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L’autoedipo

13 Mar 21

A cura di antonello.sciacchi16

 Il nostro pensiero si è riservato la libertà di rintracciare dipendenze e connessioni cui nella realtà effettuale non corrisponde nulla, e apprezza chiaramente questa dote al massimo grado, di cui usa copiosamente dentro e fuori della scienza.
S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteista. Terzo saggio, 1938

 

Non mi sono sbagliato. Non volevo scrivere antiedipo. Qui non mi servono Deleuze e Guattari. Volevo proprio scrivere “autoedipo”, per segnalare la contagiosità della narrazione edipica, addirittura la sua viralità, per cui analizzando il mito edipico dell’altro si ricade necessariamente nel proprio. (Gli psicanalisti sanno che l’edipo è un boomerang, per usare un’immagine dello stesso Freud, a proposito dell’idea monoteistica?) È successo in modo emblematico a Freud nel suo incomparabile romanzo storico L’uomo Mosè e la religione monoteista. Freud tratta il mito edipico di Mosè, prima esposto e poi salvato dalle acque, secondo lo schematismo edipico, ma in effetti narra il proprio edipo. In realtà presenta una tranche d’analisi di sé stesso.

Freud confessa senza accorgersene il proprio “edipismo” nelle due avvertenze al terzo saggio sul Mosè egizio, il meno limpido dei tre, direi il più sintomatico, tuttavia ricco di intuizioni devastanti per il realismo ingenuo, come quella riportata in esergo. Il punto da non lasciarsi sfuggire è che Freud inscrisse il proprio Edipo nell’atto stesso di scriverlo, ancora prima di depositarlo nel testo scritto; lo enunciò nell’enunciazione prima che nell’enunciato, e perciò sfuggì all’enunciante. Sappiamo da Lacan che il soggetto dell’enunciato rimuove il soggetto dell’enunciazione. Sappiamo dalla pratica clinica che la psicanalisi non si può fare “a distanza”; non esiste la PAD (psicanalisi a distanza); la psicanalisi va fatta “in presenza” nelle storture transferali della clinica.

La coincidenza è lampante. Il Mosè egizio, il padre primitivo degli ebrei, i loro Urvater, è anche il padre di Freud, il suo VaterNon credo al valore scientifico delle coincidenze; in genere diffido delle conferme, che generano solo fake news; se non sono almeno dieci di fila, non credo alle conferme, ma in questo caso faccio un’eccezione, che giustificherò nel corso della mia analisi. C’è dell’altro oltre la pura e semplice coincidenza. Lo dichiara Freud stesso nella “spiegazione” al terzo saggio, tra le cui pagine si agita un “fantasma irredento”.

La coincidenza sarebbe che Freud scrisse dell’esodo di Mosè dall’Egitto nel momento stesso in cui affrontò il proprio esodo dall’Austria per motivi razziali. La formula di struttura dell’Edipo, al di là della versione parricida sintomaticamente cara a Freud, rappresenta ex post l’espulsione fisiologica del figlio dalla famiglia di origine, il suo normale esodo (Auszug). Nel caso freudiano dovrei scrivere con il trattino alla Heidegger: es-pulsione, in tedesco Aus-trieb, termine raro ma già presente in Freud. La metapsicologia freudiana è una psicologia delle pulsioni. Tratta le spinte, die Triebe, cioè le tendenze a es-pellere “fuori” (aus) dalla psiche, fuori dalla pelle, freudianamente parlando a “rimuovere”, le rappresentazioni traumatiche, come il maschio espelle lo sperma nell’orgasmo. Non è il caso di sottolineare l’aspetto maschilista (sintomatico) della psicologia freudiana, che ammette una sola energia psichica, maschile appunto, la libido. Trasformare la metapsicologia delle pulsioniin psicologia delle espulsionipotrebbe essere un interessante programma per rendere il freudismo un po’ più scientifico. Che potrebbe partire proprio dall’esodo dello psicanalista dall’Austria all’Inghilterra.
 
La falsa citazione

Il falso è di casa in psicanalisi. C’è il falso amore di transfert, più odio che amore; ci sono i falsi ricordi di copertura; gli atti mancati che sono false prestazioni; i sintomi che sono falsi godimenti sostitutivi; i sogni che sono false soddisfazioni di desiderio. Le interpretazioni dell’analista dovrebbero essere “spiegazioni” che rendono le performance dell’inconscio più chiare. Ma ci sono anche le false interpretazioni dell’analista che non sono meno efficaci di quelle vere nel produrre cambiamenti soggettivi.

Una falsa interpretazione psicanalitica è proprio quella che Freud diede di Darwin nell’Uomo Mosè e la religione monoteistica, già formulata un quarto di secolo prima in Totem e tabù. Riporto l’ultima versione. Secondo Freud “nella preistoria l’uomo primitivo viveva in piccole orde, ciascuna dominata da un forte stallone” (starkes Männchen). “Il forte stallone era padre e padrone di tutta l’orda; il suo potere, che esercitava con violenza, non aveva limiti. Tutti gli esseri femminili erano sua proprietà, sia le donne che le figlie della sua orda, sia forse anche quelle rapite da altre orde. Il destino dei figli era crudele; quando suscitavano la gelosia del padre, erano trucidati o castrati o espulsi. Trovavano scampo vivendo insieme in piccole comunità, procurandosi le donne mediante il ratto e, quando uno di loro ci riusciva, cercando di raggiungere una posizione simile a quella del padre nell’orda originaria. Per ragioni naturali, i figli più piccoli si trovavano in una situazione eccezionale: protetti dall’amore della madre, traevano vantaggio dall'età del padre e potevano succedergli dopo la sua scomparsa. Echi sia dell’espulsione dei figli maggiori, sia della preferenza accordata ai più piccoli, pare di avvertirli nelle leggende e nelle favole.” “Il successivo decisivo passo verso la modificazione di questo primo modo di organizzazione “sociale” dovette essere stato che i fratelli scacciati e vivendo in comunità si riunirono, sopraffecero il padre e, secondo il costume dei tempi, lo divorarono crudo. Non c’è da scandalizzarsi per questo cannibalismo che si estende a lungo in epoche più tarde. Essenziale è invece attribuire a questi uomini primitivi gli stessi atteggiamenti emotivi che possiamo stabilire mediante l’indagine analitica nei primitivi del presente, i nostri bambini. E cioè che non solo odiassero e temessero il padre, ma anche che lo venerassero come modello e che ognuno in realtà volesse mettersi al suo posto. L’atto cannibalesco diviene allora comprensibile come tentativo per assicurarsi l’identificazione con lui incorporando un suo pezzo.

Va supposto che al parricidio seguisse un lungo periodo in cui i fratelli lottarono tra loro per l’eredità paterna, che ciascuno voleva ottenere solo per sé. Visti i pericoli e l’infruttuosità di queste lotte, il ricordo dell’atto liberatorio compiuto in comune e i legami emotivi reciproci nati fin dai tempi della cacciata, finirono per portare a un’unione tra loro, a una sorta di contratto sociale. Nacque così la prima forma di organizzazione sociale, con la rinuncia pulsionale, il riconoscimento di obbligazioni reciproche, la fondazione di determinate istituzioni dichiarate inviolabili (sacre), dunque gli inizi della morale e del diritto. Ogni singolo rinunciò all’ideale di ereditare per sé la posizione del padre, rinunciò al possesso della madre e delle sorelle. Da qui fu stabilito il tabùdell’incestoe l’ordine dell’esogamia.”

Il punto è proprio questo. Freud cita dalla Discesa dell’uomo, l’unico testo di Darwin che aveva in biblioteca. Ma la citazione è falsa e da Freud esibita tendenziosamente solo per conferire autorevolezza alla propria mitologia edipica. Darwin non parla mai di “orde primitive” né di “forti stalloni” che possedevano tutte le donne. Parla di small communities. Si sa: Freud e i freudiani non amano Darwin. Ma che la citazione di Freud fosse falsa era evidente anche senza leggere Darwin, sapendo un minimo di darwinismo. L’orda primitiva non può esistere nell’assetto evoluzionistico darwiniano per il semplice motivo che non presenta alcun vantaggio selettivo rispetto alle piccole comunità, quindi è destinata a non sopravvivere sul medio periodo. I vantaggi selettivi delle organizzazioni sociali si producono quando compaiono forme di cooperazione tra i componenti. Ma il concetto di cooperazione (Zusammenarbeit) non rientrava nella mentalità di Freud, che nella sua psicologia delle masse, tipicamente le chiese e gli eserciti, ammetteva solo la dipendenza assoluta del singolo dal Führercon la connessa rivalità tra coloro che ne dipendevano. Per il resto, secondo Freud, la civiltà è solo “disagio” per l’individuo, che vede ridotte le proprie possibilità sessuali e deve rivolgere contro di sé l’aggressività verso l’altro.
 
Edipo individuale, edipo collettivo

Freud non parlava di soggetto come i lacaniani; parlava di Edipo. Era il suo shibboleth. Bisognava saperlo pronunciare bene, non come gli Efraimiti, che dicevano sibbolet, e allora i Galaaditi li scannavano. Riporto l’episodio, narrato in Giudici12, 5-6, solo per segnalare il truce modello di convivenza tra psicanalisti che Freud aveva in mente, ai tempi in cui scriveva il suo fazioso saggio Per la storia del movimento analitico, poco dopo Totem e Tabù, all’epoca della rottura con Adler e Jung. Va onestamente riconosciuto che quel barbaro modello attecchì subito e divenne la realtà del movimento analitico. Detto per inciso, non era un modello darwiniano e necessariamente portò all’estinzione rapida della specie “psicanalista”.

Quando, dopo l’incontro con gli psichiatri zurighesi, la psicanalisi cominciò a espandersi oltre la piccola cerchia ebraica, Freud sentì il bisogno di attrezzarsi con una teoria dei fenomeni collettivi. Non fece uno sforzo particolare. Si limitò a dilatare la teoria valida per la terapia dell’individuo alla società. La base fu una risalita alla preistoria, per ridiscendere all’attualità. L’assunto di base, che ritroviamo in L’UomoMosè, fu l’equazione bambino = primitivo. Allora per il primitivo vale l’edipo e se vale per il primitivo vale per il moderno. Freud fu un genio di questi sillogismi più ideologici che logici.
Dobbiamo però riconoscere che la sua non fu una genialità originale. È una caratteristica delle etnie piccole e ben definite. Dove c’è un serbo, c’è il popolo serbo; dove c’è un ebreo c’è il popolo ebreo. L’ebreo, per quanto errante e disperso non sarà mai un espulso, perché si porta il popolo dentro. Freud emigrò a Londra ma non sarà mai un esule. Racconta la sua storia come quella di Mosè, che si porta dietro il suo popolo nell’esodo dall’Egitto, certo aiutato in questo da un marchio patognomonico: la circoncisione. Allora l’Edipo individuale, coincide con l’Edipo collettivo, il padre attuale con il padre primitivo, soggetto alla stessa vicenda. L’autoedipo è la coincidenza dell’edipo individuale e collettivo.
Queste sono verità dogmatiche, tipiche dell’ebraismo di Freud, quindi non sono scientifiche. Cosa ce ne facciamo della congettura edipica collettiva, che è falsa. La falsifichiamo, per esempio con considerazioni darwiniane e passiamo ad altre congetture. Un’operazione che Freud non portò mai a termine perché, come lui stesso riconobbe nella lettera Fliess del 1 febbraio 1900, non fu un uomo di scienza ma un conquistador: conquistò l’inconscio.

Congetture sul collettivo sono di pertinenza delle scienze sociali, che mettono in evidenza le interazioni tra componenti sociali. Il concetto di interazione, pensiamo solo all’interazione tra due giocatori in una serie di partite, è estranea al pensiero medico-ippocratico di Freud, che era fissato al principio di ragion sufficiente per cui ogni effetto psichico ha una causa psichica, nella fattispecie una pulsione. Il compito dell’analista freudiano è oggi, se così posso dire, diventare meno freudista di Freud – meno romanziere –, io addirittura auspico più galileiano. Meglio tardi che mai.
 
uno, due, Uno

L’uno è un numero difficile da concepire. Per i pitagorici l’uno non era un numero, non essendo né pari né dispari; era parimpari, trasformando il pari in dispari e il dispari in pari. Il vecchio Lacan recitava una giaculatoria: y’a d’l’Un, “c’è dell’Uno”. Cosa voleva dire? Forse voleva dire che l’uno è almeno duplice; c’è l’uno per contarei singoli elementi, l’operatore +1 dell’aritmetica, e c’è l’uno metaritmetico perrappresentarela collezione di più elementi. Le cose, però, non sono così semplici. Esistono degli uni che non si generano per conteggio, come gli elementi della retta euclidea. I numeri reali non si contano; come diceva Lacan, il reale non cessa di non scriversi. Addirittura esistono degli uni che non sono unificabili in qualche uno; sono le classi proprie, come l’insieme degli insiemi o l’insieme delle donne, secondo Lacan, che non si unificano in qualche collezione concettualmente ben definita. Freud non sapeva di essersi infilato in questo ginepraio concettuale. Pretendeva di risolvere tutto con la storiella edipica (leggi ebraica) del parricidio e della castrazione. La quale ha certamente qualche valore simbolico. Racconta una verità come tutti i romanzieri raccontano la loro verità, ma appunto “non tutta”, come pretendono i giudici in tribunale. Ci sono verità di fatti inenarrabili, di cui si dovrebbe tacere, secondo Wittgenstein.

Invece Freud, mostrando una levatura morale superiore a quella del filosofo, ne parlò, incurante del rischio di dire sciocchezze. E ne disse più d’una in tutta la sua metapsicologia pulsionale. Dobbiamo ringraziarlo, perché qualcuna non era tanto sciocca. La sciocchezza basilare di Freud fu di parlare del due per parlare dell’uno: due padri, il padre primitivo e il padre attuale; due Mosè, il Mosè egizio e il Mosè madianita, due dei, Aton e Yahwe. Forse non fu un caso. Quando Freud prese a scrivere il Mosè a Vienna, in Francia un collettivo di pensiero matematico, che sarebbe diventato famoso sotto lo pseudonimo di Nicolas Bourbaki, in memoria del generale napoleonico Charles Denis Bourbaki, inaugurava la redazione, durata mezzo secolo, di una mostruosa enciclopedia matematica, intitolata alla Euclide Eléments de mathématique. Il primo volume è dedicato alla Teoria degli insiemi, che avrebbe inaugurato la moda dell’insiemistica. Si basa su quattro assiomi. Il terzo riguarda l’esistenza della coppia, il quarto l’esistenza dell’insieme infinito. Ma non si parla né di dio né di parricidio. È “un” libro di matematica, non di mitomatica. I miti sono storielle di successo perché hanno una base matematica.
 

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