COVID-19: Riflessioni e suggestioni gruppali sulla relazione terapeutica da remoto

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22 aprile, 2020 - 13:47
Premessa
 
La globalizzazione economica e  la devastante  crisi ecologica a livello planetario, hanno  mostrato,  con l'attuale pandemia in atto, il loro  lato oscuro e  impensabile nei suoi effetti catastrofici , attivando  difese collettive e immunitarie ( Esposito, 2002 ) quali :  l'angoscia per l'estraneo, chiusura dei confini,  e ricerca del capro espiatorio.      
La  vulnerabilità e la  mortalità pandemica connessa al COVID 19, insieme ai  falliti meccanismi collettivi di negazione, minimizzazione, esorcizzazione magico-scaramantica ,  hanno  invaso il campo emotivo, individuale,  gruppale e sociale con un effetto di riverbero e amplificazione di  potenti angosce mortifere.
I cosiddetti Garanti Metapsichici (Kaes, 2008) sono stati  rivalutati  : il Nomos ( incarnato nelle Forze dell'Ordine, Apparati Statali, Ministero della Salute)  si declina con leggi forti, rigorose; mai tanti decreti sono stati emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri in  così poco tempo.  La ricostituzione del Nomos ( nel corpo del capo dello stato, etc..)  rinforza un vertice affettivo  paterno/genitoriale   (Fornari, 1976)  che  su principi rigidi normativo-proibitivi, si pone come salvaguardia della sopravvivenza e coesione  del gruppo/nazione che si compatta. Il gruppo/nazione che si addensa così  su  assunti di base sia  dipendenti (da figure genitoriali protettive)  che di attacco/fuga  (Bion,1961)  nei confronti di  un persecutore esterno minaccioso, potenzialmente mortale/mortifero nella speranza messianica della liberazione dal morbo.
Bion sottolinea  come elemento rappresentativo  la  connotazione o qualità degli stati emotivi (ad es. ansia, paura, amore) diversa a seconda dell'assunto di base attivo: «le modificazioni che presentano i vari sentimenti, variamente combinati nell'uno o nell'altro assunto di base, possono dipendere per così dire dal cemento che li unisce e che è costituito dalla colpa e dalla depressione nel gruppo di dipendenza, dalla speranza messianica nel gruppo di accoppiamento, dall'ira e dall'odio nel gruppo di attacco e fuga» (W. R. Bion, 1961, p. 176).
 Nell'attuale  contesto sociale di emergenza virale al sottogruppo di specializzati  Psichiatri e Psicologi è stato demandato il compito,  ipso facto, di contenere ed elaborare il trauma dell'impensato ; la richiesta di bonificare il campo del disturbo  emotivo- reattivo ( a livello individuale e gruppale) corre  il pericolo di rendere opaco il confine sottile, ma dirimente, tra conoscere e risolvere un problema sanitario e affrontare ed eliminare il disagio emotivo.  
Riflessioni e suggetioni gruppali
Gli estensori del presente lavoro sono  operatori sanitari della salute mentale, con una formazione specialistica sul lavoro analitico individuale e  di gruppo,  che operano nel Sistema Sanitario Nazionale.  Inoltre, sono  membri di  in un  gruppo di lavoro  supervisione/ intervisione tra colleghi, che esiste  da circa 6 anni. La presente riflessione  nasce  e prende spunto da una supervisione/intervisione di gruppo realizzato attraverso la piattaforma Skype in cui  si è discusso , a partire da una traccia scritta  di uno dei  componenti, sul tema  del  lavoro terapeutico svolto  in remoto nell'attuale   fase emergenziale. Una fase emergenziale in cui si è azzerata la socialità quotidiana (come il bere un caffè con i colleghi o fare una cena con gli amici) e riti comunitari/passaggi esistenziali e familiari quali funerali e matrimoni sono parzialmente amputati se non addirittura vietati.
Il lavoro di riflessione in gruppo ci ha  consentito un' analisi  plurale e  multiprospettica  delle risorse e dei limiti connessi alla variazione del setting nel lavoro da remoto con i nostri pazienti. Questo perché   il piccolo gruppo dei colleghi funziona  come un osservatorio speciale, una sorta di psicoscopio ( Cusin, Comunicazione Personale, 2020) dei cambiamenti sociali e del modo di relazionarsi; un  luogo privilegiato in cui  osservare gli intrecci e le connessioni tra la clinica e il mondo  della famiglia e la  società e su come l' intrapsichico, il transgenerazionale   interagiscano con i fantasmi del passato e le paure del presente e del  futuro. Non solo, il piccolo gruppo è un luogo in cui il rapporto tra famiglia e gruppo sembra oscillare come quello tra figura e sfondo, per cui la famiglia è ora contenitore protettivo, ora gruppo “mostruoso".  
 Il lavoro di gruppo è risultato particolarmente utile in questo attuale contesto, dove  l'analista e il paziente sono entrambi chiamati a vivere un momento di incertezza e di ansia : questo cambia l'orizzonte del trauma che diventa un trauma condiviso e vissuto da entrambi i componenti della coppia terapeutica. Inoltre, il virus ci porta a confrontarci con la mortalità e la finitezza : queste sono istante psichiche molto profonde e potenti che richiedono di essere accolte, ridimensionate al fine di essere   ristabilite all'interno  una cornice di senso in cui rendere  pensabile l'impensabile. Seppur, Il senso in un momento così delicato è ancor più difficile da definire. Il terapeuta è, per questo, chiamato ancora più oggi a svolgere un  duplice lavoro di cura di sé, tollerando le difficoltà lavorative  del momento attuale, e   mostrandosi autentico   e in contatto  con la propria fallibilità e umanità.
 
Osservazioni di teoria e tecnica.  
 
La scelta condivisa tra il paziente ed analista di mantenere e nel contempo contaminare lo spazio,   interpersonale, intersoggettivo, con l'utilizzo di mezzi informatici, per esempio anche in analisi già avviate da molti anni,  diviene  nell’attualità, paradossalmente, il solo garante di continuazione della relazione analitica.
La prosecuzione del legame analitico  per via telematica  diventa esperienza forzata e, ineludibile, rispetto alla scelta  di sospendere o interrompere in modo traumatico un’esperienza, per molti pazienti  trofica e vivificante sia  in termini di  sicurezza, di ambiente protettivo  ed accudimento (per riprendere Winnicott), sia  di attaccamento sicuro, o di  contenitore / contenuto  per accedere alla propria verità emotiva (Bion) .                        
Telefono, Skype, videochiamata Whatsapp o piattaforme similari, concretizzano una sorta di “esperienza transizionale” dove l’oggetto transazionale viene co-creato e rimodulato  mediante un’accettazione della separatezza, dell’impossibilità dell’incontro fisico.
 Questo frangente  relazionale può essere occasione  per   sperimentare ed elaborare  nella relazione analitica , complice un esame di realtà ineludibile e intrusivo, pregresse  esperienze traumatiche  di separazione forzata e  di distanziamento corporeo.
Focalizzeremo ora  “didatticamente”   la  riflessione sulla relazione analitica, dove  l’infranto  e  l’inedito del  nuovo setting modulano un’ esperienza  analitica che produce una  oscillazione   tra una  dimensione di “sogno ad occhi aperti”,  di “dreaming ensamble” di  Grotstein (2007), e di forzata realtà concreta. Il concetto stesso  di relazione analitica come “alta specializzazione di gioco” e via  per  l'accesso alla simbolizzazione,  subisce  un processo di distorsione.
Si analizzeranno  le invarianti e le variazioni che il  processo terapeutico da remoto innesca con differenti pazienti.
Noi siamo consapevoli che le nostre valutazioni sono parziali e limitate; ma proprio per questo ci interessa interrogarci  sulle possibili  variazioni   teoriche   e tecniche  nel lavoro clinico coi nostri pazienti.    Per  entrare nel vivo  di  tali questioni riportiamo una tranche delle nostre riflessioni in gruppo :
Collega analista: “Mi viene in mente un contenuto espresso durante un seminario sul  traumala mente   è in una continua ricerca di eventi e situazioni in grado di poter rappresentare e digerire le  situazioni del mondo interno. Quindi ogni evento esterno è sempre non ha importanza di per sé  ma sempre qualcosa, come direbbe Ferro,  che deve essere utilizzato per rappresentare le proprie angosce, preoccupazioni, conflitti interni. (….)." Un altro partecipante al gruppo osserva :  "Per capire e comprendere  quanto il contesto della realtà sociale attuale sia incluso in noi, e noi inclusi in esso, abbiamo bisogno di una visione binoculare in cui far dialogare   intrapsichico ed intersoggettivo per mettere in risalto la pregnanza del gruppale, e della soggettività condivisa (trans-soggettività); questo non comporta l'abbandonare le classiche interpretazioni transferali sul passato inconscio infantile: si tratta invece di dare più spazio e  consistenza  al presente, alle attuali condivisioni socio-culturali preconsce."  Un altro collega, infatti, sottolinea  : "come sia difficile nel lavoro da remoto  fare lutto della realtà per permettere all'analista   di tener conto degli aspetti preverbali, semiotici, e poetici nella comunicazione con il paziente"
Dopo questa digressione teorica  gruppale ritorniamo nella  “stanza”  dell’analisi virtuale, dove due persone o un gruppo terapeutico  non si parlano più in una stessa stanza ma all'interno uno spazio mentale condiviso e  complesso come quello offerto da un “dispositivo” che rimanda al cyberspazio. Uno spazio esteso a n dimensioni un cyberspazio, quindi, che a  che fare con una diversa definizione matematica di spazio (topologico ), oggi sinonimo di mondo digitale rappresentato dalla “rete”, che permette la comunicazione e interazione computer-mediata. Cyberspazio come “contenitore” e VR come “contenuto” di oggetti virtuali. Immagini reali attraverso percezione retinica e tradotti in linguaggio biologico e biochimico; immagini virtuali, e percezioni in relazione a “rappresentazioni” di oggetti reali.                                                                                                                                          
Le “due" o più stanze/luoghi dell’incontro analitico virtuale, come influenzano ad esempio la creazione o  risceneggiatura  del “casting” (Ferro, 2014) per innescare processi trasformativi nel paziente? Vi è, per esempio, una sorta di intrusività connessa all’entrare nelle stanze dei pazienti o consentire per chi non fa sedute in studio al momento, un ingresso nel proprio mondo come es. stanza di casa: come mantenere una dimensione di “astinenza”/neutralità”? Un elemento perturbante soprattutto per il terapeuta, proprio nell’accezione di Unheimlich Freudiano, deriva dall’iniziale perdita dell’asimmetria che fonda il dispositivo analitico. E’ una perdita verticale in questo periodo, non una scelta per alcuni trattamenti. Come sottolineato da una collega all'interno del nostro gruppo:   “ ... Altre volte mi sono soffermata a chiedermi se il più significativo cambiamento non fosse nel setting ma nella condizione di “simmetria” in seduta, (già il mio entrare nella casa dei pz) là dove il vissuto di entrambi, analista e pz, consista nel vivere le stesse paure ed incertezze, nella condivisione a livello concreto e profondo di quanto sta succedendo nella realtà sociale in cui siamo immersi tutti ".
Un altro collega riporta che  : “ I miei pazienti abituati al lettino da remoto preferiscono la telefonata invece della videochiamata. La sentono meno intrusiva, più rispettosa”.
Quando la seduta non avviene invece per motivi contingenti, nello studio del terapeuta, ma ad esempio in uno studio dell’istituzione dove lavoriamo, o a casa, come influisce questa variazione di setting sullo stato mentale del terapeuta/analista? Come si mantiene il “lutto della realtà” in questo setting forzatamente ridefinito per entrambi.                                                                                                         
 Utilizzare una Videochiamata Whatsapp o Skype ad esempio (come piattaforme note) implica la ridefinizione in parte dei termini del contratto terapeutico:  può emergere  la necessità  di affrontare i dubbi e l'eventuale  scetticismo del paziente nei confronti del mezzo  che spesso sono risolti perché prevale il bisogno di continuità degli incontri  nella maggior parte dei casi.  E’ un bisogno anche per il terapeuta di mantenere vivo sé  stesso,  le sue funzioni e prerogative  terapeutiche  attraverso  il legame con il paziente, rinforzando la sua  identità individuale sociale in primis, che viene alla ribalta in questo momento attuale, nel quale siamo colonizzati da angosce di morte, da estrema vulnerabilità, dalla perdita delle certezze professionali  e pesanti limitazioni  rispetto ad investimenti libidici, ludici e relazionali. 
Ecco un esempio clinico di tali considerazioni :
" Dottore la seduta telefonica di ieri mi è servita a  rielaborare le informazioni drammatiche  lette sui giornali. Quando esco di casa, le rarissime volte, visto che sono chiusa nella mia tana/monolocale da oltre un mese mi predispongo a vivere le emozioni e lo scambio con l'altro. Ma lo scambio con l'altro ha i suoi rischi, tra cui quello del contagio.  Certo lo so che contagio  può essere anche della paura, oltre che delle emozioni negative (…). Per fortuna  la nostra  terapia la stiamo continuando  con WhatsApp "  
 Diversi pazienti, invece, legittimamente decidono, in questa fase emergenziale,di non  continuare  la terapia con il terapeuta  perché non riescono a tollerare l'assenza  del rapporto di  scambio intercorporeo nel  "setting virtuale".
La nostra epoca, che  molti indicano come post-moderna e che oggi alcuni preferiscono individuare come “iperstoria”, ci sta avviando rapidamente verso un mondo immateriale “denominata  infosfera”   che non conosciamo in tutte le su potenzialità e limiti,  un mondo in cui le tecnologie interagiscono con altre tecnologie, rendendo l’essere umano sempre più marginale e meno partecipe dei processi (Floridi, 2104).  Il mondo reale off-line e il mondo virtuale on-line tendono a fondersi e confondersi. Il risultato è la cosiddetta interrealtà, in cui il mondo digitale influenza quello reale e viceversa, basti pensare al fenomeno del tagging, etichettare, una persona, anche se lei non lo vuole.                                                                                             
Eppure, questa stessa dimensione relazionale  e multisensoriale razionalmente e consensualmente  alterata, protegge ora, nella seduta analitica/psicoterapeutica per talune tipologie di pazienti  dalla paura della vicinanza fisica dell’altro familiare, a cui affidarsi, venire confortato, vivere emozioni , ma potenzialmente contagioso: quindi da fantasie di un  amore/legame  potenzialmente letale.  Un lavoro es. con Skype (anche se già presente da tempo come alternativa) potrebbe rappresentare in questo contesto straordinario una simmetrica stra-ordinaria possibilità di altre vie comunicative. Dove paradossalmente si può   dare  voce e spazio alle emozioni invisibili  del paziente  non trasformate, emozioni beta,  in emozioni alfa.  In cui   le trasformazioni K in O (Bion, 2009)  possono.  In altri termini, in questa fase emergenziale  si tratta di mantenere  un lavoro clinico integrato e non scisso;  sostare in una sorta di paranoia costruttiva (Jared Diamond, 2020) rispetto al mondo esterno per sopravvivere sul piano intrapsichico e tollerare l'incertezza della condizione umana terribilmente fragile, incerta e cosi dipendente dal contesto socio/ambientale.
 Avvertiamo e constatiamo nell'attualità  più in generale una  spinta ad alternative  di  gruppalità che rinforza/riplasma l’individualità e le relazioni di coppia/famiglia forzatamente “adesive”: nascono o si amplificano i luoghi virtuali, nei quali ritrovarsi in gruppo non solo come fenomeno dei millenials: vedi House party come esempio “contagioso” che dall’America sta rapidissimamente monopolizzando l’Europa, l’Italia ne è un epifenomeno.                                                                                                               Con queste notazioni  sociologiche  vogliamo affermare  che la relazione ed il setting analitico “virtuale”(ma anche psicoterapeutico in senso lato), deve consentire di preservare uno spazio dove sia possibile sognare insieme, sperimentare l’illusione del gioco co-creativo, dove la “piattaforma” scelta potrebbe favorire le funzioni di “barriera di contatto” Bioniana: preservandola da intrusive angosce o sentimenti contrastanti  connessi alla   vicinanza prossimale  con l’altro come possibile fonte di contagio.                                                                                                                                                                                       Una riflessione  concerne la constatazione ( anche se attesa) di  quale tipologia di soggetti in questo periodo abbia rinunciato/possa rinunciare  allo spazio terapeutico continuativo, esponendosi  all’esperienza ( o riedizione di memorie traumatiche esplicite o implicite) del lutto traumatico. Come riportato da un collega del nostro gruppo,  alcuni  soggetti non tollerano l’assenza fisica dell’altro, lo sguardo, la prosodia, anche naturalmente il “controllo” e la possessività  patologica nella relazione con l’altro, trattato come oggetto parziale.    La  lente di osservazione   sono  stati, inoltre, due pazienti  presentati in gruppo da un collega,  che presentavano una particolare  organizzazione personologica  : entrambi i soggetti  sono in fase di terapia analitica non avanzata, con prevalente Disturbo Narcisistico di Personalità, nello Spettro narcisistico compreso tra Tratti Nevrotici e Disturbo antisociale di Personalità.                                                                                                                                             Uno dei due con Complex PTSD.                                                                                                                                                              Riconoscendo nella  grandiosità narcisistica (associata ad una rappresentazione del Sé come inadeguato, timoroso e sensibile al rifiuto ed all’umiliazione)  una struttura difensiva che cerca di protegge il Sé da un’insicurezza di fondo. Ipotizzato un Sé vulnerabile sia  in termini di stili di attaccamento, sia da sviluppo di un Sé difensivo grandioso.  In questi due pazienti, nei quali l’altro (terapeuta) esisteva prevalentemente in funzione della gratificazione del sé ( angoscia correlata alla fase (Mahler …) di riavvicinamento, in cui una rappresentazione mentale della prima differenziazione tra sé e l’altro inizia ad avere luogo ), la brusca esperienza della separatezza, poteva  avere rinforzato il bisogno di mantenere la sicurezza di auto mantenimento onnipotente attraverso il controllare, piuttosto che internalizzare la realtà esterna. Riprendendo tra i vari contributi alla Teoria del Trauma, quello di Fairbairn (…), si è  ipotizzato che una interruzione brusca delle sedute vis a vis,  potesse  evocare una riedizione di oggetti cattivi interiorizzati derivanti da traumi ed abuso ed una vergogna: la relazione con un oggetto cattivo è sentita non solo come intollerabile, ma anche come vergognosa. Il collega ha chiamato  telefonicamente entrambi dopo una decina di giorni, per rassicurarli sulla sua  presenza viva  ( non mi avete ucciso, non sono arrabbiato con voi..), con brevi accenni alla storia in comune, lasciando loro  sulla possibilità di chiamarlo , o di sentirsi più avanti. Entrambi hanno apprezzato.
Questi esempi, pertanto, rimandano ad un tema di fondo: come si riformula la domanda di aiuto,  per chi è in analisi/psicoterapia? Cosa sottende poi  una richiesta di aiuto psicoterapico in questo periodo dal 9 Marzo 2020  in avanti? Una domanda di spazio “psicologico”, fatta on-line, per disposizioni sanitario-ministeriali che rendono indisponibile una valutazione diretta, se non per urgenza indifferibile, cosa comporta? Esempi addotti da colleghi, di soggetti che hanno istaurato un sostegno psicologico on line, riportano una rapida (entro un mese, o meno) apparente “risoluzione “ della richiesta da parte del paziente e chiusura del rapporto “terapeutico”.  La costruzione dell’Alleanza terapeutica  viene fortemente sollecitata e resa complicata dal mezzo: l’assenza forzata ed in tempi rapidi della corporeità condivisa, della multisensorialità, che rimanda ad esempio, al concetto di “incarnazione”, di “embodiment”,  presuppone l’idea che la mente sia intrinsecamente plasmata dalle sue connessioni con il corpo  deve essere oggetto di elaborazione  nel lavoro clinico da remoto. Già Matte Blanco (1975) scriveva : ”possiamo (..) postulare che quando vi è un fenomeno mentale vi è , all’interno dell’unità psico-fisica,un “corrispondente “fenomeno fisico, in intima connessione con il primo, ma non necessariamente uguale…” .
Nella  domanda di aiuto è sottesa la motivazione :accezione presa dal tardo latino motivu(m)  “che può muoversi, mobile ”derivazione di motus, participio passato di movire . Espressione dei motivi che inducono un individuo ad una determinata azione. Sander (2005-2006) parla di “motivazione alla coerenza ”data dall’auto-organizzarsi del sistema e la motivazione alla dinamicità. Il sistema Io-soggetto è in equilibrio complesso tra il mantenere una struttura ed una organizzazione (coerenza)   e la dinamicità/ flessibilità.  Damasio (1999) sottolinea che il Sé è uno stato biologico continuamente ricostruito da mappature “stabili" ma anche “dinamiche”. I due assi motivazionali si intrecciano densamente: coerenza-dinamicità ed auto-etero-organizzazione. Il sistema di cui parliamo riguarda però entrambi, paziente ed analista.   Nuove interazioni, tanta angoscia. Ci porta a trovarci come  in autostrada con la scritta “lavori in corso”: in vista di aumento di una corsia e nuova uscita per rendere più scorrevole il traffico, comporta il trovarci bloccati ora su una corsia. L’evoluzione verso una nuova organizzazione produce un’instabilità, una sofferenza di sistema che non deve essere elusa.
Come Debussy pensava che la musica fosse lo spazio tra le note, così la psicoterapia è la “musica del terzo analitico intersoggettivo” (Ogden 1999), è la relazione tra due sistemi. In questa logica ricordiamo sempre che  la tecnica ( il setting come fondamento) deve essere al servizio della relazione, del processo terapeutico, mai il contrario.
Così Bion durante i Seminari Italiani, sottolineava che la teoria non dovrebbe mai essere privilegiata rispetto all’osservazione diretta; i pazienti non arrivano perché ”soffrono di una teoria che stanno prendendo in considerazione” (Gabbard 2007), e che “..il maggiore aiuto che l’analista può ricevere ..(..) è dal suo paziente" (Bion 2005) che deve diventare capace di soffrire il dolore.
Abbiamo  trovato utile riprendere la teoria (e clinica ) dei “sistemi dinamici complessi” (Boncinelli, Fiorita, 2011, 2014) dove il concetto di “non-linearità”, di logica non-lineare significa in terapia  porsi in condizione di dubbio, incertezza che rimanda alla  complessità e multifattorialità sia  del processo analitico che  dei suoi esiti terapeutici.
 
Altre   riflessioni  da vignette cliniche:
1) Una paziente con analisi avanzata,  disturbo borderline di personalità e tratti autistici, vista normalmente sulla chaise-longue bisettimanalmente: la scelta del Telefono, per  mantenere l’assenza di contatto visivo. La poltrona usata in casa (rare volte mantengo lo spazio degli studi, per esigenze istituzionali attuali) non è comoda come quella dello studio; a tratti utilizzando il Telefono, lo lascio in viva voce o mi sposto per la stanza, ma ciò non altera l’assetto analitico; semmai, amplifica una partecipazione sospesa, fluttuante,  una condizione ancora più astinente e simmetrica a quella della paziente, non potendola vedere come abitualmente  dietro la chaise-longue. Anche l’astensione completa dal prendere qualche appunto, una traccia, ha l’effetto di un diverso modo  di concentrarsi sull’ ”ascolto dell’ascolto” (Faymberg). Un altro effetto a tratti  notato: più immediatezza nel comprendere quando un’interpretazione è precoce, non tempestiva , nonostante diverse chiarificazioni e confrontazioni, divenendo una sorta di intellettualizzazione che rinforza i meccanismi di difesa della donna. La ristrutturazione del significato di rappresentazioni traumatiche (sovente di memoria implicita,  disaggregate dal registro simbolico e dagli altri stati del Sé) attraverso l’esperienza analitica, può avvenire attraverso una “finestra di disregolazione” accettabile da paziente ed analista (Shore); ciò è possibile  quando l’amigdala è maggiormente regolata e l’intervento attraverso parole ed emozioni può essere integrato attraverso i circuiti cortolimbici. Le ipotesi che ci poniamo in questo contesto  è quanto, questa variazione di setting, nonostante la “distanza fisico-sensoriale”, amplifichi quella risonanza tra emisferi destri, tra livelli sottoliminari dei circuiti limbici, come Bromberg e Shore ad esempio sottendono all’”enactment”. Paradossalmente, non sembra  venire  smarrita o ridotta l’empatia, il brain to brain coupling, la naturalezza di ciò che avviene nella stanza d’analisi.
2)Paziente maschio, con schizofrenia paranoide cronica, abitualmente visto vis-a-vis bisettimanalmente, in terapia da diversi anni. La distanza del comune (Como) e le restrizioni dei vari DPCM hanno portato a provare con riluttanza una continuità mediante Videochiamata Whatsapp. L’impressione più con questo paziente che con altri (quindi reazione controtransferale) è stata di riduzione della distanza e della neutralità, con iniziale, poi scomparsa del  vissuto di maggiore intrusività fisica  del paziente, mediato dalla restrizione del campo visivo, dall’essere in primo piano solo una parte del corpo ed il volto. Esattamente speculare, ma in modo accentuato dal setting (device) all’angoscia intrusivo-violenta, incorporatrice del soggetto, mediata da precursori sadici primitivi sia superegoici che ideali.                                                                                                                     Questo vissuto psico-corporeo ha lasciato rapidamente, già dalla seconda seduta, il posto ad una ritrovata familiarità nell’incontro, con scambi meno filtrati e inquinati dalle distorsioni interpretative e maggiore confronto con esperienza di realtà  con meccanismi nevrotici vs la costante colonizzazione dell’esperienza dal fondo psicotico protettivo. Il soggetto mostra di  tollerare una condizione di chiusura in casa, per lui a forte rischio destrutturante, anche attraverso la scoperta e maggiore utilizzo di questo mezzo di comunicazione. L’utilizzo di Whatsapp da parte del paziente, per collegarsi anche  con i colleghi durante lo smart-working, o con un maestro del corso di pittura che frequenta, o con il fratello, “ha aperto un mondo”come egli afferma.  Nel senso di riuscire mantenere non solo al lavoro, ma anche a casa, una maggiore confidenza, dialogo con diverse persone, dove questo mezzo sembra  mediare l’angoscia sottesa all’avvicinarsi all’altro.                                                                                                                                                                           Un altro elemento ci ha particolarmente colpito è stato quello riportato da un collega del  gruppo di supervisione il quale   durante la penultima seduta con il suo paziente ci  descriveva :  come  il soggetto   raccontava di una sua  esperienza di familiarità, di gioco anche seduttivo via whatsapp con una collega, e la partecipazione della  sua ragazza; immediatamente dopo  riproponendo la constatazione (allucinata) che la stessa lo vedeva  come sfigato, brutto, senza capacità. A seguito di una sua  confrontazione (ennesima) su questo frequente  bisogno di rifugiarsi in rappresentazioni profonde note ed auto riproducibili di sé , etc.., il paziente  ha risposto che  in quel momento, ciò che gli veniva detto e l’immagine di sé vista attraverso Whatsapp gli stavano dando una conferma: “..anch’io non mi vedo così come spesso mi descrivo, in questo momento. Guardando me e lei tramite Whatsapp. Forse anche gli altri non mi vedono così male come dico, anzi.. Whatsapp mi sta aiutando a vedermi, come dice anche lei, mentre in seduta non c’è questo specchio immediato”.  Potenza della riproduzione virtuale dell’immagine corporea, che nella dimensione psicotica si può anche tradurre come rinforzo di meccanismi dell’io di mediare le esperienze di realtà condivise. 
In posizione “bilogica”  con quanto sostengono soprattutto i neuroscienziati che ci ricordano che ogni volta che affidiamo a una macchina una funzione umana, stiamo rimuovendo qualcosa dalla nostra vita e dal nostro cervello (Merzenich, 2019) e dove  le ricerche ci dicono che lo smartphone è diventato un oggetto transizionale.
Conclusioni
Con questo lavoro si è cercato di analizzare attraverso una lente gruppale, polifonica, polilogica,   le risorse e i limiti dell'attuale variazione di setting, imposto obtorto collo   dall'attuale fase emergenziale legata al COVID 19. E' stata discussa, infatti, attraverso varie riflessioni teoriche e vignette  cliniche la portata innovativa, per pazienti  con particolari caratteristiche personologiche,   del forzato lavoro clinico da remoto  iniziato in sordina  per dare   continuità   terapeutica  al lavoro clinico in presenza della  drammatica Pandemia in atto.  Si è mostrato, infatti, che il lavoro da remoto o  con il telefono e con le  altre piattaforme tecnologiche   consente di preservare  uno spazio terapeutico  dove la coppia analitica può ricreare uno spazio in cui sia possibile  sognare insieme, sperimentare l’illusione del gioco co-creativo. Preservando, però,  il campo analitico  da intrusive angosce o sentimenti contrastanti  connessi alla   vicinanza prossimale  con l’altro  vissuto come possibile fonte di contagio mortifero.  

Un sentito ringraziamento ai colleghi  Ferrari Nicoletta, Sara Perego, Claudio Crialesi, Giuseppina Negroni, Porcari Milena, Sara Perego, Dionigi Maurizio,Monica Rivolta, che hanno consentito l'elaborazione di questo lavoro , da noi curato                                                                                                                                                                                             
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