1 – “Le idee non cascano dal cielo”: all’origine della ricerca sul maschile e femminile nella formazione
“Le idee non cascano dal cielo” – diceva Antonio Labriola in un suo celebre scritto[1]. Ed è con uno spirito di ricerca a partire dalla prassi che qualche anno fa ho cercato di avviare una ricerca sul maschile e sul femminile nella formazione, ieri ed oggi in Italia.
L’idea mi è nata rilevando ‘il grido di dolore’ che proveniva già una quindicina di anni fa da molti docenti circa le difficoltà che nascevano nella nuova scuola sul piano delle ‘regole’ sia nel loro rapporto quotidiano con i discenti e con le famiglie, sia in base alla loro unanime percezione di una crescente svalutazione della scuola e della funzione docente da parte della società e del legislatore. Cercando bibliografia in merito avevo riscontrato che secondo alcuni commentatori una delle tante ragioni che erano alla base di questa crisi era nell’accentuarsi del processo di femminilizzazione della docenza e nel presunto deficit di autorità che studenti e famiglie coglierebbero nelle proprie docenti donne.
Avevo accennato a questo tema alla fine di una mia relazione ai dirigenti scolastici reggiani tenuta nel 2008 presso Reggio Children[2], ripromettendomi di fare una ricerca più approfondita in merito.
Cosa che con un po’ di ritardo ho fatto con una ricerca, o meglio una specie di ‘pre-test’ al fine di cominciare saggiare come in concreto nascono e s’impiantano dentro ai docenti e alle docenti quell’insieme di “figure della formazione”, che già avevo cercato di analizzare nel mio vecchio testo “Affabulazione e formazione. Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi”[3] ed in particolare cosa passa a livello affettivo fra docente -maschio o femmina ch’egli sia- e discente nel ping pong quotidiano degli scambi mediati dal fare operativo scolastico.
In concreto sono partito da un questionario postale[4], impostato sulla falsariga del precedente lavoro del 1998, e dalla scansione della scena formativa in vari momenti. Alcuni, come l’identificazione (3), la motivazione (4), la lezione (5), la didattica (6), la valutazione (8); e la separazione (9) già presenti in "Affabulazione"; cui si è aggiunta – in base a decine d’incontri fatti nel frattempo con docenti, genitori e da ultimo presidi – la voce della disciplina (7), e quella finale sulla funzione educativa della scuola (10).
Sottolineavo in particolare nella introduzione al questionario postale: “Si tratta di un “questionario postale” con domande aperte. L’obiettivo è quello di cercare di capire come formatori e formatrici si dispongono o – per coloro che non svolgono più attività formativa – come formatori e formatrici si disponevano di fronte ai seguenti momenti impliciti nella scena formativa: identificazione (3); motivazione (4); lezione (5), didattica (6); disciplina (7); valutazione (8); separazione (9); educazione (10). E, più specificatamente, se – punto per punto – ci sono o meno elementi di differenziazione riconducibili al genere. Le domande iniziali e finali invece servono da una parte a mettere a fuoco i punti di riferimento individuali, dall’altra quelli dell’appartenenza gruppale. Si tratta di un lavoro iniziale che mira a evidenziare gli aspetti affettivi che intersecano il genere e la formazione.
In concreto il questionario è stato sottoposto fra il 2010 e il 2015 a un insieme di docenti di ogni ordine e grado. Trentuno (31) sono stati i questionari completi finora arrivati che ho suddiviso in base al genere e all’età: 4 di uomini maturi; 4 di uomini giovani; 5 di donne mature; e 18 di donne giovani.
L’insieme molto ristretto di docenti che si sono prestati a rispondere al questionario non ci permette di giungere ad alcuna conclusione, e va visto, appunto, solo come un pre-test che può servire da guida ad una prima riflessione in merito. Il fatto però che il questionario poggi su un lavoro di analisi (“Affabulazione e formazione”) che è il prodotto di un lungo processo formativo che vide una cinquantina di docenti reggiani ‘di ogni ordine e grado’ per la prima volta insieme a riflettere sulle varie ‘figure della formazione’ ci autorizza forse a pensare che questa riflessione poggi su basi che non cascano proprio dal cielo.
Per cui, nel ringraziare sentitamente tutte e tutti coloro che hanno risposto al questionario (!!), ci tengo a sottolineare che le considerazioni che mi appresto a fare vanno viste solo come un corollario utile per una messa a punto ulteriore del testo, e per l’esposizione di alcune mie idee, che non vengono dal cielo, ma da un’esperienza di supervisione individuale e di gruppo, di consulenza e di formazione dei docenti che mi ha visto impegnato con molte scuole reggiane e non, ben prima della di “Affabulazione e formazione”, e fino ad oggi.
Mi sono deciso a dargli subito una prima occhiata, poi – per dirla con Stevenson- ‘ho covato a lungo le mie uova’[5] tornando di tanto in tanto sulle prime note e ho notato alcune tendenze che ovviamente – ripeto – non dicono nulla da un punto di vista statistico, ma che presentano a mio avviso alcuni elementi che possono servire per avviare una riflessione più organica sul tema, specialmente se correlati con altre riflessioni sul sistema educativo, che, come dice Egle Becchi, va ben a li là dei docenti[6].
Sistema educativo che, come sappiamo, è stato oggetto di svariate organiche riflessioni, che però -tranne alcune interessanti eccezioni[7] a volte, ma non sempre provenienti dai movimenti femministi – ha visto sempre una sottovalutazione dei vari significati che la femminilizzazione della docenza ha assunto nel tempo all’interno della scuola e della società italiana. Il che non è una carenza da poco ove si tenga presente che nella fascia dell’obbligo le donne raggiungono il 96\97 % dei docenti che insegnano sulla fascia dell’obbligo scolastico.
2. Cercheremo ora vedere cosa traspare dalle risposte al questionario
Prima di cominciare però vanno ribadite due cose, e ne va ricordata una terza: 1. per un inquadramento di ciò che va accadendo oggi nella scuola, nella famiglia e nella società si rimanda a: “Dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica”; 2. il tutto va visto in un’ottica sistemica, e non come in insieme di considerazioni del tipo “causa – effetto”, 3. ed infine purtroppo – e nonostante il tempo trascorso lo imponesse – non ho mai sottoposto il questionario a quelle docenti e a quei docenti giovanissimi – spesso precari – che vanno abitando sempre più la scuola italiana, e quella reggiana in particolare.
2.1 . Il fulcro dell’identità di docente
Il fulcro dell’identità di docente appare costituito sia per le docenti che per i docenti in base all’incrocio di quattro elementi:
1. innanzitutto dal bagaglio di conoscenze che ess* hanno a disposizione: infatti alle domande sui contenuti della lezione nessuno (!!) mostra di avere difficoltà di sorta. Si può dire che tutt* abbiano la consapevolezza di avere delle cose da dire, e di avere grande padronanza di questo tesoro.
2. Il secondo elemento del quadrilatero è costituito dall’identificazione: queste cose le voglio dire perché m’identifico nei miei discenti. Li sento vicini a me. Provo un moto interiore che mi conduce a loro.
3. Il terzo elemento è quello della motivazione: va ribadito in proposito che questo elemento è molto importante poiché dà una direzione operativa al moto identificatorio, ponendolo in questo modo sui binari del fare operativo scolastico.
4. Il quarto infine è costituito dalla didattica. Cioè da quali sono le modalità che uso per comunicare le cose che so a loro. Come vedremo meglio fra poco il tema della didattica emerge essenzialmente in due modi all’interno delle parole di tutt* coloro che si sono sottoposti al pre-test: da una parte ci sono delle considerazioni che affrontano “strictu sensu” il tema; dall’altra un insieme di considerazioni più indirette che implicitamente lasciano intravedere in tutt* la presenza di un lavoro interno di elaborazione che rende molto individuale alla fine il quadro della didattica.
Mi pare perciò che il fatto che questi quattro elementi siano condivisi sia da entrambi i generi che da entrambe le generazioni ci possa aiutare a comprendere quale, nonostante l’usura e le torsioni cui è sottoposto il mestiere, sia il fulcro della loro identità: questo mi pare costituisca un primo elemento che merita una ulteriore riflessione.
2.2 – La didattica “strictu sensu” e in senso lato
Nel comporre le due domande dirette su questo piano ero partito da questo un presupposto (o pregiudizio): poiché in Italia l’insegnamento della didattica e della docimologia sono carenti è ipotizzabile che ci siano problemi su questo piano.
Ciò che emerge da questo pur esiguo campione è questo:
– quasi tutt* tendono a sottolineare che alla fine ciascuno ha dovuto sempre fare uno sforzo di personalizzazione del proprio modello di didattica;
– questo modello però nelle docenti più mature proviene da una costruzione in itinere di un proprio metodo che fin dall’inizio della loro carriera è stato costruito su basi personalissime.
– mentre ben 6 fra le 18 docenti più giovani sono giunte, come tutte le altre, alla personalizzazione di un modello che all’origine è stato mutuato dalla formazione iniziale.
– i maschi più maturi hanno interiorizzato e fatto proprio nel tempo un modello proveniente non da un percorso formativo, ma da una figura ideale specifica appartenente al mondo della scuola;
– mentre i maschi più giovani sono gli unici che affermano di attenersi ancor oggi ad un modello di didattica appreso all’interno della loro formazione iniziale.
– degno di nota infine è il fatto che sul piano della didattica nessuno abbia assunto come proprio modello figure che esulino dal mondo della scuola.
Cosa significa tutto questo? Avanzo una ipotesi ovviamente da verificare e da discutere:
a. la didattica, intesa “strictu sensu” è un “affare” specialistico, scolastico;
b. coloro che si sono formati come docenti prima degli anni ‘70\’80 all’inizio del loro percorso formativo di fatto, a parte coloro che vengono dalle Magistrali, non hanno frequentato corsi di didattica;
c. ciò ha fatto si che nella memoria[8] dei docenti maschi anziani si siano sedimentate delle figure di riferimento sul piano della didattica forti (e maschili!) fortunosamente incrociate in scuola;
d. mentre l’impianto nella memoria nelle docenti di ieri di modelli di didattica mutuati dalla propria singolare esperienza rappresenta forse l’eco del loro iniziale sforzo di auto-affermazione in un mondo che non era ancora attraversato dai processi di emancipazione e di liberazione della donna;
e. nel più nutrito gruppo di giovani docenti donne si assiste da una parte ad un processo di personalizzazione della didattica che però parte dai corsi abilitanti (e qui sarebbe interessante veder meglio come si sia dispiegata la questione di genere all’interno questi percorsi), dall’altra ad un processo non dissimile da quello delle loro colleghe più mature;
f. nei giovani docenti maschi infine l’eco dell’influenza dei principi di didattica appresi inizialmente permane, a testimonianza di una più lenta opera di agglutinamento dei principi della didattica.
In senso lato però per tutt* (e cioè anche per i docenti maschi giovani) in base a ciò che emerge dalle risposte alle altre domande appare evidente la presenza di un corredo metodologico, che fa capolino all’interno qui e là, che magari si appoggia su principi didattici formalmente appresi (com’è evidente ad es. nel caso dei docenti maschi giovani) ma che poi si individualizza nel fare operativo in base a mille stimoli provenienti nei singoli o dall’universo transferale (i propri docenti, i propri genitori, etc), o dagli influssi provenienti dai gruppi di lavoro ai quali più o meno fortunosamente hanno avuto modo di partecipare.
Su questa base formulerei l’ipotesi – ovviamente tutta da verificare – che questo processo di agglutinamento e di individualizzazione sia uno degli elementi costitutivi della costruzione personale del fare operativo scolastico.
2.3 . Giovani e meno giovani di fronte al problema della separazione
– le separazioni sono vissute da tutt* come un problema carico di significati fortemente ambivalenti da un punto di vista affettivo: sentimenti di soddisfazione per il lavoro svolto e di fiducia nell’efficacia della cose date si alternano – spesso nella stessa persona intervistata – a sentimenti di perdita, di tristezza, di mancanza, etc.- Fino a giungere in alcuni casi in una sorta di “negazione cosciente” della separazione, che appare come una difesa nei confronti di forti sentimenti di dolore e di sofferenza.
– in questo caso però le distinzioni maggiori non sono fra maschi e femmine, ma fra giovani e meno giovani: ed il punto dolente è quello del precariato! Le meno giovani, al contrario di tutti gli altri e le altre, non hanno il tempo di legarsi a lungo alle classi, non hanno il tempo di sentirle come proprie. Ciò crea una situazione di frustrazione che mi fa tornare in mente quanto ebbi modo di dire più in generale sul precariato giovanile odierno:
Occorre finalmente cominciare a prendere atto che la realtà del precariato è destinata sempre più a sconvolgere e mettere in crisi le vecchie modalità secondo le quali fino a ieri avveniva questa doppia azione di levigamento e di riemersione poiché l'assenza di un background lavorativo e affettivo, che sia in grado di determinare un terreno di condivisione stabile nel tempo della dimensione della responsabilità, incide profondamente sul piano della definizione dell'immagine di sé del neoadulto odierno. Infatti le concrete possibilità di coniugazione e di scambio che è possibile sperimentare sia sul piano lavorativo che affettivo, anche se in se stesse generative e soddisfacenti, rischiano in ogni momento di mettere al mondo sul piano lavorativo frutti che il giovane non potrà mai vedere, e sul piano affettivo di essere destinate a una dilazione sine die. In altre parole, il lavoro di ridimensionamento degli ideali adolescenziali e l'emergere dentro al neoadulto di un bilanciere certo della responsabilità può avvenire solo se il giovane si trova a vivere all'interno di un quadro di stabilità spaziale e temporale su entrambi i piani o almeno su uno di essi (che spesso, peraltro, come ognuno di noi adulti sa per esperienza personale, in quel momento della vita prelude molto da vicino alla stabilizzazione dell'altro).
Infatti solo all'interno di uno stabile quadro temporale e spaziale, che permetta la coniugazione con gli altri lavoratori e con gli elementi tecnologici di base del proprio lavoro, la produttività e la generatività giovanile potranno esprimersi, il giovane potrà realmente sentire come suo il frutto del proprio lavoro, e sentirsi pienamente compartecipe del gruppo operativo in cui lavora. È in questo modo che quel luogo e quel lavoro potranno diventare, direi 'avranno il tempo' di, diventare i contenitori della sua neonata identità adulta. È solo per questa strada che lo sforzo di adattamento all'organizzazione che il giovane fa potrà essere ripagato dalla soddisfazione che nasce in lui dal vedere i risultati del proprio lavoro e dal sentirsi compartecipe dei progetti e dei prodotti.
Analogamente, solo in un quadro di base che consenta un minimo di sicurezza circa l'avvenire è possibile passare dall'affettività adolescenziale a quella adulta: cioè da un'affettività che – nello stesso momento in cui il giovane celebra in maniera intensissima la nuova dimensione (esogamica) dell'amore – non può che essere collocata in una dimensione temporale tutta schiacciata sul presente (al di là di ogni proposito e di ogni giuramento) a una nuova dimensione dell'amore, quella adulta che, come quella adolescenziale, parte dalla profondità e dalla reciprocità dell'investimento attuale per proiettarlo tuttavia nel futuro: in un progetto di vita in comune, cui spesso segue la scoperta di una propensione di coppia alla riproduttività anche sul piano della genitorialità. (da: Giovani precari sulla linea d’ombra ..”)
Ma la coscienza delle giovani docenti di trovarsi in una situazione simile a quella qui sopra descritta, in cui la loro generatività non ha modo di coniugarsi a lungo con le altre colleghe, con i singoli discenti e con la classe, da quel che mi risulta non spinge le più giovani a deflettere dal compito. Ma fino a che punto questa linea Maginot dell’impegno potrà resistere? Fino a che punto le giovanissime saranno disponibili a rimanere in questo limbo in cui non è possibile rendersi conto di che fine abbia fatto ‘il seme’ da loro sparso fra i discenti.
– infine i pare che sia nei docenti che nelle docenti meno giovani emerga come l’eco di una sensazione di perdita della giovinezza mano a mano che passano gli anni e si concludono i cicli.
2.4. Le giovani e la disciplina
– Questo problema – come già visto ampiamente nei momenti di riflessione con operatori e operatrici della vecchia e della nuova scuola – per sia per i docenti che per le docenti meno giovani semplicemente non esisteva.
– Per le più giovani invece si: le ragioni sono quelle che abbiamo verificato a proposito del passaggio “dall’etica padana del lavoro all’estetica consumista”[9], ed in quello dalla vecchia alla nuova scuola[10]:
“Lo psicoanalista tedesco Peter Fürstenau in un suo lavoro che risale al 1968, parlando della vecchia scuola fino ad allora in auge in Germania come in Italia, affermava che quella era una scuola in cui ogni mozione degli affetti era (de)negata poiché l’atmosfera in essa imperante era essenzialmente ‘ossessiva’, cioè incentrata su di un ‘rituale pedagogico’ (la lezione cattedratica, l’interrogazione, il voto ..) che la ingessava all’interno di un clima in cui la ritualità e la formalità comprimevano più o meno pesantemente l’affettività, e la camuffavano incanalandola esclusivamente all’interno del rituale.
Il passaggio dalla vecchia alla nuova scuola avviene proprio intorno al ’68: possiamo dire anzi ch’essa sia uno dei tanti processi innescati dai movimenti del ’68, in Italia come in altre parti del mondo.
Essenzialmente questo passaggio rappresenta un rovesciamento dei principi su cui era fondato il rituale pedagogico, per cui là dove regnava la formalità ora, ad opera di una nuova leva di docenti comincia a prendere piede l’informalità; e in questo nuovo clima ecco che la mozione degli affetti, prima denegata, – o magari occhieggiante all’interno di rituali particolarmente sintomatici -, ora emerge.
E semmai allorché questo rovesciamento risulti dialettico e non vi sia alcuna coniugazione con le esigenze di operatività, è destinato ad occupare pesantemente la nuova scena a detrimento del fine operativo.”
Anche se un incrocio di questo dato con l’instabilità prodotta dal precariato andrebbe preso in considerazione.
– Sul piano identificatorio: vi è una conferma della propensione dei più maturi delle più mature a riferirsi a modelli che potremmo definire narcisistici facilmente sedimentati in una scuola che agli occhi delle famiglie e della società godeva di un prestigio oggi perduto.
Le più giovani ed i più giovani qui sono unanimi: i corsi formativi in questo caso non servono. Sia i modelli maschili e che quelli femminili sono deboli, per cui ci si arrangia alla men peggio.
2.5. I modelli cui ci si riferisce nei momenti della valutazione e della preparazione della lezione
– Le identificazioni transferali con modelli desunti dalla propria esperienza (genitori, docenti-modello incontrati da discenti, o all’inizio della propria carriera, etc.) prevalgono sia neglu uomini che nelle donne nel momento della valutazione con una differenza fra giovani e meno giovani: – i giovani hanno introiettato in prevalenza modelli che provengono dai “corsi” cui hanno partecipato all’inizio della propria carriera di docenti; – i meno giovani modelli di singol* docenti di cui sono stati alliev*, la cui memoria è rimasta vivissima dentro ciascun* di loro.
Coloro infine che provengono da famiglie al cui interno ci sono stati genitori o parenti che in passato hanno svolto funzioni di docenza su questo piano (e spesso non solo su questo!) sono spinti ad una l’identificazione con queste figure, spesso molto idealizzate.
– Nel momento della preparazione della lezione le distinzioni sembrano meno accentuate: ciò mi pare importante soprattutto per le docenti meno giovani poiché ciò che emerge è una propensione anche da parte loro al lavoro in gruppo, ed a modelli ideali che forse testimoniano lo sforzo che queste docenti hanno dovuto fare per liberarsi da quell’imago da maestrina dalla penna rossa che:
«tien la classe allegra, sorride sempre, grida sempre con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per imporre silenzio; poi quando escono, corre come una bimba dietro all'uno e all'altro per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell'altro abbottona il cappotto perché non infreddino; li segue fin sulla strada perché non s'accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa e porta delle pastiglie a quei che han la tosse».
Immagine che le vecchie generazioni tendevano a cucir loro addosso.
2.6. Rispecchiamenti sulla scena scolastica
– Fiducia, attenzione, curiosità, carica umana, vivacità, onestà e correttezza, sincerità, interesse, etc. sono i principali rispecchiamenti positivi che i docenti e le docenti ritrovano in classe.
– Sfiducia, superficialità, arroganza, falsità, disattenzione, scarso impegno, mancanza di rispetto soprattutto sono invece i modelli negativi, contro i quali docenti maschi e femmine, giovani e meno giovani lottano.
Gli uni rappresentano l’ideale positivo di discente. Gli altri sono gli specchi impossibili: le qualità negative in cui i docenti e le docenti non si riconoscono.
Sono due facce di una stessa medaglia che ci parlano ancora una volta sia del docente che della docente, della loro missione, delle loro preoccupazioni, dei loro timori, delle angosce legate ai vari personaggi della formazione dai quali sono abitat*; che in altra sede abbiamo cercato di riassumere in questo modo[11]:
a – Il primo tipo di personaggio interno della formazione è quello che Kaës[12] definisce come fantasma narcisista. In questo caso la spinta alla formazione è data da un desiderio che, più che di tipo formativo, potremmo definire di tipo con-formativo. Un desiderio cioè di modulare l'oggetto libidicamente investito secondo una immagine di sé che il formatore ha e che gli impone di conformare, appunto, l'altro a sé.
In questo moto ambivalente, qualora l'oggetto investito (il discente) si sottragga alla spinta con-formativa, le angosce che emergono nel formatore sono quelle tipiche che si riscontrano in tutti gli scenari narcisistici: la paura della differenza, la paura della storia, cioè del fatto che le cose abbiano uno sviluppo temporale che evidenzia la marginalità del formatore, la paura della relatività della sua potenza, etc.
…..
b – Vi può essere un formatore che prende un rapporto con i discenti simile a quello di una madre con il proprio bambino. Il formatore in questo caso diventa, come dice Kaës, o seno che contiene e che nutre, o bocca che bacia, o mano che carezza, o sguardo in cui riflettersi, o voce che ammalia, o luce che rischiara, oppure (invece di questi oggetti parziali di tipo materno) madre, con tutte le accezioni che, su base culturale e personale, è possibile fare convergere su questo termine….
Le angosce sottostanti quando prevale in noi questo secondo tipo di fantasma sono: il fatto che l'altro (il discente) cresce e se ne va, che abbandona la grande formatrice, la quale perciò mette in atto tutta una serie di "trucchi" per negare questa separazione.
……
c – Può accadere che nel formatore prevalga un desiderio di formare tutto incentrato sull'istanza che controlla, che in lui, cioè, alberghi un vero e proprio personaggio che controlla: il discente in questo caso deve crescere così come il docente lo ha predisposto. Cosicché mentre nel caso in cui nel formatore prevalga un personaggio narcisista il fatto più importante è che il "prodotto finito" sia conforme al desiderio del formatore, nel caso in cui al suo interno prevalga il personaggio che controlla, ciò che al formatore interessa è il conformarsi del discente alle procedure formative, ai protocolli e alle modalità da lui predisposte, e secondo le quali, a suo avviso, si deve imparare …..
Le angosce sottostanti quando prevale questo tipo di desiderio di formare sono: che l'altro (il discente) non sia conforme al modo con cui viene predisposto, che emerga come mostro (proprio come avviene in Frankenstein), che l'altro infine non sia disposto a lasciarsi "sadizzare" dal docente. In proposito Kaës cita la Dolto: il discente – afferma la Dolto – dice sempre al proprio docente "fammi qualcosa sul mio corpo", volendo con ciò significare che la scena scolastica si presta sempre a questo tipo di "giochi" sado-masochisti.
d – … il formatore può essere abitato da un personaggio di tipo paterno che dispensa il proprio sapere come questo fosse un seme capace di fecondare i suoi discenti; ed allora le angosce sottostanti saranno quelle che il seme vada disperso, che il "pene" ingravidante non sia sufficientemente in grado di fecondare, etc.
Così come può accadere che il personaggio interno del formatore possa essere più o meno severo, più o meno esigente, etc.
…..
Sono quelli che Kaës chiama “i personaggi interni”, cioè quelle parti interne importantissime presenti in ciascun docente che – come afferma lo stesso Kaës – si ritrovano anche nel rapporto maestro – allievo all’interno della bottega artigiana; così come in soggetti che sono capitati per caso a svolgere funzioni docenti: lo avevamo scoperto all’inizio degli anni ‘90 all’interno di vari momenti formativi ai quali avevano partecipato docenti dei Centri di Formazione Professionale (CFP)[13], che, come spesso accade in questi casi, erano tecnici che non si erano mai sognati diventare docenti, e che si erano trovati a svolgere funzioni di docenza perché chiamati dall’istituzione in cui per caso erano capitati.
A mio modo di vedere se si vuole passare dalla semplice elencazione dei rispecchiamenti all’analisi di come in concreto ciascun docente si mette in gioco sulla scena formativa è dall’analisi di queste individualissime figure della formazione che abitano in ciascuno di loro, dai personalissimi riattraversamenti[14] che ciascun docente è indotto a fare giornalmente in classe che occorre partire per cogliere più vivamente come (in termini controtransferali, potremmo dire) ogni docente si rapporta con ciascuno dei propri discenti e con l’intera classe. Lo strumento d’indagine in questo caso non può essere un test, ma in prodotto di un lavoro longitudinale, individuale o di gruppo, condotto da uno psicologo clinico che permetta di elaborare insieme i nodi più problematici che emergono sul piano del rispecchiamento.
2.7. Il mega-ok collettivo alla funzione educativa della scuola
Tutti e tutte, giovani e meno giovani hanno asserito con forza che, a fianco ai compiti legati all’istruzione (cioè ai contenuti delle materie), i docenti svolgono una funzione anche sul piano educativo.
Ritornando un attimo su quanto emerge nei punti precedenti e su tutti i massivi processi di identificazione che emergono dalle risposte a tutte le domande, si comprendono le ragioni di questa forte sottolineatura, che potremo definire come un altro elemento fondante del mestiere di docente, che oggi purtroppo la politica, la società e le stesse famiglie si rifiutano di cogliere.
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Allegato 1
Questionario postale:
Il maschile ed il femminile nella formazione \ Intervista con domande aperte
Nome e cognome:
1. Su quali fasce di età lavori (o hai lavorato), e per quanto tempo:
2. C’è (o c’era) una figura o un modello al quale t’ispiri (o t’ispiravi) nella tua attività di docente: se si quali sono (o quali erano) le sue caratteristiche:
3.1. Quali caratteristiche dei discenti ti spingono a voler loro più bene? (ok)? E quali quelle che ti danno più fastidio (no)?
3.2. Queste caratteristiche ti riportano a qualche personaggio del passato (familiari, amici, etc.) che hanno fatto nascere in te gli sessi sentimenti positivi (ok) o negativi (no)? Se si, quali erano, nel tuo ricordo, le sue caratteristiche?
4.1. Quali sono gli elementi (presenti nella classe e\o nella materia) che favoriscono (ok) in te la motivazione ad insegnare? Quali quelli che la inibiscono (no)?
4.2. Ed al di fuori della scena scolastica quali quelli che favoriscono la motivazione (ok) e quali quelli che la inibiscono (no):
5.1. Come fai a preparare la lezione:
5.2. Hai qualche figura o qualche modello su questo piano (preparazione della lezione) al quale t’ispiri?
6.1. Nella scelta dei contenuti come ti comporti?
6.2. E a chi t’ispiri?
7.1. e sul piano della didattica come ti comporti?
7.2. E a chi t’ispiri?
8.1. In particolare per il mantenimento della disciplina in classe come ti comporti
8.2. e a chi t’ispiri?
9.1. Secondo quali criteri dai i voti e fai le tue valutazioni:
9.2. a chi t’ispiri in questa attività (valutazione):
10.1. Cosa provi normalmente nel momento della separazione dalla classe (fine anno, fine ciclo)
10.2. Questa sensazione cosa ti fa venire in mente del tuo passato e\o del tuo presente
11.1. Secondo alcuni, a fianco ai compiti legati all’istruzione (materie), i docenti svolgono una funzione anche sul piano educativo. Sei d’accordo con questa asserzione.
11.2. Se si, a chi t’ispiri sul piano educativo
12. Ti prego infine di volere riempire – con un punteggio che va da 1 a 4 (per niente difficoltoso, un po’ difficoltoso, abbastanza difficoltoso, molto difficoltoso)- una tabella in cui sono riassunti i principali momenti della formazione, così come li abbiamo visti prima [(identificazione; motivazione; lezione (preparazione, contenuti, didattica); disciplina; valutazione; separazione; educazione].
Ciò in modo da vedere di definire una tua gerarchia personale dell’agio e delle difficoltà nel tuo lavoro di docente.
Segna con una x per ogni voce. Tieni presente ogni volta che sei liber* di assegnarti il punteggio che ritieni più adeguato.
“Le idee non cascano dal cielo” – diceva Antonio Labriola in un suo celebre scritto[1]. Ed è con uno spirito di ricerca a partire dalla prassi che qualche anno fa ho cercato di avviare una ricerca sul maschile e sul femminile nella formazione, ieri ed oggi in Italia.
L’idea mi è nata rilevando ‘il grido di dolore’ che proveniva già una quindicina di anni fa da molti docenti circa le difficoltà che nascevano nella nuova scuola sul piano delle ‘regole’ sia nel loro rapporto quotidiano con i discenti e con le famiglie, sia in base alla loro unanime percezione di una crescente svalutazione della scuola e della funzione docente da parte della società e del legislatore. Cercando bibliografia in merito avevo riscontrato che secondo alcuni commentatori una delle tante ragioni che erano alla base di questa crisi era nell’accentuarsi del processo di femminilizzazione della docenza e nel presunto deficit di autorità che studenti e famiglie coglierebbero nelle proprie docenti donne.
Avevo accennato a questo tema alla fine di una mia relazione ai dirigenti scolastici reggiani tenuta nel 2008 presso Reggio Children[2], ripromettendomi di fare una ricerca più approfondita in merito.
Cosa che con un po’ di ritardo ho fatto con una ricerca, o meglio una specie di ‘pre-test’ al fine di cominciare saggiare come in concreto nascono e s’impiantano dentro ai docenti e alle docenti quell’insieme di “figure della formazione”, che già avevo cercato di analizzare nel mio vecchio testo “Affabulazione e formazione. Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi”[3] ed in particolare cosa passa a livello affettivo fra docente -maschio o femmina ch’egli sia- e discente nel ping pong quotidiano degli scambi mediati dal fare operativo scolastico.
In concreto sono partito da un questionario postale[4], impostato sulla falsariga del precedente lavoro del 1998, e dalla scansione della scena formativa in vari momenti. Alcuni, come l’identificazione (3), la motivazione (4), la lezione (5), la didattica (6), la valutazione (8); e la separazione (9) già presenti in "Affabulazione"; cui si è aggiunta – in base a decine d’incontri fatti nel frattempo con docenti, genitori e da ultimo presidi – la voce della disciplina (7), e quella finale sulla funzione educativa della scuola (10).
Sottolineavo in particolare nella introduzione al questionario postale: “Si tratta di un “questionario postale” con domande aperte. L’obiettivo è quello di cercare di capire come formatori e formatrici si dispongono o – per coloro che non svolgono più attività formativa – come formatori e formatrici si disponevano di fronte ai seguenti momenti impliciti nella scena formativa: identificazione (3); motivazione (4); lezione (5), didattica (6); disciplina (7); valutazione (8); separazione (9); educazione (10). E, più specificatamente, se – punto per punto – ci sono o meno elementi di differenziazione riconducibili al genere. Le domande iniziali e finali invece servono da una parte a mettere a fuoco i punti di riferimento individuali, dall’altra quelli dell’appartenenza gruppale. Si tratta di un lavoro iniziale che mira a evidenziare gli aspetti affettivi che intersecano il genere e la formazione.
In concreto il questionario è stato sottoposto fra il 2010 e il 2015 a un insieme di docenti di ogni ordine e grado. Trentuno (31) sono stati i questionari completi finora arrivati che ho suddiviso in base al genere e all’età: 4 di uomini maturi; 4 di uomini giovani; 5 di donne mature; e 18 di donne giovani.
L’insieme molto ristretto di docenti che si sono prestati a rispondere al questionario non ci permette di giungere ad alcuna conclusione, e va visto, appunto, solo come un pre-test che può servire da guida ad una prima riflessione in merito. Il fatto però che il questionario poggi su un lavoro di analisi (“Affabulazione e formazione”) che è il prodotto di un lungo processo formativo che vide una cinquantina di docenti reggiani ‘di ogni ordine e grado’ per la prima volta insieme a riflettere sulle varie ‘figure della formazione’ ci autorizza forse a pensare che questa riflessione poggi su basi che non cascano proprio dal cielo.
Per cui, nel ringraziare sentitamente tutte e tutti coloro che hanno risposto al questionario (!!), ci tengo a sottolineare che le considerazioni che mi appresto a fare vanno viste solo come un corollario utile per una messa a punto ulteriore del testo, e per l’esposizione di alcune mie idee, che non vengono dal cielo, ma da un’esperienza di supervisione individuale e di gruppo, di consulenza e di formazione dei docenti che mi ha visto impegnato con molte scuole reggiane e non, ben prima della di “Affabulazione e formazione”, e fino ad oggi.
Mi sono deciso a dargli subito una prima occhiata, poi – per dirla con Stevenson- ‘ho covato a lungo le mie uova’[5] tornando di tanto in tanto sulle prime note e ho notato alcune tendenze che ovviamente – ripeto – non dicono nulla da un punto di vista statistico, ma che presentano a mio avviso alcuni elementi che possono servire per avviare una riflessione più organica sul tema, specialmente se correlati con altre riflessioni sul sistema educativo, che, come dice Egle Becchi, va ben a li là dei docenti[6].
Sistema educativo che, come sappiamo, è stato oggetto di svariate organiche riflessioni, che però -tranne alcune interessanti eccezioni[7] a volte, ma non sempre provenienti dai movimenti femministi – ha visto sempre una sottovalutazione dei vari significati che la femminilizzazione della docenza ha assunto nel tempo all’interno della scuola e della società italiana. Il che non è una carenza da poco ove si tenga presente che nella fascia dell’obbligo le donne raggiungono il 96\97 % dei docenti che insegnano sulla fascia dell’obbligo scolastico.
2. Cercheremo ora vedere cosa traspare dalle risposte al questionario
Prima di cominciare però vanno ribadite due cose, e ne va ricordata una terza: 1. per un inquadramento di ciò che va accadendo oggi nella scuola, nella famiglia e nella società si rimanda a: “Dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica”; 2. il tutto va visto in un’ottica sistemica, e non come in insieme di considerazioni del tipo “causa – effetto”, 3. ed infine purtroppo – e nonostante il tempo trascorso lo imponesse – non ho mai sottoposto il questionario a quelle docenti e a quei docenti giovanissimi – spesso precari – che vanno abitando sempre più la scuola italiana, e quella reggiana in particolare.
2.1 . Il fulcro dell’identità di docente
Il fulcro dell’identità di docente appare costituito sia per le docenti che per i docenti in base all’incrocio di quattro elementi:
1. innanzitutto dal bagaglio di conoscenze che ess* hanno a disposizione: infatti alle domande sui contenuti della lezione nessuno (!!) mostra di avere difficoltà di sorta. Si può dire che tutt* abbiano la consapevolezza di avere delle cose da dire, e di avere grande padronanza di questo tesoro.
2. Il secondo elemento del quadrilatero è costituito dall’identificazione: queste cose le voglio dire perché m’identifico nei miei discenti. Li sento vicini a me. Provo un moto interiore che mi conduce a loro.
3. Il terzo elemento è quello della motivazione: va ribadito in proposito che questo elemento è molto importante poiché dà una direzione operativa al moto identificatorio, ponendolo in questo modo sui binari del fare operativo scolastico.
4. Il quarto infine è costituito dalla didattica. Cioè da quali sono le modalità che uso per comunicare le cose che so a loro. Come vedremo meglio fra poco il tema della didattica emerge essenzialmente in due modi all’interno delle parole di tutt* coloro che si sono sottoposti al pre-test: da una parte ci sono delle considerazioni che affrontano “strictu sensu” il tema; dall’altra un insieme di considerazioni più indirette che implicitamente lasciano intravedere in tutt* la presenza di un lavoro interno di elaborazione che rende molto individuale alla fine il quadro della didattica.
Mi pare perciò che il fatto che questi quattro elementi siano condivisi sia da entrambi i generi che da entrambe le generazioni ci possa aiutare a comprendere quale, nonostante l’usura e le torsioni cui è sottoposto il mestiere, sia il fulcro della loro identità: questo mi pare costituisca un primo elemento che merita una ulteriore riflessione.
2.2 – La didattica “strictu sensu” e in senso lato
Nel comporre le due domande dirette su questo piano ero partito da questo un presupposto (o pregiudizio): poiché in Italia l’insegnamento della didattica e della docimologia sono carenti è ipotizzabile che ci siano problemi su questo piano.
Ciò che emerge da questo pur esiguo campione è questo:
– quasi tutt* tendono a sottolineare che alla fine ciascuno ha dovuto sempre fare uno sforzo di personalizzazione del proprio modello di didattica;
– questo modello però nelle docenti più mature proviene da una costruzione in itinere di un proprio metodo che fin dall’inizio della loro carriera è stato costruito su basi personalissime.
– mentre ben 6 fra le 18 docenti più giovani sono giunte, come tutte le altre, alla personalizzazione di un modello che all’origine è stato mutuato dalla formazione iniziale.
– i maschi più maturi hanno interiorizzato e fatto proprio nel tempo un modello proveniente non da un percorso formativo, ma da una figura ideale specifica appartenente al mondo della scuola;
– mentre i maschi più giovani sono gli unici che affermano di attenersi ancor oggi ad un modello di didattica appreso all’interno della loro formazione iniziale.
– degno di nota infine è il fatto che sul piano della didattica nessuno abbia assunto come proprio modello figure che esulino dal mondo della scuola.
Cosa significa tutto questo? Avanzo una ipotesi ovviamente da verificare e da discutere:
a. la didattica, intesa “strictu sensu” è un “affare” specialistico, scolastico;
b. coloro che si sono formati come docenti prima degli anni ‘70\’80 all’inizio del loro percorso formativo di fatto, a parte coloro che vengono dalle Magistrali, non hanno frequentato corsi di didattica;
c. ciò ha fatto si che nella memoria[8] dei docenti maschi anziani si siano sedimentate delle figure di riferimento sul piano della didattica forti (e maschili!) fortunosamente incrociate in scuola;
d. mentre l’impianto nella memoria nelle docenti di ieri di modelli di didattica mutuati dalla propria singolare esperienza rappresenta forse l’eco del loro iniziale sforzo di auto-affermazione in un mondo che non era ancora attraversato dai processi di emancipazione e di liberazione della donna;
e. nel più nutrito gruppo di giovani docenti donne si assiste da una parte ad un processo di personalizzazione della didattica che però parte dai corsi abilitanti (e qui sarebbe interessante veder meglio come si sia dispiegata la questione di genere all’interno questi percorsi), dall’altra ad un processo non dissimile da quello delle loro colleghe più mature;
f. nei giovani docenti maschi infine l’eco dell’influenza dei principi di didattica appresi inizialmente permane, a testimonianza di una più lenta opera di agglutinamento dei principi della didattica.
In senso lato però per tutt* (e cioè anche per i docenti maschi giovani) in base a ciò che emerge dalle risposte alle altre domande appare evidente la presenza di un corredo metodologico, che fa capolino all’interno qui e là, che magari si appoggia su principi didattici formalmente appresi (com’è evidente ad es. nel caso dei docenti maschi giovani) ma che poi si individualizza nel fare operativo in base a mille stimoli provenienti nei singoli o dall’universo transferale (i propri docenti, i propri genitori, etc), o dagli influssi provenienti dai gruppi di lavoro ai quali più o meno fortunosamente hanno avuto modo di partecipare.
Su questa base formulerei l’ipotesi – ovviamente tutta da verificare – che questo processo di agglutinamento e di individualizzazione sia uno degli elementi costitutivi della costruzione personale del fare operativo scolastico.
2.3 . Giovani e meno giovani di fronte al problema della separazione
– le separazioni sono vissute da tutt* come un problema carico di significati fortemente ambivalenti da un punto di vista affettivo: sentimenti di soddisfazione per il lavoro svolto e di fiducia nell’efficacia della cose date si alternano – spesso nella stessa persona intervistata – a sentimenti di perdita, di tristezza, di mancanza, etc.- Fino a giungere in alcuni casi in una sorta di “negazione cosciente” della separazione, che appare come una difesa nei confronti di forti sentimenti di dolore e di sofferenza.
– in questo caso però le distinzioni maggiori non sono fra maschi e femmine, ma fra giovani e meno giovani: ed il punto dolente è quello del precariato! Le meno giovani, al contrario di tutti gli altri e le altre, non hanno il tempo di legarsi a lungo alle classi, non hanno il tempo di sentirle come proprie. Ciò crea una situazione di frustrazione che mi fa tornare in mente quanto ebbi modo di dire più in generale sul precariato giovanile odierno:
Occorre finalmente cominciare a prendere atto che la realtà del precariato è destinata sempre più a sconvolgere e mettere in crisi le vecchie modalità secondo le quali fino a ieri avveniva questa doppia azione di levigamento e di riemersione poiché l'assenza di un background lavorativo e affettivo, che sia in grado di determinare un terreno di condivisione stabile nel tempo della dimensione della responsabilità, incide profondamente sul piano della definizione dell'immagine di sé del neoadulto odierno. Infatti le concrete possibilità di coniugazione e di scambio che è possibile sperimentare sia sul piano lavorativo che affettivo, anche se in se stesse generative e soddisfacenti, rischiano in ogni momento di mettere al mondo sul piano lavorativo frutti che il giovane non potrà mai vedere, e sul piano affettivo di essere destinate a una dilazione sine die. In altre parole, il lavoro di ridimensionamento degli ideali adolescenziali e l'emergere dentro al neoadulto di un bilanciere certo della responsabilità può avvenire solo se il giovane si trova a vivere all'interno di un quadro di stabilità spaziale e temporale su entrambi i piani o almeno su uno di essi (che spesso, peraltro, come ognuno di noi adulti sa per esperienza personale, in quel momento della vita prelude molto da vicino alla stabilizzazione dell'altro).
Infatti solo all'interno di uno stabile quadro temporale e spaziale, che permetta la coniugazione con gli altri lavoratori e con gli elementi tecnologici di base del proprio lavoro, la produttività e la generatività giovanile potranno esprimersi, il giovane potrà realmente sentire come suo il frutto del proprio lavoro, e sentirsi pienamente compartecipe del gruppo operativo in cui lavora. È in questo modo che quel luogo e quel lavoro potranno diventare, direi 'avranno il tempo' di, diventare i contenitori della sua neonata identità adulta. È solo per questa strada che lo sforzo di adattamento all'organizzazione che il giovane fa potrà essere ripagato dalla soddisfazione che nasce in lui dal vedere i risultati del proprio lavoro e dal sentirsi compartecipe dei progetti e dei prodotti.
Analogamente, solo in un quadro di base che consenta un minimo di sicurezza circa l'avvenire è possibile passare dall'affettività adolescenziale a quella adulta: cioè da un'affettività che – nello stesso momento in cui il giovane celebra in maniera intensissima la nuova dimensione (esogamica) dell'amore – non può che essere collocata in una dimensione temporale tutta schiacciata sul presente (al di là di ogni proposito e di ogni giuramento) a una nuova dimensione dell'amore, quella adulta che, come quella adolescenziale, parte dalla profondità e dalla reciprocità dell'investimento attuale per proiettarlo tuttavia nel futuro: in un progetto di vita in comune, cui spesso segue la scoperta di una propensione di coppia alla riproduttività anche sul piano della genitorialità. (da: Giovani precari sulla linea d’ombra ..”)
Ma la coscienza delle giovani docenti di trovarsi in una situazione simile a quella qui sopra descritta, in cui la loro generatività non ha modo di coniugarsi a lungo con le altre colleghe, con i singoli discenti e con la classe, da quel che mi risulta non spinge le più giovani a deflettere dal compito. Ma fino a che punto questa linea Maginot dell’impegno potrà resistere? Fino a che punto le giovanissime saranno disponibili a rimanere in questo limbo in cui non è possibile rendersi conto di che fine abbia fatto ‘il seme’ da loro sparso fra i discenti.
– infine i pare che sia nei docenti che nelle docenti meno giovani emerga come l’eco di una sensazione di perdita della giovinezza mano a mano che passano gli anni e si concludono i cicli.
2.4. Le giovani e la disciplina
– Questo problema – come già visto ampiamente nei momenti di riflessione con operatori e operatrici della vecchia e della nuova scuola – per sia per i docenti che per le docenti meno giovani semplicemente non esisteva.
– Per le più giovani invece si: le ragioni sono quelle che abbiamo verificato a proposito del passaggio “dall’etica padana del lavoro all’estetica consumista”[9], ed in quello dalla vecchia alla nuova scuola[10]:
“Lo psicoanalista tedesco Peter Fürstenau in un suo lavoro che risale al 1968, parlando della vecchia scuola fino ad allora in auge in Germania come in Italia, affermava che quella era una scuola in cui ogni mozione degli affetti era (de)negata poiché l’atmosfera in essa imperante era essenzialmente ‘ossessiva’, cioè incentrata su di un ‘rituale pedagogico’ (la lezione cattedratica, l’interrogazione, il voto ..) che la ingessava all’interno di un clima in cui la ritualità e la formalità comprimevano più o meno pesantemente l’affettività, e la camuffavano incanalandola esclusivamente all’interno del rituale.
Il passaggio dalla vecchia alla nuova scuola avviene proprio intorno al ’68: possiamo dire anzi ch’essa sia uno dei tanti processi innescati dai movimenti del ’68, in Italia come in altre parti del mondo.
Essenzialmente questo passaggio rappresenta un rovesciamento dei principi su cui era fondato il rituale pedagogico, per cui là dove regnava la formalità ora, ad opera di una nuova leva di docenti comincia a prendere piede l’informalità; e in questo nuovo clima ecco che la mozione degli affetti, prima denegata, – o magari occhieggiante all’interno di rituali particolarmente sintomatici -, ora emerge.
E semmai allorché questo rovesciamento risulti dialettico e non vi sia alcuna coniugazione con le esigenze di operatività, è destinato ad occupare pesantemente la nuova scena a detrimento del fine operativo.”
Anche se un incrocio di questo dato con l’instabilità prodotta dal precariato andrebbe preso in considerazione.
– Sul piano identificatorio: vi è una conferma della propensione dei più maturi delle più mature a riferirsi a modelli che potremmo definire narcisistici facilmente sedimentati in una scuola che agli occhi delle famiglie e della società godeva di un prestigio oggi perduto.
Le più giovani ed i più giovani qui sono unanimi: i corsi formativi in questo caso non servono. Sia i modelli maschili e che quelli femminili sono deboli, per cui ci si arrangia alla men peggio.
2.5. I modelli cui ci si riferisce nei momenti della valutazione e della preparazione della lezione
– Le identificazioni transferali con modelli desunti dalla propria esperienza (genitori, docenti-modello incontrati da discenti, o all’inizio della propria carriera, etc.) prevalgono sia neglu uomini che nelle donne nel momento della valutazione con una differenza fra giovani e meno giovani: – i giovani hanno introiettato in prevalenza modelli che provengono dai “corsi” cui hanno partecipato all’inizio della propria carriera di docenti; – i meno giovani modelli di singol* docenti di cui sono stati alliev*, la cui memoria è rimasta vivissima dentro ciascun* di loro.
Coloro infine che provengono da famiglie al cui interno ci sono stati genitori o parenti che in passato hanno svolto funzioni di docenza su questo piano (e spesso non solo su questo!) sono spinti ad una l’identificazione con queste figure, spesso molto idealizzate.
– Nel momento della preparazione della lezione le distinzioni sembrano meno accentuate: ciò mi pare importante soprattutto per le docenti meno giovani poiché ciò che emerge è una propensione anche da parte loro al lavoro in gruppo, ed a modelli ideali che forse testimoniano lo sforzo che queste docenti hanno dovuto fare per liberarsi da quell’imago da maestrina dalla penna rossa che:
«tien la classe allegra, sorride sempre, grida sempre con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per imporre silenzio; poi quando escono, corre come una bimba dietro all'uno e all'altro per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell'altro abbottona il cappotto perché non infreddino; li segue fin sulla strada perché non s'accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa e porta delle pastiglie a quei che han la tosse».
Immagine che le vecchie generazioni tendevano a cucir loro addosso.
2.6. Rispecchiamenti sulla scena scolastica
– Fiducia, attenzione, curiosità, carica umana, vivacità, onestà e correttezza, sincerità, interesse, etc. sono i principali rispecchiamenti positivi che i docenti e le docenti ritrovano in classe.
– Sfiducia, superficialità, arroganza, falsità, disattenzione, scarso impegno, mancanza di rispetto soprattutto sono invece i modelli negativi, contro i quali docenti maschi e femmine, giovani e meno giovani lottano.
Gli uni rappresentano l’ideale positivo di discente. Gli altri sono gli specchi impossibili: le qualità negative in cui i docenti e le docenti non si riconoscono.
Sono due facce di una stessa medaglia che ci parlano ancora una volta sia del docente che della docente, della loro missione, delle loro preoccupazioni, dei loro timori, delle angosce legate ai vari personaggi della formazione dai quali sono abitat*; che in altra sede abbiamo cercato di riassumere in questo modo[11]:
a – Il primo tipo di personaggio interno della formazione è quello che Kaës[12] definisce come fantasma narcisista. In questo caso la spinta alla formazione è data da un desiderio che, più che di tipo formativo, potremmo definire di tipo con-formativo. Un desiderio cioè di modulare l'oggetto libidicamente investito secondo una immagine di sé che il formatore ha e che gli impone di conformare, appunto, l'altro a sé.
In questo moto ambivalente, qualora l'oggetto investito (il discente) si sottragga alla spinta con-formativa, le angosce che emergono nel formatore sono quelle tipiche che si riscontrano in tutti gli scenari narcisistici: la paura della differenza, la paura della storia, cioè del fatto che le cose abbiano uno sviluppo temporale che evidenzia la marginalità del formatore, la paura della relatività della sua potenza, etc.
…..
b – Vi può essere un formatore che prende un rapporto con i discenti simile a quello di una madre con il proprio bambino. Il formatore in questo caso diventa, come dice Kaës, o seno che contiene e che nutre, o bocca che bacia, o mano che carezza, o sguardo in cui riflettersi, o voce che ammalia, o luce che rischiara, oppure (invece di questi oggetti parziali di tipo materno) madre, con tutte le accezioni che, su base culturale e personale, è possibile fare convergere su questo termine….
Le angosce sottostanti quando prevale in noi questo secondo tipo di fantasma sono: il fatto che l'altro (il discente) cresce e se ne va, che abbandona la grande formatrice, la quale perciò mette in atto tutta una serie di "trucchi" per negare questa separazione.
……
c – Può accadere che nel formatore prevalga un desiderio di formare tutto incentrato sull'istanza che controlla, che in lui, cioè, alberghi un vero e proprio personaggio che controlla: il discente in questo caso deve crescere così come il docente lo ha predisposto. Cosicché mentre nel caso in cui nel formatore prevalga un personaggio narcisista il fatto più importante è che il "prodotto finito" sia conforme al desiderio del formatore, nel caso in cui al suo interno prevalga il personaggio che controlla, ciò che al formatore interessa è il conformarsi del discente alle procedure formative, ai protocolli e alle modalità da lui predisposte, e secondo le quali, a suo avviso, si deve imparare …..
Le angosce sottostanti quando prevale questo tipo di desiderio di formare sono: che l'altro (il discente) non sia conforme al modo con cui viene predisposto, che emerga come mostro (proprio come avviene in Frankenstein), che l'altro infine non sia disposto a lasciarsi "sadizzare" dal docente. In proposito Kaës cita la Dolto: il discente – afferma la Dolto – dice sempre al proprio docente "fammi qualcosa sul mio corpo", volendo con ciò significare che la scena scolastica si presta sempre a questo tipo di "giochi" sado-masochisti.
d – … il formatore può essere abitato da un personaggio di tipo paterno che dispensa il proprio sapere come questo fosse un seme capace di fecondare i suoi discenti; ed allora le angosce sottostanti saranno quelle che il seme vada disperso, che il "pene" ingravidante non sia sufficientemente in grado di fecondare, etc.
Così come può accadere che il personaggio interno del formatore possa essere più o meno severo, più o meno esigente, etc.
…..
Sono quelli che Kaës chiama “i personaggi interni”, cioè quelle parti interne importantissime presenti in ciascun docente che – come afferma lo stesso Kaës – si ritrovano anche nel rapporto maestro – allievo all’interno della bottega artigiana; così come in soggetti che sono capitati per caso a svolgere funzioni docenti: lo avevamo scoperto all’inizio degli anni ‘90 all’interno di vari momenti formativi ai quali avevano partecipato docenti dei Centri di Formazione Professionale (CFP)[13], che, come spesso accade in questi casi, erano tecnici che non si erano mai sognati diventare docenti, e che si erano trovati a svolgere funzioni di docenza perché chiamati dall’istituzione in cui per caso erano capitati.
A mio modo di vedere se si vuole passare dalla semplice elencazione dei rispecchiamenti all’analisi di come in concreto ciascun docente si mette in gioco sulla scena formativa è dall’analisi di queste individualissime figure della formazione che abitano in ciascuno di loro, dai personalissimi riattraversamenti[14] che ciascun docente è indotto a fare giornalmente in classe che occorre partire per cogliere più vivamente come (in termini controtransferali, potremmo dire) ogni docente si rapporta con ciascuno dei propri discenti e con l’intera classe. Lo strumento d’indagine in questo caso non può essere un test, ma in prodotto di un lavoro longitudinale, individuale o di gruppo, condotto da uno psicologo clinico che permetta di elaborare insieme i nodi più problematici che emergono sul piano del rispecchiamento.
2.7. Il mega-ok collettivo alla funzione educativa della scuola
Tutti e tutte, giovani e meno giovani hanno asserito con forza che, a fianco ai compiti legati all’istruzione (cioè ai contenuti delle materie), i docenti svolgono una funzione anche sul piano educativo.
Ritornando un attimo su quanto emerge nei punti precedenti e su tutti i massivi processi di identificazione che emergono dalle risposte a tutte le domande, si comprendono le ragioni di questa forte sottolineatura, che potremo definire come un altro elemento fondante del mestiere di docente, che oggi purtroppo la politica, la società e le stesse famiglie si rifiutano di cogliere.
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Allegato 1
Questionario postale:
Il maschile ed il femminile nella formazione \ Intervista con domande aperte
Nome e cognome:
1. Su quali fasce di età lavori (o hai lavorato), e per quanto tempo:
2. C’è (o c’era) una figura o un modello al quale t’ispiri (o t’ispiravi) nella tua attività di docente: se si quali sono (o quali erano) le sue caratteristiche:
3.1. Quali caratteristiche dei discenti ti spingono a voler loro più bene? (ok)? E quali quelle che ti danno più fastidio (no)?
3.2. Queste caratteristiche ti riportano a qualche personaggio del passato (familiari, amici, etc.) che hanno fatto nascere in te gli sessi sentimenti positivi (ok) o negativi (no)? Se si, quali erano, nel tuo ricordo, le sue caratteristiche?
4.1. Quali sono gli elementi (presenti nella classe e\o nella materia) che favoriscono (ok) in te la motivazione ad insegnare? Quali quelli che la inibiscono (no)?
4.2. Ed al di fuori della scena scolastica quali quelli che favoriscono la motivazione (ok) e quali quelli che la inibiscono (no):
5.1. Come fai a preparare la lezione:
5.2. Hai qualche figura o qualche modello su questo piano (preparazione della lezione) al quale t’ispiri?
6.1. Nella scelta dei contenuti come ti comporti?
6.2. E a chi t’ispiri?
7.1. e sul piano della didattica come ti comporti?
7.2. E a chi t’ispiri?
8.1. In particolare per il mantenimento della disciplina in classe come ti comporti
8.2. e a chi t’ispiri?
9.1. Secondo quali criteri dai i voti e fai le tue valutazioni:
9.2. a chi t’ispiri in questa attività (valutazione):
10.1. Cosa provi normalmente nel momento della separazione dalla classe (fine anno, fine ciclo)
10.2. Questa sensazione cosa ti fa venire in mente del tuo passato e\o del tuo presente
11.1. Secondo alcuni, a fianco ai compiti legati all’istruzione (materie), i docenti svolgono una funzione anche sul piano educativo. Sei d’accordo con questa asserzione.
11.2. Se si, a chi t’ispiri sul piano educativo
12. Ti prego infine di volere riempire – con un punteggio che va da 1 a 4 (per niente difficoltoso, un po’ difficoltoso, abbastanza difficoltoso, molto difficoltoso)- una tabella in cui sono riassunti i principali momenti della formazione, così come li abbiamo visti prima [(identificazione; motivazione; lezione (preparazione, contenuti, didattica); disciplina; valutazione; separazione; educazione].
Ciò in modo da vedere di definire una tua gerarchia personale dell’agio e delle difficoltà nel tuo lavoro di docente.
Segna con una x per ogni voce. Tieni presente ogni volta che sei liber* di assegnarti il punteggio che ritieni più adeguato.
[1] più precisamente: “ Le idee non cascano dal cielo, e anzi, come ogni altro prodotto dell'attività umana, si formano in date circostanze, in tale precisa maturità di tempi, per l'azione di determinati bisogni, e pei reiterati tentativi di dare a questi soddisfazione, e col ritrovamento di tali o tali altri mezzi di prova, che sono come gl'istrumenti della produzione ed elaborazione loro ..”, in: A. Labriola, La concezione materialistica della storia, Laterza, Bari, 1953, p. 185
[2] relazione intitolata “Dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica”, tenuta presso Reggio Children all’interno di un ciclo di incontri sul tema: “Nuova società, nuove famiglie, nuova scuola, nuove regole”, Reggio E., 16 Aprile 2008. Oggi presente in: L. Angelini, La scuola di Narciso: analisi, note, progetti, Amazon, 2020
[4] Vedi l’Allegato 1 in fondo al testo
[5] Stevenson R.L., Teatro della notte sogni e visioni; laboratorio dell'artista, Red Ed., Como 1987
[6] Per sistema educativo Egle Becchi intende 'quel tessuto, fatto di pratiche educative, che comprende la scuola, ma non si esaurisce assolutamente in essa, e che si dirama all'interno di varie istituzioni, o in luoghi meno formali che hanno come fine più o meno esclusivo, più o meno marginale, più o meno autocosciente, quello dell'educazione, secondo procedure che sono inscritte all'interno delle singole tradizioni istituzionali e non, e che sono soggette a più o meno rapidi cambiamenti a seconda delle concrete condizioni storiche in cui concretamente operano i soggetti che a tali pratiche sono socialmente preposti' (Egle Becchi, Introduzione, in: Becchi E. (a cura di), Storia dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze 1987, pp. 1-34
[7] Una ricca bibliografia in tema di educazione delle donne e di educazione al femminile in Italia è in: “Educazione e ruolo femminile”, a cura di Simonetta Ulivieri, Nuova Italia, Fi, 1992. Cfr. anche: AA.VV., Diotima: mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Mi, 1993.
[8] parlo di ‘memoria’ poiché mi pare che, soprattutto per le persone più mature (ma anche per le più giovani), il lavoro di ricostruzione del passato in funzione del presente da parte della memoria possa aver influito sulle loro risposte.
[9] e più recentemente in “La società e la famiglia di Narciso”, in: La scuola di Narciso, Amazon, 2020, pp. 31 – 41
[10] Cfr. il già citato: “Dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica
[11] Cfr. “Affabulazione e formazione. Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi”, Unicopli, Mi, 1998, pp. 34 – 38
[12] Kaës R., Quattro studi sulla fantasmatica della formazione e sul desiderio di formare, in: AA.VV., Desiderio e fantasma in psicoanalisi ed in pedagogia, Armando, Roma 1981
[13] Cfr.: AA.VV. Lo specchio impossibile. Docenti dei CFP e ragazzi disabili. Corso di aggiornamento dei docenti dei CFP, Provincia di Reggio Emilia, Settembre 1993, e soprattutto ivi: Deliana Bertani, “Lo specchio impossibile: problemi di identificazione con ragazzi handicappati”, pp. 24 – 31
[14] Cfr.: L. Angelini, Il docente e il riattraversamento della propria infanzia e della propria adolescenza indotto dalla scuola: problemi e opportunità, in: “La scuola di Narciso”, Amazon, 2020
Ho incubato questo post per
Ho incubato questo post per oltre 10 anni. A dire il vero mi pareva di averne pubblicato una versione un po’ diversa da questa che qui vedete, ma evidentemente nel passaggio del sito ‘lacosaspy’ su altervista qualcosa ha fatto si che fossero cancellati alcuni post.
Mi è tornato in mente dopo aver pubblicato il post precedente sulla didattica a distanza. E praticamente l’ho riscritto.
Non ne sono molto contento. Ciò che mi pare emergere confusamente è questo: la crisi di autorità di cui soffre il mestiere di docente non sembra provenire dalla ulteriore femminilizzazione della docenza (dico ‘ulteriore’ perché tale processo era già iniziato ben prima del ’68), ma da quell’intricata rete di cambiamenti che da società basate sulle vecchie (e varie) etiche del lavoro ci ha portato a quella attuale basata sull’estetica consumista (dalla famiglia etica a quella affettiva, dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica, etc. in un processo di reciproca influenza).
Ciò che maldestramente ho cercato di approfondire è il confronto fra la generazione dei docenti del ’68 e quelli della generazione successiva. Mancano le ultime coorti dei docenti: quelle dei docenti e – per intenderci – delle docenti tatuate, che a mio avviso già smanettano alla grande in rete (ma potrei sbagliarmi).
Certo è che la didattica in rete mi pare da parte dell’amministrazione scolastica una imposizione maldestra e disperata; che ha provocato da parte di docenti e discenti una resistenza puramente difensiva. Spero che alla fine si torni liberamente alla sperimentazione.