TEMPO DI LETTURA 4 MINUTI
La principale consolazione che possiamo offrire ai nostri pazienti, persino in tempo di quarantena, è un’intima connessione con qualcuno che rinunci alle distorsioni difensive di una terrificante, dolorosa realtà. Tale prestazione non si avvicina minimante alle nostre fantasie sull’essere salvatori onnipotenti, ma è di certo una cosa preziosa.
Nancy Mc William
Ho una piaga da cuffia, le corde vocali annodate in un groppo. Parlare ed ascoltare online produce strani sintomi.
Ma c’è altro, tanto altro.
La domanda che mi scoppia in gola è questa : cosa rende un atto autentico vero per me e l’altro?
Come faccio a sapere che ciò che dici e fai sia vero per me, soltanto per me?
“Lo deve fare solo perché è il suo mestiere”, mi dice la paziente.
Come se l’amore per il benessere dell’altro fosse solo tecnica.
“È contenta della sua onnipotenza?”
`Penso: “non riesce a credere neanche di fronte ad un atto”.
Pensarti.
Pensai alla mia analisi, rischiai letteralmente la vita per il mio analista, attraversai una bufera di neve e fui quasi schiacciata da due tir.
Anni dopo, una sera dopo 12 ore di lavoro, presi la macchina per essere accanto al mio amore.
Credere, crederti, credermi, come faccio?
Quando lancio il rocchetto, non torna indietro.
Qualcuno lo ha trattenuto.
Non si può credere sulla parola finchè non c’è atto di ritorno.
Ci vogliono prove.
Quante prove devo darti amore mio perché tu possa fidarti di me?
Continuità dell’esserci, ma anche discontinuità. Interruzione. Ritorno. Ci sei se ti lascio e verifico la tua Presenza.
Sono uscita dal cancello stanca ma felice di averti ripreso per i capelli, stanca come tutti.
Noi non siamo onnipotenti.
Parlo con chi mi sente.
Sono uscita da quel cancello oggi e abbiamo fatto l’esperienza del due.
Torno a casa e rifaccio l’esperienza del due.
Essere compagni è qualcosa di straordinario si divide il peso, sensazione dell’alleggerimento che fa tirare il fiato.
Le corde vocali si slegano. Le abbiamo slegate. Ho detto ciò che pensavo. Liberamente.
Questa è la psicoanalisi.
Colpe, sbagli, desideri, paure. E se avessi sbagliato tutto di lui.
Gli ho scritto, non mi ha risposto.
Non mi risponde più.
“Ma lei lo ha tenuto, Dottoressa.”
L’ho tenuto fino alla fine, anche se non poteva sentirmi fino in fondo. E sono arrabbiata, ma non ho mai mollato, perché chi ama non può.
Ma senza prova è difficile, senza uno straccio di prova si ha la sensazione di un viaggio a vuoto in solitaria.
“Grazie Dottore, ci vediamo tra 15 giorni.”
Sto meglio e penso al piacere fortissimo dell’aver diviso questo dire con lei, penso al piacere della sua compagnia. E non posso farne a meno di un compagno.
E lascio andare tutti quelli che non si fanno sentire abbastanza per me. Mi libero. L’intermittenza ha bisogno di una dose di sana aggressività per ricordare chi siamo.
Mi siedo, chiacchiero con lo schermo e come magia la prova della mia continuità e costanza appare sullo schermo.
Una mail di risposta alle mie innumerevoli domande sempre le stesse: come sta? Come stai? Domande che vorrei fossero rivolte anche a me.
La prova dice: “sei rimasta”.
Dopo che ti ho rifiutato per mesi , dopo che ti ho sbranato, divorato io ti ho ritrovata, siamo ancora amici. Ora solo posso credere veramente a quello che ho sentito. Sono riuscita a varcare la soglia il limite della tua sordità ma ho rischiato la mia vita per te. ALCESTI .
“No, non è onnipotenza è orecchio fino” penso tra me e me rispondendo alla mia paziente.
So quello che vorrei fosse stato fatto a me, quello che sarebbe servito allora per credere a ciò che non è tornato indietro.
Mi venne in mente il tuo stratagemma : “domani saremo solo io e lei non lo dica a nessuno.”
Solo per lei.
Feci il viaggio terrorizzata e poi in sala d’attesa altri. Mi cadde la faccia.
La tecnica fa acqua quando è boutade, non pensata con amore. Uscì con il senso di falsità dell’atto. Non era autentico, pensato.
Autentico, fatto apposta per me.
Si è disposti a morire per l’altro.
Potrebbe essere onnipotenza ma Dio è solo, io no.
In un giorno anzi in circa tre ore tre inconsci si incrociano , analista uno, analista due , analista tre, paziente uno , paziente due, paziente tre.
“quello che fa per me è vero o falso?” è la domanda della mia paziente .
La non risposta del mio analista.
Brescia Milano Venezia. Tutto scorre.
Messaggi di ritorno con emivita di qualche ora, già perché il segnale prima di consolidarsi ha bisogno di innumerevoli prove.
Ci si accontenta, oggi. Sono contenta.
So che il tempo moltiplicato alla continuità e sommato alla discontinuità produrrà la possibilità di sentire come vera per sé la presenza dell’altro.
Un lavoro lungo, faticoso ma non impossibile.
Far nascere la tua presenza è un atto di resistenza alla tua morte.
Se nei tuoi 18 anni qualcuno ti avesse sentito, ti avesse ascoltato, ti avesse dato un ritorno della tua effettiva esistenza ora saresti nucleo senza crosta, avresti potuto essere ciò che sognavi.
Ma la cura è fatta di incontro giusto al momento giusto, fortuna.
I fortunati amanti mi scrissi.
Per Piegare il destino devi urlare il disgusto incarnando la paura.
La mascherina imbavaglia la rabbia.
Giace nelle case assordanti il silenzio.
Il persecutore interno, la parte che non ti permette di essere libero si allea con il virus .
Si può fare a meno degli altri, posso fare a meno di te.
Se parlo ti uccido, il ritmo delle mia parole sono proiettili, raffiche.
Basti a te stesso, illusione difensiva.
Un dialogo allo specchio dove conta solo la sopravvivenza.
Devo farcela se no la testa mi uccide.
Troppo sole disorienta, rischi di perderti nel labirinto.
Non si può uscirne soli.
La cura è poter dire tutto quello che viene in mente e poter sentire che non scompari davanti alle tue parole con la garanzia di ritrovarmi.
Farai un patto con i tuoi sensi. Con il tuo occhio non vedrai alcun male. Con il tuo orecchio non udrai alcun male. Con la tua lingua non dirai alcun male. Con le tue mani non commetterai alcun male.
ABBI CURA
Raymond Carver
Dalla finestra la vedo chinarsi sulle rose
reggendole vicino al fiore per non
pungersi le dita. Con l'altra mano taglia, si ferma e
poi taglia ancora, più sola al mondo
di quanto mi sia mai reso conto.
Non alzerà lo sguardo, non subito.
È sola con le rose e con qualcosa che riesco solo a pensare, ma non a dire.
So bene come si chiamano quei cespugli regalatici per le nostre nozze tardive:
Ama, Onora e Abbi Cura…
è quest'ultima la rosa che all'improvviso mi porge, dopo
essere entrata in casa tra uno sguardo e l'altro.
Ci affondo il naso, ne aspiro la dolcezza, lascio che mi s'attacchi addosso – profumo di promessa, di tesoro.
Le prendo il polso perché mi venga più vicina, i suoi occhi verdi come muschio di fiume. E poi la chiamo, contro quel che avverrà:
moglie, finché posso, finché il mio respiro, un petalo affannato dietro l'altro, riesce ancora a raggiungerla.
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