Percorso: Home 9 Clinica 9 TERZA RECENSIONE A “LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO – IL DIARIO “CLINICO” DI UNA FOLLIA VISSUTA”

TERZA RECENSIONE A “LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO – IL DIARIO “CLINICO” DI UNA FOLLIA VISSUTA”

5 Giu 20

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Perchè la storia di un maestro elementare, francamente paranoide, non compreso dalla neuropsichiatria alienista di inizio 900’, autore e vittima di omicidio, dovrebbe mai suscitare interesse in uno psichiatra post-moderno? Macchine influenzanti di Tausk, macrocacofani, trasduttori di Marconi, forze eteree di Edison quando il nostro sociale parla di wifi, apple pay e collegamenti bluetooth.  Oppure manicomi criminali, decreti del re, rilevamenti antropometrici lombrosiani quando invece discutiamo di REMS, amministratori di sostegno, e perizie multidisciplinari. Iniezioni di oli canforati e terapie educative, quando noi abbiamo gli antipsicotici di terza generazione e le cognitive remediation con la realtà virtuale.

Quando una sera Gilberto Di Petta mi chiese un parere riguardo a questo scritto rimasi interdetto, per poi invece ritrovarmi, dopo una rapida e travolgente lettura, a capire quanto la psichiatria di oggi abbia bisogno di tornare ad ascoltare i pazienti e di smettere di affidarsi esclusivamente alle flow-chart, alle metanalisi, alle linee guida e ai criteri diagnostici.
 



In realtà Gerolamo Rizzo e la sua doppia morte rappresentano un esemplare unico di psicopatologia pura, resa in una pregevole narrazione soggettiva, senza le schermature antipsicotiche o le descrizioni in terza persona di un narrante esterno. E’ la diretta esplicitazione di quello che avviene, dal di dentro, nel deflagrare della psicosi, come guardare l’eruzione di un vulcano da dentro il cratere.

Nella drammatica descrizione di una doppia tragedia esistenziale questo documento scovato da Bollorino rappresenta il grido di un paziente psichiatrico assediato e poi travolto dall’esperienza psicotica. Grido inascoltato e foriero di sventure, ma messaggio transgenerazionale che forse solo aggi arriva al destinatario, assumendo un probabile significato euristico per il quale mi sento, e ci sentiamo come psichiatria della post-modernità, di doverti un tributo.

Grazie Gerolamo, per aver riportato fedelmente i tuoi vissuti, dall’esordio improvviso fino alla strutturazione paranoidea, passando per lo sviluppo di allucinazioni e illusioni uditive, deliroidi di rapporto sensitivo di Kretschmer, fenomeni di automatismo mentale, influenzamento corporeo, atmosfere deliranti, e imposizioni tipo gemacht. Grazie per averci fatto capire quanto il dolore mentale di un paziente psichiatrico sia forse tra le sofferenze più atroci che la specie sapiens possa provare, fino a sentire il bisogno di togliersi (o togliere) la vita, come unica soluzione plausibile. Grazie per averci chiarito cosa è una deflagrazione paranoide di segno schizofrenico rispetto un assetto paranoicale iniziale, o nell’averci fatto intendere che le voci non sono una dispercezione ma un disturbo del pensiero (si, proprio del pensiero) che si traduce nel corpo che sono (leib), o per aver fatto capire a chi fa ricerca che finché descriveremo la schizofrenia come un numero di sintomi associati non troveremo mai nessun affidabile correlato neurobiologico. Grazie, infine, per averci fatto capire che se non torniamo ad ascoltare i pazienti la nostra professione non ha senso.

Ecco perchè questa breve e tragica autobiografia con risvolti criminologici, resa chiara da sapienti e illuminanti note al testo, è un esercizio imprescindibile per un giovane psichiatra in formazione.


 

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