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COVID-19: L’attuale riscoperta della morte come possibile fonte d’evoluzione: Winnicott e Saba

21 Mar 20

A cura di Sabino Nanni

Trovo che, nell’attuale situazione di pandemia, ogni forma di ottimismo forzato e insincero sia controproducente. Ci dicono: “Andrà tutto bene”. E chi l’ha detto? Sicuramente per alcuni non sta andando affatto tutto bene, e per molti altri sarà la stessa cosa. Ci eravamo abituati ad allontanare l’angoscia della morte considerandola come un evento che accadrà fatalmente, ma in un’epoca remota della nostra esistenza; oppure a vederla come eventualità che gli attuali progressi della medicina rendono, nella maggior parte dei casi, evitabile. Ora la morte è presente e possibile, dannatamente presente e possibile; e negarlo ci dà solo un effimero sollievo, come un bel sogno da cui ci risvegliamo con un’angoscia che rischia di aumentare sempre più. Eppure, se in noi prevalgono le forze della vita, non possiamo esimerci dal compito d’individuare, persino nella catastrofe, un qualche aspetto positivo, autenticamente positivo. Certamente ora, in primo piano, sono le esigenze d’ordine pratico: ci accorgiamo drammaticamente delle carenze del nostro sistema sanitario e dei limiti della scienza, e gli sforzi di tutti noi, ciascuno secondo le sue possibilità, è bene siano indirizzati a superare le une e gli altri. Tuttavia sarebbe uno sbaglio ignorare che i nostri sforzi devono avere un senso; e sarebbe uno sbaglio se, presi dall’emergenza, ci dimenticassimo della Cultura, che può suggerirci questo senso.

    Quando il Poeta coglie uno degli aspetti più profondi della vita interiore, i suoi versi ci colpiscono, ma non sono immediatamente comprensibili. Umberto Saba, nella poesia    “L’uomo” descrivendo il percorso esistenziale tipico di ogni essere umano, ad un certo punto dice:
   
“… Un giorno del piacer le porte / gli schiuse la voluttuosa morte, / per sempre”

    Come può la morte essere “voluttuosa” e premessa per il piacere? Leggendo questi versi, mi sono venute in mente le parole di Winnicott, quando parla della scoperta della morte da parte del bambino: quando la madre si assenta da casa perché deve nascere un fratellino, dal punto di vista del bambino la genitrice è “morta”, nel senso che non è più presente a raccogliere i suoi messaggi e a rispondere ai suoi bisogni. Winnicott dice:

   
“Questo è ciò che “morto” significa”.
   
    Qui ci lascia intendere che, ad esser sentito come morto non è soltanto la madre, ma il bambino stesso, in quanto, in assenza della genitrice, ogni forma di vita interiore (ogni messaggio da comunicare, ogni bisogno da manifestare, ogni affetto) si è spenta. Winnicott aggiunge:
    “
È questione di ore, o giorni, o minuti. Prima che questo limite sia raggiunto, la madre è ancora viva; quando è superato, ella è morta. Fra l’uno e l’altro periodo c’è un prezioso momento di rabbia, ma è rapidamente perso, e talora neppure vissuto; un momento apportatore di paura e violenza”.
   
    Perché il momento di rabbia che separa la vita dalla morte è “prezioso”? Perché è il primo momento in cui il bambino avverte un sentimento che è inequivocabilmente suo, proveniente da lui e non dalla madre; nel contempo, la genitrice è avvertita come oggetto del suo odio, ossia una persona separata, e non un prolungamento di lui stesso. Questa è la premessa necessaria affinché, in un secondo momento, dall’odio possano sprigionarsi l’amore, ed un piacere la cui fonte non è più solo lui stesso, ma anche un’altra persona.
    Che attinenza possono avere questi concetti con l’attuale situazione di morte? Teniamo conto che il momento “prezioso” in cui il bambino scopre sé stesso come individuo separato dal mondo è “rapidamente perso”, perché legato ad esperienze interiori di “paura e violenza”. Come il bambino, noi tutti tendiamo a sfuggire questo momento, ed a ritornare, per quanto ed appena possibile, all’illusione di una madre e di un mondo vissuti come il prolungamento di noi stessi, perfettamente controllabili ed immancabilmente presenti. Così viviamo la nostra società, l’organizzazione delle cure, la scienza: nel profondo tutto questo è una madre soccorrevole, infallibile, che non ci abbandona mai. Quando, come nell’attuale situazione, la possibilità della morte diviene innegabile, ecco che riscopriamo la nostra solitudine, ed il carattere mortale ed imperfetto di chi ci dovrebbe soccorrere e di noi stessi; ritroviamo il “prezioso momento” in cui, con la morte, riscopriamo la realtà delle cose. Certamente, il “prezioso momento” è dapprima legato alla rabbia e alla protesta, per la promessa non mantenuta di una perfetta protezione. Tuttavia, il superamento di quest’illusione è la premessa per un riguardo verso noi stessi e la nostra vita che sia fondato su basi più solide e realistiche; è anche la premessa per un atteggiamento veramente costruttivo (anche quando esprimiamo critiche giustificate) nei confronti delle persone e delle istituzioni cui è affidata la nostra sopravvivenza.

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2 Commenti

  1. manlio.converti

    Il problema dell’ignoranza
    Il problema dell’ignoranza degli italiani, fermi alla cultura dell’ottocento, che l’autore esprime ai massimi livelli è di non conoscere gli strumenti della sociologia o della psicologia delle masse ma soprattutto di cascare nella trappola della scrittura romantica!
    L’autore è un cantore magnifico ma l’eroe / la eroe di ogni romanzo dell’ottocento muore!
    E se permettete, la depressione e la morte, anche per suicidio da quarantena o da burn out, è un problema psichiatrico gravissimo da risolvere NON da implementare con la retorica dell’ottocento.

    SVEGLIA

    Dopo e talvolta anche durante gli orrori di due guerre mondiali, la vita e la vittoria è stata data attraverso l’esercizio dell’IRONIA, perfino della frivolezza, dell’incoraggiamento e dello spirito di gruppo.
    L’autore potrebbe diventare RADIO LONDRA per restare in parte nel secolo in cui vive e pensa, ma deve evitare la retorica romantica!

    Io, più modestamente, esplodo…

    https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=3048830028513134&id=100001584994234

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    • nanni.sabino

      Egr. dott. Converti. Mi
      Egr. dott. Converti. Mi spiace, dover, ancora una volta, farle notare che lei, fidando molto nelle sue conoscenze riguardo alla “psicologia delle masse” e della “sociologia” (che lei suppone che il sottoscritto, ed altri che la pensano in modo simile, ignorino) pare dimostrare totale disprezzo nei confronti della cultura umanistica, di secoli di cultura umanistica. Lei, naturalmente, è libero d’esprimere i giudizi che vuole, ma non può permettersi di farlo senza cognizione di causa: le faccio presente che sia Saba, sia Winnicott sono Autori del 900, e non dell’800, come lei afferma, ed hanno poco o nulla a che vedere con il Romanticismo. Tuttavia, anche se così fosse, come sostiene lei, io penso che sia quanto meno discutibile liquidare una così importante stagione del nostro pensiero, sostenendo soltanto, in sostanza, che non è in linea con le attuali mode culturali. Come già in altre occasioni, trovo deprecabile il tono violento e polemico delle sue osservazioni: mi creda, non è a questo modo che lei guadagna credibilità.

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