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PRESENTAZIONE SAGGIO ” L’INCONSCIO E L’AMBIENTE – PSICOANALISI ED ECOLOGIA

8 Giu 20

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   Si sta forse affacciando un tempo nuovo che raccoglie intuizioni profonde della psicoanalisi, da Freud in poi, dove il pensiero psicoanalitico finalmente liberato dalla preoccupazione di sentirsi stigmatizzato come psicoanalisi applicata, o come teoria incompetente se portata fuori dei suoi confini, o come prodotto succedaneo di una dottrina "alta" che non sopporta contaminazioni con il reale, può finalmente ri-trovare (perché nel pensiero originario del fondatore questo intento era invece evidente) il significato profondo della sua peculiarità.  

   Il senso cioè di un impegno che consiste nell'applicazione del suo metodo alla comprensione dei fatti individuali e collettivi, senza nasconderne la problematicità, ma anzi esaltandola come suo oggetto imprescindibile di considerazione. 

   È un tempo fatto di valutazione attenta della complessità della realtà, dei vari livelli che la definiscono e che non possono mai essere persi di vista, pena l'inaridimento del pensiero e il suo allontanamento dalla pratica della vita. Della vita così come ci si presenta oggi più che mai, un processo pericoloso, pieno di ambiguità e di azzardi, vorticoso, rapido, doloroso anche, che non concede tregua sia sul piano del pensiero che dell'azione. 

   Il libro di Cosimo Schinaia letteralmente ci spinge dentro il tema più urgente per eccellenza, quello dell'ambiente. Ci trascina nella problematica ecologica attraverso citazioni colte ma vicine, come realtà che tocchiamo con mano e che ci riguardano tutti. 

   Non vorrei ripercorre qui le tappe del pensiero psicoanalitico e delle altre discipline che il libro prende in esame, chiaramente definite e distinte, ma vorrei parlare del sentimento che mi ha suscitato scrivendo questa breve prefazione, perché mi pare che sia rappresentativo della posizione che l'autore implicitamente invita ad assumere rispetto al tema ecologico.  

   In genere quando si scrive o si pensa riguardo a un tema proposto, c'è bisogno di dislocarsi in qualche modo, recuperando riferimenti personali, letture proprie, opinioni consolidate magari aggiornandole. Riflettendo su questo libro invece tale procedimento risulta quasi impossibile.  

   Bisogna entrare nel discorso, stare sul pezzo, sentire che si è fatta una scelta di campo subito chiara, precisa, impegnata e che i problemi che emergono durante la lettura non sono eludibili.  

   La sensazione è che il libro sia "necessario", che non ci si possa spostare, prendere tempo, tergiversare. Che siamo di fronte a una brutalità delle cose che ci mette davanti alla realtà così come è, senza svolazzi retorici o sconfinamenti arbitrari.  
 



 

 

   Eppure la mancanza di bordi nello stile è continua, ma solo nel senso che il lettore è invitato a ricostruire, allargandola, la sua mappa di riferimento rispetto all'ambiente, 

   Dentro-fuori, individuo-gruppo, natura-cultura sono alcuni dei contrapposti punti di repere per addentrarsi nel viaggio ecologico che ci aspetta. Collegamenti che servono a fare da spola tra realtà di base che trovano il loro senso solo se messe in relazione, perché è la loro interdipendenza che può dare conto della complessità delle cose. Se si prescindesse da uno dei due termini o anche dalla interrelazione tra tutti quelli nominati, si verificherebbe un'amputazione, una parzialità limitativa.  

   Risulta impossibile infatti parlare di un immaginario individuale senza considerare quello collettivo che lo sottende e anzi lo determina in un rapporto di codeterminazione reciproca.  

   Come non possiamo attestarci sull'immagine di un ambiente che sia solo un fuori sganciato dalla rappresentazione che ne abbiamo al nostro interno, e non sarebbe possibile costruire per esempio una città o un'abitazione o qualunque oggetto che l'uomo produce, senza pensare che non sia per qualche aspetto la proiezione di nostre parti psichiche più o meno consce. 

   Né è possibile appellarsi all'antica diatriba natura-cultura senza considerare che questa contrapposizione risulta ormai asfittica se non riesce a presupporre anche in questo caso la bidirezionalità che non la oppone ma la co-costruisce. Temi ampiamente affrontati nel libro da varie angolature. 

   Eppure questa struttura che connette, per usare la definizione di Gregory Bateson, che Cosimo Schinaia riporta ed esalta, non sempre risulta evidente. Spesso viviamo le problematiche ambientali come sganciate l'una dall'altra oppure, e questa sembra essere stata la soluzione collettiva prevalente fin qui, le neghiamo violentemente. 

   Alla psicoanalisi pertanto, più che ad ogni altro tipo di pratica e di teoria, è affidato il compito di capire perché mai di fronte all'evidenza di un danno così grande e pericoloso inferto all'ambiente, l'uomo ancora stenti a rendersi conto di quello che è successo e di quello che ancora ci aspetta.  

   Sono messi in atto vari meccanismi di difesa, come è ben descritto nel libro, la scissione, l'intellettualizzazione, la rimozione, il dislocamento, la repressione, il diniego. Ognuna di queste soluzioni coprendo l'angoscia portata dalla consapevolezza del pericolo, rende impossibile la riparazione del danno sia materiale che psicologico e anche morale, se con etica possiamo intendere una funzione specifica della mente che la rende propriamente umana. 

   Sembra si debba aspettare che venga da fuori, magari da civiltà extraterrestri, la coscienza del pericolo che incombe su di noi, come nel classico film di fantascienza Ultimatum alla terra del 1951 (The Day the Earth Stood Still) diretto da Robert Wise. 

   La missione aliena è quella di convincere l'umanità a prendere atto della propria distruttività e cercare di porvi rimedio. In realtà non è proprio quello che succederà nel film, ma quello che ci interessa considerare è che la consapevolezza del pericolo e la coscienza del danno arrecato alla biosfera sono ostacolati da noi stessi, dal nostro interno, in mille modi consci e inconsci tanto da renderci impossibile aprire gli occhi sulla realtà. 

   L'angoscia che travolgerebbe l'individuo, lo tiene lontano dalla consapevolezza ed è una forma di difesa, ricorda Schinaia, oltre che individuale anche collettiva. Sarebbe invece necessario integrare "i sentimenti angosciosi di perdita" e di finitezza per "rapportarci autenticamente ad un mondo dinamico e incerto". 

   È necessario inoltre sfuggire la reazione opposta che comprende l'esaltazione acritica del mondo naturale e che sfocia in "un'adesione conformisticamente fanatica all'ideologia ecologista" in una sorta di "allucinazione" gruppale. 

   I temi trattati nel libro sono moltissimi. I vertici di osservazione si incrociano, spesso si oppongono, per non trascurare nulla nel tentativo di dare una spiegazione che rispetti le tantissime sfaccettature del problema. 

   Nel corso della lettura incontriamo esempi clinici che intervallano le riflessioni tratteggiando caratteri e vicende umane che vividamente illustrano come nella psicologia e nell'esperienza di ciascuno si possano creare quegli ingorghi psichici che inducono a comportamenti, come quello di sprecare acqua e risorse o quello di proteggersi in maniera ossessiva dagli agenti esterni vissuti come contaminativi, che rendono conto dell'intreccio tra sfera personale e collettiva e chiariscono, come può fare la psicoanalisi meglio di altre discipline, quanto l'esperienza personale e la dinamica psichica possano riflettere i nodi problematici del rapporto con l'ambiente.  

   Colpisce ancora di più il riferimento personale dell'autore ad una vicenda dolorosa della storia italiana, quella della Società ILVA che ha provocato conseguenze mortali di inquinamento nella città di Taranto che tutt'ora non sono risolte. 

   Schinaia proviene da quella terra e attraverso il ricordo di un prima che non c'è più e che ormai può solo far parte della narrazione del suo passato, ci fa capire non solo gli effetti deturpanti della contaminazione e dell'avvelenamento delle acque e del terreno e dell'aria, ma anche la questione della messa in rapporto di tutto questo con i temi del lavoro e dell'occupazione che non possono essere trascurati. Il paradosso di una salvezza dalla povertà e di un benessere indotto nella popolazione dalla industria e allo stesso tempo la condanna a generare morte nella natura e negli uomini. 

 

   Nei romanzi e nei film di fantascienza a volte gli alieni sono dei conquistatori aggressivi e bellicosi  (a nostra immagine e somiglianza) a volte, invece, sono degli osservatori intergalattici attenti che si rendono conto della bellezza e della straordinarietà del nostro pianeta, fatto di acque, di vegetazione ricchissima, di una varietà  smisurata di vite biologiche. 

   «Klaatu, Barada, Nikto suonava la frase del film da pronunciare nel linguaggio alieno per impedire la rappresaglia contro gli umani aggressivi e ottusi. Lì funzionava, ma noi che ancora stentiamo a trovare un sistema di traduzione che permetta la comunicazione tra culture di popoli diversi nel mondo che abitiamo, che addirittura nel nostro mondo interno stentiamo a tenere in contatto differenti e molteplici livelli di organizzazione psichica, saremo mai capaci di trovare una formula che ci consenta di arrestare i nostri stessi attacchi alla sopravvivenza dell'umanità? 

   Conosciamo la frase forse, ma non capiamo che è a noi stessi che dobbiamo rivolgerla.

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