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25 MARZO: Il “Dantedi” su POL.it. Un contributo alle celebrazioni del Poeta Dante Alighieri.

26 Mar 20

Di Sergio-Mellina
Di questi giorni di autocattività forzata da coronavirus, ci sarà molto da dire e, per chi è un po’ aduso, da scrivere. Intanto devo confessare che per me il mese di marzo è particolare, perchè ci sono stati accadimenti particolari che vanno ricordati. Ragion per cui dormo con un occhio solo, per non dimenticarli, col termosifone a palla date le possibili gelate improvvise e le tempeste di neve.
La preoccupazione principale – io che ho una certa età e so per esperienza la piega che possono prendere certe cose sottovalutate e trascurate – cerco, per quello che posso, di aprirli entrambi, gli occhi. Rammento che il 23 marzo 1919 Benito Mussolini a Milano, ha fondato i “Fasci italiani di combattimento”, emanazione diretta e peggiorativa del ”Fascio d'azione rivoluzionaria” del 1914.
Poi, mi tranquillizzo immediatamente indirizzando il pensiero a mia moglie Silvia e ai gemelli Giovanna (Architetto) e  Vittorio (neurologo d’urgenza) perchè è il giorno del loro compleanno. 
Avanzando nel mese, avendo già superato il 21 che c’introduce nella primavera, aspettiamo il 25 per verificare se effettivamente (di questi tempi climatici) si verifica l’equinozio di primavera. Detto così en passant – per chi, come, me pasticcia sempre tra solstizi ed equinozi – dovrebbe essere il giorno in cui il sole sorge e tramonta alla stessa ora in tutti i luoghi della terra e, per i seguaci di Greta ma anche per tutti noi, dovrebbe celebrare il momento climatico della natura che rinasce ad altra e nuova vita.
Per i credenti (di fede cattolica e similari) e gli esegeti di sacri testi, vangeli canonici (secondo Luca, secondo Matteo) e apocrifi, ecc. – ma anche gli atei un’occhiata però ce la danno, puoi giurarci – il 25 marzo è una faccenda complicatissima. In pratica, l’annuncio che viene dato da Gabriele (la potenza di Dio, la sua “mano sinistra”) a Maria Vergine, sposa di Giuseppe, che è incinta di Gesù per opera dello Spirito Santo, è ancor oggi argomento di lunghe confutazioni, per cui ogni credenza, confortata da tradizioni, calendari, liturgie “libri” e sommi teologi differenti, celebra la ricorrenza a proprio modo. Mio nipote Andrea è più interessato alla Pasqua (anche quella controversa) perchè sa per certo che arriverà la “Colomba” coi canditi e le mandorle.
 
Io, invece, oggi, ho scoperto dai media che il Governo, su proposta del Ministero per i Beni e le attività culturali (Mibact), ha proposto la data del 25 marzo come giorno della celebrazione nazionale. Si chiamerà “Dantedì”. Il nome è stato inventato da Francesco Sabatini (filologo e linguista Accademico della crusca), mentre l’idea di una celebrazione annuale del Poeta è stata avanzata sul «Corriere della Sera» del 18 giugno 2017, in un corsivo di Paolo Di Stefano, editorialista e noto letterato, esperto di filologia romanza.
In una nota diffusa dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, si legge.
«Il 25 marzo si celebra il primo Dantedì, una giornata che in questa prima edizione non potrà che essere esclusivamente digitale. Le tantissime iniziative nate spontaneamente sul territorio sin dal primo annuncio della giornata, avvenuto lo scorso 17 gennaio, con la sua istituzione decisa dal Governo, così come quelle promosse dalle istituzioni, si sono spostate sulla Rete. Oggi più che mai è necessario ricordare in tutta Italia e nel mondo il genio di Dante con una lettura individuale e al contempo corale della sua opera, con un forte coinvolgimento delle scuole, degli studenti in questi giorni impegnati nelle lezioni a distanza, delle istituzioni culturali, della Rai e del “Corriere della Sera” da cui è partita questa iniziativa. Dante ricorda molte cose che ci tengono insieme: Dante è l’unità del Paese, Dante è la lingua italiana, Dante è l’idea stessa di Italia».
 
Dario Franceschini è un ferrarese come il Collega psichiatra Luigi Frighi (di Tresigallo), sodale di Bruno Callieri una coppia di amici, indimenticabili, maestri di psicopatologia fenomenologica. È stato un lampo e ho subito pensato di dare anch'io un contributo al dibattito per i lettori di Pol.It Psychiatry on line Italia, la rivista di Francesco Bollorino una delle più antiche, nel suo genere. Un contributo, non di cronaca naturalmente, ma storico, di indirizzo, come solitamente faccio. Storia contemporanea, di ieri, ma ancora attuale.
Già! Ma come fare? Nessun problema mi son detto, tra me, vado a rovistare tra i miei “scatoloni” (ormai famosi per chi ha l’indulgenza di seguirmi), hai visto mai? Dopotutto, mio padre, Ernesto Mellina, è stato uno scrittore di qualche notorietà, e si è anche occupato di saggistica letteraria. Come al solito, mi sono curvato, ho rimestato un po’ e … padroni di non crederci, ma è saltato fuori puntualmente qualcosa in merito a Dante Alighieri, come non aspettasse altro. Soffiata via la polvere, ed era tanta, è spuntato un titolo. Mellina Ernesto. Dante nella pineta di Classe. “Quaderni di critica letteraria”. Editrice Ausonia, Terni, 1954.
Riporto dalla prefazione di Raimondo Manzini [01].
 
«La tradizione letteraria italiana si orna di scrittori che hanno distillato e sedimentato la loro arte nell’umile segreto della quotidiana fedeltà al dovere amministrativo. Uno dei narratori dell’altra grande guerra, Pietro Jahier fu funzionario delle Ferrovie. Con me e con gli alpini resta un documento espressivo di quel tempo. Il canto singultante del Carso flottò nel grido di Vittorio Locchi, poeta spericolato, con “La sagra di Santa Gorizia”. E Vittorio Locchi era “nell’organico” del Ministero delle Poste. Che dico? Il più raffinato dei critici, Renato Serra, la cui opera rimane testo di vera creatività letteraria dipendeva da Ministero della Istruzione, alla Biblioteca di Cesena. E con lui, massimo narratore di quegli anni, Alfredo Panzini, fedele operaio della cattedra, dall’Istituto Tecnico, Carlo Cattaneo di Milano, all’Istituto Magistrale di Roma: non toccò neppure la soglia dell’Università!
È una tradizione che insublima la professione burocratica e riassume in sintesi l’immagine dell’uomo con quella dell’artista e accomuna la quotidiana vita operosa con il volo lirico della fantasia vagante negli spazi senza limite e verso le cime senza traguardo.
Ernesto Mellina vive anch’egli dietro una grande scrivania e inoltrato nel labirinto di uno dei nostri grandi ministeri: è alto dirigente delle ferrovie. Passano e ripassano sotto la sua penna le fitte pagine dei “rapporti” e i grossi involucri delle “pratiche” protocollate. Un sentore lindo e lustro è nel suo studio […] ma un’aura impalpabile di isolamento e di contemplazione si annida pure in questi centri complicati e estenuanti della direzione dello Stato. È forse la traccia di un passato che in certi edifici resta incancellabile? È il senso dell’automatismo che prende l’uomo nel gorgo della comunità e quindi, per reazione, lo isola in una solitudine  alta della coscienza, in un bisogno di libertà interiore e di superamento personale?
Fatto sta che molte volte nei meandri ministeriali ho provato un senso di distacco e improvvisa possibilità di ripiegamento. Ernesto Mellina è là: dietro il suo tavolo: passa e ripassa sotto il suo controllo il corso ribollente di una vita sempre più dinamica del paese, espressione della fluidità tipica del nostro tempo e stanno dinanzi a lui i quadri ipotetici del personale addetto al traffico ferroviario.
Eppure … Su questa vedetta, certamente di responsabilità, lo spirito di Ernesto Mellina non si disperde: vive anzi, si alimenta di una sua gioia poetica, di una sua solitudine ideale. L’interiorità spirituale e culturale dell’uomo resta intatta. È cosi che Ernesto Mellina riprende, senza averli interrotti, aldilà e al di fuori della sua quotidiana missione di dirigente, i fili della meditazione, della critica, dell’abbandono lirico, il ripensamento di tutto un mondo ideale che attraverso il suo spirito preme per riesprimersi in apprezzamenti e valutazioni di pensiero e di poesia.
Questo volumetto ne è la riprova. Pochi oserebbero riprendere il ciclopico cammino della selva dantesca, insinuarsi nella cattedrale gemente e tumultuante della foresta mitica del Poema, per tracciare nuovi sentieri e scoprire prospettive o risonanze insospettate, chiarire enigmi verbali e motivi di armonia: ma Ernesto Mellina lo fa, lo ha fatto: nella convinzione che l’amore vince ogni ostacolo e che anche l’ingombro pauroso della erudizione non vale da solo il lampo della intuizione. E cosi con un coraggio alimentato di umiltà e una visione dilatata dalla intelligenza, egli dice cose nuove e rivela sapori inconsueti e apprezzamenti sempre validi.
 
La prosa di questa critica è di per sé poesia: il racconto di questa ricerca vale quanto ad arte in sé stessa, deliziosa e piacevole, autosufficiente e creativa. Nè ci si poteva aspettare diversamente, dato il temperamento dell’autore, ricco di sensibilità artistica e la sua esperienza quasi ventennale di pubblicista.
È dunque senza nessuna particolare autorità, nè investitura di dottrina che io oso scrivere questa premessa; ma solo per il diritto dell’amicizia e il titolo della simpatia.
Prendete e leggete: queste sono le uniche parole utili a premessa delle colorite, dense, vitree esposizioni di Ernesto Mellina.
O forse mi avvicina a lui e mi autorizza a parlare il fatto di essere, come lui, un vicino della terra ravennate, un amico della Romagna estrema, un nostalgico di questo orizzonte unico e inimitabile, dove la solitudine è desertica e la maestà suprema: tra terra e mare, tra cielo e acqua, si sommano in un incantesimo che, appunto, trova eco solo nel genio massimo della poesia che ha superato il suono e il senso per diventare spirito, trasfigurazione e simbolo!»
 
Ma c’è di più. Cosa? Penseranno i lettori. Non certo il testo che è scorrevole e attraente, ça va sans dire! Vi sarà tempo di leggerlo, per chi lo vorrà. No! Sembra proprio uno di quei colpi di fortuna che, stando “sul pezzo” come si dice in gergo pubblicistico, talvolta succede.
Vittorio – il figlio neurologo che in una pausa della sua lotta con la pandemia al Policlinico Umberto I di Roma viene a salutare il padre a debita distanza – mi chiama e mi tende un foglio dicendo: – guarda qua! Nel frattempo ha continuato a rovistare negli “scatoloni” miracolosi e ha trovato altro materiale prelibato da pubblicare il 25 marzo in onore di Dante. È un vecchio ritaglio di giornale sbiadito, con spillato sopra un foglietto recante in bell’ordine una serie di codici di catalogazione della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (BNCR). Mi limito a trascriverlo qui di seguito.


 
Riferimenti
Autore: Mellina, Ernesto
Titolo: Tempo di realizzare
Datazione: 1955-12-11
Collezione: Fondo Falqui
Note: ritaglio di “Il Giornale d’Italia”
Persone: Alighieri, Dante.
Ente di appartenenza: Biblioteca Nazionale Centrale di Roma 
Segnatura: Alighieri_B223
Identificativo: BNCR_Alighieri_B223
 
 
Domenica 11 dicembre 1955       Il Giornale d’Italia
 
Per un monumento nazionale a Dante
 
Tempo di realizzare
 
Persino il Pascoli, nel 1902, propose di onorare degnamente il Poeta elevando nella pineta di Classe una “basilica di vera pietra”.
 
Tra le numerosissime lettere che insieme alla nostra iniziativa continuano a pervenirci, ne pubblichiamo oggi alcune contenenti, la maggior parte, proposte circa l’ubicazione del monumento. Pubblichiamo anche la lettera inviataci dal prof. Ernesto Mellina, da Roma, il quale sostiene che la Pineta di Ravenna, in cui Dante avrebbe concepito la Commedia, sarebbe luogo non meno adatto di Roma per l’erezione del monumento.
 
Illustre direttore,
due anni orsono, prima che fosse promossa dal Giornale d’Italia l’attuale campagna di stampa per un monumento nazionale a Dante, pubblicammo uno studio su “Dante nella Pineta di Classe nel quale sono spiegate le ragioni per cui ritenevamo e riteniamo che l’Italia sia debitrice di un monumento al suo Poeta. Ciò Accadeva al tempo in cui venia eretto a Pescia un monumento a… Pinocchio.
Reputiamo superfluo ripetere qui quelle ragioni anche perchè, fra l’altro, mancherebbe lo spazio; ciò non toglie di dire, in succinto, che quella iniziativa, nata prima che Papini riesumasse i noti provvedimenti legislativi, era ed è giustificata dalla lacuna – rilevata con disappunto anche dagli stranieri – che in Italia manchi un monumento nazionale che ricordi agli occhi e al cuore degli italiani il loro massimo poeta, specie di coloro che per la loro condizione non studiano e poco leggono, e questo nella considerazione che Dante non debba rimanere prigioniero dell’alta cultura specializzata. Esigenze d’esteriorità e d’interiorità da non prendere a gabbo la prima – checché ne pensino coloro che per tema di essere scambiati per rètori finiscono per diventare aridi e freddi – data la nostra natura di non poter pensare e amare senza vedere e sentire; e da non negligere la seconda in quanto è dal contatto con gli spiriti sovrani che si rinfocola ed espande la grande luce della scienza.
L’intento di conciliare l’idea di alcuni di esteriorizzare e volgarizzare al popolo la memoria di Dante con un monumento visibile e tangibile e quella di ravvivarne il culto con lo studio e la diffusione delle opere, pare a noi, dunque, non difficilmente accordabile. In qual modo? Realizzando ad esempio un’antica proposta che fu cara a Pascoli fin dal 1902 di elevare nel folto della pineta di Classe risuonante dell’eco di Matelda una basilica di <vera pietra con le pareti istoriate di tutte le antiche figurazioni della Divina Commedia, con incisi nel pavimento, con dipinti nelle volte tutti i simboli, tutte la sigle, tutti i rabeschi dell’evo medio>. <Così – continua in Mirabile Visione il poeta di San Mauro – quando tu, o Ravenna, avrai edificato il monumento della Divina Commedia nella selva ov’ella nacque, non ci sarà uomo pensante che non creda dover peregrinare, una volta in sua vita, al tempio di Dante ed essere sensibilmente nell’oltremondo del suo pensiero>.
L’aspirazione formulata dall’on. Del Sante sul Giornale d’Italia dello scorso novembre di innalzare un < tempio espressione della figura e dell’opera di dante con cattedrale e foro scindibili> non servirebbe pertanto che a integrare l’idea di Pascoli, la quale ancora meglio potrebbe essere completata con la fondazione di una biblioteca ch accogliesse tutte le pubblicazioni italiane e straniere intorno all’Alighieri.
L’intenzione poi di far sorgere il monumento in Roma ha le sue buono ragioni,  anche perchè Roma è capitale del mondo cattolico ed è erede di quello romano, dai quali quello dantesco promana; ma quella di farlo sorgere nella pineta ravennate pure essa ha un fondamento storico e ideale d’incomparabile suggestione in quanto nella Pineta di Classe nacque la Divina Commedia.
Comunque sia, crediamo essere venuto il momento di uscire dal limbo delle buone intenzioni e realizzare la grande opera da tutti vagheggiata. 
Ernesto Mellina
 
 
Nota
01 Raimondo Manzini. Giornalista e uomo politico italiano (Lodi 1901 – Roma 1988), direttore, dal 1927 al 1960, del quotidiano cattolico L'Avvenire d'Italia, e collaboratore di varî periodici. Nel 1946 fu eletto all'Assemblea Costituente con la lista della Democrazia cristiana, e poi deputato al parlamento per lo stesso partito dalla I alla III legislatura; fu sottosegretario alla presidenza nel gabinetto Scelba (1954); nel 1960, rinunciando al mandato parlamentare, assunse la direzione dell'Osservatore Romano, che mantenne fino al 1978.

 
 

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