“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto
ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c’è dubbio.
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”. H.Murakamki
ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c’è dubbio.
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”. H.Murakamki
Viviamo in una situazione senza precedenti, non solo come individui, ma anche come società. In questo momento le emozioni negative che scatenano la paura vincono sulla battaglia. Se il cervello emotivo è disconnesso, il cervello rettile ha il sopravvento; gli istinti e le emozioni cioè guidano il comportamento.
Marina: (comunicazione telefonica) “… ho poca candeggina a casa, e alcol, alcol non ne ho, non trovo le mascherine, i guanti, la candeggina capisce, la candeggina. L’alcol, vabbè, sto usando tutte le bottiglie di liquore dry che ho a casa, in realtà una e se finisce…. ? Certo lei non può mica portarmi ste cose, anche perché anche lei non esce o esce? Ma se mi infetto, no non esco, anche se posso infilarmi sacchi di plastica e fare un salto in un supermercato. E se non trovo niente? Neanche sui siti online se ne trovano. Dottoressa lei come fa? Ha alcol, disinfettanti? Certo lei li avrà.. E se muoio. Ho difficoltà a respirare, sì penso di sì….. Tosse? No, non ho tosse. No, neanche febbre. Ma muoio, si sento che morirò”.
Marina sta vivendo una crisi di panico, è in continua auto-osservazione e in una situazione di allerta costante prima della comparsa di qualsiasi sintomo fisico. In molte occasioni, la paura di esperire qualsiasi sensazione fisica che possa essere interpretata come malattia, provoca l'attivazione dei sintomi di ansia e somatizzazioni che causano angoscia. Si entra in un circolo vizioso in cui la paura della malattia produce sensazioni fisiche che, a loro volta, vengono decodificate come malattia. Stiamo esperendo, parafrasando De Martino un’apocalisse culturale e sperimentando la minaccia del “non è possibile”. Risulta difficile rispondere a situazioni limite imposte, in un mondo indecifrabile che sta perdendo i parametri di riferimento, un mondo che mette in pericolo la <<presenza>> facendosi dominare dall’angoscia che coincide con la scoperta della gravità della vita. Scriveva Camus «il bacillo della peste non muore né scompare mai…», la peste non costituisce simbolicamente solo il male, ma fa anche riferimento a qualcosa che non potrà mai essere sconfitto e debellato del tutto, esisterà sempre, forse perché connaturata all’esistenza umana. La nostra peste moderna si chiama Covid-19 e ci sta facendo subodorare il precipizio a cui si sporgono le nostre serene e pacifiche esistenze; un festival di angoscia condito di difese fobiche, ossessive ed evitanti che trova unica soluzione nell’isolamento sociale, trasformando anche gli atti più semplici e banali come ostativi; dove il labile afflato di libertà si può anelare solo dopo costanti e perseveranti abluzioni.
Viviamo un vero e proprio inquinamento psichico, un’infestazione dello spazio mentale che sta riducendo e trasformando la capacità di critica e giudizio e nei casi estremi (sta) neutralizzando anche il buonsenso. A tratti affiora una configurazione emergenziale di una modalità cerebrale rettiliana declinata in disorientamento, fuga, aggressività e sopravvivenza, all’interno della quale si manifestano saccheggi di viveri e dove mascherine e disinfettanti divengono oggetto di ricatto e speculazione. La reclusione domestica circoscrive gli spazi nei quali potersi muovere e riconverte i confini temporali. Ogni giorno appare uguale all’altro; tutto ciò sollecita aspetti psico-emotivi, affettivi e fisiologici della natura umana come la deflessione del tono dell’umore, l’ansia, i tratti fobico – ossessivo – evitanti con un sottofondo di angoscia che porta l’essere umano ad arginare pensieri parassiti nel tentativo di non dover essere costretto a sperimentare sensazioni o emozioni che potrebbero travolgere quelle paratie psichiche. Nei contesti di vulnerabilità sociale l’uomo si organizza nelle azioni collettive che riuniscono individui che agiscono insieme e costruiscono un'azione in qualche modo e in una certa misura. Direbbe Melucci: “non è un fenomeno empirico unitario, ma crea una specie di noi collettivi. Un essere insieme, in termini cognitivi, affettivi e relazionali, nella pluralità e nella costruzione costante”. Nasce, direbbe Freud, un legame affettivo di identificazione tra gli uomini, che a secondo dei quadri epistemologici, potrebbe essere giudicato irrazionale e de-individualizzante (Le Bon), o essere considerato come un rafforzamento dell'identità sociale collettiva e mobilitante (Reicher) che ha una funzione cognitiva ed emotiva in questo momento di crisi, alleviando la tensione, creando appartenenza, offrendo contenimento, proiettando stati mentali.
Rinunciando con sofferenza ai propri istinti e pulsioni, dice Freud, l’uomo fa nascere la civiltà, cioè lo sviluppo di atteggiamenti razionali e comportamenti collaborativi.
Francesco Corrao ha individuato nella funzione gun aspetto
specifico del pensiero di gruppo, nei processi di elaborazione dal non pensabile
al pensabile, come equivalente della funzione adi Bion per l’individuo.
La mentalità di gruppo, non può essere mai soppressa totalmente. Essa è difesa e mantenuta da ciò che Bion chiama, assunti di base, cioè stati mentali che mantengono inalterata nel tempo la vita emotiva primitiva.
Anche la società, in quanto gruppo, deve fare i conti con gli assunti di base. Il gruppo, come afferma Bion, agisce sia con gli stati mentali primitivi, sia con quelli più evoluti; è possibile cioè un’attività di alto livello intellettuale che non prescinde mai, dall’insieme delle emozioni basiche.
Ci destreggiamo tra due forze contrastanti: quelle coscienti che tendono a una operosità costruttiva e quelle inconsapevoli che la contrastano, dinamiche che ci espongono a inevitabili sentimenti di isolamento e di solitudine che, se tollerati, possono essere semi di nuove idee; pensiamo a tutte le campagne social attive, ai messaggi di condivisione dei pomeriggi balconati, alle poesie, ai video etc, che invadono il nostro quotidiano per affrontare il pericolo come gruppo e non come individui isolati. E’ la Koinonia di Corrao, concetto che accentua la qualità arricchente per gli individui di vivere una condizione in-comune, in una relazione tra vari soggetti “che mette insieme pensieri, emozioni. Anche se i picchi di adrenalina ci colpiscono e, sebbene una certa quantità di ansia sia normale, abbiamo bisogno di moderazione mentale”.
Ci saranno sempre persone troppo arrabbiate con il mondo per non aver salutato i propri cari ed amici, arrabbiati con l’establishment, con le politiche adottate, e con se stesse, ma la verità è che per ora sta tirando fuori il meglio. Per questo senza avere pretese messianiche o credere che la psicologia, psicoterapia, psichiatria salverà il mondo, sappiamo noi operatori psy che abbiamo la possibilità e la responsabilità di contribuire in modo che gli individui siano in grado di affrontare meglio le sfide che ci vengono presentate. Oggi le “catastrofi apocalittiche” non provengono da rivelazioni mistiche, il thanatos che porta all'abisso del nulla, ma dall’osservazione diretta della realtà.
Marisa: ….” Dottoressa, mi sento come quando andavo a confessarmi, io parlavo parlavo senza vedere il parroco, lui mi ascoltava, mi assolveva dai miei peccati ed io ero redenta… Sì, direi di poter paragonare questa nostra telefonata alle mie confessioni…”
Marina: (comunicazione telefonica) “… ho poca candeggina a casa, e alcol, alcol non ne ho, non trovo le mascherine, i guanti, la candeggina capisce, la candeggina. L’alcol, vabbè, sto usando tutte le bottiglie di liquore dry che ho a casa, in realtà una e se finisce…. ? Certo lei non può mica portarmi ste cose, anche perché anche lei non esce o esce? Ma se mi infetto, no non esco, anche se posso infilarmi sacchi di plastica e fare un salto in un supermercato. E se non trovo niente? Neanche sui siti online se ne trovano. Dottoressa lei come fa? Ha alcol, disinfettanti? Certo lei li avrà.. E se muoio. Ho difficoltà a respirare, sì penso di sì….. Tosse? No, non ho tosse. No, neanche febbre. Ma muoio, si sento che morirò”.
Marina sta vivendo una crisi di panico, è in continua auto-osservazione e in una situazione di allerta costante prima della comparsa di qualsiasi sintomo fisico. In molte occasioni, la paura di esperire qualsiasi sensazione fisica che possa essere interpretata come malattia, provoca l'attivazione dei sintomi di ansia e somatizzazioni che causano angoscia. Si entra in un circolo vizioso in cui la paura della malattia produce sensazioni fisiche che, a loro volta, vengono decodificate come malattia. Stiamo esperendo, parafrasando De Martino un’apocalisse culturale e sperimentando la minaccia del “non è possibile”. Risulta difficile rispondere a situazioni limite imposte, in un mondo indecifrabile che sta perdendo i parametri di riferimento, un mondo che mette in pericolo la <<presenza>> facendosi dominare dall’angoscia che coincide con la scoperta della gravità della vita. Scriveva Camus «il bacillo della peste non muore né scompare mai…», la peste non costituisce simbolicamente solo il male, ma fa anche riferimento a qualcosa che non potrà mai essere sconfitto e debellato del tutto, esisterà sempre, forse perché connaturata all’esistenza umana. La nostra peste moderna si chiama Covid-19 e ci sta facendo subodorare il precipizio a cui si sporgono le nostre serene e pacifiche esistenze; un festival di angoscia condito di difese fobiche, ossessive ed evitanti che trova unica soluzione nell’isolamento sociale, trasformando anche gli atti più semplici e banali come ostativi; dove il labile afflato di libertà si può anelare solo dopo costanti e perseveranti abluzioni.
Viviamo un vero e proprio inquinamento psichico, un’infestazione dello spazio mentale che sta riducendo e trasformando la capacità di critica e giudizio e nei casi estremi (sta) neutralizzando anche il buonsenso. A tratti affiora una configurazione emergenziale di una modalità cerebrale rettiliana declinata in disorientamento, fuga, aggressività e sopravvivenza, all’interno della quale si manifestano saccheggi di viveri e dove mascherine e disinfettanti divengono oggetto di ricatto e speculazione. La reclusione domestica circoscrive gli spazi nei quali potersi muovere e riconverte i confini temporali. Ogni giorno appare uguale all’altro; tutto ciò sollecita aspetti psico-emotivi, affettivi e fisiologici della natura umana come la deflessione del tono dell’umore, l’ansia, i tratti fobico – ossessivo – evitanti con un sottofondo di angoscia che porta l’essere umano ad arginare pensieri parassiti nel tentativo di non dover essere costretto a sperimentare sensazioni o emozioni che potrebbero travolgere quelle paratie psichiche. Nei contesti di vulnerabilità sociale l’uomo si organizza nelle azioni collettive che riuniscono individui che agiscono insieme e costruiscono un'azione in qualche modo e in una certa misura. Direbbe Melucci: “non è un fenomeno empirico unitario, ma crea una specie di noi collettivi. Un essere insieme, in termini cognitivi, affettivi e relazionali, nella pluralità e nella costruzione costante”. Nasce, direbbe Freud, un legame affettivo di identificazione tra gli uomini, che a secondo dei quadri epistemologici, potrebbe essere giudicato irrazionale e de-individualizzante (Le Bon), o essere considerato come un rafforzamento dell'identità sociale collettiva e mobilitante (Reicher) che ha una funzione cognitiva ed emotiva in questo momento di crisi, alleviando la tensione, creando appartenenza, offrendo contenimento, proiettando stati mentali.
Rinunciando con sofferenza ai propri istinti e pulsioni, dice Freud, l’uomo fa nascere la civiltà, cioè lo sviluppo di atteggiamenti razionali e comportamenti collaborativi.
Francesco Corrao ha individuato nella funzione gun aspetto
specifico del pensiero di gruppo, nei processi di elaborazione dal non pensabile
al pensabile, come equivalente della funzione adi Bion per l’individuo.
La mentalità di gruppo, non può essere mai soppressa totalmente. Essa è difesa e mantenuta da ciò che Bion chiama, assunti di base, cioè stati mentali che mantengono inalterata nel tempo la vita emotiva primitiva.
Anche la società, in quanto gruppo, deve fare i conti con gli assunti di base. Il gruppo, come afferma Bion, agisce sia con gli stati mentali primitivi, sia con quelli più evoluti; è possibile cioè un’attività di alto livello intellettuale che non prescinde mai, dall’insieme delle emozioni basiche.
Ci destreggiamo tra due forze contrastanti: quelle coscienti che tendono a una operosità costruttiva e quelle inconsapevoli che la contrastano, dinamiche che ci espongono a inevitabili sentimenti di isolamento e di solitudine che, se tollerati, possono essere semi di nuove idee; pensiamo a tutte le campagne social attive, ai messaggi di condivisione dei pomeriggi balconati, alle poesie, ai video etc, che invadono il nostro quotidiano per affrontare il pericolo come gruppo e non come individui isolati. E’ la Koinonia di Corrao, concetto che accentua la qualità arricchente per gli individui di vivere una condizione in-comune, in una relazione tra vari soggetti “che mette insieme pensieri, emozioni. Anche se i picchi di adrenalina ci colpiscono e, sebbene una certa quantità di ansia sia normale, abbiamo bisogno di moderazione mentale”.
Ci saranno sempre persone troppo arrabbiate con il mondo per non aver salutato i propri cari ed amici, arrabbiati con l’establishment, con le politiche adottate, e con se stesse, ma la verità è che per ora sta tirando fuori il meglio. Per questo senza avere pretese messianiche o credere che la psicologia, psicoterapia, psichiatria salverà il mondo, sappiamo noi operatori psy che abbiamo la possibilità e la responsabilità di contribuire in modo che gli individui siano in grado di affrontare meglio le sfide che ci vengono presentate. Oggi le “catastrofi apocalittiche” non provengono da rivelazioni mistiche, il thanatos che porta all'abisso del nulla, ma dall’osservazione diretta della realtà.
Marisa: ….” Dottoressa, mi sento come quando andavo a confessarmi, io parlavo parlavo senza vedere il parroco, lui mi ascoltava, mi assolveva dai miei peccati ed io ero redenta… Sì, direi di poter paragonare questa nostra telefonata alle mie confessioni…”
“ <Checos’è un rito?> – chiese il Piccolo Principe. <E’ quello che fa un giorno diverso
dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore> – rispose la volpe. Ecco, il rito marca
una differenza nel normale fluire del tempo e schiude al quotidiano la possibilità
del cambiamento di scena; è un’azione riflessiva che tende sempre ad
attualizzare le circostanze e le contingenze storiche, e che opera destrutturando e ristrutturando il quotidiano” (p.25)
Bibliografia
Bion, W., R. (2001). Trasformazioni. Il passaggio dall’apprendimento alla crescita. Armando, Roma.
Corrao, F. (1998). Orme. Raffaello Cortina, Milano
De Martino, L. , De Martino E. (1997). Rituali della memoria. Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche. Argo, Lecce.
Freud, S. (1929). Il disagio della civiltà. Bollati Boringhieri, Torino.
Le Bon , G. (1993). Psicologia delle folle. Longanesi, Milano.
Melucci, A. (2000). Diventare persone. Conflitti e nuova cittadinanza nella società planetaria. EGA, Torino.
Reicher S., D., Haslam, A. S., Platow m., J., (2013). Psicologia del leader. Identità, influenza e potere. Il Mulino, Bologna.
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