Antefatto
Di nuovo un anno zero, uno shock nella storia dove l’inconscio e la sua scena sono obbligati a ridefinire il loro statuto a partire dal Reale e da ciò che lo mostra, ovvero la superficie delle cose. Questo reale puro, brutale, aggressivo, contagioso, e dunque mortale per l’uomo, ha un nome: Coronavirus o Covid19.
Svilupperò alcune considerazioni sul Coronavirus partendo da tre luoghi collegati tra loro dalla psicoanalisi: da Freud con Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, da Lacan con il Sem. X su L’angoscia, e da quanto in questi mesi ho ascoltato nelle parole dei pazienti.
È opinione diffusa che stiamo vivendo una guerra mondiale contro un nemico invisibile che va combattuto con armi non convenzionali: la distanza sociale, la mascherina, i guanti, la sanificazione delle superfici in attesa del vaccino. “Ma si tratta di una vera e propria guerra? Ci sono le caratteristiche per considerarla una guerra?” La risposta è duplice in quanto da un lato lo senario attuale è simile a qualunque guerra del passato, infatti ci sono due nemici: uno che attacca e l’altro che si difende e difende il suo territorio e poi cerca di contrattaccare con le armi a sua disposizione in attesa di quella definitiva che non è l’atomica ma il vaccino (la Cura). Dall’altro lato ci sono aspetti di questa situazione pandemica che invece la fanno sembrare piuttosto la “scena di un crimine” che si ripete a dismisura con le stesse caratteristiche della scena primaria, ovvero della scena dove è avvenuto il delitto che somiglia al primo impatto e incontro tra l’ospite (Coronavirus19) e il corpo ospitante. Nella scena primaria, il serial killer chiamato Covid19, inizia a mietere vittime e si mischia invisibilmente anche tra coloro che cercano di indagare su questi omicidi seriali. (Il personale sanitario e quello dei ricercatori)
Dal lato dello scenario bellico mi appoggio a quanto detto da Freud nelle Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte: «Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obbiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che si sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare.[..] Anche la scienza ha perduto la sua serena imparzialità; i suoi servigi, esacerbati nel profondo, cercano di trarre da essa armi per contribuire alla lotta contro il nemico.[..] Il singolo, se non è egli stesso un combattente, non è quindi diventato un semplice ingranaggio della gigantesca macchina bellica, ha smarrito ogni orientamento e si sente inibito nelle sue potenzialità» (Freud, Opere vol. 8, Bollati-Boringhieri, Torino 1980, pag.123).
Pagine di grande attualità anche se diversa nella situazione; ci sono profonde analogie riguardo alla dimensione del tempo, un tempo di guerra quindi, contrassegnato da una ridistribuzione soggettiva del Cronos sociale rispetto al Kairos, ridistribuzione non acquisita spontaneamente ma forzata da un evento esterno di tipo bellico. Lo scenario bellico implica anche la presenza e l’imporsi nei giochi di guerra del 4° codice ludico o illinx ovvero del “vortice” che si produce nell’individuo, sotto forma di ansia, di sconcerto, di angoscia e quindi di confusione perché l’evento bellico in atto scatena effetti emotivi all’insegna del cambiamento “improvviso”, rispetto al prima Covid19 oppure agli avvenimenti mutanti nella vita quotidiana che scatenano effetti non controllabili (pensiamo alla paura invisibile del nemico che “ha” le caratteristiche di un cecchino micidiale che nel quotidiano può essere incontrato dovunque senza saperlo, sia esso il Covid19 o il soldato scelto che tra le macerie della città miete vittime). Dal lato del “ruolo”, Freud sottolinea che il singolo individuo o è in prima linea, preso dalla macchina bellica come soldato (nel nostro caso medici, infermieri, ricercatori o volontari dell’assistenza sociale, ecc) oppure è a casa, inerme, e assiste passivo come vittima o malato come se fosse un viandante che ha smarrito la via maestra e quindi vive disorientato ed è impotente a esprimere ciò che fino a qualche tempo prima era un soggetto attivo (pensiamo alla regola imposta del tutti a casa, simile al coprifuoco bellico, pensiamo alla cancellazione di tutti gli eventi artistici sociali, culturali e turistici già programmati oppure alla chiusura di tutta la ristorazione).
Ma i ruoli non sono così netti perché c’è “una miseria spirituale” che è diffusa in modo trasversale in tutti i singoli individui, una sensazione che impone al soggetto umano di ripensare il suo atteggiamento verso “la morte, la Padrona assoluta” come ci ricorda Hegel nelle sue figure della Fenomenologia dello Spirito. Allora ciò che lega questa guerra a tutte le altre precedenti è la sensazione di “finitudine” che si manifesta con la rappresentazione del “fantasma della morte”, la “cui prima manifestazione concreta” è il cadavere della vittime del Coronavirus. (E ciò rimanda al bollettino dei decessi letto ogni giorno dal responsabile della Protezione civile). Da un lato il corpo cessa di vivere e viene seppellito centinaia di volte ogni giorno (è negli occhi di tutti la spettrale sfilata dei carri delle esercito che a Bergamo portavano al cimitero i corpi delle vittime del Coronavirus): «La morte non può più essere rinnegata; siamo costretti a crederci. Gli uomini muoiono veramente; e non più uno alla volta, ma in gran numero, spesso a decine di migliaia in un giorno solo» (Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, pag. 130), dall’altro lato, invece, il soggetto nella vita quotidiana agisce in un modo tale che ogni sera s’immagina il “sembiante della morte”, ovvero l’immaginario del soggetto traduce in una figura estetica il reale irrappresentabile della morte :infatti, nel silenzio spettrale della notte che regna attualmente nelle città, affacciandosi alla finestra si può vedere la Signora morte che con la falce sorvola l’abitato.
La signora con la falce in questa nostra guerra non fa sconti, ma a differenza di tutte le altre guerre dove la morte sostava per lo più al fronte presso gli schieramenti bellici sia dei perdenti che vincitori oppure all’improvviso entrava in scena nei centri abitati con bombardamenti massicci, in questa guerra la Padrona assoluta sosta dovunque e da una sola parte perché non esistono parti né alleanze belliche tra fazioni o Stati contro altri Stati, come è di prassi nelle guerre passate, ma tutti gli Stati e tutte le fazioni sono coalizzati insieme mentre dall’altra parte di una barricata invisibile c’è un nemico altrettanto invisibile a occhio nudo che non si schiera, ma che si infiltra, si introduce alla chetichella nel corpo di chiunque.
La morte aspetta di raccogliere le conseguenze di questa interna invasione del virus: come nel film il Settimo Sigillo di Bergman, la morte attende il cavaliere all’ora del suo destino già segnato come è segnata la partita a scacchi che il cavaliere gioca con la morte.
Questa guerra è caratterizzata da qualcosa di primitivo, da un organismo reale primitivo, RNA, che si può tradurre con l’acrostico “reale niente altro, un reale puro, un reale organico”. Questo Reale è il prototipo di cosa Lacan considera Reale: il Reale è un tutto abnorme, un fuori senso che scrive la vita al livello dell’inconoscibile, tanto è vero che per circoscrivere la vita è necessario inscriverla al livello della vita quotidiana nelle ventiquattro ore.
Il Covid19 è un puro reale vitale che si è infilato nella vita quotidiana dell’uomo contemporaneo, questo reale è il prototipo di qualcosa di immondo, un alieno che va da sé ma è incluso nel sistema naturale di cui fa parte anche l’essere umano. Questa “inclusione disgiuntiva” ha degli effetti sulla presa del simbolico quando l’uomo addomestica il reale attraverso l’insieme della rete del cordone sanitario per contenere il reale Covid19 o attraverso il rituale del seppellimento, e con il funerale dei cadaveri cerca di addomesticare la morte.
Lacan negli anni 70 si chiede: «Il bello sta nel fatto che negli anni a venire l’analista dipenderà dal reale e non il contrario. L’avvento del reale non dipende assolutamente dall’analista. Egli ha la missione di contrastarlo. Nonostante tutto, il reale potrebbe anche prender la briglia, soprattutto da quando ha l’appoggio del discorso scientifico» (Lacan “La terza” in La psicoanalisi n°12 Astrolabio Roma, 1999 pag. 21)
La missione di contrastare il reale fa parte dell’insieme delle guerre e, come sottolinea Freud, guerre che in modo diverso hanno come effetto di scatenare il primitivo nell’uomo: «Essa [la morte] elimina le successive sedimentazioni depositate in noi dalla civiltà e lascia riapparire l’uomo primitivo.» (Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, pag. 147). In questa nostra guerra il “primitivo” non è l’uomo ma è la causa che scatena la morte nell’uomo; la morte è un effetto che si impadronisce di tutti i soggetti che sono dalla stessa parte, non più nemici, ma tutti alleati contro l’invisibile, contro l’intruso, contro l’estraneo-non straniero, contro il corpo portatore infetto ma talvolta asintomatico del virus: e se la morte fisica è l’effetto ultimo del virus ci sono altri effetti di natura affettiva che scatenano qualcosa nella vita quotidiana che hanno a che fare con “il sospetto paranoico generalizzato – stammi lontano perché sei sicuramente infetto – e con l’angoscia – mi sento ridotto a un corpo, a una larva, senza altre risorse” (i pazienti che ascolto portano nelle loro parole questa sensazione angosciante).
La psicoanalisi, l’angoscia e il Coronavirus. Il punto di vista dell’analista.
Queste considerazioni preliminari sono utili a sottolineare come il punto di vista dell’analista diriga il proprio sguardo su questa emergenza sociale a partire dagli effetti scatenati dal Coronavirus, sia esso un nemico bellico o un serial killer di una scena di un crimine; tali effetti si inquadrano nella “cornice”, che Lacan (1972) chiama Discorso del Capitalista. Gli effetti riguardano il dominio della presenza della morte o Thanatos, come ci indica Freud, (il Thanatos non è la pulsione di morte) nella vita dell’essere umano e riguardano la soggettiva paura della morte che viene confusa dall’uomo con l’angoscia: ma questi effetti, dove si fanno sentire al livello inconscio o, detto altrimenti, dove l’inconscio “rivela la sua presenza?”
L’inconscio rivela la sua presenza alla “superficie” del corpo inteso come sintomo del soggetto che si predispone ad agire attraverso l’angoscia, in quanto essa è, in questa cornice, la risposta effettuale del soggetto come l’unico sentimento che non inganna.
Il punto di vista dell’analista è quello di chiarire, con il contributo degli strumenti teorico-pratici che la psicoanalisi ci fornisce, il quadro in cui l’angoscia rivela il soggetto che incontra il Reale e in questa circostanza sociale un reale puro come il Covid19.
La presa dell’angoscia sul soggetto, localizzata sul corpo, serve proprio a far emergere sia la costituzione della mancanza nell’essere umano sia la risposta effettuale del soggetto all’inconscio inteso come discorso dell’Altro, discorso che fa parte della “cornice” di cui l’angoscia è la manifestazione permanente di uno svelamento, quello che il reale del Covid19 ha fatto saltare: “il piano immaginario di un godimento soggettivo stabile fondato su una rappresentazione senza buchi”. La risposta del soggetto all’angoscia, in questa contingenza emergenziale del Covid19, è preparata da ciò che era per lui “necessario” fino al momento della contingenza (la comparsa improvvisa del virus nel paziente 1) e ciò che era necessario per il soggetto e per la sua vita quotidiana si è costituita, come ho già sottolineato, in una “cornice” nella quale all’improvviso qualcosa ha fatto sorgere l’angoscia, cioè la cornice ha inquadrato la comparsa di quel reale che ha scatenato il sentimento dell’angoscia.
Il contributo della psicoanalisi intorno all’angoscia, quale sentimento e segnale del reale che non inganna, è stato fornito da Lacan con il mirabile Sem. X L’angoscia (1962-63) che tiene presente il contributo di Freud, Inibizione, sintomo e angoscia (1925). Freud lega l’angoscia alla prima separazione traumatica del bambino dal corpo della madre all’atto della nascita. Lacan sposta poi l’attenzione sull’origine del soggetto dell’inconscio all’entrata nel linguaggio; questa entrata è sempre un atto traumatico per il soggetto, anche se necessario, rivela un passaggio netto, una divisione, un “taglio” che colloca il soggetto in una dimensione nuova perché da soggetto assoggettato alle pulsioni primarie legate al corpo materno, diverrà un soggetto di parola, soggetto parlante, assoggettato attivamente alla dimensione del linguaggio, che ha la funzione di addomesticare il lato pulsionale. In questo passaggio la comparsa dell’angoscia segnala il trauma vissuto dal soggetto a causa della separazione dall’Altro materno con la conseguente acquisizione della divisione che introduce nel soggetto stesso sia la perdita di godimento sia la presenza del desiderio come mancanza. Ora, questi atti originari, direi strutturali al soggetto dell’inconscio nel suo rapporto con il mondo e con la vita, hanno la caratteristica di riprodursi nella vita quotidiana. L’angoscia allora è il segnale di una minaccia che non riguarda solo le psiconevrosi soggettive ma anche le “nevrosi attuali” ovvero le nevrosi che hanno a che fare in modo evidente con un pericolo esterno sociale come è l’alieno Coronavirus: «D’altra parte anche il pericolo esterno (reale) deve aver trovato una interiorizzazione che deve diventare significativo per l’Io; deve essere riconosciuto nella sua relazione con una situazione vissuta d’impotenza» (Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, Boringhieri, Torino, 1984, pag. 322).
Dunque l’angoscia è un segnale di un pericolo che l’Io avverte proveniente dall’esterno del corpo del soggetto, ma in realtà l’eco di questo pericolo rimbomba dall’interno del soggetto alla superficie del corpo e internamente al corpo l’angoscia fa emergere il soggetto dell’inconscio che testimonia un sentimento d’impotenza senza risorse; allora, in questo caso, l’io si destruttura rispetto ai suoi legami di adattamento narcisistico riflesso nell’immagine speculare dell’Altro familiare, sociale, ecc. Il soggetto, invece, senza alcuna copertura oggettuale si riduce a coincidere con il proprio corpo sia come sensazione permanente di essere in balia del reale organico del Coronavirus, sia come coincidenza solo con il buco che in quanto tale costituisce il fondamento del linguaggio (simbolico) che fa presa sul reale: «È con questa funzione del buco che il linguaggio opera la sua presa sul reale». (Lacan, Sem. XXIII, Il Sintomo, Astrolabio, 2006). Questo significa che l’angoscia è l’unico sentimento che non inganna su ciò che il soggetto è nella sua costituzione, ovvero un buco che trova nel linguaggio simbolico un discorso da poter elaborare e che porta il soggetto lontano dal buco della sua origine, ma lo mantiene, nello stesso tempo, in ciò che caratterizza la sua costituzione, ovvero il limite della sua inconsistenza di soggetto. Questa inconsistenza il soggetto l’avverte in tutta la sua portata e verità quando è coinvolto totalmente nell’impotenza, cioè dentro l’impotenza del suo agire che corrisponde alla sensazione di “paralisi” o di “blocco” come raccontano i pazienti in analisi.
Il Coronavirus è quell’organismo che, come reale puro, si è introdotto nel buco del soggetto dal quale il linguaggio simbolico-sanitario produce il suo discorso a livello sia della comunicazione che del messaggio: la comunicazione del messaggio indica tutto ciò che viene enunciato sui progressi e sulle cure trovate sul virus, nonché la numerologia che viene annunciata dal Capo della Protezione Civile ogni giorno sulla situazione (bollettino) bellica, mentre il dire evocato (enunciazione) riguarda ciò che la voce del Capo trasmette nella lettura numerologica dei decessi, cioè trasmette l’impotenza angosciante del soggetto, in cui anche il Capo è preso, ovvero di essere ridotto a nient’altro che al suo proprio corpo.
Oltre che segnale di pericolo, oltre che manifestazione di un sentimento, che segnala un trauma che si ripete nella vita del soggetto, l’angoscia per Freud riguarda anche in modo chiaro e innegabile il tempo dell’attesa; «L’angoscia ha una innegabile connessione con l’attesa: è angoscia prima e dinanzi a qualcosa. Possiede un carattere d’indeterminatezza e mancanza d’oggetto» (Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, pag. 319)
Questo insieme di elementi sull’angoscia fissati da Freud sono “attuali” e sono stati elaborati e coordinati da Lacan in una forma che lui, come ho detto precedentemente, chiama con una grande intuizione “cornice” senza la quale non si capirebbe nulla della struttura che caratterizza l’angoscia.
L’angoscia è un sentimento che non va da sé, ha a che fare con il Reale e il reale nell’angoscia si colloca al livello di un oggetto speciale, non un oggetto fisico, infatti si colloca al livello di ciò che “manca” simbolicamente al soggetto nella relazione con il grande Altro che viene immaginato dal soggetto come colui che non manca di niente: l’angoscia sorge quando il soggetto vede l’Altro (genitoriale e/o istituzionale) anch’esso diviso e mancante di qualcosa, cioè coglie l’oggetto che è per così dire caduto in un angolo privo di valore, e coglie il buco che lo lascia cadere come non più tappato da niente. Questa caduta dell’oggetto, che Lacan chiama oggetto a, cioè un oggetto reale privo per costituzione di qualcosa che rivela un reale-tutto perso per sempre, mette così in evidenza un taglio anche nell’Altro che rivela, in questo modo, la sua difettiva inconsistenza strutturale: l’Altro nella sua divisione. La cornice serve proprio a inquadrare ciò che avviene in A, nell’Altro, il quale dividendosi al suo interno (⁄) perde, agli occhi del soggetto, le certezze necessarie per essere considerato sia perfetto e come punto di riferimento cui guardare. In questo modo il soggetto stesso smette d’immaginarsi di essere l’Altro come completo: «Con questo voglio dire che la prima cosa da evidenziare per quanto riguarda la struttura dell’angoscia […] è che l’angoscia è incorniciata.» (Lacan, Sem. X, pag. 80). La cornice permette dunque di inquadrare questo sentimento e ciò che si esprime come ripetizione. Sia l’Altro che il soggetto sono inquadrati da una cornice che relativizza le loro funzioni.
Ma quando compare l’angoscia nella cornice? Lacan introduce un contributo mirabile, introdotto da Freud, ovvero il perturbante, l’Unheimlich che ha la funzione di colorare di emotività l’angoscia: «L’angoscia si produce quando appare, nella cornice quello che era già lì, molto più vicino a casa, Heim. È l’ospite direte voi. In un certo senso sì l’ospite sconosciuto che si presenta in modo inopinato.» (Lacan, Sem X. pag. 82) Nel caso attuale il Covid19 non era né previsto, ne pensato prima, almeno nei termini in cui si è presentato; anche se, a dire il vero, un certo “pre-sentimento” di qualcosa che “può” accadere da un momento all’altro ormai è connaturato in questo sistema attuale, dove la questione della “sicurezza” fa parte della possibilità di prevenire qualsiasi cosa che “potrebbe” accadere “aspettando” dunque che accada (pensate a tutti i corsi di formazione sulla sicurezza che vengono finanziati all’interno del sistema produttivo-economico, sociale, assistenziale e sanitario. Oppure tutta la normativa complicata per scongiurare sulla carta ogni possibile falla nella realtà a cui il sistema è esposto).
Dunque un reale che è accaduto, il cui accadere continua a ripetersi anche se non è più completamente inopinato; infatti l’essere umano cerca di “irretire” il Covid19, ovvero di farlo cadere in trappola in una rete di significanti (simbolico) che gli fanno perdere a poco a poco la sua potenza in parte dovuta anche alla sua imprevedibilità.
Infatti si parla, anche tra i pazienti, di “convivenza angosciante con l’ospite misterioso”, un ospite non gradito in casa propria. L’angoscia rivela un’insicurezza di fondo in ogni soggetto perché non c’è un luogo dove l’ospite non si presenti anche se non invitato.
Pensate a una festa a inviti, dove all’improvviso, e eludendo tutte le norme e sbarramenti previsti dalla sicurezza, si presenta un ospite mascherato, sconosciuto e inatteso che comincia inopinatamente, e senza che nessuno sul momento se ne accorga, a infettare gli invitati, rimasti affascinati e inquietati da quell’ospite sconosciuto, ma ignari del pericolo che l’ospite porta con sé; e da quella festa la “cosa” si ripete, dovunque, in ogni altra festa nonostante tutte le misure di sicurezza, perché l’ospite sconosciuto non corrisponde più all’ospite mascherato della prima festa ma ha preso possesso del corpo di qualcuno: ogni festa successiva non sarà più la stessa perché, anche se l’ospite misterioso non si presenterà, gli invitati lo sapranno solo alla fine della festa stessa. Dunque l’angoscia è il sentimento che accompagnerà ogni volta tutti coloro che decideranno di partecipare o di organizzare una festa. “La festa è quindi la cornice dell’angoscia.”
Da questo punto di vista ecco perché, a mio parere, lo scenario attuale è molto più vicino a una scena del crimine che a una guerra: infatti nella scena del crimine, l’ospite spesso si intrufola nella scena familiare senza preavviso, ovvero mostra all’Altro familiare l’esistenza di una faccia all’improvviso inattesa e sconosciuta (inopinata) che sconvolge e perturba l’intera casa: rivela “il male che sa nascondersi dietro un’accattivante estetica e soprattutto rivela la debolezza umana dietro la maschera della sicurezza assoluta (niente, si dice, può sfuggire al sistema sociale attuale perché è costruito su una perfetta tecnologia all’insegna del controllo globale)”. Invece il Coronavirus ha aperto una “falla” nella certezza sia sociale sia sanitaria che economica dell’uomo del 2020.
La questione della sicurezza all’interno del grande fratello attuale ha dunque messo in luce come la cornice che serve a inquadrare l’angoscia sia difettiva, c’è un difetto nel quadro che lo incornicia e l’angoscia si presenta dunque in un quadro difettoso inquadrato da una cornice che comprende anche questo difetto, l’angoscia è la certezza di questo difetto nell’Altro dal quale si stacca un oggetto residuale che ha la funzione di ricoprire il buco dell’Altro. La scena del crimine rivela dunque un “assassino seriale”, misterioso, con il quale si deve convivere nel quotidiano e si deve cercare di addomesticarlo come il più pericoloso e sconosciuto criminale Unheimlich, o il perturbante che genera angoscia. Ciò che l’angoscia quindi rivela è «il ciò che non inganna, il fuor di dubbio», (Lacan, Sem X, pag. 83) ma che cosa è questa «raccapricciante certezza» (Lacan, Sem X, pag. 84) che l’angoscia rivela, se non ciò che è già presente da sempre sulla scena familiare e sociale dell’essere umano? Il già presente sulla scena familiare e sociale, svela la posizione di questo reale immondo, posizionato in un posto particolare, ovvero rivela un circuito esterno alla scena ma appartenente alla scena stessa, un mondo altrove, alieno, nascosto, ma che l’essere umano può avvertire se dà credito a certe sensazioni che vengono invece scacciate e rigettate in zone assolutamente fuori dal comune; un circuito esterno che solca l’infinito e incontra l’uomo e la sua scena quando esso si sposta in questo circuito esterno fuori scena e così si realizza qualcosa di paradossale: l’ospite (il reale Coronavirus, il criminale per gli effetti che provoca sull’uomo) ospitato dal corpo dell’uomo a sua volta ospita, in una scena, sua, colui che lo ospita.
È un nodo, uno svincolo, che si presenta a ogni curva, come disse una paziente: “c’è qualcosa che non capisco, ma che sento presente nella mia vita, qualcosa che si ripete come se fosse al centro di un nodo che non riesco ancora a sbrogliare”. E l’angoscia avverte che il nodo che si presenta nella vita del soggetto si può solo tagliare; l’angoscia si presenta infatti come un taglio sulla tela, come nel quadro di Fontana, che il soggetto non può più eludere: «L’angoscia è questo taglio […] è questo taglio che si apre e lascia apparire quello che ora intenderete meglio, ossia l’inatteso, la visita, la notizia, ciò che il termine presentimento esprime così bene», (Lacan, Sem X, pag. 82).
“Dove si presenta il taglio che il soggetto avverte con certezza?” Appunto in un nodo che è stato apparentemente sciolto ma che ha il potere di riformarsi; l’angoscia è quel taglio che si presenta quando tutte le illusioni, tutti gli alibi e tutti gli sforzi di poter uscire da qualcosa senza voler in realtà uscire da una situazione in cui esiste un certo affetto che il soggetto non vuole sciogliere, si riaffacciano alla coscienza.
Allora il Covid19 si è fatto strada in questo taglio e si è intrufolato come ciò che da sempre è lì, come “depositato”, come ospite possibile (pensiamo nella storia umana a tutte le epidemie virali come la peste, l’ebola, la spagnola la SARS, l’HIV, ecc.) fin dalla nascita del soggetto umano e fino dalla sua entrata nel linguaggio che gli permette di parlare e di agire.
Nella prima fase della emergenza l’ospite inatteso, il Covid19 ha colpito in modo inaspettato rivelando sostanzialmente ciò che da sempre è lì sulla scena del mondo, ovvero la morte, il Thanatos con la raccapricciante certezza che il soggetto umano ha costruito un sistema che la ignora trasformando ciò che è naturale in una sensazione di finitudine che il soggetto non accetta.
Nella seconda fase o “della convivenza sociale” l’ospite è sempre meno sconosciuto grazie alla riorganizzazione dell’Altro che cerca d’irretire l’ospite in una rete di conoscenze scientifiche e sanitarie. Questa seconda fase ci permette di porci questa domanda: chi è l’Altro nella seconda fase della emergenza? Dopo la contingenza (prima fase) e l’impatto devastante che ha iniziato il meccanismo patogeno a partire dalla presenza reale del Covid19, l’emergenza della fase 2 ha a che fare con la “disgregazione progressiva” del rapporto tra ciò che rappresenta il soggetto, ovvero “il corpo per l’Altro” (l’insieme del potere economico, finanziario, scientifico e universitario) in questo sistema che incornicia sia la contingenza che l’emergenza sociale nella scena del mondo. Il corpo del soggetto, prima dell’avvento del Coronavirus, ha lavorato, ha prodotto e consumato per l’Altro del potere, con l’illusione che l’oggetto che produce e consuma sia “coro-nato” cioè avvolto permanentemente da una corona di splendore immaginario che fa dell’oggetto merce un oggetto feticcio ovvero un qualcosa di artificiale e di illusorio che serve al soggetto stesso a innalzare il primitivo infantile, perduto per sempre, (la madre e il suo corpo) alla potenza di idoli (oggetti-merce), a cui lo stesso soggetto attraverso il meccanismo dell’identificazione si identifica per trarne potenza e beneficio narcisistico: «I feticci non rimandano a nient’altro che a sé stessi e vengono investiti proprio per la loro natura di oggetti (o di fenomeni naturali) di un potere superiore che viene riconosciuto loro da coloro i quali li adorano» (Giuseppe Panella in Marx, Freud, Lacan, aavv, Borla, Roma, 1999 pag. 118).
Dunque il feticcio serve al soggetto della cornice per essere e per sentirsi potente all’interno del sistema in cui opera come corpo per l’Altro del potere, e serve anche allo stesso soggetto a giocarsi in un certo modo la sua vita mettendola al riparo dalla morte e dall’illusione che la separazione dall’Altro materno inconscio (il primitivo) non sia mai avvenuta: l’angoscia è il segnale inequivocabile che ci indica come questo gioco immaginario si è svelato nella prima fase della contingenza e l’oggetto feticcio, a cui il soggetto s’identifica per i suoi giochi, è caduto, si è staccato dall’Altro rivelando al soggetto che esso stesso è un niente segnato dalla finitudine e che l’Altro del potere è disgregabile, incerto e finito: «Il soggetto essendo tale oggetto, è irrimediabilmente segnato dalla finitudine.» (Lacan, l’Angoscia, Sem. X 1962-63, Einaudi, Torino, pag. 29). Inoltre il soggetto, ridotto a niente, rivela la sua disperata voglia d’amore cercata nella presenza dell’Altro che non trova più, e così l’angoscia segnala anche come il fallo sia ormai inservibile per giocare con l’Altro a essere qualcosa per lui.
Dunque vedere il fallo, che era e a cui il soggetto si identifica, cadere così in disgrazia, gli fa sentire l’angoscia del fall(o)imento. Il soggetto sente che qualcosa dell’Altro è venuto a mancare e che lui come soggetto non può immaginarsi più come colui che tampona questa mancanza dell’Altro e di conseguenza la sua mancanza di soggetto gli si rivela come una assenza di desiderio sostituita dalla “paura e presenza della morte” che il soggetto erroneamente confonde con l’angoscia. E questo segnale rivela la presenza di «un’intrusione radicale di un elemento Altro rispetto all’essere vivente umano, quale è per lui il fatto di essere passato nell’atmosfera, che emergendo in questo mondo in cui deve respirare, è innanzitutto letteralmente asfissiato e soffocato» (Lacan, Sem. X, pag. 358). Qui Lacan descrive il trauma della nascita del bambino, ma l’intrusione si può applicare anche a un altro tipo di trauma quando il soggetto nella sua vita per circostanze contingenti, come è il Covid19, è costretto a nascere di nuovo ripartendo da zero (“niente sarà più come prima dopo il corona virus” dicono i pazienti con una certa angoscia per l’oscurità incerta del futuro). E in questo azzeramento disgregativo nel rapporto tra il soggetto umano e l’Altro del potere emergono la primitività dei bisogni dell’essere umano (la fame, la perdita del lavoro che mette in crisi l’identità del soggetto sul piano sociale, le condizioni precarie abitative, ma anche i bisogni secondari acquisiti per abitudine che l’Altro garantiva).
La cornice che serve a inquadrare il sentimento dell’angoscia che non inganna e che provoca una raccapricciante certezza abbiamo visto che può corrispondere al V Discorso di Lacan che nel 1972 a Milano disegnò sulla lavagna nominandolo come Discorso del Capitalista.
Il movimento interno strutturale a questo Discorso, ci permette di vedere che cosa succede se accade una contingenza (prima fase) e la sua emergenza relativa (seconda fase) come è l’avvento del Covid19: accade che la vita normale, sia sociale che privata dell’uomo, s’interrompe e costringe l’uomo stesso a una necessaria riorganizzazione della relazione tra il suo corpo e l’Altro del potere. Accade anche una necessaria riorganizzazione interna alle componenti che costituiscono l’Altro del potere ovvero avviene una ridistribuzione e modificazione del potere politico e economico-finanziario (riorganizzazione del lavoro) e un’accentuazione della presenza del polo scientifico che detta le regole sanitarie e che opera per la salute dell’essere umano e del suo corpo. In questa seconda fase di convivenza sociale con l’ospite, il taglio apertosi nell’Altro, se rivela la finitudine del soggetto, attraverso il sentimento dell’angoscia, rivela anche l’aspetto angoscioso dell’attesa che il buco nell’Altro si richiuda per tornare a illudersi di essere di nuovo sicuri e utili per la vita.
Un’ “attesa senza immaginario” e l’angoscia “carica di attesa” rivelano tutto il peso che ha il corpo come sintomo del soggetto nella cornice del Discorso del Capitalista, in quanto il soggetto nell’angoscia, come sappiamo, si riduce a essere corpo. L’angoscia segnala al soggetto la pesantezza della sua impotenza, della sua solitudine, e dunque della sua attesa che l’ospite che si è impadronito del corpo finalmente se ne vada e cessi così la presenza della morte; l’attesa schiaccia il soggetto alla superficie ossidabile e ossidata delle cose senza dialettica e parola: «l’uomo che parla, il soggetto non appena si mette a parlare, è già, per il tramite della parola implicato nel proprio corpo. La radice della conoscenza è questo coinvolgimento nel corpo» (Lacan, Sem. X, l’Angoscia, pag. 237.)
Il soggetto è in questa seconda fase implicato sempre più nel proprio corpo e la parola è impastata di materia, di reale: dal Reale del Covid19, al farmaco-arma per sconfiggerlo, alla fame di cibo, al bisogno fisico di movimento e al bisogno dell’abbraccio sensoriale, cosicché la conoscenza, nelle fasi in cui il trauma e l’angoscia sono i padroni, non può che ripartire da questa implicazione e ossidazione forzata nel corpo.
La psicoanalisi e la cura al tempo del Coronavirus. Il posto dell’analista.
Allora, di fronte a questo Reale mi chiedo quale contributo pratico la psicoanalisi può dare in questa emergenza?
Una risposta può essere questa: “a partire dalla cornice, detta del Discorso del Capitalista che inquadra l’angoscia del soggetto, il posto dell’analista nella cura delle patologie contemporanee, implica anche il suo punto di vista come sguardo all’interno della stessa cornice.”
Ciò vuol dire che il discorso in cui il soggetto moderno è preso, sottolinea la sua relazione con la questione del godimento che mette in luce come l’inconscio del soggetto passa da questa funzione e dal Reale che lo registra.
Lo sguardo e il punto di vista dell’analista all’interno del Discorso del Capitalista registra ciò che accade nella massa come soggetto che non pensa e che non parla ma è pensato dal sistema di questo Discorso ed è determinato dalla potenza del Super-Io che dice al soggetto “Devi godere”, ma godere di che cosa? Dell’oggetto reale del godimento, ovvero dell’oggetto che è coro-nato da un immaginario brillante e seducente come è il feticcio.
Lacan ha distinto il Reale del Discorso, dal Reale come godimento impossibile di un oggetto perduto presente nella storia singolare del soggetto ascoltato in analisi. Il punto di vista si salda con il posto dell’analista.
Il punto d’incrocio sono le rifrazioni e gli effetti che ogni paziente porta con sé, nel proprio discorso soggettivo sostenuto e rafforzato dal programma del reale nel Discorso del Capitalista nel quale il paziente come soggetto agisce avendo un posto come corpo-sintomo. Freud ci dice che ciò che accade al di fuori del soggetto, accade prima dentro il soggetto stesso; con Lacan questo verità freudiana si chiarisce ulteriormente nella complicazione del Discorso del Capitalista.
Infatti ciò che per il singolo soggetto è impossibile godere dell’oggetto perduto per sempre e che determina il meccanismo della ripetizione inconscia all’interno della vita di relazione amorosa e affettiva, (tutto ciò che pulsionalmente ha a che fare con il corpo della madre e con i suoi sostituti oggettuali), sul versante sistematico del Discorso del Capitalista funziona un’organizzazione che si sostiene su un trucco perverso in quanto riguarda l’oggetto feticcio il quale ha il potere illusorio, ma reale, di poter abolire l’impossibilità di godere l’oggetto perduto e ha il potere di permanere alla superficie intorno alla quale il soggetto contemporaneo si organizza come colui che annulla tutto ciò che ha a che fare con il sapere prodotto dall’inconscio.
Il meccanismo che regola il Discorso del Capitalista è un reale che appartiene all’oggetto feticcio e di conseguenza anche al soggetto che lo abita senza esserne consapevole. Ma cosa c’è dietro questo meccanismo di ripetizione dell’oggetto feticcio?
«La pulsione di morte è il reale in quanto non può essere pensato se non come impossibile» (Lacan, Sem XXIII, Il sinthomo, Astrolabio, Roma, 2006, pag. 121)
La pulsione di morte, per Lacan, è dunque quel reale che la ripetizione dell’oggetto feticcio serve a nascondere; mentre il godimento dell’oggetto, corrisponde al reale in quanto nella ripetizione dell’atto di godimento il soggetto rivela l’impossibile cui non rinuncia e il Discorso del Capitalista è la cornice dove l’oggetto feticcio fa incontrare il soggetto con la pulsione di morte che lo abita e che si ripete.
Il Coronavirus, entrando come reale puro, in fondo ha messo in luce proprio la natura di questo godimento mortifero dell’oggetto feticcio che, smascherato e depotenziato, non serve a nulla. Se sul versante del Discorso tutto rimane perversamente negato nel soggetto, sul versante del posto dell’analista esso rivela al soggetto questa negazione rivelando la genesi dell’oggetto feticcio come negazione dell’amore e come negazione dello stesso soggetto. Il posto dell’analista nella cura ha a che fare sempre di più con pazienti che riflettono sull’immobilità del loro narcisismo e dunque sulla difficoltà a godere di ciò che è possibile godere per lasciarsi andare alla pulsione di morte di cui sono prigionieri, imprigionati, come Narciso, nell’Io e nei suoi riflessi immaginari.
La situazione attuale rientra nelle previsione che Lacan negli anni 70 fece a proposito della sfida che lo psicoanalista avrebbe dovuto affrontare in futuro perché il reale sarà appunto il grande nemico dello psicoanalista. Il Coronavirus è un reale puro, un RNA, ed è un reale della contingenza, direttamente un affare più dei virologi e biologi che dello psicoanalista; quest’ultimo è chiamato ad affrontarlo con gli strumenti che gli sono propri e con questi strumenti è chiamato, come sempre, a contrastare gli effetti di questo reale: e uno di questi effetti è quello di non far dimenticare al soggetto che non è solo corpo organico in balia della scienza ma è anche un corpo parlante la cui angoscia è un segnale di pericolo per la sensazione di essere ridotto al corpo. Il Coronavirus può essere preso a pretesto da qualcuno per indirizzare l’esistenza della vita del soggetto verso il rifugio comodo della scienza ma soprattutto della tecnologia di massa che pensa di avere in mano il reale organico che esclude così il reale che incontra la vita sottoposta al linguaggio del godimento di cui l’angoscia fa parte. In sostanza, la psicoanalisi vigila affinché tutta la vicenda del Coronavirus non si riduca a essere considerata una faccenda solo sanitaria e tecnologica senza farne anche esperienza umana connessa alla vita. C’è una battuta di Lacan a proposito della importanza dei biologi in una vicenda come questa dove il reale può essere considerato alla stregua solo della vita biologica: «La cosa si fa divertente quando sono gli stessi studiosi a essere presi, non dalla fantascienza naturalmente ma da una certa angoscia.» (Lacan, La terza, in La psicoanalisi n°12 Astrolabio, Roma 1992, pag. 22).
Anche i biologi, dunque, come tutti gli uomini di scienza, sono soggetti al sentimento angosciante della riduzione del soggetto a corpo, a forza di trattare la vita come se fosse solo organismo e il rischio di diventare un “topo da laboratorio è concreto” mi disse un paziente fobico-ossessivo che faceva del suo laboratorio di analisi dove lavorava un piccolo mondo lontano dalla vita quotidiana.
Allora il contributo pratico–clinico ed epistemologico che la psicoanalisi in questa circostanza può dare, deve partire, come sempre del resto, dalla pratica dello psicoanalista che lavora con il singolo paziente, dall’ascolto del quale si rivelano gli effetti psichici, come l’angoscia e la paura, causati dal reale del Coronavirus nella loro vita quotidiana.
Il reale a cui Lacan pensava come nemico, riguarda tutto ciò che nella vita cade sotto il dominio della scienza e della politica economica che trasforma ogni cosa scientifica in tecnologia di massa. Per esempio, pensiamo alla società umana sempre più dominata dalla tecnologia che sta costruendo per il futuro prossimo una società robotica e quindi, in sintesi, una civiltà delle macchine che apparentemente si mette al servizio dell’uomo ma che invece serve a nascondere il meccanismo stesso del controllo: «Il bello sta nel fatto che negli anni a venire l’analista dipenderà dal reale e non il contrario. L’avvento del reale non dipende assolutamente dall’analista. Egli ha la missione di contrastarlo. Nonostante tutto il reale potrebbe anche prendere la briglia, soprattutto da quando ha l’appoggio del discorso scientifico. […] Nella società civile la vita dell’uomo è sempre più invasa dai gadget: [La scienza] in fin dei conti ci dà qualcosa che per la maggior parte della gente e, in particolare per tutti quelli che sono qui, si riduce a dei gadget: la televisione, viaggio sulla luna». (Lacan, La terza, pag. 37) Ma che cosa sono i gadget? «L’avvenire della psicoanalisi dipende da ciò che avverrà di questo reale cioè se i gadget, per esempio, vinceranno veramente la partita, se noi stessi giungeremo a essere veramente animati dai gadget.» (Lacan, La terza, pag. 38). Questa è la sfida che la psicoanalisi, all’interno del reale del Coronavirus, ingaggia contrastando la portata di senso del reale tecnologico dei gadget affinché il soggetto non si lasci sopraffare dall’Io che è sempre pronto per la menzogna all’adattamento alla realtà dell’Altro, e fare dunque, come si dice, “di necessità virtù”.
Riferito a questa situazione reale del Coronavirus, il pericolo di fare dell’emergenza una normalità tecnologica dominata dallo smartphone, dalla televisione, dalla robotica e comunque dal digitalismo in eccesso, è concreto. Tutto questo reale metallico si può considerare l’evoluzione sofisticata dei gadget di cui parla Lacan, gadget ai quali lo psicoanalista non si può piegare, anzi deve contrastarli, (per esempio evitando di cedere alla tentazione di fare la seduta attraverso Skype o attraverso le video chiamate).
Se il posto dell’analista riguarda la cura con i singoli pazienti e il loro inconscio, il suo punto di vista, invece, riguarda la sua riflessione epistemologica, all’interno di una cornice, denominata clinica dei legami sociali ovvero quella clinica che ha come paziente tutto ciò che avviene nella massa che corrisponde secondo la topologia del Nastro di Moebius, a tutto ciò che succede nel soggetto al livello della struttura interna orientata nel quadrivio dei suoi oggetti libidici, che hanno la caratteristica di mancare ognuno di qualcosa di specifico, ovvero l’oggetto del bisogno, l’oggetto della domanda, l’ oggetto del desiderio e l’oggetto godimento.
Il materiale del Discorso del Capitalista è presente anche all’interno del discorso d’ogni singolo paziente quando parla degli altri (amici, colleghi, ecc.) e in questo caso il punto di vista dell’analista sul Discorso del Capitalista s’incontra con il particolare del posto dell’analista che fa da tagliente simbolico al reale dei gadget: il metallo dei gadget, dal momento che non si può tagliare, si può però tagliare fuori dalla seduta (tenere spento il cellulare) oppure attraverso la parola dell’analista ridicolizzarlo per sottolineare l’interferenza dell’altro nel tempo privato che il paziente dedica al suo discorso.
Questa è la caratteristica del lavoro psicoanalitico da cui l’analista, quello orientato verso Freud e Lacan, non può derogare e dunque incontra il suo limite operativo nel servire la sua causa, quella dell’inconscio inteso come oggetto dal quale estrae la parola e il godimento negli affetti che i pazienti mostrano nei loro atti e relazioni, tenendo presente che essi si muovono nella cornice del Discorso del Capitalista. Il posto dell’analista parte dalla dialettica tra il paziente e il suo inconscio; questa dialettica fa dell’analista il “tagliente” simbolico che riporta il soggetto al taglio della sua soggettività nonché, come in queste circostanze storiche, al taglio che implica l’angoscia come effetto perturbatore cui il soggetto si riduce.
Quindi, attingendo dai pazienti, che in questi mesi ho potuto ascoltare, ho notato un cambiamento sia nella loro domanda di analisi, sia nel significato e nel senso della loro parola e dunque parto da questa considerazione: i singoli pazienti in appena pochi mesi (da inizio febbraio a tutto aprile) sono passati nel pre-coronavirus dal lamentarsi del loro stato di “affaticamento psico-fisico”, che sul piano clinico corrisponde allo stress ovvero alla sindrome generale di adattamento, all’angoscia e alla paura della morte.
In questo crollo però non c’è solo la morte fisica ma anche la rivelazione del soggetto dell’inconscio nella sua finitudine legata al sentimento dell’angoscia.
I pazienti in analisi, prima del Coronavirus, parlavano tutti di sé stessi, a partire dagli affetti personali rimossi i cui effetti differenziali emergevano nelle loro azioni quotidiane che riguardavano le tre aree principali in cui tali affetti giocavano la loro parte ovvero l’Amore, il lavoro e la salute: in sostanza i pazienti non facevano altro che parlare d’amore anche quando non ne parlavano direttamente ma come riflesso negli affetti personali della loro vita quotidiana.
La posizione soggettiva che i pazienti occupavano prima del Coronavirus oscillava tra l’adattamento – ogni paziente metteva in gioco una quantità diversa di energia pulsionale libidico-immaginaria al fine di adattarsi – e le loro contraddizioni personali a questo adattamento (resistenza alla sforzo di adattamento); questa oscillazione costituisce una sorta di altalena tra l’Ideale (I) soggettivo e il lato pulsionale del soggetto (P): la persistenza tenace di questa oscillazione ha come risultato un modo di ammalarsi nevroticamente.
Il tempo investito da ogni soggetto verso l’Ideale dell’adattamento, collocato nel punto più appetibile dell’Altro sociale, era differente, così come era differente il tempo dell’oscillazione verso il basso pulsionale rivolto verso il materiale inconscio (sogni, fantasie) che serviva al paziente per ricordare e ripetere scene del passato. Questi pazienti erano disposti a incontrare il tagliente dell’analista mentre quelli, la cui posizione narcisistica del lato Ideale dell’altalena era rafforzata dal lato perverso oggettuale nelle attività sociali e produttive, non erano disposti a incontrare il tagliente dell’analista e dunque a incontrare il taglio, che li struttura come soggetti, taglio ricoperto costante(mente) e tenace(mente) dal pieno immaginario dell’oggetto feticcio reale da cui sono attratti; detto in altri termini la lamentazione soggettiva del paziente nel preliminare della domanda d’analisi ha rilevato un modo di ammalarsi nervosamente, come ci dice Freud. Il significante della domanda ha espresso una lamentazione sempre dubbiosa e oscillante tra la necessità di aderire o sottrarsi al tempo dell’Atro e più in generale al desiderio di essere riconosciuti (amati) dal (desiderio) dell’Altro. La domanda rivolta all’analista è sempre una domanda d’amore che mette in luce una richiesta di fondo, espressa in diversi modi personali, una sorta di “non so come fare ad adattarmi senza ammalarmi pertanto mi aiuti a sciogliere questo nodo.”
Allora, prima del Coronavirus, nella situazione diciamo di normalità della cornice costituta dal Discorso del Capitalista, il corpo del soggetto era sottoposto allo stress e dunque a una tensione immaginaria e fisica per adattarsi al meglio alla logica dell’Altro; in quella fase direi sistematica continuativa il corpo era sottoposto a stress e il soggetto si era ridotto a essere solo corpo con la prevalenza dell’Istanza dell’Io che ha il compito appunto di gestire la tensione adattiva. Quando l’energia investita nel progetto di adattamento supera, eccede, la risorsa energetico-libidico a disposizione del soggetto e non ci sono in lui più risorse immaginarie da poter pensare d’impiegare in altri settori, il rischio è la depressione esogena da cui la necessità di cura che solitamente è un ricorrere al farmaco. In quella fase non tutti i soggetti però vivevano lo stress in egual modo, in egual misura e con le stesse motivazioni affettive di fondo; infatti quei soggetti che dopo i colloqui preliminari sono diventati pazienti, hanno trovato nella domanda d’analisi la strada per sottoporre il loro nodo interno a un tagliere esterno (l’analista) che si agganciasse alla loro sofferenza interna.
L’energia libica personale di questi soggetti era regolata dalla capacità residua pulsionale (Es) d’impiegare il proprio tempo ancorandolo al soggetto dell’inconscio ovvero a una risposta desiderante che impedisse d’arrivare al terzo S.O.S dello Stress ovvero alla rottura dell’adattamento dell’Io o fase dell’esaurimento nervoso depressivo. (Caduta di ogni sforzo e di ogni resistenza allo sforzo di adattamento).
La domanda d’analisi allora era annodata tra l’esigenza dell’adattamento per l’amore per l’Altro e uno scioglimento da questo sacrificio che era vissuto come troppo vincolante. I pazienti che ho ascoltato sono riusciti a staccarsi dalla massa che costituisce il corpo di tutti coloro che aderiscono all’adattamento e alla logica dell’Altro, senza aver interesse o la forza di poter prendere una strada diversa dove le risorse libidiche residuali potessero essere sostenute per far così prevalere l’istanza del desiderio piuttosto che quella legata a godimento mortifero. (La fase depressiva fa parte anch’essa dell’istanza del godimento mortifero).
È stato possibile elaborare il godimento implicato in quei pazienti, i cui residui marginali sono ancorati a una parola piena cioè legata alla sofferenza del soggetto desiderante; lo stato di adattamento di questi pazienti è compatibile con quanto Freud affermava sulla posizione del “masochismo erogeno”; mentre ciò che nutre il sistema e il movimento del Discorso del Capitalista ha a che fare con la complicità tra il soggetto e l’oggetto prodotto dall’Altro, e questa complicità è di tipo feticistico-narcisistico che garantisce al soggetto una permanente illusione immaginaria di potenza libidica che corrisponde e comunica con il potere dell’Altro (anche coloro che arrivano alla disgregazione egoica della terza fase dello stress scelgono la via del farmaco, comunque della sostanza, che li permette di rientrare nel gioco adattivo.)
La posizione feticistica oggettuale implica un forte substrato narcisistico sul versante perverso e ciò garantisce in modo compensatorio la protezione (dall’apertura insorgente) dall’angoscia, mentre il sacrificio nel masochismo erogeno implica solo qualcosa dell’angoscia: «Ciò è talmente certo che il tempo dell’angoscia non è assente dalla costituzione del desiderio, anche se questo tempo è eliso, non localizzabile concretamente.» (Lacan, Sem X, pag. 189).
I pazienti prima del Coronavirus che erano implicati in un sistema di adattamento legato soggettivamente al masochismo erogeno, avevano dunque margini di rilocalizzazione del godimento su concreti luoghi legati a un loro desiderio rimasto a lungo ossidato. Questi pazienti con il Coronavirus hanno avuto con la certezza dell’angoscia un segnale della loro implicazione soggettiva nel sacrificio che ha che fare con la caratteristica più tenace dell’Amore dove «l’angoscia è dunque il termine intermedio tra il godimento e il desiderio, in quanto il desiderio, si costituisce una volta superata l’angoscia, come fondato sul tempo dell’angoscia.» (Lacan, Sem X, pag 189).
Il tempo dell’angoscia è la certezza della finitudine che il soggetto avverte anche nel desiderio ma da cui non si tira indietro. Mentre tutti coloro che aderiscono al sistema del Discorso del Capitalista, secondo una costituzionalità perversa di tipo feticistico narcisista, poi con il Coronavirus, nelle due fasi della contingenza e dell’emergenza, hanno a che fare proprio con la fatica di sostenere l’angoscia che si è collocata al cuore della loro vita quotidiana, con la conseguenza di un disadattamento nel quale non riescono a trovare aperture al desiderio.
Pertanto la convivenza con il virus, in questa fase 2, stabilizza il sentimento dell’angoscia senza poter attivare spazzi desideranti che rilocalizzino il tempo dell’angoscia sul versante della elaborazione di un spazio bianco; la stabilizzazione del sentimento dell’angoscia si fonda invece sull’attesa che le cose tornino come prima avendo la sensazione spiacevole che non lo potranno più essere.
Queste ultime considerazioni non derivano direttamente da pazienti che in analisi elaborano il loro sistema di adattamento e che hanno aperto al desiderio accettando la permanenza dell’angoscia, ma sono frutto di considerazioni cliniche ragionando all’interno del Discorso del Capitalista secondo la clinica dei legami sociali che mette in luce la precarietà che caratterizza il godimento eccessivo del soggetto costruito sulle trappole immaginarie della potenza feticistica dell’oggetto che è il fulcro del Discorso del Capitalista. Queste trappole immaginarie mantengono viva la patina superficiale di ossidabilità che si deposita sugli oggetti e sul soggetto che li produce. Il deposito continuativo dell’ossidabilità oggettuale garantisce al soggetto un godimento supplementare permanente per la sua posizione soggettiva che si ossida anch’essa alla superficie e fa da resina all’Io nel suo sforzo e nella sua resistenza allo sforzo di adattamento: ciò che si colloca tra lo sforzo e la resistenza allo sforzo dell’adattamento si può anche chiamare tendenza al masochismo di tipo erogeno se questa posizione è rivelata e passa attraverso la parola del paziente in analisi, paziente che avverte che il suo sacrificio estremo è arrivato al limite della sopportazione, mentre questa stessa posizione soggettiva se si fa Io, votato al dominio narcisistico come riflesso dell’oggetto feticcio, indica una posizione perversa dove il godimento dell’oggetto non scalfisce la ruggine ossidata alla superficie delle cose e non passa direttamente dalla parola del paziente in analisi. Lo status perverso narcisistico l’ho potuto ascoltare nei colloqui preliminari dei pazienti quando il loro sistema narcisistico ha iniziato ad incrinarsi nella lamentazione della propria vita quotidiana costretta al lavoro e identificata all’oggetto feticcio: questo oggetto, fondatore del Discorso del Capitalista, viene prodotto e consumato nonostante lo stress, al grido “non mi tiro mai indietro a ciò che mi ordinano di fare”. In questi casi la fase tra la normalità pre-Coronavirus e la prima fase del Coronavirus della contingenza è servita all’incrinazione inaspettata del sistema di certezze narcisistico- feticistiche la cui angoscia, apertasi in quel taglio e avvertita come insopportabile per l’improvviso disinvestimento totale della libido immaginaria, ha prodotto una domanda di analisi o per lo meno una domanda di aiuto che è stata in alcuni casi preliminare a una domanda di analisi, (domanda raccolta e lavorata con il cliente dal lavoro di counseling analitico all’interno del Campo analitico). Ci sono soggetti che hanno rinunciato alla via del farmaco ma non hanno scelto direttamente nemmeno l’analisi, invece sono passati da vie eterogenee (consultori d’aiuto, psicoterapie varie fondate sul benessere cioè sull’essere che sta bene piuttosto che interrogare il bene dell’essere) con l’intenzione di fondo di poter nuovamente essere rimessi in gioco come un Io che potrà essere potenziato per adattarsi di nuovo all’Altro del potere (la via americana della cura).
Il posto dell’analista come tagliente e interprete dell’inconscio è certamente in pericolo dopo questo accadimento reale-pandemico, perché il Reale avrà un peso maggiore sulla vita e nella vita del soggetto, non più inscrivibile nella contingenza che irrompe dall’impossibile come il Coronavirus, ma quel Reale (non dell’organismo) che non cessa di scriversi e che dunque diviene ormai necessario dettando il senso delle cose anche al simbolico nel luogo della superficie degli oggetti su cui la parola dell’analista non fa presa, ma scivola e rimbalza. E scivolando e rimbalzando dove va a finire? Si deposita alla superficie e diviene parte di essa, si ossida.
Per esempio una paziente recentemente mi diceva con una certa angoscia della sua dipendenza dai gadget “i gadget, tutti gli schermi, mi prendono la mano e sento freddo metallico, mentre il fuoco che dentro lo schermo incendia mi dovrebbe scaldare invece non mi accende nulla nel mio corpo.”
Lacan ha dato una perfetta definizione di Reale applicabile al freddo gadget: «Da dove viene il fuoco? Il fuoco è il reale. Il reale dà fuoco a tutto. Ma è un fuoco freddo…» (Lacan, Sem XXIII, pag 117).
I gadget così potenti e focosi sono maschere del freddo reale perché il Reale non può bruciare, perché non si scosta dallo zero. Questo paziente involontariamente ha detto molto bene quando afferma che il metallo dei gadget è il freddo reale ovvero è la cornice che inquadra l’impossibile di un fuoco che dentro lo schermo non brucia. E la mano che ci prova a bruciare rimane dipendente e freddata.
L’analista dovrà fare i conti sempre di più con queste fredde ma reali metafore dette dalle parole morte dei pazienti.
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