Percorso: Home 9 Clinica 9 Un altro Giudice Schreber? RECENSIONE A “LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO – DIARIO “CLINICO DI UNA FOLLIA VISSUTA”

Un altro Giudice Schreber? RECENSIONE A “LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO – DIARIO “CLINICO DI UNA FOLLIA VISSUTA”

9 Mar 20

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Francesco Bollorino e Gilberto Di Petta hanno rinvenuto negli archivi fatiscenti dell'ex ospedale psichiatrico di Genova/ Cogoleto il loro caso Schreber: diversamente dal magnifico testo del giudice della corte d'appello di Dresda, che potè pubblicare il resoconto della sua malattia sul quale esercitò il suo improbabile tentativo ermeneutico Sigmund Freud e, dopo di lui, generazioni di psicoanalisti, l'autodescrizione di Girolamo Rizzo della sua straordinaria esperienza di malattia  è rimasta, fino ad oggi, inedita. Gli autori parlano di doppia morte, in quanto in manicomio il maestro elementare Rizzo fu mandato perchè uccise un prete e, nel manicomio, fu lui stesso ucciso da un altro ricoverato, ma  avrebbero potuto parlare anche di tripla morte, perchè non c'è morte peggiore di chi ha tentato una comunicazione senza avere un ricevente. Bollorino e Di Petta si accollano le colpe degli psichiatri dell'epoca e in qualche modo cercano di rimediare ridando voce al testo dell'internato.



Fin dal titolo è chiaro l'intento dei curatori, quello di riportare un caso psichiatrico e giudiziario su un asse narrativo: ma l'operazione è qui più complessa, sfuma nella psicobiografia fenomenologico-analitica attraverso l'apparato di note che traduce pagina per pagina le parole del paziente nel linguaggio della psicopatologia e lo espande attraverso un basso continuo associativo.

La psicopatologia del paziente è ovvia ed anche abbastanza banale, un caso di schizofrenia paranoide secondo i criteri di allora come di ora; benignamente gli autori parlano di sviluppo sensitivo kretshmeriano, valorizzandone la partenza da un' irruzione del contatto col femminile da cui il Rizzo si sarebbe difeso, ma in realtà poi il delirio allucinatorio fa il suo corso determinato dagli avvenimenti contingenti che lo alimentano, diviene sempre più astratto:  "i signori e i preti" vengono genericamente designati come autori della persecuzione allucinatoria ed infatti è solo l'omicidio di un anonimo prete a portare al riconoscimento, in sede peritale, del delirio.

  Molto interessanti sono gli aspetti patoplastici dovuti all'epoca in cui si muove il Rizzo che, subjectum del delirio, cerca, nella innovativa tecnologia (onde radio) il medium della sua persecuzione;  la "macchina influenzante" che prefigura quella di Viktor Tausk  ha i nomi del tutto primo-novecento di macrocacofono e, in secondo tempo,  di macchinetta Marconi. Interessante è anche la lunga durata dello stato delirante persecutorio e di influenzamento psichico, raro a vedersi oggi, epoca in cui si cerca di stroncare quanto prima la sintomatologia psicotica sia per  proteggere il paziente dai suoi comportamenti abnormi che per evitare la cronicizzazione della malattia ed anzi si propone da molte parti una specie di missione impossibile, quella di prevenirne l'insorgenza con sofisticati screening delle popolazioni a rischio, come se il rischio maggiore, per l'esordio psicotico in un soggetto vulnerabile, non fosse rappresentato dalle trappole imprevedibili della vita stessa.

A fronte del silenzio burocratico della documentazione ufficiale, la ricchezza psicopatologica del caso consente oggi di utilizzarlo a fini didattici; così nelle appendici la psicoanalista Rita Corsa evoca il caso Schreber e la macchina influenzante di Tausk per portare in rassegna tutti i principali contributi storici della psicoanalisi della psicosi con la quale quelli della mia generazione si sono confrontati prima di essere mandati nel magazzino dei robivecchi dai modelli desunti dalle neuroscienze e dal cognitivismo che oggi vanno, forse non del tutto giustificatamene, per la maggiore (tutto, poi, in psichiatria, in qualche modo ritorna). Pierpaolo Martucci delinea il caso dal punto di vista storico e criminologico rievocando la grossolanità dei criteri lombrosiani  rispetto a questo genere di delitti e rievoca l'edificazione degli ospedali Psichiatrici Giudiziari, che all'epoca rappresentavano un progresso etico-giuridico e scientifico, ai quali però Rizzo non fu assegnato perchè alla fine tropo lucido e mansueto. Chiude la pubblicazione il dotto commento di Paolo Peloso, psichiatra e raffinato storico della psichiatria, che rintraccia e riporta alcuni articoli dei giornali genovesi dell'epoca, il Secolo XIX, il Caffaro, il Corriere di Genova e Il Mercantile, che descrivono con acutezza giornalistica il maestro Rizzo valorizzando le molte doti della personalità premorbosa e cercando vanamente le spiegazioni per la sua metamorfosi psicotica.

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