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L’economia di mercato e il naufragio politico

25 Ott 20

A cura di Sarantis Thanopulos

Diaologo tra Sarantis Thanopulos e Luigi Maria Sica

Luigi Maria  Sicca: “Chiamiamola Economia di mercato o Capitalismo a seconda che gettiamo lo sguardo da un lato o dall’altro dei blocchi che ci ha consegnato il Novecento. Le etichette servono a dare un nome a quei “contenitori”, le aziende entro cui prendono forma le leggi della casa: oikos, nomos, Economia. 

Li chiamo contenitori perché contengono, per la maggior parte del tempo della vita adulta, esperienze, pratiche quotidiane, le Weltanschauung sottese. Ma anche perché rassicurano: scandiscono i tempi di sonno e veglia, affetti, sessualità, l’aggressività necessaria e la quota socialmente sanzionata. Le aziende oltre agli obiettivi dichiarati (efficienza, efficacia, economicità) hanno la funzione invisibile di contenimento. In assenza di confini, pareti, limiti, è impossibile pensare. Quindi agire e decidere. Prevale il senso del naufragio. 

Gli scenari geopolitici degli ultimi decenni e i relativi salti tecnologici si annodano   intorno a un’accelerazione dello spazio-tempo: categoria dinamica di funzionamento della mente (mind, non brain, l’organo), struttura di riferimento dei processi di decision making: chi siede ai tavoli internazionali o di governo nazionale, ma anche manager, imprenditori, consumatori, cittadini. Ne siamo tutti coinvolti negli  esercizi di soggettività, rinchiusa nella relazione intima tra polpastrello digitante e nervo oculare.”

Sarantis Thanopulos: “Descrivi un vivere claustrale in cui la soggettività, è prigioniera dell’interazione tra polpastrello e nervo oculare, un arco riflesso bidirezionale.Quest’arco comprime, soffoca l’intimità tra il nostro gesto e il panorama del mondo. L’agire creativo che è, al tempo stesso, fine e mezzo -capace di sospendere la propria linearità e respirare insieme al pensiero e all’emozione-, cede il suo posto a un meccanismo sequenziale che ci impone come consolazione la sparizione della realtà, fa diventare incubo ogni percezione disturbante l’incastro ipnotizzante dei suoi ingranaggi. Dietro la sofisticazione degli apparati “aziendali” (il glamour dell’economia di mercato) e la retorica del decision making (la decisione figlia della cecità) si intravede lo scheletro della morte che digita il nostro destino. 

Questo periodo molto triste della nostra vita, in cui siamo intrappolati nel labirinto della pandemia, fa impressione vedere come l’unica nostra vivacità è nel dividerci tra chi accetta il pericolo di ammalarsi (col rischio non trascurabile di morire) e chi non lo accetta. Pariamo i colpi come meglio possiamo, anche a caso, sperando che la fortuna ci assista. Poco desideriamo sapere perché siamo finiti in questa situazione insostenibile o cercare realmente di capire come dobbiamo uscirne. 

Il problema vero sottostà a quello sanitario, ma preferiamo ignorare la mancanza di un governo vero del mondo, rispettoso della natura e dell’uomo. La logica estremista della massimizzazione senza fine del profitto, non ci permette di risolvere i nostri problemi. Ci costringe a rincorrere le emergenze, che noi stessi abbiamo causato o non saputo prevenire. Naufraghi, siamo spinti, dal vento della continua necessità,  verso il futuro, a cui volgiamo le spalle come l’Angelo Novus di Klee, interpretato da  Benjamin, guardando allibiti le nostre rovine.            

Luigi Maria Sica: “Credochetra chi accetta il pericolo e chi no, il pensiero economico dominantesia sbilanciato suisecondi.Bel problema se l’impresa, daimprensum, “prendere su di sé”,participio passato diimprendere, si candidòin principioa protagonista di unaquestioneetica:darsi obiettivi in ragione di valori messi in scala.Mase gliobiettivi sonoa tutti i costi,prevaricala classica inversione mezzi-fini e gliestremismicui facevi cenno.Lasciando aperta la questione delgovernodel mondo, ma anche il crinale tra natura e cultura. Questioniineludibiliperl’agenda deglieconomisti.” 

 

 

 

 

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