PENSIERI SPARSI
Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali
di Paolo F. Peloso

LA BORSA O LA VITA: a proposito dei brevetti su farmaci e vaccini

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3 aprile, 2021 - 13:59
di Paolo F. Peloso
Vent’anni fa, nel settembre 2001, comnmentavo sul mensile “Il Corriere di Sestri Ponente” l’iniziativa del Sudafrica di Nelson Mandela volta a ottenere la possibilità per i Paesi più poveri di sospendere i brevetti sui farmaci indispensabuili per la vita ai quali non avrebbero potuto avere accesso, con l’articolo Salute globale: lista d'attesa, vent'anni! Dati e meccanismi dell'ingiustizia diffusi da "Medici senza frontiere”. Oggi la questione ritorna con la proposta di India e Sudafrica di sospendere i brevetti sui vaccini anticovid, riconoscendo un ragionevole indennizzo alle aziende che hanno condotto (peraltro in gran parte con soldi pubblici) le ricerche necessarie a scoprirli, perché tutti i popoli possano averli a disposizione. Certo, la realtà globale è cambiata, nuovi attori si muovono sul mercato dei farmaci, Russia, Cina e forse domani (speriamo) Cuba con un vaccino a produzione totalmente pubblica, e questo sta consentendo anche ad alcuni Paesi poveri di accedere al vaccino a costi bassi. L’altra differenza è che, mentre vent’anni fa di fronte all’epidemia di AIDS nel Sud del mondo povero il problema dei brevetti riguardava principalmente quell’area, adesso per il gap tra le capacità produttive delle aziende produttrici occidentali e le capacità distributive rapidamente incrementate dagli Stati, nell’ostacolo dei brevetti abbiamo finito per inciampare anche noi del Nord del mondo, Unione Europea in particolare. Però, ciò che non ha fatto un passo in vent’anni è stabilire se debbano avere più forza le ragioni della vita umana o quelle della proprietà privata; se non possa essere stabilito un diritto di base di ciascun essere umano a cibo e cure indispensabili alla vita, e il gioco feroce della disuguaglianza che è l’anima del capitalismo non debba essere limitato al superfluo.
Così, visto che a vent’anni di distanza niente mi pare cambiato a questo riguardo e, anzi, il gap farmaceutico tra Paesi del nord e del sud del mondo pare aumentato, ripropongo in questa rubrica le stesse cose che vent’anni fa scrivevo…
 
 
Salute per tutti entro il 2000: questo era l'obiettivo della dichiarazione di Alma Ata del 1978. Dopo la battaglia di Goteborg, costata gravi violenze e forse anche una vita umana tra i giovani manifestanti, nel momento in cui scriviamo gli otto grandi del pianeta stanno per riunirsi qui a Genova. Esistono certo cause locali nel fallimento di questo obiettivo: diverso rimane infatti l'impegno dei diversi paesi per la salute dei propri cittadini, se la mortalità infantile è ad esempio ancora del 300% maggiore nel Venezuela dalle sterminate risorse petrolifere rispetto alla vicina Cuba strozzata dall'embargo. Ma esistono anche cause generali, di sistema, legate ai modi e ai tempi del commercio globale. I progressi scientifici hanno determinato un aumento della vita media, ma questo aumento non è cosa per tutti: sono oltre un miliardo per l'Organizzazione Mondiale della Sanità le persone che inizieranno il ventunesimo secolo senza poterne approfittare. Ogni anno sono ancora diciassette milioni, dice invece l'organizzazione umanitaria Medici senza frontiere, i morti per malattie infettive e deficienze nutrizionali, per il 90% nei paesi in via di sviluppo. Infezioni respiratorie e intestinali, tubercolosi e malaria rappresentano la prima causa di mortalità e morbilità in Africa, Asia e America Latina, soprattutto tra i bambini: dieci milioni di morti all'anno al di sotto dei 5 anni che potrebbero in buona parte essere evitati. Per l'AIDS, mentre si cerca un vaccino al quale non sappiamo quanti potranno eventualmente aver accesso, oggi il 95% dei malati non può valersi delle cure, perché i sistemi sanitari dei loro paesi non sono in grado economicamente di acquistarle. La malattia del sonno è letale se non curata: per il trattamento della prima fase veniva utilizzata la pentamidina, improvvisamente rincarata dal fatto che ne è stata scoperta l'efficacia nel trattamento di una malattia associata all'AIDS, e quindi una possibilità di commercializzazione in occidente. Per quello della seconda fase, è stato utilizzato per molti anni l'arsenico, un trattamento doloroso e caratterizzato da un 5% di mortalità da farmaco, mentre esisteva una cura più moderna che non veniva prodotta perché chi ne avrebbe avuto bisogno non era in grado di comprarla. In tutto il mondo la tubercolosi è in ripresa, ed è diventata la malattia infettiva più mortale tra gli adulti con oltre trenta milioni di persone a rischio di morirne nel prossimo decennio; è favorita dalla diffusione dell'AIDS, ma anche dalla povertà e dalle incongruenze dei sistemi sanitari, indeboliti dal debito estero, da guerre e catastrofi naturali.
Questi sono solo alcuni aspetti del problema del rapporto tra globalizzazione e salute: il sistema dei brevetti e gli interessi commerciali che moltiplicano i costi dei farmaci o ne bloccano la produzione quando poco convenienti, impediscono la cura della malattia del sonno, della tubercolosi e delle infezioni respiratorie acute, e di diarrea, malaria, shigella, leishmaniosi e meningite. Nel sud del mondo e nei paesi dell'est usciti dal socialismo reale per precipitare in un immiserimento drammaticamente più reale, almeno due miliardi di cittadini versano in condizioni economiche tali da non poter godere di alcun accesso alle cure adatte alle proprie malattie. Più del 75% della popolazione mondiale, che vive in paesi a basso reddito, ha a disposizione solo il 15% del mercato farmaceutico, e di conseguenza il 90% dell'investimento in ricerca e sviluppo di nuovi farmaci riguarda problemi sanitari del 10% ricco della popolazione mondiale. Globalizzazione dei prezzi, ma non delle condizioni di produzione del reddito: un anno di trattamento dell'AIDS ai prezzi vigenti sul mercato internazionale costa l'equivalente di 4-6 mesi di salario medio nei paesi industrializzati, ma quello di 30 anni nei paesi in via di sviluppo, dove evidentemente per un malato è impossibile curarsi.
Medici senza frontiere denuncia il fatto che, a causa della legislazione internazionale in materia di diritti di proprietà intellettuale - cioè delle leggi che vincolano per vent'anni (col risultato che spesso poi sarà obsoleto) un prodotto al brevetto del suo proprietario con la facoltà di dilatarne il prezzo a suo capriccio - e per le difficoltà continuamente opposte alla produzione locale e alla commercializzazione di preparati generici a basso costo, lo stesso farmaco può costare 0.6 dollari in Thailandia e 10.5 in Kenia, dove il principio attivo è brevettato; un altro farmaco 0.37 in Thailandia e 1.13 in Honduras. La Thailandia è da anni impegnata in una dura battaglia contro le pressioni e ritorsioni commerciali USA tese a difendere gli interessi delle multinazionali del farmaco e impedire l'autoproduzione a basso costo di farmaci indispensabili alla vita, mentre il Kenia si distingue tra i paesi più proni agli interessi delle multinazionali e indifferenti ai bisogni sanitari dei propri cittadini. Il Sudafrica di Nelson Mandela si è esposto al rischio di ritorsioni commerciali drammatiche con un coraggioso "Medicine Act" che, a fronte della drammatica diffusione dell'AIDS nel paese, permettesse per quei farmaci: produzione locale su licenza obbligatoria; importazioni parallele da paesi dove i farmaci costano meno; sostituzione con farmaci generici ovunque possibile. Mandela è risultato temporaneamente vincente solo grazie alla massiccia mobilitazione dell'opinione pubblica internazionale, che ha minacciato l'immagine pubblicitaria dei colossi farmaceutici statunitensi interessati.
A fronte di tutto questo, la richiesta è oggi quella di un'"eccezione sanitaria" che moderi i diritti di proprietà intellettuale almeno sui farmaci essenziali e consenta a ciascun popolo e persona un accesso alle cure indispensabili alla vita a condizioni proporzionate al proprio reddito. Sarebbe così stabilito che il diritto di un uomo alla vita è valore comunque prevalente su quello di un altro uomo alla proprietà, intellettuale o di altre forme. E' una richiesta eccessiva?
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