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USARE L’EMDR PER TUTTI I DISTURBI NON HA SENSO

25 Ott 20

A cura di avico.raf


Questo editoriale (Maxfield, 2019, clinician’s guide to EMDR’s efficacy) uscito per un numero speciale della rivista Journal of emdr practice and research a 30 anni dalla prima applicazione dell’EMDR (1989), vuole raccogliere una serie di ricerche il più possibile rigorose (RCT, review sistematiche fatte su articoli con campioni numerosi e pazienti correttamente diagnosticati) a proposito dell’efficacia dell’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) sia per disturbi post-traumatici, che relativa ad altre problematiche psichiche.

Ecco i risultati, in breve, distinti per “target” clinico:

  • DISTURBI TRAUMA E STRESS-CORRELATI: esistono 44 studi RCT su pazienti adulti e non, sofferenti di disturbi connessi a trauma e stress post traumatico, divisi come riportato nell’immagine sottostante. Come si nota, dei 44 studi citati quelli più “solidi” in termini metodologici sono gli studi relativi al PTSD “semplice” su pazienti adulti. A riguardo di questi ultimi lavori, nell’editoriale vengono evidenziati risultati pressoché non contestabili: “The evidence for EMDR treatment for PTSD appears to be solid, consistent, and well established, and the treatment guideline committee of the International Society for Traumatic Stress Studies gave EMDR a strong recommendation for adults and children with PTSD and a standard recommendation for early intervention (ISTSS Guidelines Committee, 2018)”. Manca una folta letteratura sul PTSD nei bambini (solo 4 studi RCT). Non ne esistono al momento su PTSD complex, vista anche l’ampiezza e i contorni “fumosi” della categoria diagnostica
  • DEPRESSIONE: nell’editoriale vengono quindi presi in considerazione altri ambiti clinici; viene fatto notare che nel momento in cui siano evidenti benefici prodotti dall’EMDR anche su altre patologie, questo potrebbe interrogare i clinici sull’eziologia dei disturbi stessi, potenzialmente di natura traumatica. Questo ragionamento diagnostico effettuato usando un criterio ex adiuvantibus che, seppur debole in termini logici e di metodologia di ricerca (dato che si sa poco sul meccanismo di funzionamento effettivo, reale, dell’EMDR) interroga i clinici su quali “aspetti” del sintomo o del disturbo l’EMDR vada a “toccare”, supponendo -in caso di risultati positivi- l’esistenza di una radice “traumatica” del disturbo stesso.
    A riguardo della depressione, viene citata una review su 7 studi RCT prodotti tra il 2001 e il 2019, da cui risulterebbe un’efficacia dell’utilizzo dell’EMDR per la depressione uguale o superiore all’efficacia della psicoterapia CBT. Gli autori concludono osservano come l’EMDR potrebbe essere integrato in modo efficace alla psicoterapia “standard” CBT.
  • DISTURBO BIPOLARE: gli autori osservano come esista un solo studio RCT che abbia indagato l’impatto dell’EMDR sul disturbo bipolare, con risultati poco significativi al momento
  • PSICOSI: Esistono delle linee di ricerca che vorrebbero indagare l’efficacia dell’uso dell’EMDR sul trattamento degli aspetti post-traumatici della psicosi. Chi fa ricerca in questo ambito contempla l’esistenza di “nervature” o aspetti PTSD nel disturbo psicotico, o almeno l’esistenza di comorbilità tra disturbo psicotico e PTSD (e, in questo caso, l’uso dell’EMDR sarebbe giustificato). Gli studi sono in una fase preliminare. Gli autori sottolineano infine come limitarsi nell’utilizzo di EMDR per paura di esacerbare i sintomi psicotici, sia insensato.
  • DISTURBI D’ANSIA: vista la grande eterogeneità dei disturbi d’ansia in sè, l’argomento si presenta qui molto ampio. L’editoriale in questione presenta questo articolo di Faretta e Dal Farra (Elisa Faretta in particolare è impegnata da molti anni nell’approfondire le implicazioni cliniche dell’uso di EMDR nell’attacco di panico), che sintetizza lo stato dell’arte. I risultati ci raccontano di un utilizzo dell’EMDR particolarmente efficace per quanto riguarda panico e disturbi fobici specifici
  • DOC: nessun risultato significativo
  • DISTURBI DA ADDICTION: l’EMDR appare in questi casi non controindicato, ma neanche significativo
  • DOLORE: l’editoriale in questione cita 6 studi RCT effettuati negli ultimi 10 anni sull’utilizzo dell’EMDR per il dolore cronico. I risultati vengono definitivi “impressive”, ma da prendere in considerazione con cautela, visti i grossi bias metodologici che gli studi portano con sè. L’utilizzo quindi dell’EMDR per il dolore o il dolore cronico viene definito ai suoi “albori”, promettente ma ancora poco sorretto da dati di ricerca rigorosi. Si ripresenta qui il problema “hard” relativo ai meccanismi di funzionamento profondi dell’EMDR, non ancora chiari (per cui non risulta pienamente chiaro il suo funzionare o meno con disturbi diversi)

Come si osserva, l’EMDR conserva il suo posto elettivo nel trattamento dei disturbi inerenti il trauma: non ha senso usarlo ovunque. In particolare, è bene ricordarlo, l’EMDR va usato laddove siano presenti dei ricordi target particolarmente intrusivi che faticano a essere elaborati in senso mnestico, nel contesto di un percorso di psicoterapia di tipo trifasico.

Visti inoltre gli ambiti dove l’EMDR sembri meglio funzionare (trauma e fobia), è logico supporre che l’EMDR non agisca tanto sulle generiche memorie traumatiche, quanto sulla fear response nei confronti di un oggetto fobico: servirebbe dunque ad aiutare il paziente ad affrontare meglio, di petto, il confronto mentale con un oggetto di fobia (per esempio una memoria traumatica molto impattante, e in grado di procurare la fear response, oppure il pensiero di un oggetto fobico specifico). La fear response è la reazione di allarme di fronte a uno stimolo ignoto o con particolari caratteristiche di salienza, presente ovunque in natura, anche in animali “basici”, con un sistema nervoso molto semplice.

Sappiamo che l’affacciarsi mentalmente a un contenuto traumatico, procura nel soggetto una reazione di forte allarme (la fear response, appunto), un po’ come succede a un individuo fobico esposto al suo oggetto di paura (per esempio un individuo che abbia fobia dei ragni che se ne trovasse uno molto vicino): l’emdr, in entrambi i casi, “placherebbe” la fear response consentendo una migliore esposizione allo stimolo stesso.

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