Sono le 5 del mattino, sono alla terza settimana di confino, restrizioni al massimo.
Tutto fermo.
Dopo una seconda settimana quasi maniacale ed euforizzante da parte dei pazienti il virus inizia a conclamarsi passa dai polmoni e va dritto al cervello, nei pensieri.
Quello che non si vede, c’è ed è una presenza viscida, lenta .
Finalmente iniziamo a parlarne, io e loro. Il tema della morte e del postbellico, quello di uno scenario impossibile da immaginare per chi della guerra non ha neanche il racconto da parte di padre o nonni.
Ma io i racconti me li ricordo, forse hanno segnato le vite di mio padre e di mia madre, il loro approccio alla vita.
I traumi non ci rendono spavaldi all’esistenza ci rendono fragili e piccoli. Non crescere ad una certa eta’ significa malattia.
Ed il virus ora è nella signora che aspetta il suo amore mai arrivato.
E se non potessi mai averlo questo piccolo grande amore?
Arrivano i nodi al pettine.
Le scelte, quelle non fatte e quelle che si faranno e quelle che non si faranno mai. Si tirano linee.
Silvia lascia Andrea.
Ma come è possibile?
Lui era perfetto per me, sembrava quello giusto Dottoressa.
La terza settimana è la settimana delle consapevolezza delle scelte.
Quelle giuste e quelle sbagliate.
Il virus demarca le zone dei nostri affetti.
Quando tutto sarà finito saprò cosa fare.
Spinta vitale, azione dirompente.
Lui, Eros è più forte, ma deve attraversare Thanatos.
Bisogna morire per poter permettersi il lusso di vivere e vivere è scegliere a testa alta da che parte stare, con chi stare, quali valori assumere, quali scegliere per poter proseguire dopo le macerie.
Dottoressa, vuole sentirlo un altro pezzo con il mio flauto, penso mi iscriverò nella banda, voglio migliorare.
Ma certo, sono tutta orecchie.
Finisco con un applauso.
Il sublime è nel momento condiviso, nella follia di esserci proprio con te, in salute e malattia, nella buona e cattiva sorte.
Un altro paziente : sono 20 anni che lo conosco e non mi ha mai detto certe cose.
Sei la mia principessa. Ho pensato sia impazzito. È diventato sentimentale.
Eros uccide Virus. Gli taglia la testa.
Nel momento del bisogno ricerchiamo l’altro particolare per noi colui o colei che sappiamo esserci, torniamo a qualcosa di perduto.
E poi c’è chi decide di affondare dentro di se’: Dottoressa, che ne dice se andiamo sul lettino?
Spettacolare. Voglio andare fino in fondo mentre tutto va affondo.
Doc, le faccio sentire un altro pezzo che ho imparato, il Titanic.
Struggente. Io davanti al mio video e tu dall’altra parte che ricordi qualcosa che va giù ma pieno d’amore.
Devo deglutire perché mi viene da piangere.
Emozione straziante.
E poi quelli in prima linea appesantiti, in un altro mondo.
In e out.
Loro che si appoggiano su chi ha appoggio vero, profondo. Come una catena si possono agganciare a chi sperimenta davvero la forza di una cura, la sua potenza. Scopri che gli altri esistono. E quando non esistono rimangono solo i farmaci, fiumi di lexotan.
8000 medici rispondono alla chiamata d’aiuto dello Stato.
Gli uomini e le donne della cura si distinguono per questa risposta istintiva al bisogno dell’altro.
Nella cura psicoanalitica la presenza dell’altro e’ reale, se non ci fosse presenza sperimenteremmo la sua inutilità ovvero un suo esserci parziale, vacuo, superficiale, staccato dalla nostra vita. Pura masturbazione mentale.
Il momento del bisogno è il momento fondante della nostra sopravvivenza fisica e psichica conta il “davvero”.
L’atto d’amore o l’atto di cura è presenza al bisogno.
Non respiro, ti prego dell’ossigeno . Senza il gesto, tu muori.
Il gesto nobile dell’umano, il gesto nobile della cura, il gesto nobile dell’amore.
La cura come l’amore è un “per davvero” in modo conforme alla realtà .
Dottoressa, quando finisce questo virus io non voglio più lavorare in questo posto, io desidero trovare il posto giusto per me.
E ancora chi da bravo bresciano è solo “il lavoro“ mi dice “se ne usciamo io non lavorerò più dodici ore al giorno, ho capito che ci danniamo per niente, in un attimo tutto viene giù voglio gustarmi il tempo”.
Bravo! Ragazzo mio stai comprendendo il senso dell’esistenza.
Vivere in tempo ciò che ci rende migliori come umani esseri, non solo oggetti ma soggetti di esistenza,la nostra.
Dottoressa, ho un nodo in gola penso di avere un tumore, chi mi salverà in ospedale ora non c’è posto per me. Le scelte sono questione di vita o di morte.
Il virus obbliga a scegliere. Sto a casa, non esco, non ti vedo, rinuncio ora per poi avere la mia libertà.
Il virus castra, limita, delimita,impone tempi e spazi. Obbliga al fermo. Non si scappa. Non si può .
Le case diventano asfissianti il virus toglie ossigeno.
C’è chi cerca un luogo,un rifugio solo per se’.
Qualcuno si chiude in scantinati, si isola.
Non ce la faccio più mi sembra di diventare matto, mi sento mangiato dalla presenza asfissiante dell’altro.
Ci si conosce veramente sotto lo stesso tetto. Ci si riconosce o disconosce. E tutti i nodi vengono al pettine .
Una corona di spine, il virus che fa sanguinare le relazioni.
Han detto che oggi nevicherà come è possibile a fine marzo. Fa freddo.
Io mi sento una bombola d’ossigeno e scopro sulla mia stessa pelle quanto mi ricarico nel momento in cui anche io sento l’altro della cura, che c’è, c’è per davvero.
Che bello vederla sentirla, Dottore. Certo Venezia e’ altra cosa.
Le dispiace se fumo, Dottoressa?
Si figuri! lo fa sempre cosi pero’ non sento l’odore, un po’ mi spiace.
Mi accontento dell’udito e della visione.
Quando l’ossigeno entra nei polmoni quando saturi il respiro si fa più morbido tutto è più lucido, diminuisce la paura, inizi a credere di farcela e guardi il tuo Dottore con un amore una riconoscenza che è più della madre, è quella cosa splendida che gli esseri umani posseggono: l’identificazione.
Identificarsi permette di sentire se’ e l’altro. Non si può stare fermi quando qualcuno ha bisogno di noi, non si può.
E chi sa curare il prossimo oscilla tra continue identificazioni si mette i panni degli altri e se li toglie, sente, si immedesima, sa come ci si sente.
Sappiamo l’ansia, la depressione, l’attacco di panico, l’ ipocondria, l’angoscia, la follia.
Le abbiamo attraversate tutte o costeggiate.
Non puoi non rispondere alla chiamata, un Dottore che cura davvero non può.
E allora in questo momento si può capire il valore dell’esserci per te, solo per te.
Dottoressa, che bello il quadro dietro le sue spalle.
Davvero le piace, l’ho fatto io, per caso.
Ho tirato un pugno sulla tela piena di gesso, e l’impronta assomigliava ad un orecchio.
Allora ho tirato tanti pugni e sono apparse tante orecchie .
Qualcuno mi ha sentita.
Ai dottori e ai pazienti, stretti insieme, per salvarsi.
Tutto fermo.
Dopo una seconda settimana quasi maniacale ed euforizzante da parte dei pazienti il virus inizia a conclamarsi passa dai polmoni e va dritto al cervello, nei pensieri.
Quello che non si vede, c’è ed è una presenza viscida, lenta .
Finalmente iniziamo a parlarne, io e loro. Il tema della morte e del postbellico, quello di uno scenario impossibile da immaginare per chi della guerra non ha neanche il racconto da parte di padre o nonni.
Ma io i racconti me li ricordo, forse hanno segnato le vite di mio padre e di mia madre, il loro approccio alla vita.
I traumi non ci rendono spavaldi all’esistenza ci rendono fragili e piccoli. Non crescere ad una certa eta’ significa malattia.
Ed il virus ora è nella signora che aspetta il suo amore mai arrivato.
E se non potessi mai averlo questo piccolo grande amore?
Arrivano i nodi al pettine.
Le scelte, quelle non fatte e quelle che si faranno e quelle che non si faranno mai. Si tirano linee.
Silvia lascia Andrea.
Ma come è possibile?
Lui era perfetto per me, sembrava quello giusto Dottoressa.
La terza settimana è la settimana delle consapevolezza delle scelte.
Quelle giuste e quelle sbagliate.
Il virus demarca le zone dei nostri affetti.
Quando tutto sarà finito saprò cosa fare.
Spinta vitale, azione dirompente.
Lui, Eros è più forte, ma deve attraversare Thanatos.
Bisogna morire per poter permettersi il lusso di vivere e vivere è scegliere a testa alta da che parte stare, con chi stare, quali valori assumere, quali scegliere per poter proseguire dopo le macerie.
Dottoressa, vuole sentirlo un altro pezzo con il mio flauto, penso mi iscriverò nella banda, voglio migliorare.
Ma certo, sono tutta orecchie.
Finisco con un applauso.
Il sublime è nel momento condiviso, nella follia di esserci proprio con te, in salute e malattia, nella buona e cattiva sorte.
Un altro paziente : sono 20 anni che lo conosco e non mi ha mai detto certe cose.
Sei la mia principessa. Ho pensato sia impazzito. È diventato sentimentale.
Eros uccide Virus. Gli taglia la testa.
Nel momento del bisogno ricerchiamo l’altro particolare per noi colui o colei che sappiamo esserci, torniamo a qualcosa di perduto.
E poi c’è chi decide di affondare dentro di se’: Dottoressa, che ne dice se andiamo sul lettino?
Spettacolare. Voglio andare fino in fondo mentre tutto va affondo.
Doc, le faccio sentire un altro pezzo che ho imparato, il Titanic.
Struggente. Io davanti al mio video e tu dall’altra parte che ricordi qualcosa che va giù ma pieno d’amore.
Devo deglutire perché mi viene da piangere.
Emozione straziante.
E poi quelli in prima linea appesantiti, in un altro mondo.
In e out.
Loro che si appoggiano su chi ha appoggio vero, profondo. Come una catena si possono agganciare a chi sperimenta davvero la forza di una cura, la sua potenza. Scopri che gli altri esistono. E quando non esistono rimangono solo i farmaci, fiumi di lexotan.
8000 medici rispondono alla chiamata d’aiuto dello Stato.
Gli uomini e le donne della cura si distinguono per questa risposta istintiva al bisogno dell’altro.
Nella cura psicoanalitica la presenza dell’altro e’ reale, se non ci fosse presenza sperimenteremmo la sua inutilità ovvero un suo esserci parziale, vacuo, superficiale, staccato dalla nostra vita. Pura masturbazione mentale.
Il momento del bisogno è il momento fondante della nostra sopravvivenza fisica e psichica conta il “davvero”.
L’atto d’amore o l’atto di cura è presenza al bisogno.
Non respiro, ti prego dell’ossigeno . Senza il gesto, tu muori.
Il gesto nobile dell’umano, il gesto nobile della cura, il gesto nobile dell’amore.
La cura come l’amore è un “per davvero” in modo conforme alla realtà .
Dottoressa, quando finisce questo virus io non voglio più lavorare in questo posto, io desidero trovare il posto giusto per me.
E ancora chi da bravo bresciano è solo “il lavoro“ mi dice “se ne usciamo io non lavorerò più dodici ore al giorno, ho capito che ci danniamo per niente, in un attimo tutto viene giù voglio gustarmi il tempo”.
Bravo! Ragazzo mio stai comprendendo il senso dell’esistenza.
Vivere in tempo ciò che ci rende migliori come umani esseri, non solo oggetti ma soggetti di esistenza,la nostra.
Dottoressa, ho un nodo in gola penso di avere un tumore, chi mi salverà in ospedale ora non c’è posto per me. Le scelte sono questione di vita o di morte.
Il virus obbliga a scegliere. Sto a casa, non esco, non ti vedo, rinuncio ora per poi avere la mia libertà.
Il virus castra, limita, delimita,impone tempi e spazi. Obbliga al fermo. Non si scappa. Non si può .
Le case diventano asfissianti il virus toglie ossigeno.
C’è chi cerca un luogo,un rifugio solo per se’.
Qualcuno si chiude in scantinati, si isola.
Non ce la faccio più mi sembra di diventare matto, mi sento mangiato dalla presenza asfissiante dell’altro.
Ci si conosce veramente sotto lo stesso tetto. Ci si riconosce o disconosce. E tutti i nodi vengono al pettine .
Una corona di spine, il virus che fa sanguinare le relazioni.
Han detto che oggi nevicherà come è possibile a fine marzo. Fa freddo.
Io mi sento una bombola d’ossigeno e scopro sulla mia stessa pelle quanto mi ricarico nel momento in cui anche io sento l’altro della cura, che c’è, c’è per davvero.
Che bello vederla sentirla, Dottore. Certo Venezia e’ altra cosa.
Le dispiace se fumo, Dottoressa?
Si figuri! lo fa sempre cosi pero’ non sento l’odore, un po’ mi spiace.
Mi accontento dell’udito e della visione.
Quando l’ossigeno entra nei polmoni quando saturi il respiro si fa più morbido tutto è più lucido, diminuisce la paura, inizi a credere di farcela e guardi il tuo Dottore con un amore una riconoscenza che è più della madre, è quella cosa splendida che gli esseri umani posseggono: l’identificazione.
Identificarsi permette di sentire se’ e l’altro. Non si può stare fermi quando qualcuno ha bisogno di noi, non si può.
E chi sa curare il prossimo oscilla tra continue identificazioni si mette i panni degli altri e se li toglie, sente, si immedesima, sa come ci si sente.
Sappiamo l’ansia, la depressione, l’attacco di panico, l’ ipocondria, l’angoscia, la follia.
Le abbiamo attraversate tutte o costeggiate.
Non puoi non rispondere alla chiamata, un Dottore che cura davvero non può.
E allora in questo momento si può capire il valore dell’esserci per te, solo per te.
Dottoressa, che bello il quadro dietro le sue spalle.
Davvero le piace, l’ho fatto io, per caso.
Ho tirato un pugno sulla tela piena di gesso, e l’impronta assomigliava ad un orecchio.
Allora ho tirato tanti pugni e sono apparse tante orecchie .
Qualcuno mi ha sentita.
Ai dottori e ai pazienti, stretti insieme, per salvarsi.
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