LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO: “Un incontro impossibile”

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8 luglio, 2020 - 05:35
Autore: FRANCESCO BOLLORINO E GILBERTO DI PETTA
Editore: Alpes Roma
Anno: 2020
Pagine: 124
Costo: €10.45

Ho dato l’appuntamento alla “Valle delle delizie”, uno chalet ai piedi del Monte Somma, a Ottaviano, il paese confinante con Somma Vesuviana dove abito. È un posto tranquillo, familiare, fresco, un luogo adatto, in questi giorni afosi di inizio estate, per una conversazione tranquilla, un incontro tra due persone che non si conoscono. Non si conoscono personalmente, non si sono mai incontrati faccia a faccia, ma uno dei due ( io ) conosce l’altro attraverso una memoria  scritta molto tempo fa (oltre cent’anni fa),  ritrovata da un ricercatore interessato, stampata e offerta alla lettura di tutti. Una sorta di messaggio scritto, messo in una bottiglia e gettato in mare, con la segreta speranza che qualcuno un giorno potesse trovarlo,  leggerlo, e riparare un’enorme ingiustizia (doppia ingiustizia) di cui è stato vittima. Per caso, o per essere più precisi per l’appassionato interesse di uno psichiatra, questa bottiglia con dentro il messaggio è stata trovata, il messaggio è stato letto, ritenuto interessante, interessantissimo, è stato stampato e fatto leggere ad altri mille, diecimila e più interessati ai fatti narrati, e ora un po’ tutti amano il protagonista della vicenda (il protagonista, non il delitto, il doppio delitto di cui è stato vittima). Dire di amare il protagonista della tragica vicenda forse è un po’ troppo, ma certamente si è creato intorno a lui un clima di sincero interesse, empatia, voglia di riparare errori, disattenzioni e non curanza da parte di quelli che erano vicini al protagonista della nostra storia, più di cent’anni fa.  Un interessamento tardivo, certo, che diventa però l’emblema dell’interessamento e della cura che dovremmo dedicare ai tanti che chiedono aiuto, ascolto, ma non si sentono aiutati ed ascoltati con la dovuta attenzione.
 

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Sto parlando di Gerolamo Rizzo, il “pazzo” che nel 1908, in Piazza Umberto I  a Genova  uccise con un colpo di rivoltella un prete a caso che transitava di lì. Ho letto il libro in cui è stato trascritto il memoriale ritrovato, l’ho letto con le note esplicative, indispensabili per comprendere storicamente e clinicamente  la vicenda narrata e  ho letto i vari commenti specialistici. Poi però ho letto il memoriale così com’è, senza note e commenti,  come se fosse un racconto di fantasia, un giallo, e sono stato folgorato.  Mi ha preso una sorta di eccitazione, di inquietudine, di delirio solidaristico: devo fare qualcosa per questo povero Cristo, che cosa posso fare ora per lui?   E’ un’idea folle, un senso di colpa postumo e ingiustificato, per una tragedia scoppiata oltre cent’anni fa, di cui non sono assolutamente responsabile. Una sorta di moderno  Don Chisciotte che,  lancia in resta, va alla ricerca delle ingiustizie da riparare, soprusi da evitare, tragedie da scongiurare. Qui e ora, ma anche cento, mille anni fa, lontano cento, mille chilometri e più. Non c’è limite al mio desiderio di giustizia. Quasi un delirio.  

Ma sto andando troppo per le lunghe, sto tergiversando. Altre cose le spiegherò in un altro momento, devo fermarmi. Anche perché è arrivata la persona che aspettavo, il Rizzo.  Si guarda intorno, è spaesato, non conosce nessuno, nemmeno me che lo ha contattato. In che modo l’ho contattato, è un’altra cosa che dirò in un altro momento. Ora non ho tempo.  

Mi avvicino a  Rizzo, passando oltre tre o quattro tavolini già occupati. 

Mi presento: “Sono Massimo, Massimo Tronti”.   

E lui: “Io sono Gerolamo, Gerolamo Rizzo. Gerolamo Rizzo!”   

Ripete il suo nome due o tre volte, e nel dirlo alza la voce, troppo, quasi voler far saper a tutti intorno chi è, a gridare la sua identità. Con fierezza, quasi con rabbia. Le persone intorno guardano stupite questa strana coppia che sta parlando in modo concitato. In particolare notano il Rizzo, che ha l’aria alterata, il viso rossiccio, un abbigliamento trasandato e antiquato, parecchio antiquato. L’aspetto è molto simile allo schizzo che apparve in un giornale dell’epoca, nel 1908:  “L’uccisore”. Alto, corpulento, un po’ invecchiato e provato, con baffetti, occhialini d’oro e con un ciuffo di capelli che gli spuntano dal cappello. Raggiungiamo insieme il tavolo che avevo prenotato. 

  • Dove stiamo. Perché stiamo qua.  

  • Ho letto il suo memoriale, quello che lei ha scritto in carcere e in manicomio,  dopo l’uccisione del prete nella piazza di Genova, nel 1908, si ricorda?  

  • Si, mi ricordo, un poco mi ricordo,  sono passati tanti anni. Ma lei chi è, che cos’è tutto questo interesse per delle carte che ho scritto tanto tempo fa, per liberarmi da un peso che mi portavo dentro, e poi ho lasciato lì, non ricordo nemmeno dove. Perché non vi siete ricordati allora di me, quando sono stato male per quattro anni, perseguitato e torturato nella mente e nel corpo, quando ho comprato la rivoltella, ho bevuto quattro o cinque bicchierini di liquore, e ho ucciso quel povero disgraziato che passava di lì in quel momento, nella piazza, proprio davanti a me. Sono stato male per tanto tempo, nessuno mi ha chiesto niente, perché stavo male, eppure si vedeva che stavo male. Anche in carcere, sei mesi e sei giorni, nessuno mi ha parlato come si parla a un uomo, venivo trattato come un criminale,  e poi nel manicomio per 24 anni, niente, solo purghe, subito legato al letto  se appena  alzavo la voce per qualche cosa che non andava, per qualche ingiustizia che mi facevano. Sono morto già allora, ho dovuto soffocare dentro di me tutte le ribellioni che mi venivano nella testa, nel cervello, attraverso le onde elettriche e le onde radio di quelli che mi volevano male … Tutto ho subìto, peggio di un Cristo in croce, e voi dove eravate, voi che adesso vi interessate tanto a quelle cose che ho scritto, che non mi ricordo nemmeno più quello che ho scritto. Dove eravate, mi avete parlato, che avete fatto?...   

 

A mano a mano che parlava, il Rizzo alzava sempre più la voce, gesticolava, le persone intorno guadavano verso di noi, un po’ incuriositi, un po’ preoccupati. Non bastavano i miei gesti rassicuranti, come dire: non vi preoccupate, è tutto sotto controllo. Lo stesso Rizzo si rendeva conto che alzava la voce più del dovuto, si calmava un po’, ma poi riprendeva il suo tono abituale, come una rabbia  troppo a lungo repressa che non riusciva a tenere a freno.    

Arriva il cameriere. 

  • Io prendo una granita di limone. Lei che prende? 

  • Per me un liquore, se è possibile. Un cognac. 

Il cameriere: 

  • Va bene. 

  • Aspetti, porti una granita di limone anche a me. Mi piace molto il cognac, ma adesso fa troppo caldo. Il cognac un’altra volta. Anche un bicchiere d’acqua, per favore. 

  • Va bene. 

Io, al cameriere: 

  • Possiamo spostarci a quel tavolo laggiù, stiamo più tranquilli. 

  • Senz’altro, fate pure. 

Noto un’espressione di soddisfazione e liberazione sul viso del cameriere. Anche lui e il proprietario del bar erano  infastiditi e preoccupati per quel vociare e gesticolare un po’ fuori controllo. Disturbava gli altri clienti, per la maggior parte famiglie con bambini, che erano venuti in quel posto fresco e tranquillo, in mezzo al verde, e non tolleravano quella nota stonata, quel signore che sembrava venuto da un altro tempo, da un altro mondo. E un po’ avevano ragione. 

  • Sì, sì, ha ragione, lei è stato lasciato solo con la sua disperazione, il suo tormento, e nessuno potrà ridarle la vita spezzata, e nemmeno ridare la vita al prete ammazzato, anch’egli innocente ingiustamente sacrificato. 

  • Lui era un rappresentante della chiesa, dei cardinali, del Papa, che tanto male mi hanno fatto, a me e agli altri, anche della mia famiglia. Invece di aiutarmi ridevano di me, quando voltavo le spalle, e anche i signori, e il Re d’Inghilterra, la nobiltà nera e il re Vittorio si divertivano di me, anche con le onde elettromagnetiche e altre macchine elettriche … 

  • Sì, sì, lo so bene quello che ha passato. L’ho letto nel suo memoriale, l’ha descritto molto bene. 

  • Ah, l’ho scritto questo? Non mi ricordo, è passato tanto tempo … 

  • Le dicevo che mi dispiace per quello che ha passato, non possiamo tornare indietro e cambiare le cose. Ma possiamo almeno ricordare le cose, ristabilire la verità, e fare un po’ di giustizia, anche se tardi, troppo tardi. Questo forse potrà darle un po’ più di pace, un po’ di serenità. 

  • Ah certo, un po’ di serenità, ne avrei proprio bisogno … 

  • Soprattutto dopo quella morte atroce per mano di … 

  • Sì, per mano di quel pazzo fanatico di Merlati Francesco, era un pazzo fanatico che mi parlava sempre di Maria Immacolata Concezione, la Madonna di Lourdes, che schiacciava sotto il suo calcagno la testa del serpente, di satana …  

  • Mi sta dicendo che forse il modo in cui il Merlati l’ha massacrata, con calci e pugni in testa, è da collegare con le sue crisi mistiche, una sorta di vendetta per l’uccisione del prete 24 anni prima? 

  • Non è un’ipotesi, è la verità! Anche il giorno in cui mi ha massacrato, l’11 febbraio, è il giorno in cui la Madonna apparve a Bernadette, la pastorella di Lourdes. 

  • Ma lei è sicuro di questo che ha detto: la coincidenza dell’11 febbraio, i calci e pugni che l’aggressore le diede alla testa fino a massacrarlo erano una vendetta per l’uccisione di un rappresentante della Chiesa Madre, di cui è protettrice la Vergine Maria Immacolata? 

  • Io non sono sicuro. È la mia verità, quello che ho potuto capire in manicomio osservando e sentendo quello che diceva il Merlati. La Verità con la V maiuscola dovete trovarla voi, che siete scienziati. La Grande Verità. Io sono un povero Cristo che vi dice solo quello pensa, quello che ha visto e sentito … 

Adesso Rizzo si stava agitando un po’ troppo, e faceva girare dalla nostra parte più di una persona, anche se il nostro tavolo era abbastanza isolato e lontano dagli altri tavoli. Alcuni ragazzi in particolare sghignazzavano palesemente guardando dalla nostra parte.   Questo lo notò anche Rizzo, e abbassò il tono della voce. Ora riusciva a contenersi. 

È passata quasi mezz’ora, e cerco di concludere questa conversazione. Noto una certa stanchezza, in me e in lui. 

  • Signor Rizzo, le ho accennato la ragione per cui l’ho fatta venire qua, l’ho incomodata … 

  • Non mi ha incomodato, mi ha fatto piacere … 

  • È l’interesse che ho provato nel leggere i suoi ricordi, molto interesse. Anche altri hanno trovato interessante il suo memoriale. Lo hanno fatto stampare … 

  • Lo hanno stampato? È un libro adesso? 

  • Sì, è un libro, con note e commenti di psichiatri, psicanalisti, criminologi … 

  • Ma quante persone si sono interessate a me! Adesso? Non potevano interessarsi prima? …  Scusate, scusate, mi accorgo di dire delle stupidaggini … Invece di ringraziare queste persone che si sono interessate di me e hanno stampato le mie memorie, io gli sto dando una colpa che non hanno. Scusate, scusate … Ma anche voi siete uno psichiatra? O uno specialista di malattie mentali, o uno …  come si chiamano gli altri …  

  • No, non sono uno psichiatra, né uno specialista come gli altri … 

  • Come si chiamano gli altri specialisti? …  

  • Psicanalisti, criminologi … No io sono una persona comune, che ho letto le cose che avete scritto. Mi  sono particolarmente interessato alle vostra storia per due ragioni: anch’io sto da molto tempo in cura per una depressione … 

  • Una  depressione, una crisi di nervi … come me.   Anche voi sentivate le voci, sentite le voci. Usate anche voi le macchine elettriche, siete influenzato dal macrocacofono, dalla macchinetta Marconi, le onde Herz … Me le ricordo bene queste cose, sono state il tormento della mia vita … 

  • No, io non sentivo le voci, non ho usato le macchine elettriche, almeno non quelle che usava lei … 

( Mi stavo accorgendo che Rizzo a volte si rivolge a me con il Lei, a volte con il Voi. Anche io sto alternando il Lei e il Voi.  Non ho capito per quale  ragione … ). 

  • Ha usato altre macchine elettriche? Quali? 

  • Non le ho usate direttamente io, le hanno usate i medici su di me, per farmi star meglio, per farmi guarire dalla depressione, almeno così dicevano, così credevano … ma questa è un’altra storia. … Le dicevo che questa mia depressione è stata una delle ragioni del mio interessamento alla sua storia. L’altra ragione è che ho avuto un fratello, Tino, che ha avuto anche lui una malattia mentale, una schizofrenia …  

  • Una schizofrenia, come ce l’avevo io? Anche lui era influenzato dalle macchine elettriche, anche lui ha ucciso qualcuno, è stato in carcere, nel manicomio … 

  • No, non ha ucciso nessuno, non è stato in carcere, non è stato nel manicomio, è stato solo un paio di volte in qualche clinica per farsi curare … Le macchine elettriche le hanno usate i medici su di lui … 

  • Come le hanno usate su di lei? 

  • Sì, sì, ma questo glielo racconterò un’altra volta, se ci sarà l’occasione. Ora voglio arrivare al punto: perché mi sono dato da fare per contattarla, farla venire qua e parlarle … 

  • Sì, me lo dica, mi fa piacere saperlo … 

  • Volevo aiutarla a trovare un po’ più di pace, di serenità. Un po’ più di giustizia, quella giustizia che lei non ha avuto nella sua vita. Il delitto che ha compiuto non è stato colpa sua … Non è stato tutta colpa sua … 

  • Il delitto che ho compiuto se l’è cercato quel prete, a passare proprio in quel momento nella piazza, in quella piazza … 

  • Non parliamo del delitto … Anche quel prete è una vittima innocente di quella tragedia. Quello che volevo dire è che la tua sofferenza, il tuo dolore … 

  • Ho sofferto le pene dell’inferno, non lo auguro a nessuno, a nessuno …  

  • Sì, sì, ci credo, e quello che vorrei fare è parlare con te, per capire di più e meglio di quello che ti è successo, e cercare di alleviare un po’ il tuo dolore, l’ingiustizia e il silenzio che ti sei portato per sempre con te, con la tua morte … 

  • Bella soddisfazione, ora, dopo cent’anni che sono morto … quante belle parole, adesso … alleviare il dolore, riparare l’ingiustizia … Scusa, scusa, anche adesso mi faccio prendere dalla rabbia … Scusa, ma tu pensi che puoi alleviare il mio dolore parlando, facendomi raccontare la mia vita, quello che mi ricordo … Ammesso che mi ricordi ancora qualcosa, dopo tanti anni … Ma tu non sei uno specialista, non sei un medico, uno psichiatra, come pensi di aiutarmi … 

( Mi sono accorto che il Rizzo e io siamo passati al Tu.  Va bene così … ) 

  • Sì, hai ragione, potrei aiutarti e parlare con te come un amico, o come un fratello, così come lo sono stato con mio fratello Tino … non è un aiuto di uno specialista, ma pure quello può far bene, molto bene …  

  • Ti ringrazio del tuo interessamento, in ogni caso mi ha fatto piacere venire qua e parlare con te, e mi farà piacere parlare qualche altra volta. Ma non sono sicuro che potrai aiutarmi veramente, togliermi questa sofferenza che sta dentro di me come un macigno. Ti ringrazio, ma questo macigno penso che non potrà togliermelo nessuno, nemmeno il Padreterno, Dio in persona … Scusa, scusa, ti ringrazio, ti ringrazio lo stesso … 

  • Hai ragione, nessuno potrà toglierti quel macigno che ti opprime, l’ingiustizia che ti ha condannato per tutta le vita, ma un po’ di sollievo, di consolazione potrai averla parlando con me, di quello che avresti voluto dire ma nessuno ti ha ascoltato … 

  • Stiamo sempre allo stesso punto, dopo cento e più anni  consolare, riparare, parlare, che senso ha … 

  • Soltanto sollevarti un po’ il peso che hai dentro, la ferita nell’anima che sanguina ancora. 

  • Hai detto bene … la  ferita che sanguina ancora … 

  • Ma volevo dirti un’altra cosa. Volevo farti incontrare, se sei d’accordo, con  il mio analista  … l’analista è il medico che mi ha aiutato a curare la mia depressione, a stare meglio. A stare meglio, non a guarire completamente … Già stare meglio, molto meglio,  è un gran risultato … 

  • Certo che è un bel risultato … E tu pensi che questo … come si chiama … analista, potrebbe farmi star meglio … Mi piacerebbe tanto, ma non ci credo. Non credo più a niente.  Come si chiama questo … 

  • Analista, è uno specialista, un medico che parla, e fa star meglio parlando, facendo parlare e ascoltando …  

  • Ma dà anche le purghe, attacca al letto, fa fare i bagni freddi, gelati … 

  • No, niente di tutto questo … 

  • Usa anche le macchine elettriche, le onde magnetiche … 

  • No, no, no, solo parlare, capire, ascoltare … senza costringere nessuno … 

  • Mi piacerebbe, ma non ci credo … ma come si chiama questo, qual è il suo nome … 

  • Si chiama  Di Petta, dott. Di Petta 

  • Di Petto, Di Petto, … lo devo prendere Di Petto … (sorride …) 

  • Di Petta si chiama, Di Petta … Ma devo dirti un’altra cosa: questo dottore non so se è d’accordo a incontrarti, non gli ho parlato ancora, questa è solo un’idea mia. Volevo prima sentire te, se eri d’accordo. Poi ne parlavo con Di Petta. Può anche darsi che è occupato, non ritiene utile quest’incontro, che non serve a niente, come dici tu, ma io ci provo, se sei d’accordo. Se dice di no, non è d’accordo, non fa niente, è stato un tentativo, possiamo vederci qualche altra volta, se vuoi, se ti fa piacere … Male che vada abbiamo fatto un tentativo, ci vediamo qualche altra volta, e poi basta … Penso che ti ha fatto piacere venire qui, parlare un po’, e magari vederci qualche altra volta qua o a un’altra parte. Ci vediamo come conoscenti, amici, beviamo qualcosa insieme … 

  • Ah, certo mi farebbe piacere, ma non voglio metterci troppa speranza. Non credo più a niente, più a niente. Credo solo in quello che vedo e tocco, direttamente … 

  • Ma questo incontro di oggi l’hai visto, l’hai toccato … 

  • Sì, sì, e ti ringrazio … Grazie, grazie … Non me l’aspettavo proprio, è stato un miracolo … E io non credo ai miracoli, non ho mai avuto un miracolo … 

  • Nemmeno io.  Allora rimaniamo così: la settimana prossima o ti chiamo io, o ti chiama direttamente questo dottore … 

  • Come si chiama … Di Petto … (sorride di nuovo) 

  • Di Petta, Di Petta, …  

  • Va bene … 

  • Va bene. Mi faccio sentire io. Ci rivediamo. 

  • Va bene. Grazie, grazie, grazie … 

 

Ci salutiamo e passiamo attraverso i tavoli ancora pieni di gente … Qualcuno come poco prima guarda incuriosito, un po’ intimorito … Il gruppo di ragazzi che sghignazzava poco fa, riprende a guardare insistentemente, a sorridere, poi a ridere rumorosamente … Rizzo non ci fa caso, sembra che non li noti neppure … Sono ragazzi, non capiscono, non possono capire, ancora …                                                                                                       

***

**  “Un incontro impossibile”   Questo “Incontro impossibile” prende lo spunto dalle “Interviste impossibili”, una serie di interviste che, nel 1974/75, alcuni scrittori famosi (Arbasino, Calvino, Camilleri, Eco, Del Buono …) fingono di fare a personaggi del passato, fantasmi di persone appartenenti a un’altra epoca (Nerone, l’uomo di Neanderthal, Napoleone, Freud …).  Attori  altrettanto  famosi  ( Carmelo  Bene,  Romolo  Valli,  Felice  Andreasi,Tino Carraro …) impersonavano i diversi personaggi intervistati. 

 

**  Il dogma della Immacolata Concessione fu proclamato da Pio IX  l’8 dicembre 1854 con la bolla “Ineffabilis Deus”, che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. 

Nella religione cattolica l’Immacolata è collegata con le apparizioni di Lourdes dove Maria apparve a Bernadette per la prima volta l’11 febbraio 1858 presentandosi come “ l’Immacolata Concezione”.  Maria Immacolata viene raffigurata mentre calpesta il serpente (satana), ad indicare la sua vittoria sul male.   

Già nella Genesi si trovano questi riferimenti simbolici:” Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche create dal Signore Dio. (…) Allora il Signore Dio disse al serpente (…) ‘Io porrò inimicizia tra te / e la donna, / tra la tua stirpe /  e la sua stirpe; / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno’ “

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