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La Morte ai tempi del Coronavirus

24 Apr 20

Di mariapiaamore
Le reazioni più frequenti all’evento coronavirus sono costituite nell’immediato da paura, nervosismo, distress psicologico, ansia, depressione, irritabilità, insonnia persistente, incubi, scarsa concentrazione, e in alcuni casi, penosi sentimenti di colpa e tristezza; nel medio lungo termine si sviluppano le conseguenze legate alle profonde dolorose cicatrici lasciate a livello personale e socio-economico. Le conseguenze della quarantena attuata per prevenire la diffusione dell’infezione comportano poi senso di precarietà, isolamento, impotenza e la limitazione delle libertà personali.
Diversamente da un evento catastrofico istantaneo e di breve durata, come un terremoto o un disastro aereo, le epidemie, come afferma Canetti, agiscono con la fulmineità delle catastrofi naturali, ma la loro durata può si estende per lungo tempo con effetto cumulativo.
Gli accadimenti correlati con l’infezione da Covid-19 ci hanno inoltre costretto a confrontarci con l’evento morte, una morte che, invisibile e silenziosa porta via con sè, familiari, amici, conoscenti.

La morte, oggetto di rimozione nella cultura dei tempi moderni e post-moderni, si impone ora alla nostra coscienza, non più lontana ma pur sempre estranea
E’ raro trovare un ambito in cui il nostro modo di pensare e di sentire sia cambiato così poco dai tempi primordiali quale la relazione con la morte; la forza delle nostre reazioni emotive originarie e la scarsa certezza delle conoscenze scientifiche contribuiscono a cristallizzare i vissuti verso la morte: seppure in una nuova familiarità e in un rapporto diverso tra l’uomo e la morte, questa non riesce a diventare la francescana “nostra sorella morte corporale”.
La catena di eventi legati al percorso di sofferenza biologica dell’infezione, che da forme asintomatiche o comunque poco rilevanti sul piano clinico, procede in modo imprevedibile e apparentemente non controllabile, verso forme anche mortali, ci ha costretto a dare parola alla morte, a darle un volto più familiare nel momento in cui strappa le persone dal calore dei propri affetti al freddo ventilatore di una terapia intensiva; in questo ambiente sterilizzato e destoricizzato viene a mancare a mancare quello spazio intermedio, ricco di contatti della memoria, che nelle culture più antiche consentiva la elaborazione della perdita e del lutto attraverso ricordi o riti condivisi con il gruppo di appartenenza.
Con il ricovero, viene meno quello spazio transizionale fatto di silenzio comunicativo, di gesti, silenzi, contatti che trascendendo l’esperienza del singolo fanno dello spazio morte un momento di comunione tra due o più storie e quindi una parziale trasmissione di Sé. Viene impedita la creazione della giusta distanza dalla morte e questo rifiuto rischia di costringerci ad una separazione ancor prima che sia giunta la morte fisica.
Ci è stata strappata una generazione testimone, e depositaria al tempo stesso, di biografie ricche di storia, della nostra storia, che ha vissuto la guerra o le dirette conseguenze di essa, che ha cooperato alla ricostruzione della Nazione grazie a un lavoro umile e silenzioso.
Ad essa è stato negato anche il funerale, la sepoltura in preghiera; si è spezzato il dialogo tra il paese dei morti e il paese dei vivi. Nella morte da covid viene a mancare il passaggio del testimone, quel testamento silenzioso che rende comprensibile un linguaggio apparentemente incomprensibile, che ci traduce, e fa parzialmente comprendere, il linguaggio della morte.
Senza un passaggio di testimone la vita, la biografia di un individuo o di una famiglia, cadono in uno sterile limbo, e in esso rischia di naufragare anche la morte stessa della civiltà che trascende la morte del singolo.
Se è vero che è impossibile accostarsi all’esperienza della morte dell’altro e che, come sostiene Heidegger, posso essergli vicino, ma vicino al di qua della sua morte, e se è vero che ognuno muore solo, nel caso della infezione da covid questo è ancora più vero.
In realtà la morte non va né rispettata né odiata. La morte semplicemente esiste.
Come medico, mi piace ricordare quanto affermava Andrè Malraux: “forse la vita non vale nulla, ma nulla vale una vita”.

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