, anche dopo l'esame, non dimenticheremo il significato dei segnali stradali o come si frena.

“Fisiologia” dell'apprendimento

L'apprendimento è un fenomeno fondamentale per l'evoluzione della specie e per lo sviluppo del singolo individuo nell'arco della sua intera esistenza; per questo motivo è stato e continua ad essere tra gli argomenti più studiati dalla psicobiologia e dalla neuropsicologia. L'apprendimento è un processo ampio e complesso che poggia su altri processi, quali la percezione, l'attenzione, la memoria, le funzioni esecutive, il linguaggio e il pensiero, e sul quale influiscono aspetti emotivi e motivazionali.

Il Prof. Reuven Feuerstein ideatore del PAS “Programma di Arricchimento Strumentale”, uno strumento per potenziare le funzioni cognitive e metacognitive, parla degli esseri umani come portatori di due bisogni fondamentali propedeutici a uno sviluppo sano che condurrà ad una vita soddisfacente. Questi due bisogni, che diventano poi due fondamentali diritti sono “Need to be” e “Need to become”.

Il primo rappresenta il bisogno di essere accettato e amato per quello che sono, il secondo rappresenta il bisogno di cambiamento e trasformazione che si realizza proprio attraverso l’apprendimento.

Lo psicopedagogista Feuerstein (1987) descrive il processo di apprendimento come quel processo di Modificabilità Cognitiva Strutturale reso possibile dall’interazione tra l’organismo e gli stimoli dell’ambiente, ma sottolinea l’importanza che tra di esso e l’ambiente si inserisca una figura, un genitore, un familiare o un adulto di riferimento, che interviene esplicando una preziosa funzione di mediazione.

Il mediatore, mosso dall’intenzione, da tutto il suo patrimonio affettivo, emozionale ed intellettivo, seleziona ed organizza gli stimoli che devono arrivare all’organismo (bambino, ragazzo o adulto), li filtra e li struttura. L’apprendimento è quindi possibile per tutta la durata della vita a patto che vengano assicurati rinnovamenti e variazioni. Secondo Feuerstein l’obiettivo dell’apprendimento non sarebbero tanto le azioni concrete, ma le competenze conoscitive, cioè più che l’apprendimento di contenuti, quello delle strategie necessarie per l’ apprendimento stesso. Per ottenere ciò è necessario cambiare il modo di pensare e cioè il modo in cui la persona seleziona e attiva le sue funzioni cognitive necessarie per il processo di pensiero.  Questo pensiero che cambia radicalmente l’approccio all’intelligenza, induce Feuerstein a creare anche uno nuovo strumento per la valutazione che non valuta conoscenze e competenze acquisite quando la Propensione all’apprendimento, cioè la predisposizione ad essere modificabili nel processo: è il LPAD (Learning Propensity Assesment Device).

Prima di Feuestein, Maria Montessori osservava che “Non si può educare alcuno se non lo si conosce direttamente”, con questo sottolineando quanto la parte di relazione affettiva, empatica e la capacità di lettura delle istanze dell’essere umano bambino e adulto fossero prerequisiti fondamentali per ingaggiarlo in un processo di apprendimento.

Ancora la Montessori ci regala importanti suggestioni sull’opportunità di considerare il processo di apprendimento solo in parte come acquisizione di informazioni e nozioni e principalmente come manifestazione della capacità di agire sull’ambiente circostante utilizzando gli strumenti in nostro possesso.

Ed ecco che il bambino si trasforma da vuoto “contenitore” da riempire di informazioni a piccolo scienziato che opera sulla realtà comprendendone le sue leggi. Ripensiamo sempre al significato del termine educare: Ex Ducere: Tirare Fuori.

Aspetti neurofisiologici e neuropsicologici dell’apprendimento

Secondo il neuropsicologo Francesco Benso, la “Curva di Apprendimento” prevede un progressivo coinvolgimento del sistema esecutivo centrale all’aumentare del tempo di esposizione ad uno stimolo. Una volta raggiunta la massima attivazione dell’esecutivo centrale, e verificatosi quindi l’apprendimento, la continua esposizione allo stimolo proposto permette al soggetto di diminuire il controllo esercitato su di esso (e quindi l’attivazione del sistema esecutivo centrale diminuisce progressivamente). Si raggiunge così la fase di “expertise”. In assenza della massima attivazione del sistema esecutivo centrale l’apprendimento non avviene, non si può raggiungere l’expertise e potrebbe verificarsi una rinuncia motivazionale connessa al mancato apprendimento.

Durante la fase di expertise il controllo sullo stimolo/compito viene esercitato, non più dal sistema esecutivo contrale, ma da una seconda rete di controllo (Salient Network), che garantisce il mantenimento del compito.

Il soggetto potrebbe però entrare in una situazione di “deattivazione attentiva” (Default Mode Network), durante la quale non viene esercitato alcun controllo.

L’intervento dell’insula è necessario affinché si possa passare da uno stato ad un altro e possa quindi essere nuovamente coinvolto il sistema esecutivo centrale.

Per maggiore chiarezza, pensiamo ad un giocatore di tennis: per apprendere i movimenti da compiere per poter giocare è necessario esercitare un enorme controllo su di essi (attivazione del sistema esecutivo centrale ed apprendimento). La continua esposizione allo stimolo, ed in questo caso il continuo allenamento, permette al soggetto di raggiungere l’expertise (minor attivazione del sistema esecutivo centrale e controllo esercitato dalla Salient Network). L’intervento dell’insula renderebbe possibile la riattivazione del sistema esecutivo centrale ed assumono un ruolo fondamentale in questo caso gli aspetti emotivi e motivazionali.

Pensiamo al giocatore che sta svolgendo una partita e si trova nella fase di expertise, a seguito dell’apprendimento dei movimenti da compiere. Si trova a dover compiere l’ultima battuta che potrebbe fargli vincere la partita. Sicuramente su di essa convoglierà tutte le proprie risorse attentive ed eserciterà un enorme controllo: entrano in gioco aspetti emotivi e motivazionali che fanno sì che da una fase di minor controllo si passi, grazie all’intervento dell’insula, alla massima attivazione del sistema esecutivo centrale. Tuttavia, a causa dell’eccessivo investimento emotivo, il grande livello di controllo esercitato su ciò che è stato appreso potrebbe condurre all’errore. 

La ricerca neuroscientifica degli ultimi decenni ha attribuito sempre maggiore importanza al ruolo che nell’apprendimento giocano i neuroni specchio (mirror neurons). Tali neuroni sono stati individuati nell’area frontale pre-motoria del cervello, si attivano in modo selettivo secondo un preciso “vocabolario di atti motori”, ovvero di movimenti intenzionali volti a raggiungere un determinato fine, e vengono attivati sia quando una persona mette in atto un’azione specifica sia quando osserva un altro essere umano compiere la stessa azione. Questi neuroni premotori sono coinvolti negli esseri umani non solo nell’imitazione, ma anche nella rappresentazione e comprensione dei movimenti e delle intenzioni altrui, nell’empatia e nella socializzazione. Attraverso il rispecchiamento, infatti, la persona può riconoscere le emozioni degli altri individui, può entrare in sintonia con i loro stati interni e, di conseguenza, puó sintonizzarsi con tali vissuti per giungere ad una loro comprensione profonda e per reagirvi in modo empatico, contribuendo in questo modo a stimolare il processo di socializzazione e di riconoscimento reciproco tra sè e gli altri.

Evidenze empiriche hanno confermato l’ipotesi di un collegamento tra il meccanismo biologico proprio dei neuroni specchio e l’apprendimento; ad esempio, tali neuroni sembrano essere alla base degli scambi comunicativi non verbali in quanto, rispondendo a informazioni visive e motorie, ci permettono di riconoscere, comprendere e riprodurre mentalmente i gesti degli altri quando li osserviamo. I neuroni specchio sono infatti neuroni di tipo bimodale che elaborano informazioni percettive e, allo stesso tempo, producono i movimenti e le azioni; integrando in questo modo la dimensione percettiva e motoria. Tale capacità di integrazione tra sistemi diversi ma tra loro strettamente collegati rende più agevole l’apprendimento e la sua generalizzazione ad altri contesti e situazioni rispetto a quelle originarie.

La discussione attuale sui neuroni specchio, ovvero la scoperta di meccanismi che mostrano un collegamento diretto tra atti motori e percezione delle azioni altrui, permette un dialogo sempre più stretto tra neuripsicologia degli adulti, neurofisiologia e neuropsicologia dello sviluppo.

Secondo l’ottica neuropsicologica è inoltre fondamentale il concetto di “modulo”, inteso come un sistema adibito ad una specifica funzione, automatizzabile, che ha una sua relativa indipendenza computazionale (Fodor 1983). Esempi di moduli potrebbero quindi essere quelli della percezione, del linguaggio, della lettura, della scrittura, del calcolo, dei movimenti necessari ad un certo sport o attività artistica, della guida di autoveicoli, ecc., cioè in pratica tutte le abilità che possono essere apprese nel corso della vita.

Senza addentrarci troppo nella teoria, che ha subìto negli anni numerose modifiche, possiamo dire che l’apprendimento può pertanto essere visto come il processo di “modularizzazione” secondo il quale un modulo non “esplode” all’improvviso ma necessita invece di un certo periodo di tempo per maturare, per arrivare alla “padronanza comportamentale” di quella determinata abilità (Karmiloff-Smith).

Secondo tale visione un modulo rimane sì un sistema specifico, che però interagisce con l’ambiente per ottenere un pieno sviluppo, e tale interazione viene mediata e controllata da un sistema centrale che in letteratura è stato denominato in vari modi: Sistema Attentivo Supervisore (SAS da Shallice), Sistema Esecutivo Centrale (Baddeley) e Processore Centrale (Moscovitch e Umiltà); termini spesso utilizzati in modo interscambiabile. Attualmente sta prendendo rilevanza la terminologia “Sistema Attentivo-Esecutivo” (Benso) proprio per indicare quel sistema centrale in grado di fornire le energie attentive e le risorse necessarie al buon funzionamento delle funzioni esecutive che sono fondamentali in ogni processo di apprendimento.  

Autoregolazione, competenza emotiva e caratteristiche di personalità nei processi di apprendimento

Numerosi studi hanno dimostrato come l'autoregolazione (funzioni esecutive), la competenza emotiva e le caratteristiche di personalità possano avere un'influenza sui processi di apprendimento. Senza pretesa di esaustività, l'autoregolazione, può essere definita come la capacità di regolare il nostro pensiero e il nostro comportamento, inibendo gli impulsi. La competenza emotiva si riferisce invece alla capacità di riconoscere, modulare ed esprimere in modo adeguato le emozioni, e di valutare l'impatto che le emozioni hanno nella vita relazionale. La personalità di un individuo viene definita dall'insieme delle caratteristiche psichiche (affettive, volitive, cognitive) e delle disposizioni comportamentali (modalità di interagire con l'esterno e regolare il proprio comportamento), che si manifestano con stabilità nel tempo e costanza nei diversi ambiti di vita.

Una recente ricerca (Malanchini et al., 2018), che ha analizzato l'influenza dell'autoregolazione sull'apprendimento in bambini di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, ha dimostrato l'esistenza di una relazione significativa tra funzionamento esecutivo (pianificazione, organizzazione e completamento del compito) e competenza in lettura e matematica. I ricercatori hanno inoltre messo in evidenza che un elevato funzionamento esecutivo era correlato a tratti di personalità connessi all'apertura, come curiosità intellettuale e sicurezza. I bambini maggiormente autoregolati, sicuri e curiosi si caratterizzavano per un migliore rendimento scolastico, specialmente in lettura e matematica.

Una meta-analisi (Durlak & coll., 2011) ha invece preso in esame 213 programmi universali di apprendimento sociale ed emotivo (SEL) che hanno coinvolto 270 bambini della scuola materna. È emerso che i bambini che hanno usufruito del programma di apprendimento sociale ed emotivo, rispetto a coloro che non ne hanno usufruito, hanno mostrato capacità sociali, emotive, di regolazione del comportamento e un rendimento scolastico significativamente migliori.

Le caratteristiche dell’ambiente in cui l’individuo si trova ad agire ed interagire nonché la sua storia personale agiscono in modo significativo sulla capacità e sulla modalità della persona di apprendere. Tali dimensioni interagiscono con le caratteristiche di personalità di cui si è parlato e producono un connubio tra il livello genetico ed ambientale. Gli eventi che hanno caratterizzato la nostra vita, infatti, giocano un ruolo importante sulla nostra possibilità di apprendere; possono favorire il nostro percorso di sviluppo rendendoci più agevole il raggiungimento di un risultato oppure, al contrario, possono influire negativamente sulla nostra capacità di imparare, fino a bloccarla del tutto nel momento in cui le risorse e le energie della persona sono investite su un’altra dimensione della propria esistenza.

Facendo riferimento alle competenze emotive, nessuno di noi nasce con la capacità innata di riconoscere, nominare, modulare ed esprimere le proprie emozioni; sono le esperienze dei primissimi anni di vita che portano il bambino a dare un significato via via più complesso ai propri vissuti. L’essersi rispecchiati in genitori e figure di riferimento in grado di accogliere, significare e non giudicare le emozioni provate dal bambino, soprattutto quelle più intense, portano il piccolo a comprendere che il proprio mondo interno non è nè ingestibile nè pericoloso, e tale consapevolezza lo aiuterà a crescere avendo fiducia nei propri vissuti interni e provando, a livello relazionale, una maggiore empatia nei confronti dei coetanei.

Un altro importante contributo alla comprensione dei diversi aspetti legati all’apprendimento arriva da Pfeiffer, studioso americano che si occupa da 30 anni di ragazzi con alto potenziale intellettivo. Nelle sue ricerche ha evidenziato quanto la componente cognitiva necessiti di una serie di altre competenze emozionali che lui definisce “strenghts of the heart”, le forze del cuore, tra le quali ci sono empatia, compassione, senso di giustizia, cooperazione, umiltà, gentilezza, onestà gratitudine ed altre. Gli studi di Pfeiffer hanno dimostrato quanto alta sia la correlazione tra la presenza di alcune di queste caratteristiche e la possibilità di sviluppare e utilizzare nella realtà le competenze cognitive. I bambini definiti così ad alto potenziale si manifestano come bambini di talento.

È necessario porre infine l’attenzione sul tema della motivazione, in quanto fortemente connesso all’apprendimento, ormai riconosciuto come processo attivo. La motivazione può essere definita come il processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali (Johnson & Johnson, 1989).

Da un punto di vista psicologico, la motivazione può essere considerata come l'insieme dei fattori dinamici aventi una data origine che spingono il comportamento di un individuo verso una data meta. Secondo questa concezione, ogni atto che viene compiuto senza motivazioni rischia di fallire.

Inoltre, la correlazione fra interesse, uno dei costrutti interni alla motivazione intrinseca, ed apprendimento è molto forte (Hidi, 1990). L'interesse migliora l'apprendimento perché spinge ad elaborare i contenuti da apprendere in modo significativo (cioè, collegando il nuovo nella mappa cognitiva preesistente), favorendo la comprensione e la memorizzazione; induce ad un atteggiamento più aperto all'uso di strategie efficaci, libera risorse attentive, favorisce l'autoregolazione, stimola l'attivarsi di emozioni positive a supporto dell’apprendimento.

Gli orientamenti più recenti descrivono dunque l'apprendimento come un'abilità complessa, esito dell'interazione tra processi cognitivi, metacognitivi, sociali ed emotivo/motivazionali, e sottolineano il ruolo centrale del soggetto nella costruzione dei saperi. Le caratteristiche individuali di chi apprende, sia relative alle conoscenze, alle abilità, allo stile cognitivo, che relative alle emozioni ed alle motivazioni, influenzano l’apprendimento.

Parliamo dunque di un insieme complesso di attività e predisposizioni personali a metà tra attività cognitive e componenti affettive. I più recenti sviluppi di ricerca a proposito dell’apprendimento, evidenziano con forza la necessaria presenza, in simultanea, di aspetti emotivi (apprendimento emozionato/emozionale) ed interpersonali nei processi di apprendimento, aspetti già noti storicamente, ora però corroborati da maggiori evidenze neuroscientifiche.

 

Bibliografia

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