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Dire Laplanche non è dire soltanto Enciclopedia

20 Nov 20

A cura di vastopolis

Dire Jean Laplanche non è dire soltanto la fondamentale “Enciclopedia della psicoanalisi”, condivisa con J.-B. Pontalis, ma è dire tante altre cose. Per esempio, “Vita e morte in psicoanalisi”, per la Collana Laplanchiana di Mimesis, che offre anche “Tra seduzione e ispirazione: l’uomo (1992-1999)”, “Sexuale. La sessualità allargata nel senso freudiano”, e “Nuovo fondamenti per la psicoanalisi. La seduzione originaria”. Non c’è libro che non dica dello spessore dello studioso, della sua capacità di inoltrarsi criticamente nell’universo freudiano, di attraversarne la trama per cercare di coglierne gli aspetti decisivi, i nodi cruciali, fino a farlo “cigolare”, sua espressione ripresa da Alberto Luchetti, curatore e attento osservatore dell’opera laplanchiana. Non è un caso, niente è un caso in psicoanalisi, se uno dei più famosi della terza generazione postfreudiana, se ne sia andato lo stesso giorno dell’anniversario di nascita del fondatore, il 6 maggio.

D’altro canto, spiega Luchetti, la sua «approfondita indagine sui testi freudiani ancorata alla pratica psicoanalitica ha condotto Laplanche a delineare dei “nuovi fondamenti” per la teoria e la pratica analitiche: l’idea è che non si possano più costruire nuovi edifici teorici – kleiniano, bioniano, lacaniano e così via – limitandosi a giustapporli a quello freudiano, lasciato intoccabile ma ormai disabitato, perché appesantendo il battello psicoanalitico di concetti, nozioni, termini spesso contraddittori ma soprattutto senza confronto possibile tra loro si rischia di farlo naufragare. Tutto ciò ha portato Laplanche a “costruire un’opera originale”. Conosciuta con il nome di “teoria della seduzione generalizzata”, l’opera di Laplanche riprende quella “teoria della seduzione” con cui Freud inizialmente pensò di poter spiegare alcune psicopatologie – nevrosi isterica, ossessiva ma anche paranoia – attribuendole ad abusi sessuali che, subiti dai pazienti in età infantile, sarebbero responsabili della costituzione di un inconscio sul quale la cura analitica avrebbe potuto agire riportandone alla memoria il ricordo. Una teoria che Freud non abbandonò, come spesso si ritiene impropriamente, ma che rimosse nel senso propriamente psicoanalitico del termine: Laplanche ha infatti dimostrato come in realtà Freud continuasse a venire assillato da quella sua iniziale teoria, che continuò a emergere in punti significativi di tutta la sua opera successiva, sia pure affiorando in frammenti sparsi, in forme nuove (ad esempio nella scoperta della indispensabile “seduzione materna precoce”) o deformate, proprio come avviene per il ritorno del rimosso nello psichismo individuale».




È bello perdersi nei libri dei maestri che si riferiscono al Maestro senza la necessità di celebrarli e senza la bramosia di oltrepassarli, per dimostrare magari la stupidità di saperne di più. “Vita e morte in psicoanalisi” è la dichiarazione esemplare che i concetti chiave della sessualità, del narcisismo, dell’aggressività e del sadomasochismo, della pulsione di morte, possono essere accostati soltanto con l’umiltà di chi vuole comprendere senza la presunzione di aver già compreso.
Scrive Laplanche: «Se la vita è data come presente, materialmente, alle frontiere della psiche, l’entrata in scena della morte nel freudismo è molto più enigmatica. Di primo acchito, come tutte le modalità del negativo, è radicalmente esclusa dal campo dell’inconscio. Poi, nel 1920, eccola sorgere al centro del sistema, come una delle due forze fondamentali, e forse anzi come l’unica forza primordiale all’interno dello psichismo, dell’essere vivente o perfino della materia. Anima del conflitto, discordia elementare, ormai alla ribalta delle formulazioni più teoriche di Freud, resta ciò nonostante, il più delle volte, personaggio muto nella clinica, dove Freud mantiene fino alla fine una stretta riserva rispetto agli sviluppi che la sua nuova concettualizzazione sembrava, quasi naturalmente, dover introdurre: le incidenze dell’angoscia di morte o di un desiderio originario di morire non troveranno mai da collocarsi, nella psicopatologia analitica, in quella posizione di “roccia” irriducibile che è attribuita, per eccellenza, al complesso di castrazione».
Il diventare-altro della vita viene esplicitato da Laplanche nei tre movimenti che spiegano le tre problematiche: sessualità, Io e pulsione di morte. Non è finita, non può finire, la riflessione su questi temi cardine. Riproporre, come giustamente ha fatto Mimesis, un testo del 1970, che non ha perso neppure un briciolo di importanza, è il modo migliore per far vivere la psicoanalisi mentre se ne continua, da più parti

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