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COVID-19: Reciprocità di specie all’epoca della pandemia. Superamento del debito e evoluzione.

3 Mag 20

A cura di Luigi D'Elia

C'è un principio che questa pandemia introduce sullo scenario psico-politico-economico che costituisce un vero e proprio potenziale salto evolutivo della ragione umana.
Si tratta del concetto di reciprocità, ma declinato in maniera assoluta e totale. Come reciprocità di specie.

Il funzionamento pandemico dell'attuale momento del mondo ha rivelato che esiste un vero e proprio scacco della ragione che non risiede solo nella presunta imprevedibilità di un evento del genere (cosa in fondo non vera), ma risiede proprio nella mancanza di una regìa globale per la gestione collettiva della salute della specie. E tale gestione ha come presupposto l'idea di reciprocità di specie, assoluta e totale. Principio che le attuali categorie economico-politiche non riescono a integrare (ancora) in alcun modo.

Pur tuttavia il virus continua a perseguire il suo semplice scopo, che non è quello di eliminare l'uomo dalla terra (a quello ci pensiamo da soli), ma è quello di abitare in noi, di convivere con noi al prezzo "solo" di qualche centinaio di migliaia di vittime.
Il punto è che siamo noi che non riusciamo a convivere con lui.

E non ci riusciamo perché in parte il suo funzionamento ci era inizialmente sconosciuto, ma soprattutto perché ciò che veramente ci sfugge è la catena causale che, dalle sue origini, lo portano verso uno shock sistemico, in una successione temporale che giunge ad un futuro del tutto prevedibile. Sembra proprio che, in questa situazione, non riusciamo a tenere assieme passato, presente e futuro. La razionalità del mercato si è dimostrata insufficiente.

Uno dei principi fondativi dell'attuale forma neoliberista del nostro esistere (accanto al concetto di obsolescenza programmata connessa all’imperativo del consumo obbligato) implica che nella ripartizione/allocazione dei beni l'idea di debito sia assolutamente centrale. Direi il fulcro stesso di ogni economia contemporanea.

Di fatto questa idea è del tutto degenerata ed è diventata il metodo di sfruttamento di pochi su molti.
Ma lo sappiamo, il neoliberismo è una dottrina intrinsecamente antisociale, non si fonda su un'idea sociale, o meglio, non si fonda su un'idea di società a sua volta basata sul "bene comune", ma su un'idea di società basata sul "bene totale" (ascoltate S. Zamagni in questa rivelatrice lectio magistralis minuti 37-51). Di fatto un'astrazione, di origine colonialistica, che giustifica il comportamento predatorio. Il bene comune e il bene totale pur non essendo mai stati concetti amici, anzi tutt’altro, di fronte allo scompaginamento della pandemia diventano forme di razionalità del tutto incompatibili.

La pandemia, quindi, rimescola le carte, totalmente. Sarà certo che le sue conseguenze sui paesi più colpiti e più indebitati sarà tale da far saltare l'ordine sociale già così precarizzato.
Ma la pandemia introduce un altro virus su questo scenario, questa volta positivo, che è quello della reciprocità assoluta e totale, una reciprocità di specie. Tale concetto recita che se si riattiva un focolaio di forte intensità in qualunque parte del mondo, diventa di fatto un problema di tutti e di ciascuno. Per cui occorrono giocoforza strategie globali e comuni (seppure diversificate e contestualizzate). La pandemia ci obbliga a collaborare sbattendoci in faccia la nostra interdipendenza planetaria.

Il debito non segue la stessa ratio. Il debito esige la radicale stratificazione in caste. E non esiste alcuna reciprocità tra caste diverse. La sua logica è mors tua, vita mea, tu povero e quindi io ricco. La pandemia sta dimostrando che questo concetto, il debito, è un idiota retaggio del passato che occorre superare immediatamente. Il mondo ai tempi della pandemia funziona viceversa con: mors tua, mors mea, vita tua, vita mea, povero tu, povero io.

Se prima della pandemia avessi prestato a qualcuno dei soldi e costui a causa della crisi economica non potesse rendermeli, la cosa più intelligente e razionale che io possa mai fare, la cosa più conveniente, anche in una logica utilitaristica, è non esigerli più. Mi impoverisco un po’ anche io, ma evito la catastrofe che travolgerebbe con certezza anche me. Sono pochissimi i benestanti che oggi riescono ad introdurre questa ovvia lungimiranza. A cominciare dagli affittuari che non accettano riduzioni per finire alle banche che mantengono tassi elevati e insostenibili. L’ultimo bicchiere di champagne mentre l’orchestrina del Titanic suona l’ultimo ballo.

La resilienza mutante del neoliberismo incontra perciò la sua fatale sfida. O riesce ad integrare un nuovo principio di razionalità che non risponde solo al pericolo di danno o di morte (le minacce probabili di collassi, sommosse e guerre), ma risponde ad un salto evolutivo di specie per un progresso etico collettivo, un progresso declinato in termini di prosperità slegata da ogni idea di crescita, oppure è destinato ad una mortale coazione a ripetere.

Per realizzare ciò, il sistema economico e politico deve poter integrare presto e radicalmente l’idea di reciprocità e interdipendenza assoluta e totale, integrando allo stesso tempo il principio di bene comune, riferito all’intera specie. Occorrerà necessariamente superare a piè pari ogni forma di indebitamento così come attualmente in essere, oppure non solo si radicalizzeranno le differenze tra parti sociali e tra popoli portando a inevitabili scenari conflittuali di ingestibile portata, ma la prossima sfida globale il castello di carta crollerà sulle nostre teste.

Il neo-keynesismo auspicato da tanti e i vari piani Marshall ideati per riempire di risorse economiche le tasche dei milioni di falliti e disoccupati, possono servire solo nel brevissimo tempo, ma ben presto, nel momento stesso in cui il debito ritornerà a strozzare tutti, e quando ci si renderà conto che nessuno sarà in grado di assolvere ai propri debiti, qualcosa dovrà giocoforza cambiare.
Il post-liberismo è alle porte e potrà avere un aspetto terribile o viceversa evolutivo. Sta a noi deciderlo oggi.
 

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